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UN TRITTICO HORROR SULLA SCHIZOFRENIA

Singolare il volume realizzato da Marco GazzolaHyde in time” (Edikit, 2023) partendo dalla celebre

Mario Gazzola

opera “Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde” (1886) di Robert Louis Stevenson(Edimburgo, 13 novembre 1850 – Vailima, 3 dicembre 1894).

È diviso in tre parti:

  1. una prima stesura immaginaria dell’opera di Stevenson (pare ne abbia davvero fatta una versione poi distrutta), antecedente all’originaria,
  2. “Il lupo di Whitechapel”, un sequel, sempre immaginario, scritto dal figliastro dell’autore Samuel Lloyd Osbourne (San Francisco, 7 aprile 1868 – Glendale, 22 maggio 1947), scrittore realmente esistito,
  3. “Hyde in time”, un successivo sequel del di lui figlio, il barbone quasi omonimo Samuel Osbourne. Samuel Lloyd Osbourne, effettivamente, nel 1936 si risposò con Yvonne Payerne, di quaranta anni più giovane, dalla quale ebbe un terzo figlio, Samuel (nato a Nizza nel 1936). Non mi risulterebbe essere mai stato anche lui uno scrittore né saprei se sia diventato davvero un barbone.

Nel romanzo ottocentesco la vicenda è narrata dal punto di vista di un avvocato, Utterson, amico dello scienziato, fino a quando Jekyll prende la parola tramite una lettera indirizzata a costui, nel quale spiega la vicenda.

Gazzola cambia innanzitutto il punto di vista, che diventa, nella prima parte, quello di Edward Hyde, la metà rappresentante il Male del binomio schizofrenico Jekyll-Hyde. Ne consegue un più marcato accento su una visione malata o perversa della storia, che già in questa prima parte vira maggiormente verso l’horror (che pur caratterizzava l’originale di Stevenson), il macabro e il pulp.

La componente fantastica, quasi onirica, si accentua ulteriormente nei due sequel.

Roberta Guardascione

La trovata di Gazzola è quasi un’ucronia narrativa, o meglio una sliding-door, con la vicenda che non si conclude con il suicidio del dottor Jekyll, incapace di controllare le proprie trasformazioni in Edward Hyde, ma prosegue con la trovata paranormale di immaginare una trasmigrazione della personalità malvagia di Hyde in vari altri soggetti, andando a mescolare questo personaggio letterario con il mito della cronaca nera di Jack Lo Squartatore, la cui misteriosa identità viene quindi fatta corrispondere a quella di Hyde, trasmigrato in corpi maschili e femminili per compiere i suoi delitti e, soprattutto, nelle vesti del pittore Walter Sickert (Monaco di Baviera, 31 maggio 1860 – Bath, 22 gennaio 1942), figura realmente esistita e che, come detto espressamente nel romanzo “rientra tra i principali sospettati di essere stato il famigerato Jack lo Squartatore, l’autore degli storici omicidi avvenuti a Londra nell’estate del 1888, ancora oggi avvolti nel mistero.

A confermare l’ipotesi è la criminologa e autrice di romanzi Patricia Cornwell, la quale, dopo anni di studi relativi all’identità del famoso serial killer, ha pubblicato la sua tesi intitolata “Ritratto di un assassino: Jack lo squartatore – Caso chiuso”, nella quale spiega la sua teoria riguardo all’immagine di Jack lo squartatore celata nel pittore inglese.” (come si legge su Wikipedia).

L’identificazione di Hyde con questo pittore del Camden Town Group giustifica e avvalora la scelta dell’autore di illustrare il volume con numerosi disegni a colori realizzati dalla brava Roberta Guardascione, di fatto una sorta di seconda autrice di questo volume.

Le tre parti, che si immaginano scritte in diverse epoche storiche e da diverse penne, presentano di conseguenza anche caratteristiche stilistiche e narrative diverse tra loro.

In particolare, l’ultimo testo appare come un alternarsi di resoconti di sedute psicoanalitiche, pagine di diario e articoli di giornale.

L’intero libro poi presenta, tra un romanzo e l’altro alcune parti finto-saggistiche che in gran parte si richiamano a reali dati storici e letterari ma in parte reinventano le vicende letterarie di Hyde e cronachistiche di Jack Lo Squartatore o biografiche di Sickert. Una grande lavoro di ricostruzione storica e decostruzione ucronica da parte di Gazzola.

Ne nasce un volume ricco e intenso, graficamente elegante, cupo nei suoi rossi e neri prevalenti, originale nella costruzione, dark e pulp nel risultato. Di nuovo un’ottima prova per Mario Gazzola che già avevo apprezzato con il cupo romanzo teatral-carcerario “Buio in scena” e altri racconti, tra cui la sua partecipazione all’antologia di prossima pubblicazione “Psicomondo”.

Un plauso particolare all’illustratrice Roberta Guardascione.

LA COMPLESSITÀ DEL VIAGGIO NEL TEMPO STEAMPUNK

Dopo “La notte dei Morlock” (1979) di K. W. Jeter, autore che ha coniato il termine steampunk, ho provato a leggere un’altra opera considerata importante per il genere, ma anche qui vi ho riconosciuto poco la mia idea di steampunk ovvero di una tecnologia vittoriana basata su sporche macchine a vapore alimentate da carbone e personaggi abbigliati con abiti ottocenteschi decorati con ingranaggi e altre parti meccaniche.

Ho letto ora “Le porte di Anubis” (1983) di Tim Powers (Buffalo, 29 febbraio 1952). Il romanzo ha vinto il Premio Philip K. Dick nel 1983 e il premio Science Fiction Chronicle Reader 1984.

Dopo una premessa “egiziana”, che giustifica il riferimento del titolo al dio della mummificazione e dei cimiteri, protettore delle necropoli e del mondo dei morti, che giustifica il riferimento del titolo al dio della mummificazione e dei cimiteri, protettore delle necropoli e del mondo dei morti,

troviamo il protagonista Brendan Doyle, conferenziere esperto dell’ottocentesco poeta inglese Coleridge (Ottery St Mary, 21 ottobre 1772 – Highgate, 25 luglio 1834), ritrovarsi con un viaggio nel tempo nell’epoca del fondatore del romanticismo inglese.

Anubis

Opera, dunque, di genere fantastico ma fortemente radicata nella storia e nella letteratura che l’autore dimostra di aver ben studiato e approfondito, con descrizioni della Londra vittoriana degne di Dickens (in cui il protagonista sopravvive a stento tra i mendicanti, fingendosi muto), comparsate di Coleridge e Lord Byron non superficiali.

L’apparizione di Byron pare ucronica, trovandosi a Londra in un periodo in cui avrebbe dovuto invece essere in Grecia.

Quando si parla di viaggi nel tempo, non si deve pensare che ogni autore ne abbia la stessa visione. Personalmente preferisco immaginare che ogni viaggio crei universi divergenti, senza i paradossi che sono al centro di altre opere, in quanto la realtà presente o futura del viaggiatore non viene mai alterata ma solo ricreata in uno spazio alternativo coesistente.

Tim Powers

Per Powers il tempo è un fiume che scorre sotto una superficie ghiacciata che impedisce di uscirne mentre la corrente impedisce di tornare indietro, ma sono presenti alcune crepe attraverso il quale si può superare la coltre di ghiaccio per rientrare poi attraverso altre fenditure, in epoche diverse. Una visione pregevole nella sua originalità.

Ed ecco quindi che i viaggi nel tempo di Powers possono portarci in universi in cui, ne abbiamo qui degli esempi, le pozioni magiche funzionano ma non i televisori!

Nel romanzo immagina un concentrarsi di brecce nel tempo tra il 1700 e il 1900 che permette la mobilità temporale dei suoi personaggi.

Ne nasce un romanzo di fantascienza con ambientazioni gotiche ottocentesche. Possiamo dunque considerare questa un’altra definizione di steampunk?

L’opera non è di facilissima lettura, basti pensare alla complicazione dovuta alla presenza di cloni e persone che vivono nel corpo di altre. Proprio perché non è così facile e così adatta a ogni lettore, necessitando di un minimo di conoscenza della storia e della letteratura, penso possa essere considerata opera di un certo pregio. La ricchezza della trama ne rappresenta senz’altro un plus.

Credo che dovrei approfondire la conoscenza di questo autore (ha scritto anche il pregevole “Il re Pescatore”), così come continuare a migliorare la comprensione dello steampunk. La lettura mi anche fatto tornare la voglia di leggere qualcos’altro di Dickens e, magari, di Coleridge.

IL MISTERO SURREALE DELLA FABBRICA DI SCHIO

Massimo Bernardi è autore che predilige il surreale. Lo avevo ben visto leggendo “Hanno invaso la Svizzera” e ancor più il precedente “Mandala”. Il reale si mescola nella sua narrazione con il fantastico ma questo difficilmente resta imbrigliato nelle regole della fantascienza o del fantasy, ma sfocia in un caleidoscopio di trovate surreali.

La mia nuova lettura si chiama “I fantasmi della Fabbrica Alta”. L’ambientazione è concreta e realistica, in parte attuale, in parte storica, a Schio, presso il Lanificio Rossi.

I fantasmi compaiono nel titolo e, in effetti, anche nella storia, eppure siamo ben lontani dal romanzo gotico. Anche se vengono definiti tali, più che ectoplasmi, sono creature fantascientifiche imprigionate in “intercapedini del tempo” o particolari creature capaci di superare i confini del tempo e i limiti della consueta mortalità.

Il luogo fisico della Fabbrica Alta di Schio fa quindi da teatro extra-temporale per vicende del XIX e XXI secolo. La Fabbrica Alta “in apparenza è solo un edificio abbandonato in mezzo alle sterpaglie, che ha perso la sua funzione produttiva alla fine degli anni Sessanta del Novecento e che oggi è considerato uno dei più significativi e meglio conservati esempi di archeologia industriale del Nord Italia” (pag. 185), ma “molti ignorano che la Fabbrica Alta non è solo questo. Non è solo assenza, non è solo un passato che non ritorna. La Fabbrica Alta è molto di più. È qualcosa che si fa fatica a trovare le parole giuste per descriverla” (pag. 185). “Occorre che, chi si presenta davanti alle sue mura con l’intenzione di entrare, ne abbia davvero il desiderio” (pag. 186).

Che dire dei personaggi? Si va dalla piccola Bettina, nascosta nell’intercapedine del tempo per un secolo e mezzo, ad Amalia che da giovane “aiuta i soldati a nascondersi” e poi diventa “una strega cattiva che si vendica su una bambina”, alla “romantica eroina preraffaellita” Lady Shallot, all’”anarchico ribelle e incendiario, che poi diventa assassino di sua madre” Zeno a tanti altri (pag. 196).

In fondo sono “tutti dei fantasmi” ed è “tutta una finzione”, una serie di “storie strampalate” (come scrive Bernardi a pag. 196) un po’ pirandelliane, con l’autore che conversa con i propri personaggi in cerca di realtà.

Tante le citazioni, da Calvino a Böcklin, a Bosch, a Twin Peaks, a John William Waterhouse solo per dirne alcuni, come numerosi sono i personaggi e le trovate inventive di questo autore.

LA GESTIONE DEI VAMPIRI NEL COMUNE DI ROMA

Pierfrancesco Prosperi, classe 1945, è autore di tutto rispetto, che pubblica ormai da quasi dodici lustri (dal 1960), con al suo attivo numerosissimi romanzi, oltre 140 racconti apparsi sulle principali testate e antologie del settore (Urania, Galassia, Oltre il Cielo, Robot, I romanzi del Cosmo, Futuro, Futuro Europa, Interplanet) oltre che su vari quotidiani, e tradotti più volte all’estero e un’attività di soggettista e sceneggiatore di signori fumetti come “Topolino”, “Martyn Mistére”, “Intrepido”, “Il Monello”, “Zona X” e altri.

Il suo genere prediletto è l’ucronia, ma spazia in molti campi del fantastico, compresa la fantascienza.

Ne leggo ora questa insolita satira politica che è “Vlad 3.0”, sottotitolo “I vampiri di Roma” (Porto Seguro Editore, 2019), impreziosita grazie a un’attenzione alla storia, tipica di un autore di ucronie, si pensi, per esempio, alla scelta di Ariccia come rifugio per i Signori della Notte e all’interessante digressione sulla storia della cittadina e del suo ponte.

Pierfrancesco Prosperi - Letterelettriche EdizioniCon “Vlad 3.0Prosperi scherza con il romanzo gotico, riprendendone gli stereotipi sui vampiri e ridicolizzandoli con la loro trasposizione in ambiente romano, e, nel contempo, crea una spassosa satira della burocrazia, corruzione, rissosità e incompetenza dei politici nostrani, mostrandoci tutte le debolezze dell’amministrazione capitolina, quale che ne sia il colore politico. I riferimenti sono spesso reali, sia ai luoghi dell’urbe, sia ai partiti politici che la popolano. Solo i nomi dei politici e le loro azioni sono inventate.

La divertente idea di base è che i vampiri decidano di immigrare nella capitale e di stabilirvi la loro base, lasciando Romania e Transilvania. Ne nascono  problemi su come difendersi dalla loro violenza, sul loro riconoscimento come cittadini italiani, su come gestirne il pensionamento (dato che sono quasi immortali), e come garantire loro altri diritti. Si scontrano fazioni politicamente trasversali di personaggi pro e contro i vampiri. Dietro ogni tematica, sono evidenti temi centrali del dibattito politico attuale.

Ed ecco che Prosperi ci mostra un surreale capitolato di gara per assegnare a una ditta la devampirizzazione, ecco i proclami dei vari partiti, ecco gli articoli di giornali. E tutto questo con i vampiri divisi, alla “Twilight”, tra cattivi e buoni (che si nutrono di MetaSangue, sangue sintetico, un po’ come ne “Il Settimo Plenilunio” che scrissi anni fa con Simonetta Bumbi, tema poi ripreso da Calamandrei con “Sangue gratis”). C’è anche qui la figlia del protagonista che (come la Bella della Meyer) si innamora di uno dei vampiri (ovviamente di quelli buoni).

L’autore cita (pag. 36, per esempio) e dimostra concretamente di ben conoscere la letteratura gotica dal “Dracula” di Stoker alle creature di Matheson, King, Barker, Polidori, Rice, Newman, ma anche la produzione cinematografica di serie B che ne è derivata, creandone una rivisitazione che non potrà non deliziare gli appassionati del genere che vi rivedranno molti stereotipi ridisegnati con delicata fantasia, basti pensare a una delle prime apparizioni dei vampiri nel romanzo, che, in un quadretto che mi è parso delizioso, arrivavano fluttuando a mezz’aria e “tenevano le braccia leggermente sollevate, piegate vicino al busto, con le dita delle mani riunite a punta e dirette in basso. Come coniglio o marmotte sollevati sulle zampe posteriori”.

Esaminando le ragioni del successo del fenomenoTwilight” avevo immaginato che  l’adolescente sentendo un altro Vlad 3.0 - Porto Seguro Editorese stesso che gli cresce dentro, avesse inconsciamente paura del sé adulto, vedendolo come qualcosa di separato dal proprio io attuale, in qualche modo mostruoso, portandolo a identificarsi nel vampiro o, meglio, nel licantropo: ora sono così, mi vedi così, ma dentro sono diverso, domani potrei essere un altro.

Anche in questo romanzo di Prosperi i giovani cadono più facilmente di altri preda dei vampiri, attratti dal loro fascino trasgressivo, ma “Vlad 3.0” mira a far divertire, riflettere sul malfunzionamento delle nostre amministrazioni più che interrogarsi sulle pulsioni adolescenziali e fare riflessioni sulla natura umana, l’immortalità, la violenza dentro ciascuno di noi. Un umorismo più legato alla nostra realtà amministrativa che all’assurdità del vampirismo, come, per esempio, in serie comiche come la neo-zelandese “Vita da vampiro – What We Do in the Shadows” di Taika Waititi e Jemaine Clement in cui, pure, troviamo vampiri alle prese con i problemi della vita quotidiana.

Di “Vlad 3.0.” ha scritto anche Massimo Acciai su I Segreti di Pulcinella.

LA SPOSA DI SATANA GENERA MOSTRI

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Michele Protopapas

L’oscuro caso della generatrice di mostri” di Michele Protopapas è un racconto lungo o se preferite un romanzo breve (qual è il confine tra i due?), inserito nella raccolta “I racconti del Behcet”, di ambientazione ottocentesca ma anche imbevuto del tipico spirito gotico del XIX secolo, quello che faceva guardare con un misto del nuovo spirito scientifico e dell’antica superstizione verso tutto ciò che si poneva ai confini con la realtà, ai limiti con il soprannaturale o che si poteva definire misterioso.

Oggetto di questa storia è una “sposa di Satana”, una ragazza che ha la ventura o, piuttosto, sventura di partorire bambini mostruosi, suscitando nei paesani sospetti di possessione demoniaca. Il protagonista cerca, invece, di studiarne il caso, purtroppo dopo la morte della sventurata, con quel tipico spirito scientifico di cui si diceva poc’anzi. Lo vediamo persino studiarne le cartelle cliniche, pervenutegli, spirito del tempo, tramite un prete.

Ne nasce una narrazione dal sapore antico ma scorrevole e gradevole, anche se certo l’occhio moderno è assai più avvezzo a simili “meraviglie” o “mostruosità” della natura che non quello dei nostri progenitori.

È un’occasione per una veloce carrellata sulle conoscenze del tempo sull’evoluzione e la nascita di esseri “anormali”. Forse anche questa lettura ha contribuito alla mia scelta della prossima lettura, il saggio filosofico del nobel Bergson “Evoluzione creatrice”.

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I COSTRUTTORI DI UNIVERSI

Ci sono numerosi modi per dividere e catalogare le opere di narrativa. Vorrei qui suggerirne una tra la letteratura che descrive il mondo e quella che costruisce mondi.

Sebbene i migliori e più acclamati autori si siano sinora dedicati più alla descrizione che alla costruzione e la prima abbia assai più numerosi sostenitori, credo che la letteratura che costruisce mondi meriti un maggior riconoscimento.

Con questo non voglio togliere nulla a opere che raccontano il nostro quotidiano, la nostra storia, il nostro ambiente, la nostra natura, la nostra vita, la nostra quotidianità ovvero al realismo, al verismo, alle biografie, al romanzo storico, al giallo, al noir, al romanzo psicologico, sentimentale o erotico. Del resto, non a caso ho ripetuto più volte l’aggettivo possessivo. Molti sono attratti da ciò che sembra loro appartenere, esser loro vicino. Viene più naturale descrivere qualcosa che sentiamo come “nostro”.

Del resto, però, quanto è forte anche l’impulso di costruire, di creare? Non è forse questo impulso che ha sospinto l’umanità dai suoi primi passi scimmieschi ai viaggi spaziali, all’edificazione delle città e dei monumenti, alle grandi invenzioni della tecnica, alle scoperte scientifiche, ai capolavori della pittura, della scultura, della musica, della letteratura, del cinema, della fotografia, della moda, alle opere dell’artigianato e dell’industria e a ogni forma di realizzazione concreta?

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Creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti

Sarà pur vero che anche altri animali costruiscono nidi, dighe, formicai, piccoli attrezzi, ma se vi è una specie che ha fatto del costruire una sua caratteristica dominante è proprio l’umanità. Ci sentiamo uomini perché costruiamo e realizziamo opere.

Credo, dunque, che impresa più grande e apprezzabile del semplice descrivere e raccontare, sia quella dei creatori di mondi nuovi. I loro libri non sono (o non devono essere) inferiori agli altri nella capacità di analisi del mondo, dell’animo umano, della natura, dell’ambiente, ma a questa dote devono aggiungere in massimo grado la fantasia, la creatività e devono saperle usare con logica e raziocinio, oltre che con una certa dose di fascino e d’incantamento. Creare mondi nuovi, sebbene solo letterari, è quanto di più vicino all’opera divina l’uomo possa immaginare. Rendere abitabili (“terraformare”) nuovi pianeti potrebbe essere il senso e dell’esistenza dell’umanità e la sua meta, compensazione per l’esaurimento e la consunzione delle risorse della nostra Terra. In attesa di ciò, sogniamo e creiamo mondi letterari!

Maggiore mi pare la maestria di chi riesce a trasportarci in realtà diverse e sconosciute facendoci comunque sentire a casa, facendoci sembrare questi mondi fantastici come reali e veri.

Risultati immagini per creazione mondoÈ questa la magia di un numero piuttosto ristretto di autori. Spesso appartengono a “letterature di genere” e sapete tutti bene come queste siano considerate dai fieri accademici come letterature di seconda classe, popolari, se non popolaresche.

In questo dico che costoro s’ingannano o vogliono ingannarsi, forse essendo incapaci di un simile genio, incapaci di cogliere il nobile anelito all’edificazione.

Tra gli autori che costruiscono mondi, troviamo le grandi penne del fantasy, del romanzo gotico, della fantascienza, dell’utopia, della distopia, dell’ucronia e di altre forme letterarie ma anche autori non catalogabili nella letteratura di genere.

Ognuno di questi generi ha le sue regole e spesso i loro mondi si somigliano un po’ tra loro, perché dopo che i grandi hanno tracciato il primo disegno, altri ne ricalcano il tratto, sebbene con deviazioni più o meno importanti.

Scrivere di fantasy, così, diventa difficile senza considerare le opere, per esempio, di Tolkien, Lewis, Bradley, Brooks, Pratchet e questi a loro volta Risultati immagini per creazione mondoaffondano le loro radici culturali nella mitologia classica, mesopotamica o nordica e ci regalano un universo di miti, allegorie, metafore, popolato da maghi, elfi, gnomi, troll, streghe, fate e hobbit che si ravviva e rinnova di autore in autore. Ai nomi classici andrebbero aggiunti quelli di scrittori che si sono discostati dalle regole del genere, creando opere di notevole importanza come, per esempio, King e la Rowling.

Anche il romanzo gotico ha radici antichissime. Il mito del vampiro nasce dalle leggende popolari di gran parte dell’Europa e si collega a figure di esseri non-morti presenti in numerose culture umane. Tra i non-morti, il vampiro si caratterizza per l’abitudine di succhiare il sangue. Il termine ha origine slava. Nasce dall’antica paura che un morto possa tornare in vita e tormentare i viventi. L’usanza di seppellire i morti potrebbe avere motivazioni igieniche, ma il deporre sulla tomba pesanti lapidi sembra riconducibile alla medesima paura che ha generato le creature della notte.

Pare che il più antico testo che parli di esseri simili, sia una tavoletta babilonese su cui è incisa una formula magica per proteggersi dagli etimmé, i demoni succhia-sangue. Di simili esseri parlano anche gli antichi greci e romani (Filostrato e Flegone Tralliano) e il mito trova sviluppi in epoche successive.

Sarà però tra il XIX e il XX secolo che il vampiro, con PolidoriLe Fanu, Presket PrestBram Stoker, Connell e altri, diverrà soggetto letterario di romanzi di successo, riprendendo poi energia in questo XXI secolo, con canoni mutati.

Risultati immagini per mondo fantasyAnche per la licantropia le origini si perdono nelle tradizioni popolari e persino nella Bibbia si legge che Nabucodonosor fu trasformato in lupo. Gli egizi, peraltro, veneravano il Dio-sciacallo Anubi e il Dio-lupo Ap-uat che traghettava i morti nell’Aldilà.
La leggenda più diffusa vuole che il lupo mannaro assuma sembianze animalesche con la luna piena. Invenzione più moderna è che possa essere ucciso solo da una lama d’argento. In epoche più recenti si è sviluppata la credenza che la licantropia fosse una vera e propria malattia. In letteratura i licantropi fanno la loro comparsa in alcuni romanzi ottocenteschi come quelli di Baring-Gould, Maturin, Reynolds e Dumas.

E qui tralascio di parlare di fantasmi, zombie, fate, streghe e maghi e di tutto quanto è stato scritto su di loro.

I mondi del fantasy e del romanzo gotico sono sì mondi immaginari, ma fortemente legati ad alcune regole, ad alcune creature immaginarie o mitiche che compaiono, in una forma o in un’altra in tutte queste opere. Di fatto, con ogni romanzo visitiamo regioni diverse del medesimo pianeta.

In parte anche la fantascienza soffre di simili ripetizioni. Dopo che alcuni grandi creatori hanno inventato futuri e mondi alieni, altri sono corsi a imitarli, ed ecco moltiplicarsi alieni antropomorfi, insettiformi, scimmieschi, viaggi spaziali, pianeti misteriosi le cui forme si ripetono in innumerevoli variazioni.

Muovendo dunque i passi dalle invenzioni ottocentesche di Verne e Wells, si arriva alle opere di Zamjatin, Huxley, Orwell, Asimov, Bradbury, Wyndham, Clarke, Matheson, Blish, Heinlein, Dick, Lem, Sheckley, Boulle, Vonnegut, Pohl, King, Sagan e molti altri loro pari, che ora certo sto Risultati immagini per mondo fantasyingiustamente dimenticando, o loro emuli.

Ho citato a parte utopia, distopia e ucronia, sebbene alcuni vogliano far rientrare la seconda e la terza tra la fantascienza come sotto-generi, ma ritengo che queste tre categorie abbiano caratteristiche proprie, sebbene, come avrete notato, ho citato tra gli autori di fantascienza anche grandi nomi della distopia come Zamjatin, Huxley e Orwell. Spesso, infatti, la fantascienza tende a descrivere mondi negativi e i due generi si confondono.

Altro discorso vale per l’utopia, genere che viene ravvicinato alla filosofia, con il suo tentativo di suggerire mondi migliori in cui potremmo vivere o verso cui potremmo aspirare. Il termine utopia deriva dal greco ο (“non”) e τόπος (“luogo”) e significa “non luogo”, anche se l’ο è facilmente confuso con “ευ” (“buono”) e si parla quindi di utopia, pensando piuttosto a un “eutopia”. Il termine fu coniato dal filosofo Tommaso Moro e giocava proprio su questo equivoco: descrivere un buon luogo per vivere, ma che non esiste.

Le grandi utopie del passato sono spesso riconducibili a filosofi. Vi possiamo annoverare persino “La Repubblica” di Platone, sebbene antecedente all’invenzione del termine, e opere come “La Città del Sole” di Tommaso Campanella o “La nuova Atlantide” di Francesco Bacone.La distopia è il contrario dell’utopia e descrive società inumane e spaventose. Non certo luoghi in cui al lettore verrebbe voglia di vivere.

Risultati immagini per mondi immaginariLa distopia si presta così a essere strumento politico per denunciare, parlando di universi immaginari, le storture del mondo contemporaneo e, in particolare, la tirannia e le dittature. Non è satira, ma spesso s’ispira ad analoghi obiettivi. Altre volte si limita a descrivere i risultati di qualche catastrofe, come nelle distopie apocalittiche o post-apocalittiche.

Il termine pare sia stato coniato nel 1868 dall’inglese John Stuart Mill, che parlava, con il medesimo significato, anche di cacotopia.

Possiamo così leggere opere come “Il padrone del mondo” di Benson, “Il tallone di ferro” di London, “Noi” di Zamjatin, “Il Mondo Nuovo” di Huxley e “1984” di Orwell, che ci introducono a opere successive dal sapore post-apocalittico come “Io sono leggenda” di Matheson o “La strada” di McCarthy.

Utopia e distopia sono solitamente considerate e apprezzate per il messaggio politico e morale, in positivo o in negativo, che intendono trasmettere, ma ne vorrei qui sottolineare la potenza creativa, la capacità di costruire mondi, simili al nostro ma diversi, con loro regole e strutture, sebbene migliori o peggiori per qualche aspetto determinante. Questa capacità creativa è più comunemente apprezzata per altre opere di genere fantascientifico e, a mio avviso, appare in misura superiore nella distopia che nel romanzo gotico e nel fantasy, che giocano in scenari spesso consolidati, innovando poco.

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Se c’è, però, un genere che sembra fatto apposta per creare nuovi mondi, per il solo gusto del costruire, dell’immaginare, del creare, questo è l’ucronia.

Sebbene la conoscenza si stia diffondendo, sono ancora in pochi a sapere cosa sia l’ucronia e questo non mi stupisce, perché il termine non si può certo dire dei più usati, eppure il genere letterario che rappresenta è ricco di possibilità creative e sta cominciando a riscuotere discreti successi. Quando pubblicai il mio primo romanzo ucronico, “Il Colombo Divergente”, nel 2001, il termine mi pareva meno noto di oggi. La pubblicazione in seguito di nuove opere, come “22.11.’63” di Stephen King, “Il complotto contro l’America” di Philip Roth, gli ultimi volumi della saga “Colonizzazione” di Harry Turtledove, “Roma Eterna” di Robert Silverberg o i nostrani “L’inattesa piega degli eventi” di Enrico Brizzi e “Occidente” di Mario Farneti ha contribuito alla conoscenza del genere tra il grande pubblico, anche se non riscuote ancora la fama che meriterebbe.

Vorrei allora non solo cercare di fare un po’ di chiarezza su questo misterioso vocabolo, ma anche spezzare una lancia a favore di questo genere letterario, che meriterebbe ben altri spazi, essendo estremamente ricco di possibilità creative.Risultati immagini per mondo steampunk

L’ucronia si pone a metà strada tra la fantascienza e il romanzo storico. Mediante eventi immaginari o la narrazione di scelte mai fatte in realtà, l’allostoria modifica la Storia, facendole prendere percorsi nuovi. Presenta dunque al lettore una versione alternativa della Storia. Non una sua differente interpretazione, ma proprio un diverso svolgimento delle vicende storiche. L’ucronia costruisce dunque un mondo nuovo in cui ambientare la trama della narrazione, un universo divergente (come lo definii ne “Il Colombo divergente”) in cui gli eventi hanno preso una diversa piega.

L’ucronia è narrazione del “se”, del “what if”. Descrive come sarebbe stato il mondo se qualcosa nel passato si fosse svolto diversamente. Racconta, per esempio, come sarebbe stata l’Italia se non ci fosse stata la Seconda Guerra Mondiale, oppure come sarebbe stata la Francia se Napoleone non fosse andato in esilio o Giovanna D’Arco non fosse morta sul rogo (come nel mio romanzo “Giovanna e l’angelo”) o come sarebbe stato il mondo se Cristoforo Colombo fosse sbarcato in Messico e fosse stato fatto prigioniero degli aztechi (come ne “Il Colombo divergente”).

Secondo Wikipedia:

“L’ucronìa è una forma di narrativa che tratta di un mondo la cui Storia si è differenziata dalla Storia comunemente conosciuta, sostituendo a degli eventi storicamente avvenuti degli eventi ipoteticamente possibili.

Il termine deriva dal greco e significa letteralmente “nessun tempo” (da ou = non e chronos = tempo), per analogia con utopia che significa nessun luogo, e indica la narrazione letteraria, grafica o cinematografica di quel che sarebbe potuto succedere se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente. Il termine è stato coniato dallo scrittore francese Charles Renouvier in un testo apparso nel 1857 che intendeva ricostruire la storia europea “quale avrebbe potuto essere e non è stata” (“Uchronie, l’utopie dans l’histoire”).”

Suoi sinonimi possono essere “allostoria” e “storia alternativa” e, direi io, anche “fantastoria”.

L’ucronia non è, però, solo un genere letterario. C’è anche chi si occupa di storia alternativa al solo fine di esaminarne le possibili varianti, senza alcun intento letterario (su internet si possono persino leggere elenchi di possibili ucronie).

Il genere, cui a volte si nega una propria autonomia, è spesso considerato, al pari della distopia, come parte della fantascienza.

Ha, però, caratteristiche sue proprie molto marcate e penso sarebbe giusto considerarlo come un genere a sé, essendo a volte assai più vicino al romanzo storico che non alla fantascienza.

In inglese pare che l’ucronia sia nota come “counterfactual history” o “alternate history”. Per una volta almeno, i termini “mediterranei” sembrano però più sintetici e suggestivi, per cui, almeno questa volta, lasciamo pure da parte gli anglicismi.

Il più antico esempio di ucronia si può forse trovare in Tito Livio (“Libro Nono ab urbe condita”).

Tra i maggiori scrittori di ucronie si ricordano Philip Dick (“La svastica sul sole”), Harry Turtledove (“Basyl Argyros”, i cicli di “Invasione” e “Colonizzazione”, “Dramma nelle Terrefonde” e “Per il trono d’Inghilterra”), Robert Harris (“Fatherland”), Philiph Roth (“Il complotto contro l’America”), Harry Harrison (“Il Libro degli Yilané“Gli Dei di Asgard”, “Tunnel negli abissi”“A Rebel in Time”) e addirittura Winston Churchill (“Se Hitler avesse vinto la guerra” e “Se Lee non avesse vinto la battaglia di Gettysburg”). Ricordavate che lo statista inglese ha persino vinto un premio nobel per la letteratura?

Dopo di lui e dopo José Saramago il cui “L’ultima tentazione di Cristo” può considerarsi un’ucronia, il premio nel 2017 è andato per la terza volta a un autore del genere, a quel Kazuo Ishiguro che ha scritto la distopia ucronica “Non lasciarmi”.

Fino a dove può spingersi l’ucronia senza diventare fantascienza o pura fantasia? I confini sono incerti. Come possiamo considerare del tutto assurdo che gli alieni avrebbero potuto interrompere la Seconda Guerra Mondiale, come racconta Turtledove in “Invasione”? La loro esistenza non è, infatti, provata ma neanche esclusa.

Forse, invece, immaginare un’Inghilterra in cui esiste la magia, come fa Susanna Clarke, è più forzato ancora e romanzi simili andrebbero considerati solo “fantasy”.

In linea di massima, se la Storia è alterata con una Macchina del Tempo, dovremmo immaginare di essere nella fantascienza. Se, invece, come immagina Ward Moore, il romanzo è già ambientato in un Passato Alternativo e la Macchina del Tempo ci riporta al nostro flusso temporale, siamo nell’ucronia o nella fantascienza? Sono fantascienza o ucronia i miei romanzi “Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale” e “Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati”, in cui, attraverso dei portali, è possibile viaggiare da un universo divergente a un altro e raggiungere versioni del mondo in cui l’evoluzione si è svolta diversamente che nella realtà?

Se è vero che l’ucronia riguarda la Storia e che la Storia ha inizio con l’invenzione della scrittura, è giusto definire ucronie romanzi con una divergenza preistorica come “Viaggio al centro della terra” di Jules Verne o “Il mondo perduto” di Conan Doyle?

Se lo fosse, si tratterebbe, in effetti, di racconti assai prossimi alla fantascienza, dato che la divergenza, riguardando i processi evolutivi, porterebbe a risultati talmente “rivoluzionari” da essere difficilmente accettabili come plausibili. Mi piace definire questi libri “preucronie” e vi faccio rientrare anche il ciclo dei Guardiani dell’Ucronia con il mio Jacopo Flammer.

Lasciate, per finire, che ve ne dia una definizione del tutto personale e un po’ “poetica”: l’ucronia è il sogno della Storia, come scrivo nell’antologia da me curata “Ucronie per il terzo millennio”, ovvero l’ucronia è la Storia sognata da ciascuno di noi.

Se preferite, potremmo anche dire che ucronia è costruire universi divergenti, in cui il tempo “diverge” dalla propria linea.

Se con “Il Colombo divergente” e “Giovanna d’Arco” ho scritto delle ucronie, con “Via da Sparta”, di cui è uscito il 28 Settembre 2017 il primo volume “Il sogno del ragno”, ho voluto non solo scrivere un’ucronia ma anche, nel mio piccolo, costruire un mondo.

I primi due romanzi, infatti, raccontano una storia nel momento in cui la narrazione si discosta dalla realtà. Con “Via da Sparta” ho voluto, invece, immaginare gli effetti di una divergenza storica (o ucronica, se preferite) a distanza di secoli. Il romanzo si basa su due divergenze, la principale risalente a 2400 anni fa (la sconfitta, mai avvenuta di Tebe da parte di Sparta) e l’altra riguarda il Giappone. Sull’altra metà del pianeta regnano i samurai di Nippon-koku, il Giappone, dopo che nel 1540 d.c., Hideyory (il figlio di quel Hydeyoshi che attaccò la Corea) e suo figlio Hidetara riuscirono a sottomettere la Cina.

Quello che descrivo, dunque, è un mondo contemporaneo ma del tutto mutato per gli effetti combinati nel tempo di queste due divergenze.

Quest’ucronia si basa sull’idea che ogni mutamento del passato abbia ripercussioni crescenti sulle epoche future, pertanto il mondo descritto è quanto di più diverso potremmo immaginare da quello reale. Il romanzo rifiuta il concetto di predestinazione, che si può trovare in altre ucronie o in storie di viaggi nel tempo in cui nonostante il passato sia cambiato, il presente resta uguale o quasi.

Via da Sparta” è utopia e distopia al tempo stesso. È un mondo ucronico con luci e ombre. A qualcuno potrà sembrare migliore a qualcuno peggiore di quello reale, ma è solo diverso. Il sogno dei suoi protagonisti è quello di renderlo migliore o, almeno, di trovare un loro spazio, una piccola parte di mondo in cui riconoscersi, un’isola costruita a loro misura in cui rifugiarsi (non a caso tante sono le isole che incontreranno, ma nessuna è quella che cercano).

Nell’Impero di Sparta ci sono due classi: gli spartiati che comandano e gli iloti, loro schiavi. Un’altra forte distinzione è tra uomini e donne. Gli spartiati maschi si occupano solo di guerra e politica, le loro donne di tutto il resto, gli iloti svolgono tutti i lavori più umili, ma i maschi sonosoprattutto militari.

Uomini, donne e bambini vivono separati tra loro e, sebbene esistano i matrimoni, sono solo accordi economici e riproduttivi, mentre sesso e amore (tra loro spesso separati) si svolgono al di fuori. L’amore omosessuale è considerato quello vero, ma è accettato anche quello eterosessuale. La violenza sessuale è accettata.

Chi supera i 55 anni viene eliminato. L’eutanasia è la principale soluzione per molte malattie.

Le macchine a vapore sono appena state inventate, ma le usa quasi solo l’esercito. Elettronica e informatica non esistono. Le telecomunicazioni sono ferme al telegrafo, anche questo in dotazione solo ai militari. In compenso si conosce l’elettricità e la genetica è molto evoluta. Grazie alla continua selezione uomini e animali sono cambiati e i grandi progressi recenti della genetica hanno accelerato il processo selettivo, verso cui Sparta punta da secoli. La genetica è utilizzata anche per la codificazione d’informazioni, mediante manipolazione del DNA (qui detto COGE) e la generazione di energia.

La proprietà e il denaro non esistono. Tutto è di Sparta, che affida temporaneamente alle sue donne la gestione delle proprietà sulla base del merito militare dei mariti. Le donne possono sposarne contemporaneamente quanti ne vogliono, gli uomini invece una sola, ma fuori del matrimonio possono avere rapporti sessuali con altri uomini e donne. Il disprezzo per il lusso e le comodità hanno portato anche al divieto dell’uso “inutile” dei vestiti, pertanto i personaggi, quando non indossano armature o non fa troppo freddo, vanno in giro nudi e disprezzano chi si copre.

La capitale dell’Impero di Sparta si chiama Lacedemone. Qui, come in molte città spartane, le case sono tutte costruite sottoterra, sia per motivi difensivi, sia ecologici. Sparta, infatti, ama sentirsi tra la natura anche in città.

La storia parte parallelamente da Neapolis, una Napoli ucronica, capitale della provincia della Vitellia (Italia ucronica) e da Lacedemone, capitale dell’impero, in Grecia. La trama si articola in vari altri luoghi, tra cui Britannia (Gran Bretagna), Regni Perieci del Nord (Scandinavia), Bengala, India, Persia.

Il forte controllo demografico e lo stato di guerra continua hanno fatto sì che ai giorni d’oggi la popolazione mondiale sia di circa 500 milioni di abitanti. Le foreste europee sono ancora molto estese e popolate da lupi, rispettati dagli spartani, che non li cacciano. Non ci sono animali domestici da compagnia.

Gli spartani cacciano ma con moderazione e rispetto dell’ecologia e si nutrono soprattutto di verdure e insetti.

Questo è il mondo che ho costruito e in cui faccio muovere le due giovani protagoniste de “Il sogno del ragno”, la schiava ilota in fuga Aracne e la ricca studentessa spartiata Nymphodora.

È difficoltoso scrivere una lista di romanzi ucronici che possano veramente dirsi rappresentativi del genere, perché ben pochi studiosi hanno affrontato la questione. Si trovano in vari siti internet elenchi più o meno caotici, che accomunano opere di fantascienza, distopie, romanzi ucronici e di serie B (qualunque sia la loro natura).

Ne ho tentato altrove un elenco che potete leggere anche nel mio blog su WordPress (https://carlomenzinger.wordpress.com), ma qui vorrei segnalare senza pretese, come consigli di lettura, alcune opere:

  • il “Libro degli Yilané” di Harry Harrison (1984-88), una trilogia che descrive un mondo in cui i dinosauri non si sono estinti ma hanno sviluppato una civiltà evoluta.
  • L’ultima tentazione di Cristo” (1955) di Nikos Kazantzakis, in cui Cristo rifiuta la Croce.
  • Il vangelo secondo Gesù Cristo” (1991) del premio nobel José Saramago, dove Gesù non resuscita Lazzaro e Giuseppe è tormentato dalla colpa per la strage degli innocenti.
  • Roma Eterna” (2004) di Robert Silverberg: un grande affresco che ci racconta come sarebbe il mondo se l’impero romano fosse durato fino ad oggi.
  • “La svastica sul sole” (“The Man in the High Castle“- 1962)  di Philip Dick, che descrive un mondo in cui Germania e Giappone hanno vinto la seconda guerra mondiale e dove i personaggi leggono un libro ucronico in cui, invece, l’Asse ha perso (anche se in modo diverso da quello reale).
  • i cicli “Invasione” (1994-96) e “Colonizzazione” (1999-2004) di Harry Turtledove in cui la Seconda Guerra Mondiale viene interrotta da un’invasione aliena.
  • 22/11/’63 (2011) di Stephen King in cui un uomo trova in uno sgabuzzino una porta del tempo che lo rimanda sempre indietro fino a pochi anni prima dell’assassinio di Kennedy e cerca così, prima lui, poi un suo amico, più volte di salvarlo cambiando il corso della Storia. Ne è stata tratta da poco una serie TV.
  • Finzioni” (1944) di Jorge Luis Borges. Pur non essendo allostorico, presenta alcuni elementi ucronici, con l’invenzione di libri mai scritti e con uno dei personaggi che “credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli.”

E non dimenticatevi di leggere qualcosa di mio:

E soprattutto il nuovissimo ciclo di “Via da Sparta”, di cui è appena uscito:

Buona lettura.

IF GOTICO: L’ULTIMO NUMERO DI TABULA FATI

Risultati immagini per IF GoticoCon il numero 19 dedicato al “Gotico” si è chiusa la collaborazione tra la rivista “IF – Insolito & Fantastico e l’Editore Tabula Fati (Solfanelli). Dal numero 20 (già uscito) il nuovo editore è, infatti, Odoya (Meridiano Zero).

Il volume monografico esplora questa volta la letteratura gotica.

Dopo l’introduzione del direttore della rivista Carlo Bordoni (“Gotico, neogotico, eredi del passato”), l’articolo del 1998 dello scomparso Romolo Runcini parla de “L’orrore ben temperato del fantastico irlandese: Yeats, Wilde e Stoker”, in cui spiega le differenze tra il senso del soprannaturale tra culture cattoliche come la nostra e quella irlandese e culture protestanti “C’è, nel protestante, una responsabilità civile e religiosa dell’individuo che invece il cattolico non può mantenere, poiché il sacro è delegato ai signori della Chiesa”. Questo, per inciso, forse spiega anche in parte il minor senso civico degli italiani rispetto ai popoli del nord Europa! Il rapporto del protestante con le scritture è diretto e non mediato dalla Chiesa come nel cattolicesimo. “La Bibbia, come sappiamo, a partire dal concilio di Trento, è stato il primo libro posto all’Indice, come i libri di Giordano Bruno, Campanella, Savonarola, Calvino, tutti eretici da bruciare.” I protestanti leggono costantemente la Bibbia, i cattolici, ancora oggi, mai.

Il fedele cattolico tempera, smussa questi sentimenti di paura, di smarrimento e raggiunge sì l’inconscio, ma lo raggiunge attraverso le forme più morbide, più addolcite dell’irreale: infatti il fantastico di Yeats, di Wilde e in parte anche quello di Stoker, è un fantastico che in fondo si apparenta al meraviglioso”.

Interessante anche la visione di Yeats, per il quale “a poet… never speaks directly as to someone at the breakfast table, there is always a phantasmagoria”.

Runcini spiega poi la nascita della mitologia irlandese fatta di elfi e nani come quella di un popolo di “uomini e donne, più piccolo e incapaci di comprendere quella grande rivoluzione che è stata la rivoluzione agraria, cioè la ruota, l’aratro e così via”.

Sarà lo sviluppo tecnologico del XIX secolo a far morire alcune forme d’arte. Per esempio “la ritrattistica fotografica da Daguerre a Nadar, mette in ginocchio schiere di pittori, poiché anche la gente comune può permettersi una foto.” Cambia così in quegli anni il rapporto con l’arte e la letteratura e in questo clima si sviluppa il gotico.

Con “Introduzione al gothic novel” torna a scrivere il curatore Carlo Bordoni spiegandoci come l’ambientazione del gotico (letteratura tipicamente nord-europea) sia di norma nell’esotico (per loro) paesaggio mediterraneo (Italia, Spagna, Corsica), con i suoi castelli, conventi, rovine, labirinti, segrete, scale, cripte, da cui proviene un senso di mistero, nutrendosi di maledizioni, segni premonitori, profezie. Il grande capostipite del gotico è “Il Castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, ambientato, appunto, nel Salento italiano. Anche “I misteri di Udolfo” (1794) di Ann Radcliffe vede un’ambientazione italiana (l’Appennino). Bordoni ci parla anche del “Vathek” (1784) di William Beckford (che avrà più ampio spazio in altri articoli della rivista), de “Il monaco” (1796) di Matthew G. Lewis, di Frankestein (1818) di Mary Shelley (non solo gotico ma certo uno dei primissimi esempi di fantascienza, se non il primo), di “melmoth, l’uomo errante” (1820) di Charles R. Maturin e, persino del ben più recente “Il nome della rosa” (1980) di Umberto Eco.

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Carlo Bordoni

L’articolo di Giorgio Rimondi “Trasformazioni e sopravvivenze” analizza la visione del sublime in Sigmund Freud “Per Freud – come lo leggo io – il sublime è uno dei maggiori interessi rimossi”.

Riccardo Gramantieri ci parla di “Thomas Tryon e il gotico americano”, spiegandoci come il gotico classico, fino a Charles Brockden Brown, si caratterizza per una “spiegazione naturale dei fenomeni che, per tutto il romanzo, erano supposti soprannaturali”. Nel gotico moderno (novecentesco), soprattutto grazie al contributo di H.P. Lovecraft, “la spiegazione dell’intreccio romanzesco esulerà dal reale”.

Per quanto riguarda l’America, il gotico, da “la festa del raccolto” (1973) di Thomas Tryon, si sviluppa attorno a comunità chiuse.

Parlando di gotico, come non ricordare Stephen King? Del suo “Shinning” parla diffusamente Barbara Sanguineti in “Impronte gotiche in Shinning”.

Riccardo Rosati con “Vathek: quando l’occidente sapeva guardare all’esotico” ci fa notare come “nell’epoca contemporanea non si sia più capaci di porci in relazione con la cultura orientale a differenza dei secoli passati” e “l’Occidente abbia perso qualsivoglia capacità empatica verso le altre culture”, perdendo “quella passione per l’Oriente tipica del XVIII e XIX secolo”, così ben descritta dal “Vathek” di Beckford.

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Poe e Lovecraft

Per Borges l’inferno rappresentato da Beckford era il “primo realmente atroce della letteratura”. Per Rosati il “Vathek” potrebbe “essere descritto in vari modi: ridondante, falsamente morale, arabeggiante. Noi preferiamo giudicarlo attraverso le parole di un’amica personale di Beckford, Lady Craven, la quale così si espresse: <<Bello, orribilmente bello>>.

Carl Einstein, che pure lo critica, sostiene che questo testo abbia inaugurato “la serie di libri che ci hanno dato conoscenza ed esercizio di arte pura, che hanno sospinto l’arte nel campo di un’immaginazione conchiusa e le hanno conferito la forza di un organismo in sé perfetto”.

Giuseppe Panella ci parla di uno dei più geniali autori italiani in “L’inferno che stiamo attraversando. Dino Buzzati scrittore gotico” a proposito del suo “Il colombre”, in cui le porte dell’Inferno si aprono a Milano, un inferno che somiglia maledettamente al mondo in cui viviamo e del suo “Poema a fumetti”, una moderna versione del mito di Orfeo ed Euridice.

Molti sono stati gli emuli del maestro del gotico H.P. Lovecraft, ma in “Mondi e visioni della notte. Da Lovecraft ai gotici moderni” Walter Catalano individua come veri continuatori dello spirito lovecraftiano la triade Michel Houllebecq, Michele Mari e Thomas Ligotti.

Se Lovecraft è di certo un padre del gotico, cosa dire di Edgar Allan Poe? Ce ne parla Vito Tripi in “Poe oltre Poe” in cui indaga come questo maestro sia stato visto e reinterpretato da fumetti, TV e cinema.

Non avrei mai pensato che il Faust di Goethe potesse essere considerato una parodia del gotico, come farebbe pensare il titolo dell’articolo di Chiara Nejrotti e, in effetti, anche l’articolo sembra dirne altro.

Tim Burton, nella citazione iniziale dell’articolo di Max Gobbo “Le suggestioni gotiche del cinema di Tim Burton”, confessa di non aver letto molto, ma di sicuro deve aver visto molti film, dato che molte delle sue opere sono rifacimenti di film o loro rivisitazioni (da “La fabbrica di cioccolato” a “Il pianeta delle scimmie”). Innegabile, poi, è che molta della sua produzione abbia atmosfere gotiche, se non di più, dal corto “Frankenweenie” che si rifà al classico di Mary Shelley, al più tenebroso dei “Batman”, a “Edward Mani di Forbice”.

Sembra tratto direttamente dal precedente numero di “IF” sulla “Fantareligione”, l’articolo di Claudio Asciuti “Solo un dio ci può salvare”. Articolo che si riaggancia anche alla mia ultima lettura “Europa e Islam” con considerazioni come “Per l’occidente monoteista però religione è il culto che ha a che fare con una delle tre Religioni del Libro”; “l’hinduismo o il buddismo paiono credenze di seconda mano”; “la religione, quale essa sia ha un nucleo fondante che il mythos”. Ci parla, poi, di Dick, Lovecraft, Machen, Blackwood, Leiber, Hoffmann, Kafka, Tolkien e Borges (dimenticandosi però di Lewis!).

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Frankestein

E Dracula? Della creature di Bram Stoker parla Jole Ottazzi in “Conte Dracula: vittima o carnefice” che inizia con uno strano diagramma che mette in relazione vivi, morti, non-morti e non-vivi. Dracula nasce da “un’eliminazione delle possibilità: non può vivere, non può morire, non può risorgere, non può neppure andare all’inferno come malvagio punito e, in ogni caso, non può essere salvato”.

A Pierfrancesco Prosperi sono dedicati un’intervista e lo spazio per il racconto “Un vecchio diario” che ci parla delle più classiche apparizioni ossessive del gotico, con il loro trasferirsi da una vittima alla successiva.

Il racconto di S. Gaut vel Hartman si chiama “Lo scricchiolio del gelo” e comincia con l’inquietante ritorno di Adolf Hitler che si arrampica dal fondo di un pozzo. Scopriremo, però, una realtà più complessa, di cloni e imitazioni teatrali. Con toni che sfiorano più volte il surreale.

“Il portale” è un racconto di Alex Barcaro, che ci parla di angeli, della loro guerra con gli arcangeli e di Portali.

Andrea Ferrari con “L’incontro” ci parla della sottile linea tra la vita e la morte e di ciò che si trova nel mezzo.

Come non parlare di ville abbandonate? Lo fa Andrea Franzoni con “Il simulacro”, dove troviamo una figlia misteriosamente scomparsa, sospetti di stregoneria, “orribili uomini dalla faccia bianca”. Una storia che ci lascia con l’attesa di uno svolgimento ulteriore.

Di un’altra casa parla “L’ombra dei migratori” di Massimo Prandini, con un nono piano “etereo”.

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Thomas Tyron

Segue quindi un estratto del romanzo di Emilio Salgari “Le meraviglie del duemila”, in cui due viaggiatori del tempo, si risvegliano dopo cento anni, nel 2003, e scoprono come sia cambiato il mondo. Un mondo che solo in parte somiglia al nostro. Avevo già letto il romanzo in tempi recenti, essendomi incredibilmente sfuggito quando ero bambino e divoravo tutto ciò che questo autore avesse scritto. Da questo estratto noto un’insolita attenzione per l’epoca in cui fu scritto verso il consumo di carne: gli abiti e il cibo sono vegetali. “Stoffa vegetale. Già da sessant’anni abbiamo rinunciato a quella animale, troppo costosa e poco pulita in paragone a questa” e “Vi avverto che è un pranzo a base di vegetali: ma queste pietanze non sono meno nutrienti e non vi parranno meno saporite.

Donato Altomare riprende (“Ancora sulle biblioteche”) il suo progetto di segnalazione di biblioteche disponibili ad accogliere collezioni di libri fantastici.

Walter Catalano recensisce il nuovo romanzo di David Cronenberg “Divorati” in “Nel labirinto di Cronenberg”, dove, a quanto pare, questo regista e autore non ha abbandonato il gusto per certe rappresentazioni crude e violente della corporeità umana, quindi Catalano ci parla de “Il futuro di Urania”, la celebre rivista di fantascienza con cui io e tanti altri siamo cresciuti.

Seguono varie recensioni più brevi, tra cui vorrei ricordarmi dell’ucronia “Il richiamo del corno” di Sarban.

Chiude il numero l’articolo di Claudio Asciuti “Linus e il regressio ad uterum” da cui mi pare di capire che la rivista Linus non sia più, purtroppo, quella di una volta.

 

PPZ – QUANDO LA MISCELA DI GENERI CREA UN PICCOLO CAPOLAVORO

Di solito recensisco solo libri, ma questa settimana ho visto un film che non posso esimermi dal commentare e che comunque ha una doppia dote letteraria, nasce cioè da due libri, indirettamente, da “Orgoglio e Pregiudizio” di Jane Austen e, direttamente, da “Orgoglio, Pregiudizio e Zombie” di Seth Graham Smith.

PPZ – Pride+Prejudice+Zombie” è, infatti, la trasposizione cinematografica del libro di Seth Graham Smith, che a sua volta, due secoli dopo, inserisce il romanzo del 1813 in un’Inghilterra ucronica in cui, da circa un secolo, un’epidemia ha trasformato gran parte della popolazione in zombie.

Il risultato non è una parodia del celebre romanzo inglese, ma un prodotto intelligente e innovativo, che mescola con eleganza e raffinatezza generi tra loro diversi, partendo dal romanzo sentimentale (se la trama non fosse quella di un classico della letteratura mondiale, vista l’ambientazione storica, potremmo parlare di romance), inserendoci un’ucronia, arriva a realizzare un romanzo gotico-avventuroso.

Seth Graham Smith

Sebbene l’ucronia sia solo una componente, presenta una certa raffinatezza, mostrandoci non semplicemente un mondo devastato dagli zombie, ma anche gli effetti storici e culturali nel tempo di un simile evento. Troviamo un’Inghilterra e presumibilmente l’intera Europa (si fa solo un accenno alla Francia) devastata da questa malattia che somiglia a un’invasione e a un’infinita guerra civile e quindi ormai degradata, con il risultato che il centro della cultura si è spostato, con secoli di anticipo, in oriente. I ragazzi e le ragazze ora non vanno più a studiare a Parigi ma in Giappone o, se non se lo possono permettere in Cina. Le cinque ragazze Bennet sono aristocratiche, ma non abbastanza ricche da potersi permettere gli studi in Giappone e vengono derise per la loro cultura cinese, la cui qualità sapranno però ben difendere. Poiché siamo in un mondo violento, persino le ragazze imparano
le arti marziali e ne fanno uso. Deliziosa la scena in cui discutono tra loro di amore e filosofia picchiandosi selvaggiamente!

La vita civile si conserva in alcune oasi grazie a muri e fossati che isolano alcune città (o quantomeno Londra) dai morti viventi. Graziosa la citazione tolkeniana della Terra Di Mezzo per descrivere il territorio fuori di Londra, tra il muro e il più ampio fossato.

Anche il tema degli zombie è trattato con una certa originalità. Non siamo, infatti, di fronte ai classici morti che camminano senza parola o intelletto che si conosce dall’inizio del genere e che ancora oggi ritroviamo in ottime serie TV come “The Walking Dead” o “Z Nation”. Gli zombie qui piuttosto possono ricordare le strane creature un po’ zombie, un po’ vampiri, un po’ alien (con quella sorta di serpe che esce dalle fauci) di “The Strain” o almeno quelle tra loro dotate di raziocinio. Comune ad altre storie, come “Io sono Leggenda”, è l’idea che la trasformazione avvenga per un virus, ma qui diversi sono non solo i tempi del contagio, assai più lenti, con lunghi tempi di incubazione, ma il comportamento di queste creature, che mantengono un’intelligenza malvagia, una capacità di parlare e un raziocinio strategico, cosa che li rende ancor più pericolosi.

Guardando le storie di morti viventi mi sono spesso detto che questo tipo di storie non potrebbe funzionare che in America o comunque non certo in Italia. Il presupposto per queste trame, infatti, sono le case della periferia americana, con porte fragili, finestre al piano terreno che anche un bambino potrebbe scavalcare. Se in Italia ci fosse un’epidemia zombie, troveremmo non solo castelli, torri e fortezze varie per difenderci, ma basterebbero i muri di tante ville o anche solo le finestre sbarrate di tante case a salvare gran parte della popolazione e a rendere difficile la trama di una storia del genere.

PPZ” ci mostra una soluzione per importare in Europa gli zombie, rendendoli appunto più intelligenti e capaci di complottare per superare le pur efficaci misure difensive del vecchio continente. Strano che Seth Graham Smith sia americano!

Non so il romanzo, che ancora non ho letto, ma il film riesce poi a unire a romance, romanzo sentimentale, romanzo gotico-horror, avventura, umorismo anche una delle componenti alla base del successo delle storie di amore gotico alla “Twiligh” presentando non solo le belle e agguerrite sorelle Bennet, ma anche un certo numero di ragazzotti che penso le ragazze in sala dovrebbero trovare interessanti.

Accennavo all’umorismo, che qui non è, come detto, quello grossolano delle parodie cinematografiche alla “Scary Movie”, ma quello raffinato dei riferimenti culturali. Questo forse potrà essere il maggior ostacolo al successo che un simile film (e immagino un simile libro) meriterebbe, dato che per apprezzarlo a pieno sarebbe bene avere almeno un’idea dell’ucronia, dei classici del romanzo gotico e, direi, conoscere il romanzo originale di Jane Austen.

Se sentirete dire da qualcuno che non gli è piaciuto, probabilmente è perché gli mancano almeno un paio di questi pilastri culturali. Personalmente sono riuscito ad apprezzarlo pur avendo solo un ricordo vago della trama del romanzo ottocentesco da cui è stato generato, ma sono certo che l’avrei goduto maggiormente conoscendolo meglio.

Le sorelle Bennet in PPZ

AUTORI PER IL TERZO MILLENNIO: SERGIO CALAMANDREI

Sergio CalamandreiAvendo letto varie opere di Sergio Calamandrei e avendone scritto in varie occasioni, mi farebbe piacere ora riunire in un unico post i link ai principali post da me scritti su questo interessante autore, ancora troppo poco conosciuto e che meriterebbe una maggior distribuzione.

Conosco ormai da vari anni Sergio Calamandrei, di cui mi considero amico e con cui ho collaborato, con mia grande soddisfazione e piacere, in alcune iniziative editoriali quali:

Per quanto riguarda la sua biografia e la sua produzione letteraria, che comprende, romanzi, saggi, racconti e recensioni, credo che la cosa migliore sia rimandare direttamente al suo sito www.calamandrei.it.

Per un’informazione più “dinamica” sulla sua attività letteraria, rimanderei invece al blog https://sergiocalamandrei.wordpress.com/

Per le sue letture un riferimento, credo incompleto, può essere la sua Libreria su anobii: http://www.anobii.com/calamandrei/books

Il suo profilo professionale si può leggere su Linkedin.

A proposito di Sergio Calamandrei, lettore attento, recensore acuto, autore poliedrico e meticoloso, ho scritto in varie occasioni e anche se non credo di ricordarle tutte, ne vorrei menzionare alcune:

L’ECCLETTISMO DEL RE

Risultati immagini per stephen king i lupi del callaCredo che ben pochi autori sarebbero in grado di mescolare fantascienza, western, romanzo gotico, ucronia e fantasy. Ci vuole una grande penna per fare questo, un “re” della tastiera. Probabilmente ci vuole uno che si chiami King, Stephen King. Quello che ha fatto nel romanzo fiume che potremmo chiamare “La Torre Nera” e che riunisce ben otto lunghi romanzi di grande ecclettismo e poliedricità.

C’è ancora qualcuno che, quando gli dico che sto molto apprezzando questo autore, storce il naso e risponde che non ama l’horror. Certo King è quello di “Carrie” e “Shinning”, ma non potrebbe esserci errore (eresia?) peggiore di definirlo un autore horror. I suoi romanzi sono solo apparentemente di genere, tanta è la loro ricchezza e tanto in essi i generi sono mescolati, e solo talora, direi, sono davvero horror.

Per ora ho letto solo alcune delle sue opere, ma più vado avanti è più apprezzo la grandissima fluidità di scrittura, che gli permette di dilatare delle storie per centinaia o migliaia di pagine (come per “La Torre Nera”) senza creare mai momenti di noia o di fiacchezza. Del grande autore horror ha la capacità di tenere sempre altissima l’attenzione, ma questo lo fa con storie di bambini come il romanzo “La bambina che amava Tom Gordon”, in storie sullo spirito profondo delle nostre paure come “It”, in ucronie geniali come “22/11/’63”, in romanzi gotici come “Salem’s Lot”, che sono anche affreschi di vita di provincia americana, in thriller psicologici come “Mr Mercedes”, con i racconti di “Tutto è fatidico”, in uno dei quali compare anche Roland di Gilead in un momento antecedente la saga de “La Torre Nera”.

Leggendo il primo romanzo della serie “L’ultimo cavaliere”, che ci parla di infinitamente grande e infinitamente piccolo, di passato che è futuro, l’avevo definito un western-fantasy; leggendo il secondo romanzo “La chiamata dei tre”, mi ero appassionato vedendo mutare quel mondo pseudo-western in un immaginifico mondo fantascientifico con aramostre e porte del tempo, in una storia che ci parla di schizofrenia, droga, follie omicide; leggendo il terzo volume “Terre desolate” veniamo proiettati in un capolavoro fantascientifico popolato da antiche macchine pensanti che è un vero trattato narrativo della schizofrenia; leggendo il
quarto “La sfera del buio” ci ritroviamo nella medesima atmosfera del precedente per poi essere proiettati in un America ucronica.

Sono così, infine, giunto a leggere il quinto volume della serie “I lupi della Calla”. La storia narrata segue immediatamente quella di “Terre desolate”, eppure precede anche quella dell’ottavo volume “La leggenda del vento” e persino il secondo romanzo scritto da King “Salem’s Lot” o “Le notti di Salem” (1975).

Il primo volume è del 1982. “I lupi della Calla” è del 2003, l’ottavo volume è del 2012, a testimonianza del ricorrente impegno dell’autore su questa storia.

Vi compare (grazie all’amore di King per i collegamenti tra le proprie opere) per la prima volta nella saga un nuovo personaggio l’ex-prete Pére Callahan, che già avevamo incontrato ne “Le notti di Salem”, ma i riferimenti a opere di altri autori sono numerosissimi, dall’omaggio all’altra grande autrice del nostro secolo, che si ritrova nel nome delle bombe volanti intelligenti dette “Harry Potter”, in ricordo del famoso boccino da Qidditch inventato dalla Rowling, a quello a “2001 Odissea nello Spazio” di Clarke nel confronto tra il robot Andy e l’ex-eroinomane Eddie, alle spade laser di “Guerre stellari” a “Uomini e topi” di Steinbeck, all’”Ulisse” di Joyce a Elton John. Ci sentirei persino un po’ di Isaac Asimov, con la scomparsa dei robot, che caratterizza il passaggio dal ciclo dei robot a quello della Fondazione.

La vera ispirazione di questo volume sono però, soprattutto, “I sette samurai” di Akira Kurosawa e il loro remake americano “I magnifici sette”, vera ispirazione di questa storia in cui il pistolero Roland (che fa pensare allo Yul Brinner del film), affiancato da un improbabile quartetto composto dall’ex-tossicomane Eddie, dal ex-prete ubriacone Callahan, dalla schizofrenica Susannah priva delle gambe, al bambino Jake, per non parlare dello strano animaletto parlante simil-cane Oy, si preparano ad affrontare l’arrivo, che si ripete a ogni generazione nella valle di Calla Bryn Sturgis, di un’orda di esseri famelici, chiamati Lupi, per la maschera lupina che indossano sul volto, ma che si sospetta possano essere zombie inviati da vampiri o vampiri loro stessi.

Troviamo, insomma, in questo volume, grande esempio di mescolanza di generi, il romanzo gotico con vampiri, licantropi (richiamati se non altro dal nome delle misteriose creature), zombie, robot, pistoleri, donne guerriere lanciatrici di piatti fatali, gangster, bibliofili, viaggi nel tempo, mondi onirici. Insomma, tutto il fantastico concentrato con innegabile maestria in qualche centinaio di pagine!

La lotta contro i lupi si pone come un intermezzo necessario nella ricerca della Torre Nera, vera missione di Roland di Gilead, che non viene accantonata. Nelle loro escursioni – tramite “contezza” (qualcosa che mi fa pensare a la mia “La bambina dei sogni”, in cui, pure, guarda caso, compare una Torre Nera) o porte del tempo – nella New York del XX secolo, infatti, i nostri eroi hanno modo di difendere dai gangster il bibliofilo Calvin Torre (che, forse, è un richiamo a “La prosivendola” di Pennac oltre ad avere nel proprio nome il suffisso “Cal” che accomuna il villaggio e il prete e il nome della meta di Roland “Torre”). Calvin Torre è, infatti, il difensore,
forse inconsapevole, della Rosa, che, a sua volta, potrebbe essere la chiave per salvare la Torre Nera.

Nel volume non manca la minaccia dell’arrivo di una gravidanza diabolica, che fa pensare a “Rosemary’s Baby” di Ira Levin, ma di questo probabilmente sapremo di più nel prossimo volume, la cui lettura faticherò a rimandare ancora per un po’.

 

 

Stephen King