Il romanzo gotico, che vede trai suoi protagonisti vampiri e licantropi, sta avendo ultimamente un rinnovato successo, ma le sue origini sono tutt’altro che recenti.
Il mito del vampiro nasce dalle leggende popolari di gran parte dell’Europa e si collega a figure di esseri non-morti presenti in numerose culture umane. Tra i non-morti il vampiro si caratterizza per l’abitudine di succhiare il sangue. Il termine ha origine slava. Come figura nasce dall’antica paura che un morto possa tornare in vita e tormentare i viventi. L’usanza di seppellire i morti potrebbe avere motivazioni igieniche, ma il deporre sulla tomba pesanti lapidi sembra riconducibile alla medesima paura.
Pare che il più antico testo che parli di esseri simili a vampiri, sia una tavoletta babilonese su cui è incisa una formula magica per proteggersi dagli etimmé, i demoni succhia-sangue.
Di simili esseri parlano anche gli antichi geci e romani (Filostrato e Flegone Tralliano) e il mito trova sviluppi in epoche successive.
Sarà però tra il XIX e il XX secolo che il vampiro, con Polidori, Le Fanu, Presket Prest, Bram Stoker, Connell e altri, diverrà soggetto letterario di romanzi di successo.
Anche per la licantropia le origini si perdono nelle tradizioni popolari e persino nella
Bibbia si legge che Nabucodonosor fu trasformato in lupo. Gli egizi veneravano il Dio-sciacallo Anubi e il Dio-lupo Ap-uat che traghettava i morti nell’Aldilà.
La leggenda più diffusa vuole che il lupo mannaro assuma sembianze animalesche con la luna piena. Invenzione più moderna è che possa essere ucciso solo da una lama d’argento. In epoche più recenti si è sviluppata la credenza che la licantropia fosse una vera e propria malattia.
In letteratura i licantropi fanno la loro comparsa in alcuni romanzi ottocenteschi come quelli di Baring-Gould, Maturin, Reynolds e Dumas.
Dopo due secoli che i romanzi ne trattano, perché parlare ancora di vampiri e licantropi al giorno d’oggi, all’inizio di questo terzo millennio?
Scrivere romanzi gotici poteva avere un senso nel XIX secolo e le motivazioni degli autori e dei lettori di allora penso possano essere solo in parte le stesse di quelli odierni.
Con questo genere di storie in passato si mirava soprattutto a sorprendere e spaventare o a esorcizzare la paura della morte. Erano storie che, sebbene avessero radici culturali assai più antiche, avevano ancora una freschezza e originalità sufficienti a suscitare stupore, ansia e, spesso, paura.
Questo oggi avviene in maniera assai minore, ma rimane, soprattutto per i lettori più giovani, una componente importante.
Parrebbe difficile allora che una storia di vampiri o licantropi si discosti troppo da una
trama ormai collaudata. Nulla di nuovo sotto la luna, dunque? Sarebbe un genere ormai “esaurito”? A quanto pare no, dato il successo di romanzi come quelli della Meyer e di autrici più canoniche come la Rice o la Kalogridis e l’attenzione generale per questo genere narrativo.
Non sono un sociologo e non voglio certo cercare di dare una risposta universale al quesito, che rimando ad altri più competenti.
Penso però di poter qui presentare la mia testimonianza di autore, che, dopo aver scritto romanzi ucronici e thriller, si è trovato a scrivere, assieme ad altri due autori (Simonetta Bumbi e Sergio Calamandrei) un romanzo popolato dalle creature della notte, IL SETTIMO PLENILUNIO.
Realizzare un romanzo a più mani è un processo diverso dalla scrittura “in solitario” e anche i processi decisionali connessi sono diversi: per certi aspetti meno coscienti e per altri più sistematici.
La scelta del genere narrativo, nel nostro caso, credo sia stata in buona parte incosciente, nel senso che ci siamo trovati a scrivere di vampiri e licantropi quasi per caso. Le scelte casuali, però, nascondono sempre motivazioni meno apparenti ma forse più profonde di quelle delle scelte consce.
La parte sistematica della scelta, certo, ci ha orientati verso un terreno già battuto, verso cioè la letteratura cosiddetta “di genere”, per rendere più facile raggiungere un linguaggio e delle strutture comuni trai vari autori, senza la necessità di reinventarle. Che i personaggi dovessero essere creature della notte, però, è venuto quasi da sé, come se qualcosa inconsciamente ci avesse spinto in quella direzione. Il segno, mi pare, che anche in noi si fosse risvegliata una certa attenzione verso il romanzo gotico. Quando abbiamo cominciato a scrivere, all’inizio del 2006, il fenomeno “Twilight” ancora non era arrivato in Italia ma il mondo del sovrannaturale, con la saga di Harry Potter, aveva già trovato ampio spazio e dunque parlare di non-morti stava tornando attuale. Il fenomeno non sembrava essere solo motivato dal marketing. C’era probabilmente qualcosa di diverso nella nostra società e nel nostro modo di vivere che riportava in auge il romanzo gotico.
Perché l’avevamo adottato anche noi? Sicuramente non ci interessava spaventare: quello che abbiamo realizzato è stato qualcosa di diverso da una classica storia del genere. Vampiri e licantropi sono divenuti, per noi, metafora del nostro mondo globalizzato, del conflitto tra più razze o popoli presenti sullo stesso territorio. Siccome oggi i conflitti si svolgono soprattutto sul piano economico, la storia è diventata anche, in parte, una satira del consumismo. Se un tempo si esorcizzava la paura della morte, nel nostro romanzo, forse, si esorcizza piuttosto la paura del diverso, dello straniero tra di noi.
Ebbene, la mia ipotesi è che in questo sia, in parte, il senso del ritorno al successo di queste figure: rappresentano il conflitto tra civiltà diverse che convivono nello stesso spazio, fenomeno molto attuale. Vampiri e licantropi sono dei “diversi”, degli “stranieri” che popolano però lo stesso spazio fisico degli umani. Sono gli extra-comunitari della porta accanto. Ma sono anche una presenza più antica. Esseri con una profonda dignità, con una propria nobiltà, che gli altri non riconoscono loro ma che sanno di possedere. Perché ogni popolo reca con sé una propria cultura e una storia che si perde indietro nei secoli e questa storia è la sua ricchezza. E non è detto che gli umani siano i migliori, i “buoni”, solo perché sono la razza dominante. Ne “Il Settimo Plenilunio”, infatti, si rivelano non meno spietati dei propri antagonisti. Nel nostro romanzo la globalizzazione si presenta su due livelli: sul primo abbiamo quella metaforica, con vampiri, licantropi e umani; sul secondo abbiamo un vero mondo umano multiculturale, con personaggi che vengono dalla Cina, dal Medio Oriente e dal resto del mondo.
Questo, forse meno marcatamente, è anche evidente in storie come “Twilight”: i vampiri Cullen sono, in fondo, una famiglia di “immigrati”, che non si integra con i vicini, e i licantropi addirittura vivono in una riserva indiana! Una razza antica scacciata dalla propria terra. L’Uomo che vince sul Lupo e sulla Natura. Il Licantropo (come i Na’Vi di “Avatar"), simbolo di una natura violata.
Ci sono altri motivi che rendono interessanti e attuali, in un romanzo, questo tipo di figure?
Un’altra ragione forse è la loro natura violenta. Sono esseri che portano in sé questo germe. Esseri che anche quando si fingono “buoni” o cercano di essere più “umani”, come nelle storie della Meyer, si ritrovano a non dominare i propri sensi e a lasciarsi andare alle passioni.
Forse anche questa è una caratteristica del nostro tempo: viviamo in un mondo in cui la violenza, pur non mancando, non riesce a trovare canali naturali per esprimersi e viene repressa. L’uomo moderno è come un vampiro che vorrebbe azzannarti sul collo ma che si trattiene… almeno fino a quando cala la notte e le inibizioni vengono meno.
Parlare di vampiri e licantropi significa allora parlare di un mondo in cui l’uomo cerca di non essere il lupo di Hobbes, quello del plautino homo homini lupus, ma che in questo costantemente fallisce, ritrovando la propria natura selvaggia al primo plenilunio, alla prima minima sollecitazione.
Parlare di vampiri oggi significa parlare di uomini che si nutrono e arricchiscono a spese di altri, succhiandone le risorse. Significa parlare di un mondo ineguale in cui alcuni sono le vittime da sfruttare e altri sono i potenti che traggono ricchezze anche dalle sventure altrui. È allora letteratura da tempi di crisi economica, di recessione, di disoccupazione, di speculatori che accumulano grazie al mancato rispetto delle regole sociali e civili.
Credo, poi, che la forte carica di emotività che ciascuno cela in sé (allo stesso modo in cui il vampiro o il lupo mannaro celano la propria schizofrenia fisica) possa essere l’elemento che suscita la simpatia dei giovanissimi verso gli emuli di Dracula: l’adolescente sente un altro se stesso che gli cresce dentro, non capisce cosa sia, come sia e dove lo stia portando. Ha inconsciamente paura del sé adulto, lo vede come qualcosa di separato dal proprio io attuale, di mostruoso, e quindi si identifica nel vampiro o, meglio, nel licantropo: ora sono così, mi vedi così, ma dentro sono diverso, domani potrei essere un altro.
Questo è qualcosa che vale sempre, perché l’adolescenza è sempre esistita. Quello che al giorno d’oggi forse manca sono i processi d’iniziazione che un tempo sancivano il passaggio all’età adulta, quello che forse oggi manca è un supporto della società ai giovani, per accompagnarli nella loro muta, oppure, e credo sia qui il punto, mancano dei modelli adulti accettabili.
Il giovane un tempo sapeva cosa sarebbe diventato, perché vedeva i propri genitori, gli altri parenti e i loro amici e questi erano qualcosa di definito. Un figlio di contadini sarebbe stato un contadino e un figlio di professionisti probabilmente un professionista. Ma non solo. Non è solo la mancanza di certezza di un ruolo sociale a mancare ai giovani, è carente soprattutto il modello morale. L’adulto non esprime più principi morali e culturali certi e il giovane deve trovare o costruirsi i propri. E i modelli esterni alla famiglia e al circolo degli amici, i modelli della politica e persino della religione non sono più esempi di perfetta moralità, anzi.
Il giovane rimane dunque prigioniero della propria schizofrenia: mezzo bambino e mezzo adulto. Mezzo uomo e mezzo lupo o mezzo vampiro.
La paura di questo futuro, allora, striscia nella notte, con volto pallido e lunghi canini affilati e sanguinolenti.
Un’altra ragione del rinnovato successo di questo genere, credo sia da ricercare nella magia. In questo vampiri e licantropi sono imparentati con Harry Potter (i licantropi sono trai personaggi della saga, del resto, sebbene secondari), con il mondo di Narnia e con quello del Signore degli Anelli.
In questi anni in cui la scienza tutto spiega e la tecnologia somiglia sempre più alla magia, il desiderio di fantastico, di eccezionalità, si sfoga nella riscoperta di figure che la razionalità non spiega e non accetta. Sembra finito il tempo della fantascienza, capace ormai di raccontare con successo solo apocalissi, piuttosto che futuri di crescita e progresso tecnologico e sociale. La scienza non riserva più sorprese e meraviglie, questo può farlo solo il sovrannaturale.
Questa magia si esprime in superpoteri, nella gran velocità e forza, che rende questi esseri odiabili e invidiabili al contempo. Dei modelli negativi irraggiungibili, di cui il lettore sogna di poter imitare le doti e magari la stessa malvagità, vissuta come forza interiore, come capacità di affrontare un mondo che ci delude e irrita e contro il quale vorremmo poter schierare la nostra indifferente potenza. Il vampiro e il licantropo diventano dei supereroi, anche se meno patinati e buonisti di quelli del passato.
I vampiri poi hanno in sé un ulteriore componente che li rende sempre attuali, dal
fascino omosessuale di Carmilla a quello ambiguo di Dracula, fino al moderno bravo ragazzo alla Edward Cullen, il vampiro ha in sé una fortissima carica erotica, che gli deriva prima di tutto dal mistero, dal proprio essere anomalo e, poi, dalla violenza passionale con cui si rapporta agli umani.
Se poi analizziamo i romanzi che parlano di lupi mannari, ci accorgiamo che, spesso, sono romanzi essenziali, che ci parlano dell’amore nella sua forma più forte e antica: l’amore della Bella per la Bestia. In fondo, il senso di ogni storia d’amore dovrebbe essere questo. Forse è questa una delle ragioni delle storie sui licantropi, antiche e moderne.
La Bella s’innamora della Bestia e l’allontana dal suo essere selvaggio. L’uomo non è forse così: abitante delle selve, delle foreste, e dunque selvaggio? E compito della donna non è forse di addomesticarlo, di renderlo adatto alla vita di casa, alla domus, alla vita urbana e civile?
Il fascino femminile addomestica la bestia selvaggia che è in ogni uomo e che anela a vivere nei boschi e nella natura. Per amore il maschio si lascia incatenare e finisce per accettare come sua questa vita domestica.
Sarà questo un bene per l’Uomo e per l’Umanità? Questo forse potrebbe essere uno dei grandi interrogativi di questo Terzo Millennio: la civiltà domestica in cui viviamo sarà il modello anche per le generazioni venture?
Questo, io credo, può essere uno dei grandi quesiti che sono dietro una storia di licantropia. La risposta, nel passato, è stata quella che la Bella vince sulla Bestia. Il romanzo gotico nasce infatti da un’epoca di industrializzazione e forte urbanizzazione.
Questo genere di storie servivano a incanalare pulsioni che portavano l’uomo a rifiutare il nuovo status, l’addomesticamento. E oggi? Forse nel XXI secolo queste stesse storie portano nella direzione opposta. Spesso è la Bella che accetta di diventare Bestia, come la principessa di Shreck che diventa, ironicamente, un’orchessa verde o la protagonista di Twilight, che mira a diventare vampiro, più che a “redimere” il suo mostruoso amato.
Dunque il romanzo notturno cessa di essere romanzo gotico, perché più non interessano le piccole paure che ci attendono nei vicoli deserti o in chiese abbandonate, i sepolcri violati, le fiere acquattate in campagne ormai abbandonate per città pullulanti e diviene romanzo del multiculturalismo e della globalizzazione, delle passioni e delle violenze represse, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e, magari, sulla natura, dell’incapacità di convivere con gli altri e con sé stessi, con il diverso che è in ciascuno di noi, con l’emotività che celiamo dentro, con le nostre schizofrenie quotidiane, ma anche esprime il desiderio di tornare alla natura, a sentimenti liberi e “selvaggi”.
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Questo articolo è stato pubblicato anche su Vampiri – N. 5 di IF – Insolito & Fantastico
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