
Sono sempre un poco (non molto) in imbarazzo quando devo scrivere che il libro di un autore cult non mi è piaciuto. Ogni volta credo possa essere colpa mia, che non mi sono saputo calare nel suo spirito. Comunque, ci sono libri per alcuni lettori e libri per altri. Non si può amarli tutti allo stesso modo.
Ho letto ora “Giù nel ciberspazio” (Count Zero, 1986) di quel mostro sacro del cyberpunk che è William Gibson (Conway, 17 marzo 1948). Oltre che scrittore, è sceneggiatore di film e serie TV.
“Giù nel ciberspazio” è il secondo volume della saga di “Neuromante” (Neuromancer, 1984), che si conclude con “Monna Lisa Cyberpunk” (Mona Lisa Overdrive, 1988).
Di Gibson avevo già letto “L’Accademia dei sogni” e “Neuromante”. Entrambi hanno degli splendidi incipit ma poi i romanzi si afflosciano subito. “L’Accademia dei sogni” mi aveva deluso per essere così lontano dall’idea che mi ero fatto di cyberpunk, da quello che mi sarei aspettato dal ciberpunk. “Neuromante” lo lessi in inglese ed attribuii alla mia conoscenza della lingua il fatto che non fossi riuscito a “comprenderlo”.
Devo purtroppo dire che “Giù nel ciberspazio” rischia di essere uno di quei libri che tra un anno potrei essermi dimenticato di aver letto. Lo stesso è stato per “L’Accademia dei sogni”, di cui mi sono ricordato solo perché ne avevo scritto la recensione, che ho ritrovato sul mio blog! Spero almeno di ricordarmi di non leggere altro di Gibson!
Ci sono libri che ci lasciano qualcosa, che ci fanno crescere, che ci spingono a leggere altro, a scrivere. In “Giù nel ciberspazio” neanche per una pagina ho avuto questa sensazione. La storia non mi ha preso in alcun modo. Forse per i troppi personaggi, per l’intrecciarsi di più storie, per la loro intrinseca banalità.
L’avevo iniziato per leggere un romanzo di fantascienza. Certo in questo
libro ci sono intelligenze artificiali, robot e il cyberspazio del titolo, ma il romanzo cosa apporta di nuovo a questi temi? Che centralità hanno nelle storie narrate?
Insomma, uno dei libri più noiosi e insignificanti che mi sia capitato di leggere quest’anno.
Certo “Johnny Mnemonic” è un bel film e ha la sua rilevanza, ma proprio non capisco il culto per un autore come William Gibson.
Interessante, in proposito è l’intervista che chiude la mia edizione. Gibson dichiara di non amare la televisione, di non saper praticamente usare un computer, di aver sempre scritto a macchina e di faticare a passare a sistemi di scrittura elettronica. Se è vero che ogni scrittore dovrebbe scrivere di quel che conosce (se non per esperienza diretta, almeno per lettura e studio), allora devo dire che uno come Gibson non si dovrebbe permettere di scrivere del ciberspazio.
Che cos’è il ciberspazio (“y” facoltativa)? Secondo la Treccani on-line, sarebbe “Lo spazio virtuale nel quale utenti (e programmi) connessi fra loro attraverso una rete telematica (v., per es., internet) possono muoversi e interagire per gli scopi più diversi, come, per es., la consultazione di archivî e banche dati o lo scambio di posta elettronica: viaggiare nel ciberspazio. Per estens., nelle più recenti formulazioni teoriche, lo spazio virtuale costituito attraverso qualunque forma di scambio informativo a distanza, anche una telefonata.”
Allora, caro Gibson, credo che questo non sia il tuo spazio.