“Niente dà felicità più della creazione. Solo nella creazione l’uomo manifesta la propria natura di poeta. L’arte è creazione e non c’è uomo più produttivo dell’artista.
È tutto vero. Però l’artista è schiavo dei mercanti e quindi non è davvero libero” scrive Davide del Popolo Riolo (pag. 75) nel romanzo “Il Pugno dell’Uomo” (Mondadori, 2020) con cui ha vinto il Premio Urania 2019.
Io sono, peraltro, solito dire che se l’arte è creazione, la forma più artistica di letteratura è quella che crea mondi. Ebbene, Davide del Popolo Riolo, con questo romanzo si pone di diritto nella categoria per me più elevata di autori, quella dei “creatori di mondi”, accanto a Stephen King, Rowling, Asimov, Lewis, Tolkien, Lovecraft, Scott Card, Le Guin, R.R. Martin, Galouye, Scalzi, Mièville, Herbert e tanti altri.
“Il Pugno dell’Uomo”, infatti, immagina un pianeta lontano, nel tempo e nello spazio, in cui convivono varie razze umanoidi, tra cui umani di chiara origine terrestre, pallidi (o succhiasangue) che molto somigliano ai vampiri, pur senza rientrare negli stereotipi del genere (niente allergie all’argento, niente paletti di frassino) a parte l’abitudine di bere sangue umano, i canini retrattili e l’insofferenza alla luce solare. Accanto a loro le altre razze hanno ruoli solo di comparse, ma sono pur presenti e gli uomini-pesce mi fanno molto pensare alle creature della Leg Horn di Lukha B. Kremo.
Il conflitto di questi vampiri-alieni con gli umani si muove soprattutto su un piano socio-economico, un po’ com’è nel romanzo che scrissi con Simonetta Bumbi “Il Settimo Plenilunio” (Edizioni Liberodiscrivere, 2010) o in “Vlad 3.0” di Pierfrancesco Prosperi (Porto Seguro Editore, 2019).
Il romanzo mescola la tecnologia delle macchine a vapore dello steampunk con le atmosfere di quei romanzi che immaginano civiltà rifiorite dalle ceneri di mondi antichi (qui gli Antichi, venuti dalle stelle), come in “Universo senza luce” di Galouye e, soprattutto, in “Naufragio sul pianeta Tschai” e negli altri romanzi di questa saga di Jack Vance.
Ne “Il Pugno dell’Uomo” è però forte la suggestione di un romanzo mainstream come “L’amico ritrovato” (1971) di Fred Uhlman, con la difficile amicizia tra due ragazzini, un umano e un pallido per Del Popolo Riolo, un ebreo e un nobile tedesco per Uhlman.
In effetti, il messaggio forte de “Il Pugno dell’Uomo” è quello della tolleranza, dell’anti-razzismo e della possibilità di convivenza tra specie aliene diverse. Se è possibile tra alieni, perché non dovrebbe esserlo tra umani?
Il Pugno dell’Uomo che dà il nome al romanzo è, infatti, un’associazione ultra-razzista che vuole liberare la Città dagli inumani e soprattutto dai succhiasangue. Scusa per attaccarli è una pandemia letale che si scatena tra gli umani, di cui i reazionari del Pugno dell’Uomo attribuiscono le colpe ai pallidi, fantascientifici untori, in realtà, ovviamente, innocenti.
Già, in questo romanzo premiato nel 2019 e quindi antecedente al Covid-19, si parla dei devastanti effetti sanitari ed economici di un’epidemia! E c’è ancora chi finge che il covid-19 sia stato qualcosa di imprevisto quando scienziati e scrittori scrivono di epidemie, passate e future, da sempre, basti pensare, tra i tanti, a “Il giorno dei trifidi” di Wyndham o “L’ombra dello scorpione” di King.
Insomma, una lettura interessante e intelligente, capace di divertire ma anche di far riflettere sul nostro mondo, riuscendo nel contempo a crearne uno nuovo, ricco e complesso. Esattamente quello che un romanzo dovrebbe sempre essere.
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