L’ANNO PALINDROMO DI PINOCCHIO
Comincia come la più cupa delle distopie il romanzo di Silvio Donà “Pinocchio 2112”. L’ho letto quasi in contemporanea con “La strada”, il capolavoro di McCarthy e all’inizio mi pareva quasi di leggere la stessa storia. Anche qui siamo in un futuro in cui la Terra non sembra aver fatto una gran bella fine. È il 21.12.2112, data palindroma come poche. La superficie del nostro pianeta è divenuta inabitabile e gli uomini, come novelli Morlock alla Wells, vivono, anzi sopravvivono nelle viscere oscure della Terra. La vita è una continua battaglia. Il protagonista è un uomo stanco e disilluso, senza più speranze che per campare fa il “cercatore di libri”. Questi sono divenuti ormai rari, come dopo un devastante “Fahrenheit 451” e anche se a saper leggere sono rimasti in pochi, c’è sempre qualcuno disposto a pagare per averli. Il Cercatore prima di liberarsene li legge. Dichiara:
“Quando ho quei libri tra le mani io sono fuori.
Sono libero.
Sono vivo.” (pag. 33).
Ancora un atto d’amore d’un autore verso i libri e mi viene da pensare a Zafòn, a Kristof, a Lowry, solo per citare quelli che mi è capitato di leggere più di recente.
Il titolo mi pare un po’ fuorviante. Ci si aspetta una versione futuristica di Pinocchio (e questo non ispira) alla “L’uomo bicentenario” o “A.I. Intelligenza Artificiale”.
Cosa c’entra il burattino in questa storia? Poco a dir il vero, se non che ogni cosa si rivelerà essere una grande bugia e che trai libri trovati dal nostro Cercatore c’è anche la favola di Collodi e sarà grazie a questa che farà amicizia con il boss degli abissi.
Prima però incontrerà un bambino, solo e bisognoso d’aiuto e d’affetto. Sarà lui a ridargli la voglia di vivere, prima di innamorarsi proprio della donna del ferocissimo boss. Ma non vorrei dir altro.
Segnalo solo che quando arriva l’amore, che sia quello verso un bambino o verso una donna, tutto cambia e la vita si colora, la speranza rinasce. Come l’uomo e il bambino di McCarthy vivono l’uno per l’altro e l’uno grazie all’altro, così il Cercatore di Donà e il bambino soprannominato Lucignolo (in omaggio al personaggio collodiano) trovano la gioia di vivere l’uno nell’altro e un cuore arido riuscirà a far fiorire in sé la più piena generosità.
Se questa distopia non raggiunge i livelli inarrivabili della prosa asciutta di McCarthy (che descrive e nulla racconta), con cui ingiustamente mi viene da paragonarla, rimane comunque un ottimo romanzo, ben scritto, scorrevole e coinvolgente, in cui non mancano passaggi da segnarsi a margine come l’iniziale:
“Non so se quello in cui lei era ancora viva fosse un tempo migliore o se fossi io a esserlo o se sono i ricordi a essere meglio di qualsiasi presente; quello che so è che ho estinto la voglia di sognare.” (pag. 11).
Insomma un altro autore poco noto ma degno di ben maggior fama.

Firenze, 19/05/2011
IL LABIRINTO DEL CUORE
Di Annalisa Fracasso avevo già letto e commentato “Bucce d’acino” e “Cuor di Briossshhh”.
Ho letto ora anche “Il labirinto d’acqua”, edito nel 2009 da Cinquemarzo. In prefazione si dice che è la rielaborazione di uno dei racconti di “Tre di me”, opera prima della Fracasso, che non ho letto e con cui non posso far paragoni per capire quanto il testo sia stato rimaneggiato.
Devo dire che di quelli suoi che ho letto questo mi è parso il romanzo più maturo e articolato.
Anche qui non manca un certo pessimismo di fondo che porta verso finali non lieti alcune delle storie che qui si susseguono, ma la conclusione drammatica è forse il suggello ideale di un amore appassionato e straordinario.
Interessante è l’idea (ma cosa mi ricorda?) della vita di una coppia di sfortunati amanti che si ripete a distanza di secoli in quella di altre due coppie.
Complice dunque la magia di una collana e il gorgo misterioso e labirintico di una fontana, l’incanto dell’amore travolge letteralmente le coppie moderne, che ripetendo inconsciamente i gesti dei loro precursori, scivolano inesorabilmente verso il dramma.
La bella villa che fa da sfondo alle vicende arricchisce la scena, dando spessore all’ambientazione.
Sebbene alcuni quesiti rimangano aperti, credo volutamente (il sub è il marito di Alison? E come è finito nella fontana? È un caso o no che Dessié stia per urtare Kamila con la moto? Perché Luca scopre che Dessié è morto – o morirà -, se non è vero?), la storia, pur surreale, trova una sua logica e i personaggi prendono forma e rilievo, imprimendosi nella mente del lettore come solo delle storie un po’ speciali riescono a fare.
Firenze, 7/6/2011
BASTASI COLPISCE ANCORA
Di Alessandro Bastasi avevo già apprezzato molto il romanzo “La fossa comune” (ne ho scritto qui). Con “La gabbia criminale” questo autore migliora ulteriormente. Sarà forse che, sganciandoci un po’ di più dalla politica internazionale che nel precedente romanzo aveva un ruolo centrale, e calandosi in una realtà più ristretta, riesce a trovare maggiormente la misura umana del ricordo, della costruzione dei personaggi, della ricerca interiore, realizzando un prodotto più facilmente apprezzabile.
Qualcuno consigliava agli autori di scrivere di ciò che conoscono e hanno vissuto. Non sono totalmente d’accordo con quest’affermazione. A volte, soprattutto nella letteratura fantastica, è possibile svincolarsi da questa regola, a patto però di aver studiato bene il mondo, reale o immaginario, che si va a descrivere. L’expertise si compone di conoscenza e esperienza. Per scrivere non sempre occorrono entrambe. Basti pensare alle ricostruzioni salgariane di mondi esotici da lui mai visitati o alla Terra di Mezzo di Tolkien.
Credo però che scrivere di Treviso a un autore come Bastasi che in questa città c’è nato e vissuto, possa averlo aiutato a ritrovare una vena più sentita e sincera, facendo emergere ancor più l’ottima stoffa che già avevamo apprezzato ne “La fossa comune”, ambientato in Russia ai tempi di Eltsin.
Quello che si snoda è un giallo il cui disvelamento è soprattutto riscoperta di memorie perdute, di vite passate di questa provincia italiana così per bene ma anche così carica di veleni e falsità.
E come da noi spesso accade è la famiglia, con i suoi vincoli e obblighi, a costruire intorno a ciascuno gabbie sempre più strette, al punto da divenire “criminali”.
“È il familismo amorale che vi divora, che fa scomparire solidarietà, legami sociali, senso comune, questa gabbia criminale dalla quale sono scappato appena ho potuto. Questo intreccio di falsità contrabbandate per decoro, buon nome, reputazione, questo cazzo di legame del sangue in nome del quale si possono compiere le azioni più vigliacche” dice saggiamente il protagonista verso la fine del romanzo (pag. 229), e a noi verrebbe da aggiungere che è da questo familismo che sono nate mafia, camorra e ndrangheta, è di questo familismo che si è nutrita la Chiesa e con essa certa politica per decenni, è da questo familismo che nasce la diffusione epidemica della raccomandazione, del favore e del favoritismo, è da tutto ciò che nasce la debolezza del nostro Paese, incapace di concepire un sistema sociale in cui il merito, la capacità, l’impegno, l’onestà prevalgano sui legami di sangue, di amicizia, di cordata, di schieramento, di partito.
Se dunque qui Bastasi rinuncia a parlare della politica fatta dai politici, ci parla però, tra le righe, della politica vera, della vita della città, in particolare di quella della sua Treviso (ma certi comportamenti sono comuni da nord a sud).
Se apprezziamo però questa lettura è soprattutto per il calore sincero dei suoi personaggi, che sembrano davvero prender vita e muoversi davanti ai nostri occhi.
Altro pregio di questo volume è un editore, Eclissi, che sembra in grado di confezionare un prodotto di qualità quanto meno migliore di quello delle 0111 Edizioni della precedente pubblicazione.
Auguro dunque ad Alessandro Bastasi tutto il successo che si merita e consiglio sicuramente la lettura.
Firenze, 12/07/2011
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