Federico Pipitone, autore della scuderia di Porto Seguro, cui da un po’ faccio parte anche io, ha pubblicato una silloge di poesie dal singolare titolo “21.04.2015”, sottotitolo “Sonetti per un anno”.
Va detto, però, che il volume non comprende solo sonetti e che questi non sono sempre in forma canonica e anche quando lo sono Pipitone pare quasi aver, a modo suo, rinnovato questa forma poetica.
Tutti sappiamo che cos’è un sonetto, ma tutti ricordiamo come si scrive?
Sono tanti anni che non scrivo poesie, ma qualche sonetto l’ho scritto e pubblicato anche io. Rinverdiamone dunque un attimo il ricordo.
Dovrebbe essere composto da quattordici versi endecasillabi raggruppati in due quartine a rima alternata o incrociata e in due terzine a rima varia.
Quello originario era composto da rime alternate ABAB ABAB sia nelle quartine che terzine CDC DCD, oppure con tre rime ripetute CDE CDE, o ancora con struttura ABAB ABAB CDC ECE.
Quello in vigore nel Dolce stil novo introduceva nelle quartine la rima incrociata: ABBA/ABBA.
Torniamo ora, però, al nostro Federico Pipitone di Salemi (“Da più di trent’anni, sono nato a Salemi” scrive in quarta di copertina). Si diceva del titolo del volume, che altro non è che la data della prima poesia. Del resto qui, Pipitone non dà un titolo alle sue composizioni e ci si può dunque riferire a loro usando proprio le date. Va aggiunto, però, che queste non sono sempre standard. Ne troviamo delle più disparate, come “Cippi gemini, ventiquattr’anni dopo, 23-V-2016”, “ai LassatilAbballari, 24-V-2015”, “festa della Repubblica, 2-VI-2015”, “Delia, 30-VI-2017”, “Trasfigurazione, 6-VIII-2015” o “in memoriam Alteri Spinelli, 31-VIII-2015” e così via.
Credo che già questo modo di contrassegnare i propri versi ci dia un indizio su chi sia Pipitone: non uno comune.
Ma entriamo nella sostanza. Anche i versi sono tutt’altro che banali. Ogni volta che prendo in mano un libro di poesie, la mia più grande paura è proprio questa, di trovarmi davanti una serie di melensaggini o di riflessioni sulla vita dell’autore, in forma più o meno poetica. Per fortuna, non è stata questa l’impressione leggendo “21.04.2015”.

Federico Pipitone, da Salemi
Pipitone è un docente e questo traspare nella sua cultura, che emerge ovunque, ma con originalità.
Basti pensare al primo sonetto che esordisce con uno strizzar l’occhio a Dante stravolgendo il “Guido, i’ vorrei” in un modernizzato “Guido non da oggi su strade per colli”, dove, come nota anche il prefattore Ignazio Castiglia, il nome proprio si muta in verbo.
E già in questo primo verso si coglie il gusto modernizzatore di Pipitone nell’affrontare uno strumento che pare così antico e desueto come il sonetto. Un simile gioco lo ritroviamo, per esempio, anche nel verso “Biondo ero e bello al tuo gentile aspetto”.
Ed ecco che Pipitone cala il sonetto dallo Stil Novo nella nostra realtà politica e sociale, condendolo con un forte afflato religioso, che non suona mai come bigotta religiosità, ma come autentico e sentito anelito verso il sacro e il divino. Anche questo approccio che potrebbe sembrar antico, ma qui rivitalizzato.
Ed ecco accenni di vita sociale come “non pagana è la piazza a festa”, “nella speranza che alla lotta seguano i diritti”, “Chissà se s’involò una colomba / al colpo della boma!”, “donna che piangi un figlio o accendi un cero / mentre ne cade un altro nella guerra” o l’intenso “Bassa la terra regge i nostri passi / e ospita poi le ossa coi suoi sassi” o“il povero felice della sorte” e “il vizio mio è l’ira (contro l’ingiusto)”.
Ecco messaggi politici come “il cuore mesto / della Russia batte ancora, mia gloria”, “Di Sinistra io non sono, né a Destra / mi rimango, anzi dal Centro passo” e “aspettavano un governo / che giungesse dal Nord liberatore”.
Ecco il costante riferimento alla religiosità in “Gesù passò per i paesi”, “Altare apparecchiato per il rito”, “la Messa è lesta / eppure dura oltre la morte”, “marce non son mai le processioni”, “al meglio / rivolge Dio le cose al peggio pronte”, “la morte (…) quell’ora non si può prevedere” e quindi “Son la vita, la verità, la via / che s’invertono la serie”. Ecco ancora “l’infinito Dio / se le ricorda tutte” e addirittura “io mi prostro /al miracolo oggi più che ieri,” come a voler ribadire la modernità e attualità del divino persino in questo nostro tempo così materiale. Ed ecco, quindi ancora “dove sgorga il fonte / salubre del Verbo, su in Paradiso”, “cercando di scoprire certo indizio / di Dio”.
Ma ecco poi che il sacro si mescola al profano in “Mala femmina conversa e lombrico”.
Ecco i riferimenti geografici e culturali in “E nacqui all’ospedale di Salemi / dall’acque ch’ebbe rotte un generale/ dei più baldi”, “poi in quella onde Cecco rimò al vascelo / di Firenze”, ritrovo la mia città anche in “Ora a piazza Dalmazia non m’attendi”.
Ed ecco l’Europa e la sua Unione in “L’euro è scontato”, “vuol far l’italiano / ma parla English”, o l’omaggio al grande europeista Altiero Spinelli che “ogni vero Europeo sa come aberra / chi non unisce ma uniforma”, “Nazioni e fedi / intanto fanno il mondo più complesso”.
Ed ecco i riferimenti alla sua attività di docente in “Ragazzi affezionati della F”, “è una scuola che le ore prolunga / ad una classe che di bunga-bunga / e bilanci tra gli stati è esperta”.
Ecco la vita familiare in “E perdermi in com’eri da bambina”, “I bei capelli farsi fili argento” o nel delicato “finché sarai la nonna / che un figlio vuole per il figlio! Grazie / a te e papà non siamo stati cloni / o braccia da sfruttare o bocche sazie / bensì creature vere, veri doni”.
Gioca Pipitone con i versi, ci si diverte e lo dimostrano anche certe allitterazioni in cui quasi ci si perde come “moda modello modulo mondani” e dell’arte dice “Diventiamo tutti artisti al mattino / quando viene l’ora di vestirci, e poi / quando vien di denudarci” e si definisce “uomo poeta dell’attesa”.
C’è talora persino una certa sensibilità ambientale come in “Perdona, erba, se tappeto al passaggio / mio ti fai” sebbene condito di una visione spirituale o in “Tu farfalla (…) ti periti tuttavia qui e adesso / di esistere posandoti qua e là” sulla fragilità del mondo.
In “22-XII-2015, sebbene in forma di sonetto, l’attenzione alle stagioni e il gusto delle piccole cose ci fanno quasi pensare a un haiku “dilatato”.
Sorretto dalla sua fede, Pipitone, pur osservando e criticando gli aspetti negativi del mondo ha sempre la forza di vederne il lato positivo: “Né per quanto pare o è fosco / questo tempo è il solo che riconosco”.
Massimo Acciai Baggiani, nello scrivere la mia biografia l’ha intitolata “Il sognatore divergente”. Di Pipitone ho letto solo questi versi, ma ruberei l’idea per il titolo di questo commento a “Epifania, 2015” che comincia con “Non manca mai il poeta nel presepe”. Ecco, sì, forse parrà strano, ma Pipitone mi è parso proprio questo “Il poeta nel presepe” e non c’è in questo alcun intento derisorio, anzi. Il presepe rappresenta il mondo di tutti i giorni, con i suoi pastori (i lavoratori) che vanno incontro a un bambino, a una famiglia, che cela in sé il miracolo del divino. Bene, Pipitone mi è parso come uno di questi personaggi, che si reca in devoto pellegrinaggio offrendo non agnelli, formaggi o frutti, ma la propria poesia, poesia che nasce come questi prodotti da un mondo reale e vivo, fatto di momenti sociali, politici e familiari.
Lasciatemi allora chiamarlo così, amichevolmente: il poeta nel presepe.

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