Di solito in questo blog parlo solo di libri e di letteratura ma il cinema è strettamente imparentato con questi, a volte mi capita di divagare verso i prodotti dello schermo. Voglio farlo ancora per fare alcune riflessioni su un film che si preannuncia come un prossimo successo planetario: Avatar di James Cameron, il regista di Terminator (1984),
Aliens (1986),
The Abyss (1989),
True Lies (1994) e
Titanic (1997)
.
Il
3 gennaio 2010, quindi in soli 17 giorni, Avatar ha, infatti, raggiunto e superato il miliardo di dollari d'incassi, battendo in velocità ognuno degli altri 4 film che finora hanno raggiunto il miliardo (il primo è stato il precedente film di Cameron,
Titanic).
Quando un film ha un simile successo, non si può ignorare. L’ho visto lo scorso week end e indubbiamente è un bel film che si guarda volentieri, con degli effetti speciali davvero straordinari e un messaggio ecologista da non trascurare di questi tempi. In alcune sale è proiettato in 3D (non dove l’ho visto io, però), cosa che lo rende ancor più un balocco da parco di divertimenti.
Quello di cui vorrei parlare però è la trama, perché ritengo che il successo del film dipenda sicuramente in gran parte dagli effetti speciali ma che la storia raccontata debba avere la sua importanza nel determinare l’attenzione del pubblico.
Ebbene quello che ci troviamo davanti è un incredibile miscuglio di film già visti! La miscela è di grande effetto ma non c’è scena in cui non venga da pensare “ma questo è come in questo o quell’altro film!”
I ragazzini riconoscono subito la trama di film disneyani come
Pocahontas o, magari
Atlantis e
La Sirenetta: l’amore tra il bianco e l’indiana, tra la donna sottomarina e il ragazzo umano, tra la sirenetta e l’umano, per non parlare dei potenti cristalli di
Atlantis che fanno

pensare ai poteri delle foreste di Pandora. La casa sull’albero ricorda invece il cartone
Aida degli alberi.
E poi ci sono gli alieni: questi Na’Vi giganteschi e con gli occhi da gatto e la pelle blu striata, che combattono con archi e frecce come gli indiani della migliore tradizione
western, con tanto di versi che a volte ricordano quelli dei loro predecessori americani.

Solo che anziché combattere tra montagne e deserti lo fanno in una giungla che ricorda quella dei
film sul Vietnam, non ultimo
Apocalipse Now, di cui vediamo replicata persino la carica degli

elicotteri! E in questa giungla si muovono fiere mostruose e pericolosissime che sembrano fuggite da un Jurassica Park alieno.
E gli Avatar: sembrano presi in prestito da Matrix, dei cui protagonisti i Na’Vi hanno analoga agilità. La protagonista si muove felina e scattante come Catwoman o altri supereroi ben noti.
Le leggendarie montagne fluttuanti di Pandora forse ricordano
Il castello errante di Owl o forse semplicemente le pietre magnetiche galleggianti in aria di
Viaggio al centro della terra (il recente remake 3D, non certo l’originale). La memoria
di Guerre Stellari poi aleggia

ovunque, persino nella cabina di regia degli umani, che ricorda quasi quella della Morte Nera.
E che dire della battaglia finale, con l’intervento di Madre Natura e degli animali: non siamo forse dalle parti de Il Signore degli Anelli o delle Cronache di Narnia?
E quel primo piano sull'occhio non viene forse da Lost, come l'attrice che pilota uno degli elicotteri?
Ed eccoci al quesito che mi sono posto: è giusto fare un film o scrivere un libro mescolando gli elementi di altri libri o altri film? Il prodotto è qualcosa che si può ritenere abbia una sua autonoma dignità artistica o

siamo ai limiti del plagio?
Quando un film (o un libro) è una copia di un altro, parliamo di remake (e a volte sono migliori dell’originale) e nessuno ormai si scandalizza, però dimenticarsi dell’originale ci fa valutare male il risultato finale. Ci sono registi come Burton che hanno fatto dei remake la propria arte (basti pensare a “La fabbrica di cioccolato” a “Il pianeta delle scimmie”) e realizzato prodotti che aggiungevano genialità alla genialità precedente. Altre volte il risultato è stato deludente, come quando gli americani cercano di copiare film europei (penso, ad esempio, a “Solaris” o “Tre uomini e una culla”).

Quando però gli elementi copiati vengono da diverse fonti, allora credo che si possa parlare di una vera arte del regista (o dello scrittore) nel mettere assieme le parti in un modo nuovo per ricreare un prodotto che, con mattoni usati, ci regala una costruzione innovativa. Se poi gli strumenti (in questo caso tantissimi effetti speciali) sono particolari e diversi, il prodotto diventa davvero qualcosa di nuovo, anche quando nella torta riusciamo a riconoscere dei sapori già noti.
Del resto anch’io mi sono divertito a scrivere “
Cybernetic Love” (una delle tre storie di “Parole nel web” – Edizioni Liberodiscrivere) raccontando un tragico triangolo d’amore nato da una chat realizzando una sorta di collage d i citazioni di classici della letteratura (soprattutto a

ntica), riscritti con linguaggio informatico. Penso che nessuno possa pensare che “
Cybernetic love” sia un plagio di Omero o Virgilio, tanto diverso è il prodotto finale e tanto esplicite sono le citazioni!
Lo stesso credo valga per Avatar: la sua originalità sta nell’aver mescolato tanti film di successo per ragazzi. Che sia poi uno dei primi film degni di questo nome realizzato in 3D potrebbe renderlo degno di un posto nella storia del cinema.
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