Il polacco Stanislaw Lem (Leopoli, 12 settembre 1921 – Cracovia, 27 marzo 2006) è il geniale autore di uno degli alieni più originali mai ideati, il pianeta pensante di “Solaris”.
Con il romanzo “L’invincibile” (1964), Lem immagina un altro tipo di intelligenza: un pianeta in cui alcuni robot e altrio automi, abbandonati a loro stessi dai loro creatori, hanno dato vita a un’evoluzione tecnologica, simile a quelle biologiche, portando a colonizzare il pianeta, privo di forme di vita organiche, con nuove macchine, non costruite da organismi intelligenti come gli uomini, ma evolute per conto loro per sopravvivere in un mondo ostile.
La sola idea qualifica questo romanzo come un’opera imperdibile per i lettori di fantascienza, anche se non ha la qualità e il
fascino di “Solaris”. Interessanti nel romanzo anche alcuni sviluppi evolutivi immaginati, in particolare l’idea dei nano-robot, capaci di interagire tra loro come cellule di un organismo più grande, unendosi a seconda delle esigenze. Una sorta di intelligenza modulare.
Condivido conLem l’idea che l’umanità sia solo una delle molteplici forme di intelligenza e di vita possibile e che molte altre, assai diverse possano esistere quali forme di intelligenze collettive, come quelle di formiche o api.
“Giove chiama Terra” (1981) dell’americano Ben Bova (Filadelfia, 8 novembre 1932 – Naples, 29 novembre 2020) è un romanzo di attesa. Non certo come “Il deserto dei tartari” o “Stalker”, ma nel senso che tutto gira attorno a un possibile incontro con una nave aliena giunta nei pressi del pianeta maggiore del nostro sistema, ma al vero e proprio rendez-vous sono dedicate solo le ultime pagine.
Piuttosto che occuparsi dei rapporti con i possibili extra-terrestri, l’autore tratta le relazioni interpersonali e politiche tra gli scienziati e le nazioni coinvolte, con le relative diffidenze da guerra fredda (il muro di Berlino doveva ancora cadere). Maggiori paiono le diffidenze tra i due blocchi che verso gli alieni, attesi con un discreto ottimismo utopistico. Oltre a Russi e Americani, Bova scomoda pure il Vaticano. La struttura di Giove non è centrale, ma quando vi accenna, per esempio citando un brano di Sagan del 1973, si comprende che le conoscenze del gigante gassoso all’epoca erano ancora piuttosto “fantascientifiche”.
Questo potrebbe far pensare che si tratti di un romanzo noioso, ma in realtà, grazie alla scrittura diretta e immediata di Ben Bova, assai essenziale ed efficace, senza inutili dissertazioni, il romanzo ha sempre mantenuto alta la mia attenzione. Numerose e interessanti le citazioni riportate.
Tra queste vorrei qui ricordare questa, che mi pare meglio esprima il senso della ricerca di vita aliena:
“O siamo soli nell’universo, o non lo siamo. Entrambe le prospettive sono sconvolgenti. (Lee Dubridge)”
Il romanzo è il primo della quadrilogia “Voyager”. Questo forse spiega La lunga parte preparatoria.
Ci sono libri con cui non riesco a entrare in sintonia. Uno di questi è “Pensa a Fleba” di Ian M. Banks (Dunfermline, 16 febbraio 1954 – Kirkcaldy, 9 giugno 2013). Amo la fantascienza e la considero un genere sottovalutato, ma non amo la space opera, che credo offra un’immagine del genere di cui è parte che molto contribuisce ad allontanare lettori “comuni” dalla Sci-fi. “Pensa a Fleba” ha molti elementi della space opera: grandi e piccole astronavi che si scontrano nello spazio, muovendosi tra miriadi di mondi abitati da alieni, in continue battaglie e lotte, qui minuziosamente descritte.
Apprezzo molto i creatori di mondi e, a onore di Ian M. Banks, va detto che la sua invenzione di questa civiltà interstellare detta Cultura si può far rientrare tra i grandi universi immaginari per la ricchezza di particolari con cui è descritta.
Eppure, mi sono annoiato molto a leggere questo libro, sperando sempre che prima o poi riuscisse a coinvolgermi. Di pagine ne ha davvero tante (583), ma mentre il suo seguito “L’impero di Azad” (che ho già letto) dopo un inizio assai faticoso, mi aveva conquistato, questa volta non c’è stato verso di farmelo piacere.
Troppo minuziose (e lente) mi sono parse le descrizioni di lotte e battaglie. Troppo pedanti le parti saggistiche in cui si spiega la Cultura.
Ecco uno dei migliori brani in cui viene descritta:
“E noi? Nulla più di un altro rutto nelle tenebre. Suono, ma non parole. Rumore senza significato.
Noi non siamo niente per loro. Soltanto virulenze biologiche, e del tipo più aggressivo. La Cultura deve sembrare agli idirani il più brulicante amalgama di tutto ciò che trovano ripugnante.
Noi siamo una razza di mostriciattoli, e il nostro passato è una storia di intrighi, di tranelli oscuri, di ambizioni esplose per creare imperi fatti di crudeltà, e di guerre inutili quanto sanguinose. I nostri antenati erano i reietti della galassia, in continua lotta per crescere ed espandersi e uccidere, e le loro effimere società nascevano solo per crollare, putrefarsi e risorgere dal marciume, senza speranza… doveva esserci qualcosa di sbagliato in noi; non abbiamo mai voluto nulla di stabile, preferendo la frenesia e l’insoddisfazione nevrotica, e mettendo sempre il nostro bene davanti a quello di chiunque altro. Siamo così patetici, deboli cose di carne dalla vita corta, agitati e confusi. E stupidi, proprio stupidi, agli occhi di un idirano.
Ripugnanza fisica, dunque, ma con qualcosa di peggio in più. Noi alteriamo noi stessi, mettiamo le mani nei codici genetici stabiliti dalla Vita, pronunciamo il nostro Verbo, esigiamo che Dio sia fatto a nostra immagine e somiglianza, e vogliamo tenere fra le nostre dita la bacchetta magica. Interferiamo con la nostra eredità genetica, e interferiamo nello sviluppo delle altre razze (ah, qui condividiamo un interesse!)… e peggio ancora, costruiamo l’anatema ultimo e ci gettiamo nelle sue braccia: le Menti, le macchine senzienti. Dissacriamo così la stessa immagine della vita e creiamo la sua antitesi, l’idolo vivente.
No, non sorprende che ci disprezzino, dai poveri malati mutanti che siamo, egoisti e osceni, servi e adoratori delle macchine. Neanche sicuri della nostra identità: chi o cosa è la Cultura? Dove comincia e dove finisce, esattamente? Cosa cerca, dove va? Gli idirani sanno con certezza chi vogliono essere: una razza pura e incontaminata, o niente. E noi? Il Contatto è il Contatto, il nucleo, ma al di là di questo? Le varietà genetiche imperano, e malgrado l’idea sia una non tutti possono accoppiarsi con chiunque altro. Le Menti? Non hanno uno standard comportamentale, sono individualiste e imprevedibili, anch’esse indipendenti. Nessuno è veramente legato a un posto, troppi si proclamano del tutto liberi dagli altri. Non ci sono mai stati confini e patria per la Cultura, ma soltanto provvisorie zone di contatto, parti in movimento, contorni evanescenti. Dunque, chi siamo noi?”
Ecco, invece, un esempio di scontro, preso a caso tra i vari presenti:
“Xoxarle restò immobile come morto per otto, forse dieci secondi.
Poi fu come se un’enorme molla d’acciaio lo avesse fatto balzare via dal muro. Fece due passi avanti e uno di lato, e con un braccio proteso in avanti colpì Horza al petto scaraventandolo con violenza addosso a Yalson. Subito dopo, malgrado le gambe parzialmente legate, tolse di mezzo Aviger con uno spintone che lo fece rotolare fino alla parete opposta, sferrò a Unaha-Closp un manrovescio da cui il robot fu fatto roteare nell’aria, e corse verso Wubslin.
Xoxarle saltò i sacchi con un tuffo in avanti sollevando una mano chiusa a pugno, e prima che l’ingegnere potesse reagire la abbassò con tutta la sua forza sul sensore di massa, fracassandolo d’un colpo. L’altra sua mano saettò in direzione del fucile a raggi, mentre Wubslin si scostava d’istinto rotolando contro le gambe di Balveda.
Le dita di Xoxarle si chiusero sull’arma come le ganasce di una trappola a scatto sulla zampa di un animale. Roteò su se stesso, stritolando sotto la schiena ciò che restava dell’apparecchiatura, e la canna del lanciaraggi si girò verso il punto dove Horza e Yalson stavano ancora cercando di ritrovare l’equilibrio. Aviger gemeva, disteso al suolo; Unaha-Closp compì una curva a U e accelerò nell’aria in direzione di Xoxarle, che appena fu immobile alzò l’arma mirando al petto di Horza.
Il corpo cilindrico di Unaha-Closp colpì la mandibola dell’idirano come un proiettile lanciato da una catapulta, schiacciandogli il mento contro il petto e sollevandolo di peso dai rottami del sensore di massa. Xoxarle volò all’indietro per un paio di metri, impattò nella parete di roccia con un tonfo sordo e si afflosciò privo di sensi a pochi passi da Wubslin.
Horza s’immobilizzò a metà del balzo con cui stava cercando di evitare il raggio. Yalson puntò il fucile, col dito irrigidito sul grilletto, e se non sparò fu soltanto perché Wubslin si alzò in piedi proprio sulla sua linea di tiro. Balveda era indietreggiata di corsa, e adesso, con una mano sulla bocca, fissava il robot che s’era fermato pochi palmi al di sopra della testa di Xoxarle. Aviger si sfregò la nuca mugolando di dolore e gettò alla parete uno sguardo risentito.”
Non so se siete riusciti a leggere tutto. Ed è solo un estratto della scena. Una descrizione così dettagliata è certo molto utile per lo sceneggiatore di un film, ma per un lettore? La mia tentazione è di arrivare alla fine il più in fretta possibile.
Il titolo deriva dalla citazione iniziale “Gentile o ebreo, tu, che impugnando il timone volgi il guardo al vento, Considera Phlebas, che un tempo era alto e forte come te.” di T.S. Eliot (La terra desolata, IV).
Sono passati ormai 5 anni da quando lessi “La porta dell’infinito” (1977) di Frederik Pohl (New York, 26 novembre 1919 – Palatine, 2 settembre 2013), il primo romanzo della serie sulla misteriosa razza aliena degli evolutissimi Heechee.
Il secondo volume della serie sarebbe “Oltre l’orizzonte azzurro” (1980), ma ho ora letto, saltandolo, il terzo “Appuntamento con gli Heechee” (Heechee rendezvous, 1984), dal quale apprendo che questa potente razza non è affatto estinta ma si nasconde da nemici ancor più evoluti e pericolosi.
Centrale è il personaggio di un’Intelligenza Artificiale con le sembianze e la personalità ricostruita di Albert Einstein. Chi meglio di lui, non solo per dare supporto psicologico al protagonista ma per comprendere quel che sta accadendo all’universo, che pare rallentare la sua espansione per contrarsi grazie a dei buchi neri energetici creati proprio da potentissimi alieni assassini nemici degli Heechee, che vorrebbero riscrivere le leggi della fisica a proprio vantaggio.
Che poi il protagonista Robinette Broadhead muoia ma si trovi in una sorta di aldilà fantascientifico è un altro elemento di orginalità.
Romanzo forse meno coinvolgente del primo e anche meno misterioso, visto che gli Heechee compaiono fisicamente, ma piuttosto interessante.
“I girasoli di Shaa-Mall-a” (avrò scritto bene il titolo? Mica facile!) di Maddalena Antonini, edito nella collana “Sci-fi Collection” di Tabula Fati nel 2017 è, a prima lettura, un romanzo di fantascienza umoristica, che fa pensare a romanzi come “Guida galattica per autostoppisti” o a serie TV come “Orville”, ma che nasconde al suo interno alcuni messaggi profondi. Come scrive la stessa autrice nella postfazione, è un romanzo “che assomiglia a una favola ed è pieno di buoni sentimenti”, ma nasconde dentro di sè alcuni significati da scoprire, per esempio dei riferimenti numerici alla cabala, dei simbolismi da scovare, dei messaggi etici. Sempre nella prefazione leggiamo che “il tema centrale della storia infatti è sicuramente l’empatia, quindi l’amore, che ho esposto in modo volutamente graduale”. Già, perché “l’unica cosa che esiste veramente nell’universo è l’emozione”.
Il tutto è anche, in parte una sorta di prematuro “testamento spirituale” e nel contempo “un omaggio alla cucina toscana” (che mi porta alla mente “Space food” di Andrea Coco, che ha in comune con questo libro una strana presenza di cucina italiana nello spazio profondo. Ma, soprattutto, non vi dimenticate che “L’Umorismo è la Grande Legge dell’Universo secondo Waa-Sha”.
La trama? Senza spoilerare troppo, immaginatevi una donna e un uomo che vengano rapiti da brutti
Maddalena Antonini
alieni simili a lumaconi giganti che si riveleranno poi molto più amichevoli e socievoli di quanto pareva a prima vista. Immaginatevi poi il tentativo di comprensione reciproca tra alieni e terrestri. Si rischia, però, la catastrofe, perché, “gli Americani ci bombarderanno, è una cosa che fanno spesso, una specie di abitudine per loro anche sulla Terra” spiega Linda agli alieni che la tengono prigioniera.
Il tutto scritto con i toni leggeri dell’umorismo, con abbondanti citazioni di musica rock. E con tanta cucina toscana, in particolare i crostoni con il lardo di Colonnata. Almeno questa ve la devo spiegare: la cucina toscana viene in realtà dallo spazio! E il titolo? Cosa fanno i girasoli? Seguono la nostra stella in cielo. E in un mondo con più soli? Si attorciglierebbero nel disperato tentativo di cercare la luce. E qui c’è dietro una metafora, ovviamente.
“Crociera nell’infinito” (1950 – The Voyage of the Space Beagle) è un romanzo di space opera del canadese E.A. Van Vogt il cui titolo originale s’ispira alla celebre opera di Charles Darwin e che riunisce quattro racconti pubblicati tra il 1939 e il 1950 e poi uniti per formare un romanzo unitario.
Indubbiamente le quattro parti riescono a essere autonome tra loro pur offendo nell’insieme un’opera coerente e amalgamata. La sensazione è di avere davanti una versione più intelligente dei viaggi dell’Enterprise di “Star Trek”. Più intelligente, in quanto qu gli alieni non sono umani con le orecchie a punta o la fronte butterata, ma vere creature immaginarie, diverse da noi, come è ben più probabile siano eventuali extra-terrestri.
Bisogna, anzi, dire, che tali personaggi si potrebbero bene inserire in un elenco di migliori alieni della fantascienza.
Il primo, Coeurl, sebbene dall’aspetto di felino munito di tentacoli, è creatura quasi eterna dotata di notevoli poteri mentali ESP. Non è il rappresentante di una specie intelligente ma il prodotto sperimentale di una di queste, ormai estinta, parrebbe per carestia dovuta a problemi ecologici. Coeurl si rivela intelligente, sebbene finga di non esserlo, e spietato.
L’incontro con i Riim, una specie discendente da uccelli non volatori, porta a involontarie interferenze mentali con i terrestri.
Ixtl è, addirittura, un essere proveniente da un altro universo, che esisteva prima del Big Bang e che sopravvive da eoni nel vuoto intergalattico, una delle figure più originali della fantascienza, anche se quando deposita le sue uova nei corpi degli astronauti, non si può non pensare al celebre “Alien” (1979) cinematografico di Ridley Scott, che immagino sia debitore di Van Vogt. In effetti, leggo che Van Vogt minacciò di fare causa alla produzione del film.
Che dire poi, dell’Anabis, che si presenta sotto forma di polvere cosmica, ma capace di apprendere dalle vittime di cui si nutre, evolvendo sino a considerarsi quasi Dio?
Protagonista del romanzo è lo scienziato connettivista Grosvenor e l’intero romanzo esalta molto questa disciplina: la capacità di mettere a fattor comune le conoscenze derivanti da diverse discipline scientifiche per avere una visione comune. È solo grazie a Grosvernor e il suo metodo scientifico che l’equipaggio della Beagle riesce a comprendere questi insoliti alieni e a trovare il modo per affrontare le minacce che tutti rappresentano. Un po’ come dire che se sulla Beagle di Darwin abbiamo scoperto l’evoluzione, su quella di Grosvenor si scopre il potere del connettivismo. Il romanzo, peraltro, mostra proprio il grande potere dell’evoluzione, nel creare forme di vita da basi diverse.
Opera, insomma, giocata, guarda caso, proprio sui due grandi temi dell’ultimo romanzo da me pubblicato con Massimo Acciai “Psicosfera” (Tabula Fati, maggio 2022): il potere della mente e la possibilità che la Vita assuma forme molto diverse dalla nostra.
Non gli sono debitore per la stesura di “Psicosfera” non avendolo letto prima (né Acciai me ne ha parlato), ma sicuramente sono opere in sintonia, così come mi trovo perfettamente in linea con il connettivismo e la necessità di unificare le teorie scientifiche. In particolare, da profano, sostengo che la vita possa essere considerata una forma di compensazione dell’entropia e andrebbe studiata in termini fisici di termodinamica e non solo biologici.
Un’altra singolarità di questo romanzo è il sistema organizzativo adottato in cui le cariche vengono scelte democraticamente per elezione, a differenza di quanto di solito si vede sulle astronavi che sono comandate in base a rigide gerarchie militari.
Interessante anche la considerazione su come spesso le spedizioni interstellari falliscano per l’insorgere di dissidi interni.
Non posso quindi che apprezzare molto questo lavoro, pur con il limite della mancanza di una trama davvero unitaria. Come detto all’inizio, è considerata space opera (sottogenere della fantascienza che non mi entusiasma), ma le profonde riflessioni filosofiche sull’universo, la vita e la mente lo rendono degno della miglior speculative fiction.
P.S. Questo romanzo tratta due temi che saranno anche quelli dell’antologia dal titolo provvisorio “Dal profondo” (il potere della mente e forme di vita diverse), per la quale stiamo raccogliendo racconti e immagini. Il bando per partecipare è qui
Superati gli anni della cosiddetta fantascienza classica, due erano per me le saghe più affascinanti per complessità, originalità e fantasia creativa: il ciclo della “Torre Nera” (1982-2012) di Stephen King e “I Canti di Hyperion” (1989-1997) di Dan Simmons. Ora che ho completato la lettura del terzo volume della saga di Liu Cixin, penso che a questi cicli si possa più che degnamente accostare la trilogia dei “Tre corpi”, composta da “Il problema dei tre corpi” (2017), “La materia del cosmo” (2108) e “Nella quarta dimensione” (2018), tre romanzi autoconclusivi pur strettamente collegati tra loro e in logica successione cronologica. Poiché ogni volume pare concludere la storia, non escluderei che il ciclo possa continuare.
Questi tre romanzi contengono al loro interno talmente tante idee che se ne sarebbero potute trarne decine di romanzi. Sono al contempo un ritorno alla fantascienza classica, in quanto pongono di nuovo speculazioni scientifiche al loro centro, ma anche innovativi per i temi trattati e il diverso approccio.
Liu Cixin (Yangquan, 1963) gioca soprattutto con la fisica, come si può capire dai titoli, in una girandola di trovate che si succedono senza posa l’una dopo l’altra.
Se nel primo volume è centrale il complesso sviluppo di una civiltà su un mondo con tre soli (Alpha Centauri), con enormi e imprevedibili variazioni climatiche, nel secondo mi pare abbia un particolare peso il concetto che non abbiamo mai incontrato alieni perché ogni civiltà teme le altre e se ne sta nascosta: appena si fa scoprire viene distrutta.
Il terzo romanzo “Nella quarta dimensione” ci parla di universi a quattro, due e dieci dimensioni e alla possibilità di passare dall’uno all’altro e di usare queste trasformazioni dimensionali come armi micidiali.
Dire che i tre romanzi parlano di questo, però sarebbe fare loro un grosso torto, perché sono molto di più.
Se i riferimenti storici de “Il problema dei tre corpi” sono ben più recenti, “Nella quarta dimensione” comincia a Costantinopoli nel 1453, durante la caduta dell’Impero Bizantino, con Costantino XI Paleologo, una Maga e una coppa d’oro.
La scena si sposta però ben presto nel futuro, esplorando secoli sempre più distanti.
Si riprende, infatti, presto là dove ci aveva lasciato “La materia del cosmo”, con i tentativi dell’umanità di
Liu Cixin
difendersi dall’aggressione dei trisolariani con il potere affidato agli Asceti Impenetrabili e con la repressione dei tentativi di “Escapismo” (abbandonare la Terra). Troviamo quindi un’umanità il cui sviluppo scientifico e tecnologico è vincolato e bloccato dal potere trisolariano, che impedisce loro di sviluppare viaggi spaziali con strumenti migliori dei primitivi razzi chimici. Gli umani sono controllati dai trisolariani mediante i sofoni (intelligenze artificiali subatomiche create mediante il dispiegamento di un protone multidimensionale su due dimensioni e il suo successivo “rimpacchettamento”) che conoscono ogni loro iniziativa e dunque i terrestri non possono sfruttare alcun effetto sorpresa per combatterli.
Il primo tentativo degli umani per contrastare i trisolariani, la cui tecnologia pare molto superiore, è un’ingegnosa sonda che usa la propulsione di varie bombe nucleari fatte deflagrare lungo il suo percorso. Ne raccoglie l’energia con un’immensa vela solare. Suo scopo è portare un cervello umano (un uomo intero peserebbe troppo) su Alpha Centauri per creare una trappola ai Trisolariani. Umani e trisolariani, infatti, pur essendo in guerra tra loro, non si sono mai incontrati “fisicamente”. Il tentativo apre la porta per interessanti considerazioni su crioconservazione e viaggi spaziali, per i quali l’autore offre sviluppi innovativi.
Il cervello che sarà spedito nello spazio è quello di Tianming, che avevamo già conosciuto per aver regalato una stella alla protagonista Cheng Xin. Stella che avrà un suo ruolo nel romanzo.
Questo progetto, detto “Risalita” sarà solo il primo dei fallimenti dell’umanità in questo romanzo e andrà ad aggiungersi ai precedenti della saga. Un’ idea che caratterizza questo romanzo è quella di futuro regressivo, proprio il contrario dell’ottimismo utopistico della fantascienza classica. Non solo l’intera trilogia è un progressivo decadere attraverso apocalissi successive sempre più gravi, ma Liu Cixin sembra volerci dire che prende questo suo pessimismo cosmico dalla Storia, in cui le dinastie cinesi sono andate decadendo nel loro succedersi. Una visione della Storia che definirei Postmoderna ma quanto mai attuale e quanto mai in sintonia con mie opere come “Apocalissi fiorentine” e l’ancora inedito “Quel che resta di Firenze”.
Ecco poi il fallimento della nave “L’età del Bronzo” fuggita nello spazio profondo, il cui equipaggio sopravvive grazie al cannibalismo e i cui superstiti sono condannati per questo al loro ritorno.
Ecco poi un’era di decadenza, in cui l’umanità diviene effemminata, difendendosi dalla guerra grazie alla minaccia della Deterrenza (una sorta di Guerra Fredda che i recenti eventi fanno sembrare non più così remota), restando in stallo, in quanto minacciano di rivelare l’uno l’esistenza dell’altro mondo ad altre razze: si è ormai appreso che appena un mondo mostra di essere abitato da esseri intelligenti è distrutto da qualche altra civiltà, che teme di subire analoga sorte. La protagonista Cheng Xin, che attraversa le ere grazie alla crioconservazione nota come non ci siano più uomini veri. Non è la sola a farsi ibernare. La insegue attraverso il tempo, per ucciderla, Thomas Wade. Fallisce e Cheng Xin diviene Tiranno della Spada, colei cioè che può decidere la distruzione della Terra, per non farla cadere in mani aliene. Decide di non esercitare il suo potere condannando l’umanità a un’ancora peggiore decadenza. L’umanità riceve dai trisolariani moltissime nuove conoscenze scientifiche, ma molte si rivelano un inganno e portano i terrestri a seguire studi senza uscita. In cambio i trisolariani ricevono il modello sociale, le arti e la cultura del nostro mondo. Sarà l’accesso a bolle quadridimensionali a permettere all’umanità di sconfiggere i trisolariani le cui armi principali, le “gocce” si avvalgono di analoghi principi “dimensionali”. Il pericolo però ora viene da altri nemici alieni, che distruggono Trsisolaris, la cui posizione è stata rivelata dalla Terra. Essendo il nostro mondo molto vicino è solo questione di tempo prima che altri alieni ci scoprano e distruggano.
Occorre trovare un modo per dimostrare alla galassia che i terrestri sono inoffensivi. Tra le trovate più sorprendenti c’è il tentativo di ridurre la velocità della luce per renderci invisibili.
Ricompare Tianming, cui i trisolariani hanno ridato un corpo, che rivela a Cheng Xin come difendersi mediante tre fiabe in cui cela quanto ha appreso dai trisolariani, che, sebbene, il loro mondo sia stato distrutto mantengono il controllo sulla Terra mediante i sofoni. Va detto che anche queste fiabe, di fatto un’unica storia, hanno la loro autonoma capacità narrativa.
Parte un piano per nascondere grandi astronavi dietro i giganti gassosi del Sistema Solare, in modo da proteggerle dalla deflagrazione quando gli alieni disintegreranno il Sole. Peccato che l’arma usata contro la Terra non sarà la stessa che ha distrutto Alpha Centauri, cogliendo di sorpresa i terrestri. Si torna, infatti, a parlare di universi a più dimensioni e della possibilità di trasformare uno a tre dimensioni in uno a quattro o due dimensioni. Questo si rivela essere un’arma più potente di quelle sinora note.
Mentre il Sistema Solare si appiattisce in due dimensioni, si cerca un modo per preservare almeno la memoria dell’umanità. Ecco poi popoli alieni che cercano di far annichilire l’universo per tornare a un nuovo Big Bang e ricreare uno spazio multidimensionale.
Ecco la protagonista che sopravvive in una sorta cubo (Universo 647) che segue strane regole dimensionali, dal quale può tornare sul mondo della stella che gli ha donato il suo amico Tiamming.
In un modo o nell’altro, dunque Cheng Xin attraversa tutte le ere inventata Liu Cixin: Era Comune (fino alla scoperta della civiltà trisolariana), Era della Crisi, Era della Deterrenza, Era Post Deterrenza, Era della Trasmissione, Era del Bunker, Era Galattica.
Le basi “scientifiche” di questo volume sono dunque soprattutto legate ai concetti di universi con diversi numeri di dimensioni, ma non mancano altre trovate come la sonda che viaggia con esplosioni nucleari o le comunicazioni mediante onde gravitazionali. Una delle prime riflessioni che questo romanzo induce a fare è su come la Vita influisca sulla morfologia e la geologia dei pianeti.
Il tema degli universi con diverse dimensioni fa pensare a “Flatlandia” (1884) di Edwin Abbott Abbott ma anche a “Le cosmicomiche” (1963) e “Ti con zero” (1967) di Italo Calvino o al più recente “Stormachine” (2018) di Franci Conforti.
Quello che rende dunque affascinante questa trilogia non è solo la ricchezza e varietà di situazioni descritte, ma anche l’intelligenza e abbondanza di riflessioni su tematiche scientifiche, che aprono nuovi orizzonti narrativi per la fantascienza.
“Il Signore della Svastica” (“Iron Dream”, 1972) di Adolf Hitler… anzi, no, pardon, di Norman Spinrad (New York, 15 settembre 1940) è una scatola di cioccolatini dozzinali nascosta in una bella confezione regalo.
La confezione regalo sono la prefazione e la postfazione del romanzo, sicuramente le parti meglio riuscite. Con la prima si spiega ucronicamente che “Il signore della svastica è unanimemente riconosciuto come il capolavoro di Adolf Hitler il celebre scrittore di fantascienza morto a New York nel 1954. La genesi del romanzo, che precedette di poche settimane la morte dell’autore, è singolare come il contenuto del libro. Hitler scrisse la storia di Feric Jaggar, il signore della svastica, in una sorta di delirio allucinato.”
Con la seconda, che si immagina scritta nel 1959 dopo la morte ucronica di Hitler, si fa un’analisi psicologica dell’autore (facendo emergere Hitler come un malato di mente) oltre a descrivere il nuovo contesto internazionale, conseguente alla divergenza ucronica della mancata ascesa al potere di Hitler, che nel 1919, dopo il fallimento del partito nazionalsocialista, emigra in America dedicandosi alla fantascienza, prima come illustratore e poi come autore: “L’Unione Sovietica tiranneggia l’Eurasia come un bruto ubriaco. La maggior parte dell’Africa subisce la sua influenza e le repubbliche del Sud America cominciano a sgretolarsi. Solamente quel grande lago nippo-americano che è il Pacifico si erge quale ultimo baluardo della libertà in un mondo che sembra destinato ad essere sommerso dalla marea rossa.”
L’idea di fondo è quella di un romanzo di fantascienza scritto da un Hitler americanizzato, ma ancora convinto delle sue idee di una razza superiore che debba dominare il mondo.
Norman Spinrad
La trovata è interessante e piuttosto buona, se non fosse che divergenze storiche connesse al nazismo e al fascismo sono quelle più sfruttate dagli autori di ucronia, prima e dopo di questo romanzo. Basti pensare ai celeberrimi “La svastica sul sole” di Dick e “Fatherland” di Harris. Poiché i nazisti di Spinrad si scontrano con degli alieni, appare inevitabile il confronto con la saga di Turtledove “Invasione”, opera notevolmente superiore, sia per la miglior caratterizzazione dei personaggi, alieni compresi, sia per la sua coralità, in cui tutte le parti in causa sono degnamente rappresentate, mentre nel romanzo Hitler-Spinrad la sola caratterizzazione degli alieni è di tipo fisico.
Un Hitler scrittore non è ipotesi poi così campata in aria, avendo lui scritto quell’opera involontariamente surreale che è il “Mein Kampf” (nel volume troviamo persino una sua bibliografia immaginaria: L’IMPERATORE DEGLI ASTEROIDI, I COSTRUTTORI DI MARTE, ALLA CONQUISTA DELLE STELLE, IL CREPUSCOLO DELLA TERRA, IL SALVATORE DELLO SPAZIO, LA RAZZA SUPERIORE, L’ORDINE MILLENARIO, IL TRIONFO DELLA VOLONTÀ, DOMANI IL MONDO).
Pur non originalissime la prefazione e l’introduzione forniscono comunque un quadro suggestivo. Peraltro, la scelta di “dissociarsi” da Hitler fatta dal postfattore postumo (si immagina sia scritta nel 1959) evidenziando come l’opera sia frutto di una mente malata, mi ha lasciato piuttosto perplesso, come se lo stesso Spinrad fosse consapevole di aver scritto fantascienza dozzinale e cercasse di dire che l’ha fatto apposta, perché uno come Hitler non poteva certo scrivere meglio.
“Così il fascino collettivo di questo romanzo di fantascienza scritto piuttosto malesi rivela in una combinazione unica di fantasia, realizzazione politica, feticismo patologico e ossessione fallica, e nella malia che si crea osservando una mente strana, morbosa e completamente diversa dalla nostra che rivela se stessa senza esserne cosciente nell’illusione bizzarra che i suoi impulsi più violenti e perversi, lungi dall’essere causa di vergogna, siano princìpi nobili e nobilitanti giustamente abbracciati dal cuore dell’umanità” scrive lo stesso Spinrad nella postfazione.
Che sia scritto piuttosto maleemerge innanzitutto da:
la sovrabbondanza di scene di battaglia e guerra, che ho trovato assai poco coinvolgenti,
un assai poco originale uso di armamenti della Seconda Guerra Mondiale in un futuro lontano, su un mondo dominato da alieni; vediamo solo nel finale, con il trionfo del sogno eugenetico, una scienza un po’ più progredita;
la presenza di alieni (simboleggianti ebrei e sovietici) assai poco caratterizzati;
dalla scarsità di umorismo in un’opera che per le sue caratteristiche dovrebbe essere in qualche modo satirica;
dall’assenza di personaggi in cui immedesimarsi, con un eroe negativo quale Feric Jaggar, che non appare neppure abbastanza malvagio da renderlo antipatico, tutto preso a difendere il pianeta dagli alieni e a consegnarlo a Veri Uomini, Camice Grigie e SS.
Nella postfazione si fa notare come l’opera sia feticistica e piena di simboli fallici, a partire dalla Gran Mazza di Held, che Jaggar, novello Artù con novella Excalibur, è il solo a poter sollevare e usare, come le donne siano del tutto assenti e le SS, in un mondo alfine devastato e desertificato, si riproducano per clonazione (maschile).
Insomma, se volete stare al gioco di Spinrad e accettare che questo sia il romanzo di un esaltato, forse riuscirete ad apprezzarlo. Se il giochino, invece, non vi convincerà, forse vi verrà il sospetto che qualcuno (Spinrad o il suo editor) abbia preso un romanzo modesto e abbia avuto la (quasi) geniale trovata di infilarlo in una scatola (abbastanza) luccicante.
Peccato che il fiocco che lo chiude abbia un sapore anticomunista da Guerra Fredda, con questi russi cattivi che, senza Hitler, avrebbero conquistato il mondo. Figuriamoci se i russi si mettono a invadere un altro Paese! O no?
L’antologia di racconti di fantascienza di Isaac Asimov (nato Isaak Judovič Azimov, in russo: Исаáк Ю́дович Ази́мов; Petroviči, 2 gennaio 1920 – New York, 6 aprile 1992) “Sogni di robot” (1986), a differenza da quanto mi aveva fatto immaginare il titolo non è una parte dell’antologia “Tutti i miei robot” e le celebri tre leggi della robotica, nonché la Dottoressa Calvin vi compaiono solo occasionalmente. Vi troviamo, invece, un’ampia rassegna di tematiche fantascientifiche quanto mai varie, il tutto condito con la straordinaria verve narrativa di questo eccelso scrittore, autore di tre delle saghe interconnesse più celebri della fantascienza (“Robot”, “Impero” e “Fondazione”), che anche qui da ottima prova di sé.
I racconti che lo compongono, scritti tra il 1947 e il 1982, appaiono anche in altre antologie e sono:
Il piccolo robot perduto
Sogni di robot
Coltura microbica
L’ospite
Sally
Crumiro
La macchina che vinse la guerra
Occhi non soltanto per vedere
Le acque di Saturno
Diritto di voto
Barzellettiere
L’ultima domanda
Che cosa importa a un’ape
Luciscultura
Nove volte sette
S come Zebatinsky
L’ultimo nato
La palla da biliardo
Vero amore
L’ultima risposta
Una questione di memoria
Il primo racconto vede alla prova le capacità logiche della Dottoressa Susan Calvin nel ritrovare “Il piccolo robot perduto”, che aveva preso alla lettera un incauto ordine umano.
In “Sogni di robot” (unico inedito e che dà il nome all’antologia) la Dottoressa Calvin si deve confrontare con le problematiche nate dall’imprevista capacità di sognare di un automa.
La “Coltura microbica” oggetto del terzo racconto è l’intera umanità, frutto di un esperimento scientifico,
che con la creazione delle bombe atomiche pare giunto a conclusione.
Affascinante “L’ospite”, in cui una coppia si trova a dover ospitare in casa propria un alieno, di cui non posso non riportare questo illuminante passaggio:
“I batteri, in genere, sono esseri extracellulari. Lottano con le cellule del corpo per procurarsi il sostentamento, a volte con successo, e riversano i prodotti di rifiuto, o tossine, nella corrente sanguigna. Il virus fa di più. Esso vive dentro la cellula, utilizzando il meccanismo cellulare ai propri scopi. Lei già sa tutto questo, signora Smollett, e forse anche suo marito.
«Continui» disse Drake.
«Facciamo dunque un altro passo avanti. Immaginiamo un parassita che viva non solo dentro la cellula, ma dentro i cromosomi della cellula. In altre parole, un parassita che si mescoli ai geni, qualcosa che potremmo chiamare uno pseudo-gene. Esso interverrebbe nella creazione degli enzimi, che è la funzione primaria dei geni, e in tal modo influenzerebbe indirettamente anche la biochimica dell’organismo terrestre.»
«Perché particolarmente quella terrestre?» disse Rosa.
«Non avete ancora capito che lo pseudo-gene di cui parlo è originario della Terra? Gli esseri terrestri hanno vissuto con lui fin dal principio, si sono adattati a lui, fino a essere inconsapevoli della sua presenza. I batteri si nutrono di cibo normale, i virus di cellule; gli pseudo-geni vivono sull’economia dell’intera macrostruttura cellulare attraverso il controllo della biochimica dell’organismo: Ecco perché le specie più evolute tra gli animali terrestri, incluso l’uomo, non crescono più dopo aver raggiunto la maturità e muoiono di morte chiamata naturale. È la fine inevitabile di questa universale infezione parassitica.»”
Si tratta di un raro esempio di alieno immaginato da Asimov, la cui galassia fantascientifica vede spesso come sole intelligenti esseri umani. Fanno eccezione soprattutto le ottime prove di “Neanche gli Dei” e “Nemesis”.
In “Sally” la fantasia di riesce a immaginare l’automazione dei veicoli oltre i notevoli livelli ora già raggiunti, con automobili dotate di una propria coscienza e volontà.
In “Crumiro”, sul pianeta Altrovia, rigidamente diviso in caste, nessuno accetta di sostituire l’addetto alla spazzatura in sciopero, mestiere troppo disonorevole.
Ne “La macchina che vinse la guerra” troviamo uno dei principali protagonisti di questa raccolta, l’immenso computer Multivac. A quei tempi si credeva che la potenza dei calcolatori fosse legata alle loro dimensioni! L’ironia asimoviana vuole però che le decisioni di Multivac siano in questo caso assunte in modo assai particolare.
In “Occhi non soltanto per vedere” esseri di pura energia, per arte, manipolano la materia, creando l’uomo.
Ne “Le acque di Saturno” Asimov affronta assieme il grande problema del futuro (quanto mai prossimo), la scarsità d’acqua, e nel contempo immagina brillanti soluzioni per i viaggi spaziali.
In “Diritto di voto” ritroviamo il colossale Multivac, incaricato di selezionare un uomo che sarà il solo a votare ed eleggere il Presidente della Repubblica. Una sempre attuale riflessione sulla democrazia nell’era informatica.
Ne “L’ultima domanda” Multivac deve scoprire come sopravvivere quando anche l’ultima stella si sarà spenta: lo farà in modo… divino.
Come riesce la Signora Lardner a creare così belle “Lucisculture”? E perché non vuol far riparare il suo robot?
In “Nove volte sette”, l’errata convinzione che computer molto potenti debbano essere anche molto grandi, porta ad abbandonarli per tornare al calcolo umano.
La grande lezione dell’ucronia è che piccole differenze possono avere enormi impatti sulla storia, così cambiare una sola lettera di un cognome può mutare la vita di un uomo in “S come Zebatinsky”.
Assai toccante l’incontro con il bambino di Neanderthal, prelevato dal passato per un esperimento scientifico in “L’ultimo nato”.
Giocare con l’anti-gravità può rivelarsi molto pericoloso, anche se si usa solo “La palla da biliardo”.
Utilizzare un computer per trovare un “Vero amore” oggi pare normale, grazie agli algoritmi dei molteplici siti web di incontri. Quando il racconto fu scritto, il programmatore si doveva muovere di nascosto.
Morire e incontrare una sorta di essere ultraterreno onnisciente e onnipotente non necessariamente vuol dire incontrare Dio, come si vede ne “L’ultima risposta” e anche un mortale può esser d’aiuto per una simile creatura.
Diventare più intelligenti, per un uomo comune, può rivelarsi un pessimo affare: il mondo non ama i geni, come si legge in “Una questione di memoria”.
Insomma, una variegata rassegna di storie intelligenti e che fanno riflettere, mostrandoci il futuro alla maniera del grande Asimov, spesso piuttosto utopistico.
Ho letto una raccolta di scritti di H.P. Lovecraft (Providence, 20 agosto 1890 – Providence, 15 marzo 1937), intitolata “Ciclo di Cthulhu”. Il file si presenta quanto mai esteso e articolato e riunisce racconti e romanzi del solitario di Providence più o meno collegati al mito di Chtulu. In alcuni casi mi è quasi venuto da chiedermi perché fossero inseriti in una simile raccolta, dato che il mito quasi non vi compare.
In molti però troviamo le medesime idee e raffigurazioni, dalla lettura di antichissimi libri proibiti (come il celeberrimo pseudobiblion “Necronomicon”); alla presenza di antiche religioni basate sul culto degli Antichi; all’idea di un’antichissima e spaventosa razza, precedente persino ai dinosauri, proveniente dallo spazio profondo, con tappa su Plutone, per andare a popolare soprattutto gli abissi oceanici e i ghiacci del polo, a volte capace di insinuarsi attraverso il tempo nelle menti di altre razze, compresa la nostra; alla trasformazione in pietra di uomini, animali e mostri; ad antichi ritrovamenti di manufatti alieni, antichi testi, mostri spaziali, mummie stregate.
Su tutto pare dominare l’influsso di un passato segreto della Terra, influenzato da oscure e terribili culture
aliene, antecedenti all’evoluzione, ma non mancano episodi di realismo contemporaneo e di stupito orrore di fronte al fantastico.
La raccolta comprende, nell’ordine, i seguenti testi, che fatico a distinguere tra racconti e romanzi. Per rendere l’idea delle dimensioni, indico le parti in cui ciascuno è, eventualmente diviso.
Questo elenco è lo stesso che ritrovo anche su wikipedia, come parti del ciclo, con indicazione dell’anno di pubblicazione, che aggiungo di seguito.
1 – Dagon (1917)
2 – La città senza nome (1921)
3 – Il cane (1922 – in 2 parti)
4 – La ricorrenza (1923)
5 – Il richiamo di Cthulhu (1926 – in 3 parti)
6 – Il caso di Charles Dexter Ward (1927 – romanzo in 5 parti)
Sono dunque storie scritte in un arco di tempo di quasi vent’anni dal 1917 al 1935.
Alcuni di questi testi li avevo già letti. Riporto di sopra il link ai miei precedenti commenti, ove disponibili.
Rileggendoli noto come mi fossi ancora ben poco calato nello spirito di questo autore, che, in effetti, non è dei più facilmente digeribili, anche per lettori abituati al fantastico, alla fantascienza e all’horror. Di sicuro una lettura estesa come quella di questo Ciclo aiuta a calarsi meglio nella possente fantasia creatrice di questo scrittore che è proprio alle basi di questi tre generi letterari, ponendone i presupposti narrativi e creando un universo immaginario di grande ricchezza, che ben spiega il culto di cui Lovecraft è ancora oggi oggetto, a circa un secolo dai suoi primi scritti, con antologie e festival a lui dedicati.
Una grandezza e ricchezza narrativa, dunque, da scoprire e amare solo lettura dopo lettura, come per un buon vecchio liquore. Un liquore che spesso troviamo mescolato ad altre sostanze nei cocktail letterari degli autori successivi.
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”