Eccomi per la seconda volta a leggere un libro di Paolo Dapporto, socio come me del GSF – Gruppo Scrittori Firenze.
Se la precedente lettura “Nel giardino di Emma” era un romanzo dal forte sapore autobiografico, questo secondo volume “A guardare il cielo” (titolo che deriva dall’ultima frase del libro) è, invece, un’antologia di racconti, peraltro anche questa con un forte sentore di vita vissuta.
“Nel giardino di Emma” è lo sviluppo di un precedente racconto, che mi pare di aver individuato proprio all’interno di “A guardare il cielo”.
È sempre difficile commentare un’antologia dato che contiene tante storie, anche quando hanno un filo conduttore comune. Molti racconti sono, infatti, romanzi in nuce (come nell’esempio citato) e appare riduttivo quindi un commento che tutti li abbracci.
Rubo allora qualche parola a Chiara Recchia che ne ha scritto la prefazione che così comincia “Un florilegio di racconti, un fior da fiore dai propri libri editi e non”. Già, perché questi non sono racconti qualsiasi, scritti per il volume, “ma una scelta”.
Come spesso accade in simili volumi sono “Moltissimi i personaggi, maschili e femminili, di diversa età, cultura e condizione sociale” ma “L’Autore sembra essere quello principale, presente in quasi tutti i racconti come io-narrante”. Opera autobiografica, appunto, o almeno che sembra tale. Anche perché le diverse vicende dell’io narrante sembrano collegarsi e ricondursi a una medesima personalità, se non persona.
Un altro elemento importante di queste storie ce lo ricorda Paola Bray, autrice della seconda prefazione: l’amore “presente nelle sue mille sfumature”.
Come già ebbi a scrivere commentando “Nel giardino di Emma”, anche qui ogni racconto mi suscita sensazioni e ricordi personali: effetto della vita vissuta che pare sempre diversa ma poi, nelle cose importanti, quelle di cui scrive Dapporto, somiglia ognuna a quella di un altro. Soprattutto poi se i luoghi sono gli stessi o quasi, i tempi della narrazione gli stessi o quasi di quelli della mia vita.
Ecco quindi l’apertura con la storia sul bridge, che per me ha il volto di mia nonna, accanita giocatrice di cui non possono non ricordare la frase “chi non sa giocare a carte si prepara una ben triste vecchiaia”. Potrebbe esser questa la risposta da dare al protagonista quando s’interroga: “Perché continuo a giocare a bridge? Non ho mai avuto una grande passione per le carte e spesso mentre gioco i miei pensieri navigano altrove.” Ohiohi, che terribili compagni di gioco quelli che non si concentrano! Meglio in effetti non giocare.
E quanto è vero e attuale il secondo racconto con quel vecchio che si vende casa e va a vivere in ospizio per paura che figlia e genero lo interdicano per portargliela via! Come possono essere difficili i rapporti familiari e quanto bene questa storia ce lo mostra.
Possono poi i semplici versi di una poesia (qui “L’aquilone di Giovanni Pascoli) suggestionarci al punto da volerci far mutare aspetto (e capigliatura)?
“Colori” con il ragazzo che comunica i propri sentimenti all’amica lesbica mediante i colori delle reazioni chimiche mi ha, invece, richiamato alla mente il romanzo “Il linguaggio segreto dei fiori” di Vanessa Diffenbaugh, con la giovane fioraia che si esprime combinando nei mazzi fiori dai diversi simbolismi. Quante diverse forme può esprimere il linguaggio e quanto può essere difficile comunicare davvero, qualsiasi strumento si usi!
E l’alcool? Si può avere un naturale tasso alcolico che ci fa risultare ubriachi all’etilometro anche senza aver bevuto? Altro tema di un altro racconto.
La storia successiva parla di vita militare, di una cane quasi “mascotte” dell’esercito, ma getta anche lì un’osservazione sui tempi che furono e sullo strano rapporto tra destra e sinistra che c’era ai tempi in cui ancora frequentavo il liceo classico: “i fascisti e i comunisti erano gli unici individui che avevano il coraggio delle proprie idee”, per questo per un fascista “i comunisti erano nemici che stimava”. Un tempo. Quando ancora la politica era fatta di idee e, ancor più di ideali. Ora, invece… beh, lo sapete, no?
Ed eccoci quindi dalla caserma alla Casa del Popolo, quella di Rifredi che ancora ogni tanto frequento, se non altro per qualche presentazione letteraria, ma qui, invece si parla soprattutto di biliardo. Un gioco per fisici, ma che il nostro Dapporto, pur essendo un chimico, pare apprezzare altrettanto.
E poi ecco quei due ragazzi in viaggio per la Francia in cerca di lavoro ma soprattutto di avventure… femminili, durante il Tour de France, uno di quegli eventi popolari che ci sono ancora ma che allora avevano tutto un altro sapore.
Arriva poi un racconto sulla Seconda guerra mondiale, sul voltafaccia italiano, con i nemici all’improvviso diventati amici e viceversa, con Firenze invasa e un ragazzino maltrattato, perché a quei tempi non era poi così strano dire davanti a un bambino, che in fondo è “solo un’altra bocca da sfamare”, indesiderata: “Questo bambino è un mostro”. Altre sensibilità. Oggi quel dottore si sarebbe beccato una denuncia.
Dopo il bridge introduttivo, troviamo poi un interessante lezione di poker. Due giochi che sono davvero scuole di vita, in modi diversi.
Ed ecco un’aula di chimica che forse ricorda una che Dapporto ha avuto davvero.
Ecco poi un nonno alle prese con un nipote e una fiaba che è un mix di favole reinventate.
Si può stare senza sesso e senza fumo? Tutte e due forse è troppo sembra dirci il racconto che segue.
Ricordate la caduta del muro di Berlino? Se avete la mia età, penso proprio di sì. Un po’ meno quando fu eretto. Una città spezzata in due. Famiglie e vite divise. Una delle tante follie della storia. Il racconto di Dapporto ci mostra un personaggio che qualcosa prova a ricucire.
Eccoci a “Meriggi d’estate” che io credo sia la base del romanzo “Nel giardino di Emma”: per saperne di più leggete la recensione che ne ho fatto.
Si può dissacrare una gara di tuffi? Si può! Leggete come.
“La forchetta” è un piccolo giallo concentrato. Intelligente. Dapporto, se non erro, di gialli ne ha scritti vari. Non amo il genere, ma questo penso dia una buon’idea di come possano essere i suoi romanzi.
Segue una storia d’amore a pagamento. Amore, più che sesso, badate.
Può un orto riempire il vuoto di una vedovanza? Ecco il tema successivo.
Difficile il rapporto con le ragazze per un adolescente. Se poi si mette di mezzo, in un altro racconto, anche un fratello!
Il tema dei bambini con difficoltà, disprassici in particolare, sembra stare a cuore a Dapporto. Compare qui in almeno due racconti.
Se parla di gioco o di sport, Dapporto mi pare riesca sempre a condire la sua storia con qualche figura femminile e quel che ne consegue, come nel racconto “Il 9, il 7 e Flora”.
Allo stesso modo le incomprensioni tra i sessi compaiono più volte, come con questa ragazzina che, come quella del racconto precedente, ricorda Audrey Hepburn. Una bellezza elegante e semplice che sembra proprio affascinare il nostro autore.
Del resto “l’amore è una malattia ma non troppo grave” e se ti fa volare come gli amanti di Chagall sembra piuttosto una magia.
E le canzoni di quegli anni? Ce le ricorda in “Sassi”.
Ed eccoci nel mitico quartiere Lippi, dalle parti delle case dei greci, quella che ora chiamiamo Firenze Nova, ma che allora era popolato di gente verace.
E la scuola che tanta parte aveva “Nel giardino di Emma” riappare in una storia di un ragazzo un po’ secchione ma rimandato in italiano per aver mal interpretato una frase del De Santis, un tipo che ha condizionato non poco la scuola italiana, ma che, in effetti, non brillava sempre per chiarezza espositiva.
Conclude il volume la narrazione di un bel rapporto tra un nonno molto presente e impegnato ad aiutare un nipote con qualche difficoltà d’apprendimento, ma capace di un grande affetto.
E, in conclusione, è proprio questo che traspare da queste pagine e le rende piacevoli e intense: il grande amore dell’autore per le vicende e i personaggi di cui scrive.
Lieto che il Gruppo Scrittori Firenze abbia penne così al suo interno.