Posts Tagged ‘poesia’

IL CONCERTO DELLA VITA

Roberto Mosi è autore del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, dall’intensa produzione letteraria che va dalla saggistica, alla narrativa alla poesia. Di lui ho già letto “I barbari”, “Navicello etrusco”, “Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone”, “Promethèus”. Ha inoltre partecipato con dei racconti alle antologie del GSF “Le immaginate”, “Le sconfinate”, “Gente di Dante” e “Accadeva in Firenze capitale”. Rimando ai link per approfondimenti.

Complice il lungo viaggio verso il Salone di Torino (rallentato dalla tragica alluvione romagnola), ho ora letto la sua silloge poetica “Concerto”, volumetto introdotto da una prefazione di Giuseppe Panella e chiuso da una Nota dell’autore.

Ne approfitto per citare Panella, ove scrive “Questa raccolta, Concerto, pone attenzione alle istanze della musica nella struttura sinfonica per movimenti e a quelle poetiche nello svolgersi delle evocazioni che generano immagini. Insieme le due istanze producono emozioni che si rincorrono nel flusso della coscienza, di frammenti di memoria.” Credo sia proprio questo lo spirito dell’opera: riallacciarsi alla musica per fare poesia.

Di nuovo ci insegna la prefazione: “I quattro movimenti del suo Concerto, allora, dedicati come sono alle quattro stagioni (seguendo una tradizione ben definita nella storia della musica), alternano ricostruzioni delle vicende di attualità a momenti di vita familiare, intercetta segni orribili di inciviltà persistente (il razzismo che i terribili fatti di Rosarno hanno mostrato come ancora prevalenti nella in-cultura della penisola) ma si apre a moti di speranza per il futuro delle generazioni che verranno.

Rimane quindi poco da aggiungere. Preferisco far parlare il poeta, citandone brevi stralci:

Populonia è muta / aggrappata alla costa, / ruscelli di melma / uccidono il mare”, dove leggo un’istanza ecologista ben radicata al territorio, approccio che mi è assai caro e vicino.

Bolle la pentola / il sogno d’Europa / ballano le fiamme / le streghe agitano il brodo.” Condivisibili desideri di unità continentale narrati con toni magici…

Ed ecco il mito che si fa strada: “Ulisse torna sempre a Itaca” o “Sono giunto alle terre / degli Etruschi. Le navi / passano il Bosforo, / bandiere al vento. / Inseguo Giasone / alla conquista del vello” o “Il filo di Arianna / nelle mani di Teseo, / legame d’amore”.

E per la magia della nascita, credo legata all’arrivo di un nuovo nipote, ci regala versi come “il colloquio / con le ombre diventi / sommesso. La vita / ha generato la vita.

Ed ecco che la musica si lega agli spazi geografici: “Batte leggero / il cuore dell’orchestra / sulla spiaggia del Golfo / di Baratti”.

In un paio di poesie Mosi gioca magicamente con i numeri:

Roberto Mosi

Marta è nel tempo / venti secondi per respirare / venti minuti per urlare / venti giorni per sognare / venti settimane per sorridere / venti mesi per giocare / venti anni per amare / Marta è il nostro tempo”, ma anche “Sessanta le olive / dell’olivo sul balcone / sessanta olive da spremere / per gli animali della fattoria / Sei cucchiai per le oche, / il cavallo e l’asinello. / Sei cucchiai per il gallo / e poi non ce n’è più”.

Gioca a volte, Mosi, con gli spazi della mente: “Labirinto miraggio / il nulla al centro / scomposizione del reale / seduzione dell’invisibile”.

Importanti anche le istanze sociali: “Rinasce Peretola / e la Casa del Popolo, / cultura e solidarietà.” o storiche “un anno sul Monte / da partigiano. Fummo/ circondati dai tedeschi. / Solo io mi salvai.” o “Il primo volo quello / di Zoroastro da Peretola” che si mescola quasi con la quotidianità dei voli dall’aeroporto fiorentino di Peretola.

Che cosa muove l’animo di questo poeta? Forse lo capiamo leggendo: “oggi c’è bisogno / di bellezza, di simboli / sereni del bello”, magari “per un nuovo Rinascimento”.

Cos’è per lui la poesia? “Un ammasso di argilla / da modellare a piene mani” perché poi “La poesia è pronta / per la polvere del giorno”, nata dalla materia concreta e pronta a calarsi nella vita e a esserne consumata.

UN CUORE ETRUSCO TRA LE ONDE DELLA STORIA

Sovente i popoli restano legati alle loro origini storiche per quanto remote. Questo vale di certo anche

Navicello etrusco - Roberto Mosi Libro - Libraccio.it

per i Toscani, che ricordano con nostalgia i momenti di maggior gloria della propria storia da, andando a ritroso, gli anni in cui Firenze fu capitale del regno d’Italia[1], ai tempi del Granducato di Toscana per arrivare sino ai fasti del popolo etrusco. Le origini etrusche sono anzi quelle di cui vanno più fieri, se non altro perché non rappresentano un fugace momento di gloria passeggera ma appunto l’origine della propria cultura.

Il poeta Roberto Mosi sembra ben conoscere e immedesimarsi in questa passione per i tempi precedenti la dominazione romana.

Ciò traspare, in particolare, nel volume che mi è or ora capito di finir di leggere, “Navicello etrusco”, titolo che prosegue quasi nel sottotitolo “per il mare di Piombino” (Edizioni Il Foglio, 2018).

Che etruschi fossero alcuni dei primi re di Roma è cosa se non certa, almeno probabile. Che anche etrusco fosse quel Dardano che fondò Troia, dalla quale partì poi Enea per una sorta di viaggio di ritorno verso la nostra penisola e per porre le basi di Roma forse è solo leggenda.

Per i Greci, per esempio, questo figlio di Zeus ed Elettra nacque in Arcadia e da lì si spostò in Dardania, poi ridenominata Teucria per suo nipote Troo, terra dove sorse poi Troia.

Fu piuttosto Virgilio a narrare che Dardano venisse dall’etrusca Corythus ed è lì che il poeta latino fa tornare Enea, alla ricerca della terra degli avi.

Questa versione sposa il fiorentino Mosi quando scrive “Dardano partì dall’Etruria / per fondare la città di Troia”, ma questa è per lui occasione per suggerirci con levità l’immagine di moderni viaggi per la medesima rotta, quelli dei “migranti in fuga” di oggi.

E già, perché Mosi, con uno sguardo alla storia antica, tiene però i piedi saldi nella quotidianità e non la dimentica mai.

La sua Toscana è una “terra che ha smesso / le vesti proletarie per i vestiti / raffinati della cultura”, che, però, mai può dimenticare le proprie basi contadine. Mosi alla cultura del suo popolo è sempre attento, così come ai miti antichi, come ha mostrato anche nel suo “Prometheus”, che ci parla, per brevi fotografie poetiche, dei tanti muri di ogni tempo.

Come può far intuire il titolo, “Navicello etrusco” non ci canta solo della terra ma anche e soprattutto del mare. Quello tra Populonia e Piombino in particolare, la rotta del ferro degli antichi avi.

E questa raccolta di versi è un viaggio attraverso queste acque ma anche attraverso il mare della Storia.

Il volume è diviso in due parti, l’una dedicata a Turan, la dea etrusca dell’amore, che come Narciso ama specchiarsi, l’altra richiama l’immagine della statuetta votiva denominata da D’Annunzio “L’Ombra della Sera” (facile per il lettore non comprenderne il riferimento, che pare solo una poetica descrizione dello scorrere del tempo). Due parti ma un unico viaggio nel tempo che ci porta ad assistere, per velocissimi accenni, piccoli flash fotografici, alle invasioni barbariche, all’attraversata del Mediterraneo di Rutilio Namaziano, alle invasioni dei Goti e San Cerbone, alla caccia alle streghe, a Napoleone all’Elba con Maria Walewska[2], alla Seconda Guerra Mondiale con la batteria di Punta Falcone, ai disoccupati dell’era industriale, ai migranti di oggi.

Scorgo poi in questi versi il passo dello stesso Roberto Mosi sulle spiagge del litorale toscano, Baratti, Populonia, Vada.

Le onde mormorano alla spiaggia/ bianca, la luna invade / il silenzio della camera”.

Mi lascio andare alle onde, il fresco / dell’acqua accarezza il mio nuoto leggero”.

Eccolo mentre osserva “Marta e Anna” che “sono / padrone della spiaggia. // Marta compone un tappeto / di ciottoli”. Eccolo mentre affronta le fatiche dei vacanzieri, “il serpente di macchine. / Una striscia ininterrotta / di lamiere scintillanti”. Eccolo che “Dalla terrazza dell’albergo” respira “l’aria del mare”.

Eccolo attento osservatore della natura, delle “Zone libere / zone che sfuggono al nostro controllo, / meritano rispetto per la loro verginità / per la loro disposizione naturale all’indecisione. / La diversità / trova rifugio su il ciglio della strada”.


[1] Mosi ha partecipato con un proprio racconto sulle case di ferro all’antologia “Accadeva in Firenze Capitale” del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, curata da Sergio Calamandrei e Cristina Gatti e a “Gente di Dante” sempre del GSF, curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone, con un racconto su Corso Donati.

[2] Su Elisa Baciocchi, la sorella dell’imperatore legata alla Toscana, Mosi ha scritto il saggio “Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone”.

RIFLESSIONI DI UN POOHLOVER

I Pooh, chi erano costoro? Nella locandina per la presentazione del saggio “La poesia dei Pooh” (Giulio Perrone Editore, 2021) l’autore Massimo Acciai Baggiani scrive “Dedicato a voi Poohlovers”. Beh, io non sono mai stato un Poohlover e non avevo neppure mai sentito questo termine che forse è un’invenzione di Acciai. Ovviamente so e sapevo chi fossero i Pooh. Non mi si attaglia la parafrasi della canzone degli Stadio “Chiedi chi erano i Pooh”, perché, più o meno, ho sempre saputo della loro esistenza, avevo un’idea delle loro facce e avevo certo sentito varie loro canzoni, ma questo gruppo musicale non è mai rientrato nel mio ristretto panorama musicale. Devo, però, dire che oggi non ascolto quasi più musica pop e anche da ragazzo mi limitavo, saltuariamente, al rock e ai cantautori. Per me i Pooh rientravano nel contesto sanremese e li ho sempre abbinati ai Ricchi e Poveri.

La poesia dei Pooh” mi ha fatto scoprire, tardivamente, che questo gruppo aveva dei testi ricchi di riferimenti letterari e al tempo da loro vissuto. Una poetica che tocca con capacità le tematiche dell’amore, dell’amicizia, ma anche della politica e del sociale.

Massimo Acciai Baggiani, autore poliedrico e multiforme che spazia dalla narrativa alla saggistica alla poesia, ci presenta la poetica soprattutto dei due principali parolieri del gruppo Valerio Negrini e Stefano D’Orazio, mettendola spesso in relazione con opere di altri artisti dell’epoca e con opere letterarie le più varie. Acciai ripercorre in questo volume uscito or ora nella collana “L’Erudita” di Giulio Perrone Editore tutti i testi di questi autori, contestualizzandoli nella loro biografia e aggiungendovi considerazioni personali che rendono più viva la narrazione.

Precede il suo lavoro la prefazione di Fabrizio Di Marco, fondatore di Brennero ’66, una tribute band del gruppo, e lo conclude in appendice un racconto dello stesso Acciai, ispirato ai Pooh.

La prima parte è dedicata a Valerio Negrini (Bologna, 4 maggio 1946 – Trento, 3 gennaio 2013), la seconda a Stefano D’Orazio (Roma, 12 settembre 1948 – Roma, 6 novembre 2020).

D’Orazio, come ricorda anche Acciai, è stato una delle recenti vittime della pandemia di covid-19.

Per chi come me è poco informato su di loro riporto qui quanto ne scrive wikipedia:

“I Pooh sono stati un gruppo musicale italiano formatosi nel 1966 a Bologna e scioltosi il 30 dicembre 2016 a Casalecchio di Reno.

La composizione del gruppo ha subìto diversi cambiamenti nel corso dei suoi cinquant’anni di storia, ma la formazione rimasta stabile per 36 anni, dal 1973 al 2009, e con la quale il gruppo conobbe i suoi maggiori successi (tra i quali la vittoria al 40º festival di Sanremo), fu quella composta da Roby Facchinetti (tastiera), Dodi Battaglia (chitarra), Red Canzian (basso) e Stefano D’Orazio (batteria e, occasionalmente, flauto): la voce principale fu quella di Facchinetti, autore di molti brani del gruppo in coppia con il paroliere Valerio Negrini, ma anche gli altri tre membri del gruppo, cui contribuirono con numerose proprie composizioni, erano voci soliste nei brani di propria creazione. I quattro Pooh di tale periodo furono insigniti dal presidente italiano Cossiga dell’onorificenza di cavalieri.

Altro noto membro dei Pooh è il bassista Riccardo Fogli, che nel 1973, dopo l’album Alessandra, intraprese una carriera da solista, partecipando poi alla tournée d’addio alle scene del gruppo nel 2016.

Nel corso della carriera il gruppo ha venduto più di 100 milioni di dischi, record per un complesso italiano.”

FOTO DI MURI GRAFFIATI

Roberto Mosi è autore fiorentino. La sua silloge poetica “Promethèus” ci parla di muri di ogni parte del mondo, ma si

Promethéus. Il dono del fuoco - Roberto Mosi - Libro - Mondadori Store

capisce che il poeta è di Firenze, città orfana delle mura di cinta, sin dal “risanamento” del Poggi che voleva mutarla in capitale d’Italia, ma ricca di “muri privati” onnipresenti. Mura di ville che cingono le strette viuzze collinari tra piccoli bastioni che celano la vista dei giardini retrostanti, case dalle mura di pietra e dalle alte finestre. Una città troppo fortificata per poterci ambientare una storia di zombie, quelle creature semi-vive che nei film americani dilagano ovunque abbattendo fragili porte-finestre e vetrate senza imposte o inferriate.

Una città priva delle grandi periferie delle metropoli ma non per questo orfana del tocco irriverente dei writer, che lasciano i propri graffiti in sottopassi, lungo i binari della ferrovia o su edifici che sono quasi archeologia industriale.

Lo sguardo poetico dell’autore va, infatti, spesso proprio alle opere di questi artisti di strada.

Il titolo “Promethèus” rimanda alla mitica figura che diede il fuoco all’uomo, ma anche “l’idea del calcolo” e “il sistema dei segni tracciati”. Padre, quindi, dell’energia, della tecnologia ma anche della scrittura e, perché no, dei graffiti, della “fantasia dei colori” che riempiono “strade periferiche/ muri della ferrovia / sottopassi nell’ombra / saracinesche abbassate” in queste nostre “Città a misura d’automobile”. Sono quadri che “vivono dell’aria / delle strade, dei muri bagnati”.

Di quali muri ci parla?

Oltre a quelli di Firenze, quelli di Gerusalemme, di Berlino, del Messico, di Melbourne, di Rio de Janeiro.

Roberto Mosi (@poesia3000) | Twitter
Roberto Mosi, autore del GSF – Gruppo Scrittori Firenze

E chi si muove tra questi muri?

Ecco i pugili che “combattono miserie”, ecco “l’omino magro” che “esce dalla fogna”, “un grappolo di palloni in mano”, ecco che “il Giullare s’intrufola, follia / dei segnali / lo spray nella mano / la freccia stradale infilza un cuore / il Cristo pende dall’incrocio”.

Ecco i malati dei manicomi dipingere i muri delle loro case-prigione.

Ecco gli antenati dei writer all’opera nelle grotte di Lascaux.

Brevi poesie di grande forza visiva che sono fotografie. Del resto, si sente, il Mosi non è solo poeta, ma anche fotografo.

SCRIVER VERSI IN DUE E IN ESPERANTO

La produzione letteraria di Massimo Acciai Baggiani è quanto mai vasta e variegata, comprendendo saggi, romanzi, racconti, poesie e persino qualche canzone e spaziando dal mainstream, alla fantascienza, al fantastico di altra natura.

Fabio Strinati, poeta e musicista, contadino anarchico - RadioVeg.it
Fabio Strinati

Posso dire di conoscerla abbastanza bene, avendone letta gran parte, al punto di avergli dedicato un intero volume, “Il narratore di Rifredi”, che rappresenta la sua biografia letteraria oltre che una raccolta di scritti di altri su di lui, una piccola antologia di nostri scritti sul quartiere che ci accomuna, Rifredi. Opera che incredibilmente ha avuto ben due edizioni ed è persino arrivata in finale al Premio Vegetti 2020 (vincitore non proclamato ancora, causa covid-19).

Ho, dunque, letto già sue poesie, sia scritte da solo, sia in coppia con altri (strana cosa questa di scrivere poesie in coppia!). Ne è un esempio il volumetto A seconda di come volgo lo sguardo” scritto con Matteo

Massimo Acciai Baggiani, conoscitore di più lingue dal respiro universale |  Teatrionline
Massimo Acciai Baggiani

Nicodemo. Già allora mi stupii molto della possibilità di scrivere poesia in due. La percepisco come l’espressione di uno spirito e faccio fatica a vederla come opera congiunta di due menti. Eppure, i risultati non sono meno buoni. Massimo, comunque, ha scritto versi anche da solo, penso, per esempio, a “Esagramma 41”, ma anche a  “25 – Antologia di un quarto di secolo”.

Massimo non è nuovo alla scrittura di coppia o di gruppo in narrativa. Ha persino di recente portato a termine un round robin a 22 mani “Non siamo fatti per vivere in eterno”.  Il round robin prevede che qualcuno cominci una storia e altri la portino avanti. È questo il suo modo di concepire la scrittura a più mani. Così abbiamo fatto per realizzare l’ancora inedito “Psicosfera”: mi ha presentato l’inizio di un romanzo e mi ha chiesto di completarlo. Così sta realizzando una raccolta di racconti sul covid-19 con Renato Campinoti. Credo che lui inizi le storie e Campinoti le completi. Stessa tecnica fu usata anche per “A seconda di come volgo lo sguardo”. Forse anche per “Oltre la soglia, uno spiraglio” (Edizioni Segreti di Pulcinella, 2020), l’antologia scritta a quattro mani con Fabio Strinati, la tecnica potrebbe esser stata la stessa, anche se mi chiedo come ci siano riusciti, dato che ogni poesia si compone solo di pochissimi versi!

Ho trovato questi loro versi assai diversi da altri di Acciai che avevo letto. Di sicuro deve essere la mano di Strinati. C’è un accostamento ardito di termini, un uso sciolto delle frasi che in altre opere dell’Acciai non avevo notato.

Ecco, dunque, alcuni frammenti di versi come:

e lasciato in un angolo / ad ammezzire come un rantolo di ragno

con accanto una giovane preda di parola

Ora, famiglie indossano valigie costruite / con foto di siepi sforbiciate appena

il mio cavallo / pronto per il mattatoio

nel cielo assumono forme le rondini / i poemi i cognomi

sotto un cielo color di un dio indiano

rincorro un’ora sul mio polso tatuato

Traccia del mio bacio sul tuo cuore / di ciliegia

sulle note/ di un vecchio campo / o dell’albero di porcospino

si ravvivano rapide lucertole”.

Chi può dire chi dei due abbia scritto cosa, ma ritrovo di più Massimo in versi come:

I miei libri sono note a pié di pagina / di questo viaggio sulla bianca luna

ma oggi per viaggiare vado in biblioteca

Amazon.it: Oltre la soglia, uno spiraglio: Preter la sojlo, lumluko - Acciai  Baggiani, Massimo, Strinati, Fabio - Libri

verrà il tempo di partire, per ora son qua

ho viaggiato più anni luce / di quanti ne contenga l’Universo / e non sono arrivato da nessuna parte

Oggi, ho scarpe umide, bucate, piene di passi

Il viaggio è sempre stato un tema importante nella sua produzione.

Quando scrivono “Che fine ha fatto la ragazza con la valigia?” sento che alludono a un volumetto fotografico realizzato da Massimo Acciai con l’amico fotografo Italo Magnelli (alcune delle foto di questo volume sono sue, altre di Patrizia Beatini).

Di scuro è la voce di Massimo Acciai quella che parla di mesi del calendario francese, suo vezzo da tempo.

A un certo punto trovo citato persino il titolo alliterante del mio thriller “Ansia assassina” (penso che essendo i versi del 27/03/2018) Massimo doveva averlo già letto:

così nel mio letto io non dormo / tra sudore e ansia assassina”.

Il volume contiene numerose e suggestive foto in bianco e nero. Trovo molto inquietanti certe strane sculture che vi compaiono.

Completa il volume un racconto di vita vissuta di un viaggio di Massimo Acciai, narrata dall’amico Italo Magnelli “La tragicomica storia dei tortellini lituani”.

C’è da dire ancora almeno una cosa di questo volume, già singolare per tanti aspetti, che lo rende ancor più unico: le poesie sono in italiano, con testo a fronte… in esperanto!

Perché sia Massimo Acciai, sia Fabio Strinati sono esperantisti e l’antologia è stata scritta con il patrocinio dell’Associazione Esperantista Fiorentina”.

VOCI DALL’ESILIO DELLA PANDEMIA

Solo pochi mesi fa, a raccontarlo, nessuno ci avrebbe creduto, eppure il virus che ha segnato questo 2020, ha modificato il nostro mondo in modi Coronavirus: Volti e sguardi dietro le mascherine - Primopiano - Ansa.itche solo gli autori di fantascienza avevano immaginato, cassandre inascoltate, purtroppo.

Il covid-19 ha mutato, innanzitutto, i rapporti sociali, con le distanze di sicurezza, l’abbandono della stretta di mano, le mascherine, la “diffidenza sanitaria”, l’abitudine a disinfettare. Ha, poi, mutato il mondo del lavoro, trasformando un fenomeno ancora embrionale come lo smart working nella soluzione di ogni problema, facendo proliferare le piattaforme per conference on-line, spingendoci avanti nel processo di lavoro paper-less, verso la firma digitale e tante altre cose che erano nell’aria ma che non si pensava potessero diffondersi così velocemente… come virus! Meno rilevante, forse, c’è l’improvviso fiorire (fantascientifico anche quello) di monopattini a motore, sia di forma tradizionale, sia quelli più innovativi senza manubrio, frutto della paura del mezzo pubblico come fonte di contagio ma anche, spero, di una nuova sensibilità ambientale, nata proprio dal covid-19, che c’ha fatto capire che con la natura non è più tempo di scherzare e che molte altre brutte sorprese possono essere dietro l’angolo, se non ci diamo da fare.

Strano vedere le stelle in città. Forse meno smog?” scrive Anna Greppi in “Voci dall’esilio”. Già, perché quando tutto era fermo e le auto non circolavano, che aria fresca c’era in città, quanti animali per le strade e quante stelle in cielo! Il virus è stato anche questo, non solo i morti in ospedale, la gente malata e quella senza lavoro.

Tra le altre cose che la pandemia ha fatto fiorire, in un periodo in cui cinema, teatri e sale concerti erano bloccati, è stata la scrittura. Tanti amici scrittori hanno avuto più tempo per scrivere. Ovviamente in molti hanno voluto scrivere di questo male e dei suoi effetti. Io stesso, come gestore del blog del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, dedicai un week-end del blog a raccogliere racconti e poesie sul tema.

Il Circolo Banchina ha pensato di farne persino un volumetto, autoprodotto dal solito bravo e attivo Guido De Marchi. È stato intitolato “Voci dall’esilio” e i numerosi autori sono stati ridenominati collettivamente “I Pandemici”. Tra loro ci sono anche io, con due racconti che avevo, appunto, giù pubblicato sul blog del GSF: “La maschera filtrante” e “L’ultimo respiratore”. Tra gli altri autori, molti che ricordo dai tempi del Laboratorio di Scrittura di Liberodiscrivere, ci sono Francesco Brunetti, che ha curato l’introduzione, lo stesso De Marchi, Elisabetta Robert Castagnola, Giuseppe Delconte, Luigi Golinelli, Maria Gisella Catuogno, Carla Caselgrandi Cendi, Gisella Ruzzu, Maria Luisa Gravina, Francesco Staglianò, Mauro Gregori, Giovanna Olivari, Luca Oggero, Ernesto Torta, Maddalena Leali, Carlo di Francescantonio, Mabi Col, Michele Luigi D’Auria, Claudio Mucci, Lucia Marongiu, Anna Greppi, Rossano Segalerba e Vito Parisi.

Il volume non ha particolari divisioni, ma la prima parte è composta solo di poesie e la seconda di racconti.

Brunetti, nell’introduzione elenca una serie di problemi generati dal virus (psicologici, sociologici, sanitari, di comunicazione, politici, strategici, di libertà individuale) e spesso poesie e racconti che seguono esprimono in vario modo una situazione di disagio. Eppure, come accennavo all’inizio, come da ogni crisi, anche da quest’epidemia sono sorte molte interessanti opportunità.

Beffardo mi guata

il sole

di là dai vetri

e scruta l’esilio

mio in queste

quattro mura

Scrive Gudo De Marchi ed esprime tutto il disagio che accomuna molti degli autori.

Codesta quarantena è uno spaccamento esagerato” scrive addirittura Mabi Col, prima di lanciarsi in una riflessione su come il coronavirus colpisca soprattutto i luoghi più produttivi e inquinati. Un caso?

POESIE PRATAIOLE

Oggi ho scovato tra i libri ancora da leggere un libricino scritto e prodotto da Guido De Marchi e illustrato da Elena Pongiglione. Si tratta de “I racconti del prato”, una raccolta di allegre poesiole per bambini, tutte rigorosamente in rima e di 4 versi, che parlano con delicata ironia, in stile filastrocca, di animali e piante del prato. Le illustrazioni sono forse un po’ troppo raffinate per un bambino, ma i quadretti poetici sono graziosi e piacevoli.

De Marchi è poeta e pittore che conosco ormai da vari anni e che ha anche collaborato alla mia gallery novel “Il Settimo Plenilunio”.

Risultato immagini per i racconti del prato di Guido De Marchi"

ROSSO DI SANGUE

libro

Ho incontrato Vincenzo Gualano durante una presentazione collettiva di sette autori di Porto Seguro Editore presso la Laurenziana di Firenze Nova, dove ora organizzo alcuni incontri letterari.

Il suo “Lacrime rosse” è un libricino esile di poesie e aforismi. Durante quell’incontro Roberto Balò presentava il suo “Saga”, una raccolta di poesie fantascientifiche. Ed ecco che leggendo i primi versi di “Lacrime rosse” ho avuto la sensazione di trovarmi davanti a un altro singolare esempio di poesia di genere: “poesia horror”. Abbondavano, infatti, espressioni come “Il mio amore è un cranio”, “la mia solitudine è formata /dalla compagnia della mia parte malvagia”, “il mio stato d’animo sempre più macabro”, “come un cuore macabro che sorride per ironia”, “rivoltante come la mia bellezza che cammina sui / morti”, “i cuori marci che ha creato per odiare”, “farmi resuscitare da un viscido sepolcro”, “non aver paura, / dei fiori marci che ti regaleranno /e della tua giovane carne / che pian piano si sgretola”, “la lacrima rossa incomincia a sbiadire”, “La notte lugubre sovrasta le foglie”, “in agguato come la morte” e qui mi fermo ma potrei proseguire.

Andando avanti con la lettura, ho visto però che il tema della morte e del macabro non erano i soli di questi versi. Forte è anche quello dell’amore (ed ecco che torniamo su un terreno più consono alla poesia) (“dolce è il tuo sorriso avvolto da stelle”), della perdita dell’altro (“il vero amico della mia vita infantile”, “oh mio caro nonno / un tuo sorriso mi è mancato”, “rimembro subito il tuo volto pieno di luce”, “le tue ali mi sfiorano il volto”, “Dove sei? Dove sei?”) e forse di sé, del rapporto con il divino (“ogni mio dipinto è una preghiera”), dell’identità (“Voglio essere solo ciò che sono e non apparenza”), dell’arte (“Vorrei poter trasformare in Arte anche chi mi sta accanto”).

L'immagine può contenere: 1 persona

Vincenzo Gualano

Nella sua prefazione Massimo Acciai Baggiani ci ricorda come Gualano non sia solo un poeta, ma un’artista eclettico, dedito soprattutto alle arti visive. Singolare è come Gualano ne parla in “Come Re Mida”: “dovrò riuscire a trovare il modo / che tutto ciò che tocco diventi Arte e diventi denaro!”, “poter trasformare la mia passione in Arte / e di conseguenza in denaro!” Beata illusione, mi verrebbe da dire! Come se arte e denaro vadano a braccetto e non piuttosto si sfuggano. Sarà che per me l’arte (e la scrittura nello specifico) è l’opposto del lavoro e quindi della creazione di ricchezza, ma quest’idea di far soldi con l’arte mi ha fatto un po’ sorridere tristemente, pensando a quanto abbiano a penare gli artisti solo per rifarsi delle spese.

Un’opera di Vincenzo Gualano

Mi riconosco, invece, quando dichiara “per essere me dovete già nascere droga”, “Non c’è bisogno che mi droghi perché sono già io droga” o “sono in questo mondo solo per regalare emozioni” o, narcisisticamente, “Non seguo mai una moda perché sono già io la moda”.

QUALCOSA SI MUOVE A FIRENZE

libroQualcosa si muove a Firenze, in questa città che strenuamente resiste all’avanzata dei barbari dal nord, in quest’oasi che si oppone alla diffondersi del virus dell’ignoranza e dell’incomprensione.

Nel capoluogo toscano, alcuni anni fa, è nato un movimento di gente che ama i libri, la letteratura, la cultura e l’arte. È nata un’associazione che orgogliosamente e semplicemente si definisce GSF – Gruppo Scrittori Fiorentini, cui anch’io ho aderito, seppur con colpevole ritardo. Il Gruppo è attivissimo con un’agenda così piena che spesso più eventi si sovrappongono nella stessa giornata.

Nel GSF non ci sono solo scrittori o aspiranti tali, ma anche artisti di altro genere.

Nasce così l’idea di Chiara Novelli e Anna Pagani di mettere assieme arti visive e scrittura e realizzare così un “libro d’arte” che unisse le opere di cinque artisti (la stessa Chiara Novelli, con Nicoletta Manetti, Gianni L’Abate, Roberto Mosi e Raffaele Masiero) con degli scritti ispirati ai loro dipinti o fotografie, brevi racconti, pensieri in libertà e poesie. Gli autori abbinati a ciascun artista sono 5 e assieme costituiscono una sezione del volume (Nascita, Natura, Amore, Tempo e Viaggio), per un totale di 25 scrittori (Corinna Nigiani degl’Innocenti, Paola Vergari, Cristina Gatti, Giulietta Casadei, Massimo Maniezzi, Renato Campinoti, Claudio Raspollini, Benedetta Manetti, Daniele Locchi, Mirko Tondi, Michele Protopapas, Claudia Muscolino, Gabriella Campini, Maurizio Castellani, Eleonora Falchi, Fabrizio De Sanctis, Anna Crisci, Maila Meini, Margherita Pink, Nicola Ronchi, Antonella Cipriani, Francesca Pacchierini, Paolo Orsini, Vincenzo Maria Sacco).

La prefazione è di Giandomenico Semeraro, l’introduzione di Anna Pagani, la postfazione del presidente di ALA Marco Rodi, i ringraziamenti finali del presidente del GSF Vincenzo Maria Sacco.

Il progetto è stato realizzato dalla casa editrice consociativa livornese A.L.A. – Associazione Liberi Autori, in un album a colori di dimensioni A4, che raccoglie dunque 25 immagini e 25 scritti, in cui la compenetrazione reciproca è tale sia visivamente, sia con sfondi dei testi che riprendono le immagini descritte, sia con il ricorso, talora, a forme di scrittura visuale, sia per la natura quasi pittorica di molti testi. Ci troviamo, infatti, spesso di fronte a elaborati, in prosa come in poesia, che somigliano a quadri descrittivi, più che a narrazione di eventi.

Il volume, intitolato “La gioia di vivere” (quale sempre esprime questo vivace gruppo), rimane così davvero come un album di ricordi da conservare in libreria. La collana in cui compare e che è da questo volume inaugurata, si chiama appunto “Gli album”.

La lettura scorre veloce e facile sugli ampi caratteri scelti per rendere al meglio l’impatto visivo desiderato. Questa commistione di immagini e testi non può che ricordarmi la realizzazione delle due “gallery novel” (“Il Settimo Plenilunio” e “Jacopo Flammer nella terra dei suricati“) da me curate, facendo, però, realizzare le immagini in funzione dei testi e non viceversa come ne “La gioia di vivere”.

In bocca al lupo a tutti gli amici del GSF, con l’augurio di poter presto affrontare nuove avventure culturali.

FRAMMENTI CORALI DI DONNE IN UN INTERNO

All’apparenza, sfogliandolo, “La specialità di Dio” potrebbe sembrare un libro di poesie. Forse lo è, ma mi è parso più che altro una galleria di ritratti. Ritratti, però, non a tutta persona né a mezzo busto.  Piccoli particolari, dettagli, presi qua e là, che non mostrano la figura per intero, ma, non di meno, la descrivono e caratterizzano. Se l’artista che li ha realizzati si sofferma da qualche parte, più che sul volto, mi pare sia sui genitali. Nel senso che questi quadretti ci parlano spesso di sesso o quanto meno di rapporti tra uomini e donne.

La specialità di Dio”, opera scritta di Riccardo Olivieri, non è però soltanto poesia, né soltanto ritratti. Il ritratto presuppone, infatti, l’isolamento della figura o, come qui, del particolare della figura ritratto.

Olivieri, invece, ci dona un libro che ha la sua unitarietà corale nell’ambientazione, mai descritta ma che traspare dal narrato.

Si ha, infatti, la sensazione (e credo di non sbagliarmi nel pensare che questo fosse l’intento dell’autore) di trovarci all’interno di qualcosa di simile a un centro anziani, o meglio un pensionato per vecchie signore. L’autore è nato nel 1963, dunque troppo giovane per simili luoghi, ma vi colgo qualcosa di autobiografico, presumo legato a vicende familiari.

La figura cui le anziane ospiti si rivolgono potrebbe essere proprio lui. Spesso insistono nel notare il suo modo un po’ sciatto di vestire, e soprattutto Risultati immagini per riccardo olivieri specialitàl’uso ripetuto della solita giacca consunta. L’autore, per il poco che lo conosco, mi pare assai meno trasandato di così, ma tale qui si dipinge o dipinge il personaggio che questo luogo di riposo attraversa.

Sono, dunque, queste che udiamo le voci di donne che ricordano un passato più o meno vivace, ma certo più del presente, o che descrivono il proprio stato attuale.

Lo fanno con questa lievità che sa di piccola chiacchiera ma che sfocia nel poetico. L’effetto complessivo è di un coro che si solleva, non irruento o imponente, ma leggero e fragile, come deve essere in quanto fatto da voci che hanno ormai vissuto la maggior parte del proprio tempo.

Lettura veloce e piacevole, che tocca temi delicati di vita con garbata noncuranza.

 

 

Il volume sarà presentato lunedì 20 Maggio alle 17,00 all’ASD Laurenziana, in via Magellano 13R – Firenze Nova.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: