Archive for febbraio 2022

IL DIFFFICILE REGNO SICILIANO DI COSTANZA D’ALTAVILLA

Nei giorni scorsi, con l’idea di leggere qualcosa che potesse ispirarmi in merito alla possibile scrittura di una storia della famiglia, lessi “La sposa normanna” dell’australiana Margaret Moore, lettura piacevole ma per nulla istruttiva dal punto di vista storico, incentrata sulla storia d’amore immaginaria tra una nobile normanna e uno scozzese.

In realtà, il libro che avrei voluto leggere e ho ora letto, omonimo, era “La sposa normanna” di Carla Maria Russo, romanzo storico sulle vicende della monaca normanna Costanza d’Altavilla, che fu costretta a rinunciare ai voti per sposare Enrico VI di Hohenstaufen, detto il Severo o il Crudele (Nimega, 1º novembre 1165 – Messina, 28 settembre 1197), che fu re dei Romani (1190-1197), imperatore del Sacro Romano Impero (1191-1197) e re di Sicilia (1194-1197) col nome di “Enrico I di Sicilia”. Era il secondo figlio dell’imperatore Federico Barbarossa e della sua consorte Beatrice di Borgogna e fu costretto a sposare Costanza di Altavilla (Palermo, 2 novembre 1154 – Palermo, 27 novembre 1198), la figlia postuma del re normanno Ruggero II di Sicilia, erede designata del nipote Guglielmo II di Sicilia e reggente del medesimo regno per conto del figlio Federico II di Svevia e imperatrice consorte (come moglie di Enrico VI di Svevia).

Il romanzo narra in modo concreto e vivace come la donna fu costretta a rinunciare al convento, a sposarsi ormai trentatreenne con il diciannovenne Enrico, con il quale non ci fu mai un buon rapporto. La sovrana non riesce a dare al Regno di Sicilia e all’Impero un erede fino ai quarant’anni, quando nel 1194 diede alla luce colui che diverrà Federico II di Svevia. Lo partorisce in viaggio dalla Germania alla Sicilia, a Jesi, secondo Carla Maria Russo, perché il marito non credeva fosse davvero incinta e voleva assistere al parto, costringendola così a un viaggio in pieno inverno con una gravidanza a rischio, portandola quindi a partorire anzi tempo lungo la strada. Nel romanzo, per far sì che il parto non sia messo in discussione, vi fa assistere tutte le donne del villaggio e si mostra poi agli uomini mentre allatta in un toccante passaggio.

Carla Mareia Russo

Donna forte, appare nel libro, che affronta un marito distante ed egoista, che sostiene la nobiltà locale contro l’Impero e difende con le unghie il figlio Federico, pur dovendolo abbandonare bambino a quattro anni, per la propria morte prematura.

Vediamo poi come Federico, con l’appoggio del popolo, riesca a crescere e a ottenere il ruolo che gli spettava per nascita.

Lettura quindi ricca di informazioni, ben scritta, con personaggi ben caratterizzati e per giunta, quanto mai utili ai miei fini, dato che discendo proprio da una figlia di Federico II, che sposo un d’Aquino (famiglia di mia madre) e quindi, tramite lei, discenderei anche da questa “sposa normanna”. Una nobildonna sveva, Richina von Wolfsölden, sarebbe stata la madre di una delle figlie di Federico, Margherita di Svevia, nata intorno al 1230 (1227-1298 per altre fonti), che divenne poi moglie dal 1247 di Tommaso II d’Aquino conte di Acerra.

Tommaso II d’Aquino (nato dopo il 1225 – Palermo, 15 marzo 1273) è stato un politico italiano, figura di rilievo della cerchia di Federico II di Svevia, del quale divenne anche parente avendone, appunto, sposato la figlia naturale Margherita. In seguito, si allontanò dagli Hohenstaufen, abbandonando la causa ghibellina per aderire alla parte guelfa.

I d’Aquino erano una famiglia di antica nobiltà feudale e di origini longobarde, fedele agli Hohenstaufen e ferocemente avversa agli Altavilla normanni. Tommaso II era nipote per via paterna di Tommaso I d’Aquino.

Le parentele dei d’Aquino con i sovrani normanni non si limitano a queste: in seguito al matrimonio tra Sibilla d’Aquino, dei conti di Acerra, sorella di Riccardo, I conte di Acerra, e re Tancredi, i d’Aquino si imparentarono con i re Normanni di Sicilia. Riccardo d’Aquino, primo conte di Acerra, fu accanto a re Tancredi durante le lotte dinastiche per il trono di Sicilia e fu ucciso, come la moglie Sibilla, per ordine dell’Imperatore Enrico VI nel 1197.

Quanto a San Tommaso d’Aquino (Roccasecca, 1225 † Fossanova, 1274), era figlio del conte Landolfo feudatario di Roccasecca e di Teodora di Napoli probabile nipote di Federico Barbarossa. Dunque, ancora una volta la famiglia si sarebbe intrecciata con gli Hohenstaufen.

Di Carla Maria Russo avevo già letto l’interessante “Il cavaliere del Giglio” sulla famiglia Uberti e la battaglia di Montaperti.

BENE E MALE NON VANNO DIVISI

Un mondo da cui sia sradicato totalmente il Male e uno in cui non vi sia il Bene. Questa è l’estrema

distopia di Robert Sheckley (New York, 16 luglio 1928 – Poughkeepsie, 9 dicembre 2005) narrata nell’affascinate “Gli orrori di Omega” (The Status Civilization – 1960). Omega è un pianeta lontano in cui vengono deportati i detenuti, come un tempo facevano gli inglesi con l’Australia. Solo che per andare su Omega ai delinquenti viene cancellata del tutto la memoria. Gli rimane solo un ricordo vago di cosa sia la Terra e finiscono per immaginarla molto diversa da come è diventata davvero. Il protagonista Will Barrent si ritrova così all’improvviso nel più violento dei mondi, a dover superare in ogni momento micidiali prove per sopravvivere. È un mondo diviso in classi nelle quali si avanza sopravvivendo e poiché spesso si sopravvive uccidendo, l’assassinio è la principale forma di elevazione sociale.

Robert Sheckley

C’è però chi si ribella a questa situazione e cerca di superare difese inespugnabili e l’attraversamento dello spazio profondo per fare ritorno sulla Terra. Scelgono Will Barrent per salire su una nave carceraria diretta sul pianeta d’origine. Sarà lui a scoprire che lì vige una distopia persino peggiore di quella di Omega, un mondo omologato in cui tutti sono condizionati e hanno i propri poliziotti nelle loro stesse teste.

Sintomatico è il ruolo speculare delle due fedi che si sono sviluppate in ciascuno dei pianeti.

Apparirà chiaro che solo unendo di nuovo Male e Bene si potrà avere una civiltà equilibrata capace di riprendere una spinta vitale ormai persa.

Parlando di distopie del periodo classico si tende a elencare innanzitutto romanzi come “1984”, “Noi”, “Fahrenheit 451” o “Il mondo nuovo” ma anche “Gli orrori di Omega” mi pare quanto mai degno di apparire in tale elenco.

In quegli anni, insomma, non c’era solo l’utopismo asimoviano, anche se persino qui ci si illude ancora sul potenziale dei viaggi spaziali.

Romanzo, oltretutto, vivace nel succedersi di tante avventure, e con una visione creatrice tutt’altro che scontata, che immagina ben due mondi nuovi. Lettura ancora attuale e molto piacevole, pur a distanza di sessant’anni.

UN MOSCHETTIERE PER AMICO

Joannin” (Bertoni Editore, 2021) è il primo romanzo di Antonietta Toso, autrice nata a Rovigo che da

Amazon.it: Joannin - Toso, Antonietta, Caruana, Anthony - Libri

poco ha aderito al GSF – Gruppo Scrittori Firenze, città in cui vive, dopo un’interessante, lunga, esperienza australiana.

Ne è protagonista Giovanni Padovan, che conosciamo bambino con il soprannome di Joannin e vediamo crescere tra mille traversie. Perde la madre. Il padre, divenuto un ubriacone, lo abbandona nelle mani dell’amico Ernesto, padre vedovo di una bambina della sua età, Catia, di cui man mano s’innamora. Scoppia la Seconda Guerra Mondiale è, sebbene esentato, parte volontario come militare, ottenendo il rancore e il rifiuto del padre adottivo che lo chiama “assassino” per aver voluto sostenere le guerre di Mussolini, pur non essendovi costretto. Rancore che durerà negli anni e gli renderà difficile avvicinare ancora la bella Catia, che ama sempre più. La prende larga e per riavvicinarsi a Ernesto e ottenerne il consenso alle nozze diventa attivista del Partito Liberale, in cui il padre adottivo militava. Ma anche questo espediente non sembra bastare a farlo perdonare.

Accompagnano Joannin la fiducia astrologica nelle stelle e un amico immaginario, il forte e saggio moschettiere Athos, rubato dalle pagine di Dumas.

Nulla di strano che un bambino scelga un simile eroe come compagno, ma Joannin continuerà a parlargli nella sua testa anche da adulto, facendosi a volte scoprire e additare per questa sua piccola follia.

È diverso da come me lo rimanda la mia memoria infantile questo Athos. Per me i moschettieri erano soprattutto simbolo degli ideali di solidarietà e cameratismo con il loro celebre “Uno per tutti. Tutti per uno” e rispetto alle tre figure meno marcate dei moschettieri brillava assai di più il ribelle e coraggioso D’Artagnan. Questo Athos schizofrenico, invece, nella sua antica saggezza, lo consiglia ripetendogli che lui è unico e speciale. Certo, immagino sia quanto un orfano vorrebbe sempre sentirsi dire, ma è un messaggio un po’ egoistico per un moschettiere.

Joannin” appare dunque come la biografia di un ragazzo, ma soprattutto come romanzo di crescita e iniziazione, di volontà di superare le difficoltà e di realizzarsi.

Bastano poche soddisfazioni, peraltro, a far inorgoglire il nostro Joannin, come le mostrine da caporale e, infine, quelle da sergente maggiore, che lo fanno sentire importante. Molte sono, però, le avversità che deve affrontare, non ultimo il mal sottile, il morbo di Koch, la funesta tubercolosi, che tanti danni creò nel passato, che gli stronca la carriera militare e pare rischiare di fare altrettanto con la sua stessa vita. La sua amicizia schizofrenica con Athos lo porterà persino in manicomio.

Non è tipo, però, da sotterfugi e affronta la vita muso duro: “Sarebbe misero da parte mia cercare di ottenere cose con mezzucci e di nascosto. Devo essere libero di vivere la mia vita sentimentale come voglio, alla luce del sole” e continua sempre a inseguire l’amore della sua Catia, alfine convinto che “anche con le scarpe e gli abiti imbrattati di calce e di cemento lei gli avrebbe corrisposto. Comprese che l’amore non esegue calcoli né prende misure”. Un’illusione?

Una vita, un’avventura, un sogno, un desiderio di rivalsa: “Joannin” è tutto questo e altro ancora. Una prima opera intensa, densa e emozionante per quest’autrice che sono curioso di conoscere cos’altro potrà produrre.

Antonietta Toso | Genius Scuola di scrittura creativa
Antonietta Toso

L’AMORE IN SCOZIA AI TEMPI DEI NORMANNI

Ho letto “La sposa normanna” di Margaret Moore cercando un libro che parlasse degli usi e costumi dei Normanni, in vista della possibile scrittura di un libro sulla storia della mia famiglia, che vede, tra i tanti popoli da cui discendo anche loro. Leggendolo poi ho scoperto che non solo di Normanni si parla ma anche di Scozzesi e quindi potrei dire di aver preso due piccioni con una fava, dato che discendo anche da loro, se non che, a lettura ultimata, posso dire di non aver tratto spunto per nessuno dei due, a parte cose quanto mai ovvie che non avevo certo bisogno di leggere, tipo l’uso dei kilt.

Questo per dire che “La sposa normanna”, nonostante i suoi personaggi ha poco del romanzo storico e l’ambientazione è piuttosto vaga. Al posto di Normanni e Scozzesi potete metterci i popoli che preferite e le cose cambierebbero il giusto. Un buon indizio sul genere di appartenenza lo dà il fatto che sia stato pubblicato dalla Harmony.

Anche se ho mancato il mio obiettivo, questa è stata però un’ottima e piacevole lettura perché la bella sposa Marianne emerge pagina dopo pagina dal libro con una forte e precisa caratterizzazione, anche gli

Margaret Moore

altri personaggi sono ben delineati, la trama è avvincente e mentre ci si appassiona alle imprese degli sposi ci si affeziona anche un po’ a loro. Un libro, insomma, ben scritto.

Se mi pare ardito definirlo un romanzo storico, direi che è, invece una storia avventurosa e d’amore, in cui i protagonisti si ritrovano piuttosto spesso a fare l’amore, con trasporto e passione forse un po’ insoliti per quei tempi.

Ma di che anni parliamo? Il romanzo non ci aiuta, ma poiché si parla di Normanni che si stabiliscono in Scozia e le incursioni normanne si ebbero in questo territorio dopo la conquista da parte loro dell’Inghilterra, nel XI secolo, la datazione prende corpo. Guglielmo I, duca di Normandia, conosciuto più tardi come Guglielmo il Conquistatore, con la vittoria nella battaglia di Hastings del 14 ottobre 1066, stabilì il suo controllo sull’isola. Uno dei pochissimi riferimenti storici che vi troviamo è a Dunkeathe, feudo che re Alessandro II di Scozia avrebbe assegnato al fratello della sposa, Nicholas. Non sono però riuscito a individuare alcun Dunkeathe, mentre mi risulta che Alessandro II sia stato re di Scozia dal 1214 al 1249.

Il romanzo fa parte di una serie che prosegue con:

2) La dama in rosso

3) Il segreto del cavaliere

4) Il cavaliere errante

5) Un cavaliere senza terra

Qualche difficoltà ho avuto anche per trovare una biografia dell’autrice che dica qualcosa di più del fatto che sia canadese, laureata a Toronto in Letteratura inglese e che ha già pubblicato, dal 1992, un gran numero di romanzi.

Da notare che esiste con lo stesso titolo un’opera di Carla Maria Russo.

UOMINI COME PERIFERICHE DELLE I.A.

Ancillary Justice by Ann Leckie

Che dire di “Ancillary justice” (2013), il pluripremiato romanzo di fantascienza di Ann Leckie (Toledo, Ohio, 2/3/1966)? Lo sforzo di fantasia sottostante è del tutto apprezzabile: navi spaziale dotate di propria intelligenza e che usano esseri umani come periferiche-schiavi, le ancelle, in una galassia in cui l’umanità robotizzata combatte contro alieni ostili. La protagonista è una nave, la Justice of Toren, ormai distrutta, che trasferisce la propria mente-personalità in una delle sue ancelle e parte in missione attraverso l’Impero Radchaai, sembrerebbe per scoprire chi l’abbia distrutta e fare “giustizia”. Parrebbe che anche l’imperatore Radchaai abbia una mente multipla. Insomma, l’idea di queste menti articolate non sarebbe niente male. Tra l’altro la Nave non è la sola I.A. complessa ed è suggestivo quando cerca di fingersi umana e di ingannare un’altra I.A., quella più estesa di una Stazione spaziale. Va detto, infatti, che entrambe queste I.A. hanno poteri di controllo sui propri “abitanti” che violano le più minime norme di privacy.

Il risultato, però, mi è parso confuso. Forse colpa mia che non sono riuscito a entrare in sintonia con la storia, ma mi distraevo spesso e alla fine la trama non mi è ancora del tutto chiara. Mi pare una di quelle storie che si dimenticano poco dopo averle lette.

Ann Leckie

Leggo che una caratteristica di questo romanzo sia l’essere avulso dal concetto di genere sessuale, però continuo a vedervi maschi e femmine anche se prevale l’uso del femminile, e come femminili sono presentate le I.A., Nave e Stazione in primis. Problemi della traduzione? Da quel che leggo in inglese non va molto meglio.

Come questa casalinga americana possa aver racimolato, con questo suo primo romanzo, premi nientemeno come Hugo, Nebula, BSFA, Clarke e Nofus mi risulta misterioso. Dubito che leggerò il resto della trilogia.

FINALISTI PREMIO VEGETTI 2022

Quest’anno non avevo opere candidabili nella categoria romanzi per il Premio Vegetti della World SF Italia, il concorso per le opere di fantascienza italiana, ma sono molto soddisfatto di essermi classificato per i “Racconti” con “Le pietre di Marte” (Dimensione Cosmica, Tabula Fati 2020), una storia su forme di vita alternative a quelle animali e vegetali, che un po’ anticipa il romanzo di prossima uscita, scritto con Massimo Acciai Baggiani “Psicosfera“. Si potevano votare racconti pubblicati nel 2020 o nel 2021, anni in cui ne ho pubblicati vari, alcuni leggibili anche on-line: qui e qui.

Dimensione cosmica. Rivista di letteratura dell'immaginario (2020). Vol. 12:  Autunno. - Gianfranco De Turris - Adriano Monti Buzzetti - Libro - Tabula  Fati - | IBS

Sono poi tra gli autori di due belle antologie, anch’esse in finale nella relativa categoria, ciascun originale a modo suo:

Libro Contaminazioni - V. Piccirillo - Tabula Fati - Le ali della fantasia  | LaFeltrinelli
  • Soundscapes” (Edizioni Scudo, 2021) a cura di Luca oleastri e Giorgio Sangiorgi, un’anologia multimediale, in cui ogni racconto nasce da una musica e da ciascuno nasce a sua volta un disegno. Ho partecipato con il racconto post-apocalittico “Felpato“.
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Potete leggere tutti i finalisti di quest’edizione qui.

Grazie per chi ha votato per queste e per le altre opere.

NASCITA DI UN MONDO

Il vagabondo dello spazio by Fredric Brown

Leggo ora lo scandaloso “Il vagabondo dello spazio” (1957) di Fredric Brown (da non confondere con “Il vagabondo delle stelle” di Jack London), questo giallista prestato alla fantascienza, dove portò i suoi personaggi negativi e malavitosi, facendone degli strani anti-eroi spaziali. Il romanzo negli anni ’50 fu censurato e uscì tagliato. Oggi c’è poco che scandalizzi ancora. Qualcuno lamenta una visione del futuro un po’ datata con Venere e Marte abitabili, tanta carta, un mondo diviso tra capitalisti e comunisti, ma tutto ciò è marginale rispetto alla trama, che è quella di una bella avventura con protagonista un delinquente solitario, la cui mente deve essere azzerata e ricondizionata, ma che viene salvato da un politico e giudice ancor più corrotto di lui per usarlo in una difficile missione di recupero di un misterioso oggetto, che si rivelerà un disintegratore ma non utilizzabile come arma, capace invece di innescare la nascita di un nuovo pianeta nella cintura degli asteroidi, anche grazie al risvegliarsi di una misteriosa mente cosmica, un vagabondo dello spazio profondo che si unirà a questo piccolo vagabondo della Terra, per dare vita a qualcosa di nuovo. Alquanto surreale la velocità con cui il nuovo pianeta nasce, ma da prendersi così o buttare tutto.

Insomma, un personaggio con il suo spessore e una trama fantasiosa per un romanzo, per quanto un po’ datato, da leggersi in fretta e con piacere.

Analisi del racconto "La risposta" | Fredric Brown | amantideilibri.it
Fredric Brown

TESORO, MI SONO RISTRETTO

Tre millimetri al giorno. Con gadget - Richard Matheson - copertina

L’idea di un uomo in miniatura non è certo una novità in letteratura, basti pensare ai lillipuziani de “I viaggi di Gulliver” (1726) di Jonathan Swift, ad Alice che nel romanzo del 1865 di Lewis Carroll cresce e diminuisce di dimensioni mangiando biscotti e funghi, al sommergibile miniaturizzato con tutti i suoi abitanti per viaggiare nel corpo umano in “Viaggio allucinante” con cui Isaac Asimov anticipa la microchirurgia robotica o al film “Downsizing – Vivere alla grande” (2017) di Alexander Payne in cui la miniaturizzazione delle persone pare la soluzione per il sovrappopolamento del mondo.

Leggendo “Tre millimetri al giorno” (1956) di Richard Matheson però il pensiero mi è corso prima di tutto a “Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi”, il film del 1989 di Joe Johnston. Lo scenario domestico è, infatti, comune alle due opere. Nel romanzo a rimpicciolire è un padre di famiglia, nel film il padre scienziato, per errore, rimpicciolisce i figli. I mondi che i protagonisti miniaturizzati dovranno affrontare è quello domestico, che, quando siano le dimensioni di una formica o meno, può rivelarsi un mondo infido e pericolosissimo.

L’originalità di questa storia è che il protagonista Scott si riduce di dimensioni progressivamente e con una regolarità incredibile: tre millimetri al giorno. All’inizio la cosa quasi non si nota ma quando la sua altezza scende sotto il metro ogni giorno comporta una riduzione di dimensioni relativamente sempre più

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rilevante. Quando si ritrova alto 9 millimetri, capisce di avere davanti a sé solo tre giorni di vita. Mi sarebbe parsa più logica una riduzione proporzionata alle nuove dimensioni assunte ma forse in questo modo saremmo caduti nel paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga che non può mai esser raggiunta. Il protagonista viaggia invece, con ritmo regolare, verso l’annichilimento, anche se il finale riserva una sorpresa.

L’intera storia non pare avere solide basi scientifiche e pare più una vicenda surreale anche se il processo è spiegato con l’effetto congiunto di sostanze venefiche e radiazioni

Il romanzo segue una duplice trama: da una parte vediamo il protagonista nei suoi ultimi giorni di vita, combattere contro un ragno molto più grande di lui e affrontare analoghi pericoli dovuti alle dimensioni ormai ridottissime, dall’altra con una serie di flashback assistiamo ai momenti più rilevanti del suo rimpicciolimento. Sorprende un po’ come possa da alcuni essere confuso con un bambino solo per le sue dimensioni, come se non fosse evidente il suo aspetto adulto, tanto che prova ancora forti pulsioni sessuali e, a un certo punto, ha una relazione con una nana. Sarà, invece vittima di pedofili e bulli come un bambino qualunque.

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Il protagonista lotta sino alla fine per la propria sopravvivenza, senza mai perdere la speranza. È solo l’ultimo giorno, quando vi rinuncia, che trova finalmente la serenità. Mi è venuta allora in mente la frase che pronuncia lo scienziato che verso la fine della prima stagione della serie TV coreana “Non siamo più vivi” di Lee JQ, Chun Sung-il e Kim Nam-su afferma che la speranza è la più grande tortura, perché ci fa illudere di poter trovare una soluzione e ci struggiamo così inutilmente. La filosofia di Scott Carey non mi pare dissimile.

Nel complesso è, comunque, una storia avventurosa, coinvolgente e di assai piacevole lettura. Del resto, Richard Matheson (Allendale, 20 febbraio 1926 – Los Angeles, 23 giugno 2013) non è davvero l’ultimo arrivato. Suo è il capolavoro post-apocalittico “Io sono leggenda” (1954). Moltissimi i film tratti dai suoi libri e quelli da lui sceneggiati. Da “Tre millimetri al giorno” è tratto il film “Radiazioni BX: distruzione uomo”.

PICCOLI UOMINI CRESCONO

Ho già scritto molte volte come Stephen King sia un grande narratore dell’infanzia e delle sue paure.

Doctor Sleep. Ediz. italiana - Stephen King - copertina

Pare, poi, avere come motto i versi del poeta Alfonso Gatto “Ogni uomo è stato un bambino”. Anche quando parla di adulti non è difficile per il lettore immaginarli bambini e spesso King apre finestre sulle loro infanzie.

Alcune volte poi, King ci presenta dei personaggi da bambini e ce li ripropone poi da adulti. Esemplare in tal senso è il suo capolavoro “It”, in cui incrociamo i sette ragazzi di Derry nel 1957-58 e nel 1984-85.

Nel caso di “Shinning” (1977) il doppio piano temporale, 1975-76 e 2001, non nasce dall’inizio della stesura, ma si realizza con la pubblicazione del sequel “Doctor Sleep” (2013).

Se nel primo era protagonista l’intera famiglia Torrance, in “Doctor Sleep”, morto il padre, il figlio Dan assume un ruolo centrale. Come per “It” è occasione per mostrare il diverso approccio di un bambino e di un adulto verso l’orrore, ma anche per mostrarci come questi orrori dell’infanzia abbiano trasformato il ragazzino in un ubriacone, non privo però di voglia di riscattarsi e di notevoli poteri paranormali. Non poteva bastare a King il ricordo dell’infanzia di Dan per fare un romanzo: accanto a lui troviamo una bambina, Ambra, con poteri paranormali persino maggiori dei suoi.

Se l’Overlook Hotel era scenario e protagonista al contempo di “Shinning”, in “Doctor Sleep” ha ruolo assai minore. I veri nemici non vengono da lì ma dal Nodo, una banda di “vampiri d’anime” vaganti come zingari sui loro caravan, a caccia del “vapore” di ragazzini dotati di singolari doti ESP, da succhiare, torturare e uccidere o da assoldare tra le loro file.

Ambra, però, appare troppo potente, sebbene ancora bambina, per loro per entrambe le soluzioni: una

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nemica da distruggere. Toccherà a Dan Torrance cercare di aiutarla, superando le tentazioni dell’alcol.

Dal romanzo è stato tratto un film, che si collega di più a quello realizzato da Kubrick che al romanzo stesso, dato che il regista aveva reinterpretato la trama a modo suo, ma che nel complesso appare forse più attinente all’opera di King rispetto al suo precedente.

Certo vedere, seppure per poco, Jack Torrance con una faccia diversa da quella di Jack Nicholson fa un po’ effetto.

Se “Shinning” era soprattutto la storia di una casa stregata, “Doctor Sleep” somiglia di più a una storia di vampiri, sebbene questi succhia anima somiglino forse più a dei Mangiamorte della Rowling che al Dracula di Stoker. Del resto, non si nutrono neppure di sangue e vivono tranquillamente alla luce del sole.

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