Sono assai pochi i romanzi con il dono della semplicità e della profondità allo stesso tempo. Penso, ad esempio, a “Candide” di Voltaire, a “Il Piccolo Principe” di Saint-Exupery, a “Il Gabbiano Jonathan Livingstone” di Bach o a “L’Alchimista”di Coelho.
Un libro che, in qualche modo potrebbe essere aggiunto a quest’elenco è, forse, “Il Donatore” di Lois Lowry (Edizioni Giunti), romanzo pubblicato nel 1993 (all’inizio era intitolato “Il Mondo di Jonas“) e che sta ancora continuando la sua strada di successi, arrivando finalmente, nel 2010, anche in Italia. È il primo capitolo di una trilogia ed è prevista l’ uscita di un film ad esso ispirato (regia di David Yates, protagonista Dustin Hoffman o Jeff Bridges).
“The Giver – Il Donatore” è un romanzo di formazione e iniziazione. Descrive un mondo alternativo che all’apparenza si presenta come utopico, ma che rivela, approfondendone la conoscenza, una realtà fortemente distopica.
Come tutte le storie “essenziali” fa venire in mente molte altre storie importanti. Il primo raffronto che mi è venuto in mente è con “La fuga di Logan”, il romanzo di Nolan e Clayton Johnson in cui l’umanità vive in un mondo dorato da cui sono bandite vecchiaia e malattia. Nel mondo del il piccolo Jonas, il protagonista de “Il Donatore”, i vecchi esistono ma come nella Fuga di Logan vengono eliminati (prima di invecchiare), anche qui vengono “congedati” e mandati Altrove (tutti lo ignorano, ma questo vuol dire morire).
Come Logan, anche Jonas fuggirà alla ricerca di un mondo che viene dal passato.
Mi ha poi fatto pensare a “Fahrenheit 451” in cui la conoscenza del passato (i libri) è stata cancellata. Nella storia di Bradbury alcuni ribelli imparano interi libri a memoria per preservarli, nel “Donatore”, l’Accoglitore di Memorie preserva per la Comunità tutte le memorie, piacevoli e dolorose.
La cerimonia dei Dodici Anni, per la scelta del mestiere futuro, mi ha invece fatto pensare al Cappello Parlante di Harry Potter.
Successivamente ho letto “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, una distopia che mi ha a sua volta ricordato questo libro per l’ambientazione asettica e per la strana infanzia dei protagonisti.
Ma lasciamo da parte le somiglianze e diciamo invece cosa rende speciale questo libro: ci mostra un mondo forse immaginario, forse futuro, in cui tutto è reso uniforme e armonico, dove per cancellare il Dolore è però stato cancellato anche il Piacere, in cui persino i colori sono stati cancellati, in cui non c’è più la musica, in cui le passioni (le Pulsioni) sono state represse con apposite pasticche. Le famiglie sono costruite con precisione: a ogni coppia vengono assegnati un figlio maschio e una figlia femmina.
Ogni anno i bambini superano dei riti di passaggio, mediante i quali passano a uno stadio successivo, fino al dodicesimo anno. Dopo saranno adulti e gli anni non si conteranno più.
Chi però sbaglia o invecchia viene “congedato”.
Il protagonista Jonas, alla sua cerimonia dei Dodici Anni riceve l’onore di essere designato come il solo Accoglitore di Memorie della Comunità. Verrà istruito dal Donatore. Inizia così la sua formazione. Ed è un’iniziazione alla Vita, con tutti gli aspetti che agli altri membri della comunità sono preclusi: conoscerà le memorie perdute di un mondo simile al nostro, in cui ancora esistevano le variazioni del clima, le guerre, l’amore, le passioni, la fame, la solitudine, la tristezza.
Jonas capirà che il suo mondo piatto e perfetto, in realtà non perfetto per nulla, perché non c’è piacere senza dolore.
Questo piccolo e veloce romanzo ci fa dunque riflettere sul senso del nostro mondo, del nostro vivere quotidiano, sul nostro desiderio di mondi migliori e ci insegna che questi non possono esistere, perché un mondo senza difficoltà, senza problemi è un mondo falso e vuoto e le vite che vi potranno esser vissute non avrebbero senso.
Solo riappropriandoci della piena conoscenza delle cose, possiamo davvero capire chi siamo e cosa vogliamo.
Come le grandi distopie, da “Il Mondo Nuovo” di Huxley a “1984” di Orwell, anche “Il Donatore” ci mette in guardia da quelle tendenze politiche che vorrebbero offrirci un mondo “ripulito”. I roghi di libri non c’erano solo nel romanzo di Bradbury, anche i nazisti fecero grandi falò in piazza per bruciare “libri comunisti”, anche l’Inquisizione ha messo al bando dei testi, anche l’Opus Dei ha elenchi di libri proibiti. La censura continua a essere una realtà che assume diverse forme.
Non dobbiamo, allora, mai smettere di leggere, di documentarci, di acquisire conoscenze, qualunque esse siano, perché anche noi siamo “Accoglitori di Memorie” e se smetteremo di accoglierle, queste moriranno. Ma anche questo non basta: dobbiamo poi diventare “Donatori” e avere la capacità di trasmettere le nostre conoscenze, di moltiplicarle e di farle germogliare, in modo che diano nuovi frutti.
L’omogeneizzazione (la globalizzazione) uccide la cultura e con questa la creatività e la varietà del mondo. Quando una lingua muore, con essa muore una cultura e tutto ciò che in essa è stato detto e scritto. Stiamo andando verso un mondo in cui molta memoria sarà persa, perché le lingue e le culture che le hanno custodite sinora si stanno confondendo della cultura globalizzata, sempre più uniforme. Va fatto ogni sforzo per preservare la varietà, pur godendo dei benefici di un mondo in forte connessione, dove ogni messaggio può arrivare ovunque, diffondersi e germogliare.
Archive for ottobre 2011
29 Ott
IL DONATORE DI CONOSCENZE
12 Ott
IL PICCOLO DRAGO DI STOKER
Il romanzo “Dracula” di Bram Stoker, fece la sua comparsa nelle librerie il 26 maggio 1897, ottantuno anni dopo la scrittura de “Il vampiro” di Polidori e centotto anni prima di Twilight. Cronologicamente si pone dunque a metà della storia del romanzo gotico con protagonisti i vampiri, ma è sicuramente l’opera più nota di questo genere e quella cui maggiormente gli autori successivi si sono rifatti in seguito.
“Dracula” (che significa in realtà “piccolo drago”) è diventato sinonimo di vampiro. Se Polidori aveva delineato molti dei caratteri fondamentali del personaggio, Stoker completa l’opera, dotando il Conte Dracula di poteri sovrannaturali quali la capacità di mutare forma (assumendo, in particolare, quella di pipistrello e di nebbia), la forza sovrumana e l’agilità estrema (è capace di arrampicarsi a testa in giù per i muri del castello). Come per Polidori, anche per Stoker il vampiro necessita del sangue umano per sopravvivere. Le sue vittime sono attratte da lui e, alla fine, si mutano in vampiri.
Stoker ci mostra anche molte delle debolezze del vampiro: la sua mente è tornata infantile e impiega secoli per tornare a capacità intellettuali da adulto. I suoi poteri di trasformazione di giorno non esistono e dopo l’alba è costretto a tornare a dormire su terra sconsacrata. Vive, da non-morto, in eterno, ma si consuma per la mancanza di sangue e può essere ucciso mediante il taglio della testa e un paletto piantato nel cuore. L’ostia e le croci lo tengono lontano e gli impediscono persino di tornare nella sua terra sconsacrata.
Il romanzo di Stoker non è però solo interessante, come potrebbe essere il caso di Polidori, per la sua rilevanza nella storia di questo genere di romanzi, ma anche perché è una bella narrazione, che si legge con piacere ancora oggi, a oltre un secolo di distanza da quando fu scritta.
Certo ha molte delle caratteristiche del romanzo razionalista ottocentesco, ma si caratterizza anche per una struttura narrativa di un certo interesse, per l’alternarsi delle voci narranti e delle forme narrative. Si passa, infatti, dalle pagine del diario di Johnatan Harker, alle lettere di Mina e Lucy, ai diari degli altri personaggi. Non mancano poi alcuni brani che assumono addirittura la forma del telegramma o della nota.
Di discreto spessore poi sono i vari personaggi e memorabile rimane la figura del Dottor Van Helsing, al punto che ci si domanda chi sia veramente il protagonista di questa storia: il Conte Dracula o uno dei suoi avversari.
Mi ha colpito la forte razionalità di Stoker nel descrivere una vicenda così innaturale. Mi chiedo come avrebbe potuta descriverla un autore quasi contemporaneo ma più visionario come Lovecraft. La componente religiosa è importante e contribuisce a chiarire senza troppi dubbi dove sia il male e dove il bene, cosa che con vampiri a noi temporalmente più vicini si è un po’ persa: per Stoker il vampiro (e con lui le sue vittime) è un dannato, un essere per il quale la morte non può che essere un sollievo.
Un appunto in merito alla mia edizione (Barbera Editore): c'è qualche refuso di troppo e non sono stato troppo convinto dalla scelta di tradurre il cockney con sgrammaticature.
Firenze, 08/04/2010
Leggi anche:
– Perché scrivere di vampiri e licantropi nel terzo millennio?
– "Il vampiro" di John W. Polidori
– "Il Vampiro" di Franco Mistrali
– Tutti i post su "Il Settimo Plenilunio"
– "Karpat Infinite Love" di Karinee Price
– Vampiri – N. 5 di IF – Insolito & Fantastico
– Oltretomba – N. 2 di IF – Insolito & Fantastico
– "Il Settimo Plenilunio <!–
–>" di Carlo Menzinger, Simonetta Bumbi e Sergio Calamandrei
– "Bestiario stravagante" di Massimiliano Prandini
– "Twilight" di Stephenie Meyer – l'amore ai tempi dei vampiri
– "Werewolf" di Francesca Angelinelli
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11 Ott
Il mio primo Camilleri
Camilleri è uno di quegli autori di cui ho sempre sentito parlar bene ma che non mi ero mai deciso di leggere per una sorta di doppia repulsione verso i romanzi gialli, in specie quelli che hanno per protagonista un Commissario (come il celebre Montalbano ideato da questo autore), e verso i libri scritti in dialetto.
Scrivere in dialetto mi pare un’assurdità: perché usare una lingua che solo in pochi capiscono? La sola risposta logica mi è sempre parsa: per non esser letti altro che da chi quella lingua la conosce. Una scelta elitaria e snobistica che già mi rende antipatico l’autore, senza neanche averlo letto.
Se poi il dialetto è uno di quelli “estremi”, tipo il siciliano o il bergamasco, allora preferisco leggere un libro in spagnolo, che non ho mai studiato: il mio grado di comprensione è simile.
Oggi poi che anche l’italiano rischia di morire, sostituito dall’inglese o magari dal cinese, usare i dialetti, mi pare un po’ un modo per scavargli la fossa, per togliergli terreno sotto i piedi e far vacillare di più la nostra lingua madre sotto le spinte sempre più violente dei nuovi idiomi della globalizzazione.
Detto ciò però, siccome sono convinto che, se un autore piace a tanti, deve avere qualcosa percui merita leggerlo, approfittando del fatto di avere in casa una copia de “La pensione Eva” di Andrea Camilleri, mi sono infine fatto forza e ho deciso di leggerlo.
Se non altro non era uno della serie con Montalbano!
Come speravo, per fortuna, la lettura si è rivelata piacevole e agevole. Innanzitutto perché il dialetto usato non era poi così difficile da comprendere e, soprattutto, perché, in effetti, Camilleri è uno che sa scrivere.
La prima parte del romanzo ci racconta la scoperta dell’amore e del sesso (soprattutto di questo) da parte del protagonista Nené. Questa scoperta è legata ai misteri (per un ragazzino) che si celano in una casa d’appuntamenti come la Pensione Eva. Ho trovato queste prime pagine molto vivaci e intense.
Il romanzo poi, verso la metà, lascia un po’ in disparte Nené per occuparsi di altri avventori del bordello. Si trasforma quindi, purtroppo, in una raccolta di racconti (gradevoli e simpatici ma pur sempre racconti), facendo perdere al romanzo la sua unità narrativa.
È vero che il titolo del libro è “La pensione Eva” e non “Nenè” e che quindi la vera protagonista della storia è questa casa di piacere, ma dirottare una storia su personaggi secondari non mi è parsa una gran prova di stile. Questo però è un po’ un giudizio da addetto ai lavori, perché il libro, nel complesso, mi è piaciuto e l’ho divorato in poco tempo, sempre con il desiderio di riprenderlo in mano ogni volta che lo lasciavo.
Firenze 25/02/2010
1 Ott
Leggo mentre guido
Due o tre settimane fa mi sono deciso ad acquistare un lettore di e-book. Per la cronaca ho scelto “IBS Leggo”, il modello distribuito da InternetBookShop. Era un po’ di mesi che pensavo di dover trovare un supporto per la lettura di testi elettronici e l’uscita dell’I-pad mi aveva molto stimolato in tal senso. Il prodotto della Apple però offriva troppi gadget rispetto alle mie esigenze. Ero infatti convinto che un simile strumento mi sarebbe servito solo per la lettura. Avevo però (ed ho ancora) un buon centinaio di libri su carta che ancora mi riprometto di leggere. Mi pareva dunque prematuro un simile acquisto. Contavo di smaltire prima la pila cartacea. Con il passare del tempo, pur senza volerlo, mi sono ritrovato ad avere anche una ventina di e-book. La lettura al computer non era l’ideale e ne ho letto in tal modo uno solo. Il loro crescere di numero mi ha così indotto a riflettere ancora sul prodotto. Escluso il mondo troppo raffinato dei tablet, mi sono allora concentrato sui più concreti e pratici e-reader (o ebook–reader).
Qualcuno li rifiuta con l’idea che la carta sia un’altra cosa, ma questo concetto romantico non mi ha mai turbato troppo. “IBS Leggo” non è certo il massimo della tecnologia. Ha uno schermo in bianco e nero (ma la tecnologia e-ink in effetti non affatica la vista più di un libro cartaceo), non dispone ancora del software per le note e le sottolineature (spero arrivi presto, perché è importante) e non aveva un dizionario (che ho installato da me in modo facilissimo). Ha però una caratteristica che conoscevo ma che al momento dell’acquisto avevo del tutto sottovalutato, non pensando l’avrei mai usata: la voce sintetica. IBS Leggo è infatti in grado di leggere ogni tipo di file (non solo i formati specifici come l’epub, ma anche i doc, i pdf e i txt) mamma con il bambino, con una vocina sintetica che ricorda i più comuni navigatori satellitari. Anche qui ci sarebbe da lavorare sul software, perché ogni tanto ci scappa qualche accento del tutto sbagliato anche sulle parole più comuni (tipo “albéri” e “lampàda”) e le parole in altre lingue vengono lette alla “italiana”. Questo piccolo gadget però mi ha totalmente conquistato. Come lettore cerco di sfruttare tutti i momenti possibili della giornata e per vari anni ho letto nei mezzi pubblici, soprattutto corriere e autobus, in cui ho trascorso varie ore. Da circa un anno non avevo quasi più quest’opportunità dovendomi muovere ora in auto. La voce sintetica d’un tratto mi ha regalato quaranta minuti giornalieri di lettura in più! Accendo il lettore e questo comincia a leggere per me mentre guido, senza ovviamente doverlo guardare. Dato che riconosce anche i testi word, posso farmi leggere anche relazioni o altri elaborati scritti per lavoro. Con un auricolare posso fare lo stesso camminando per strada. e per leggere intendo come potrebbe fare una
Già questo è per me sufficiente a indurmi a mutare radicalmente i miei orientamenti nel tipo di supporto per i libri. Se poi si aggiunge la possibilità di aumentare la dimensione dei caratteri, per chi come me che, causa l’avanzare dell’età, deve ora usare due diversi tipi di occhiali a seconda che legga o cammini, significa poter continuare a leggere anche senza indossare gli occhiali corretti!
E che dire poi della possibilità di immagazzinare fino a 15.000 libri (1.500 senza la scheda micro SD) in un supporto con le dimensioni di un tascabile? Ne ho già sperimentato i vantaggi in un viaggio in treno: finito un libro ho potuto scegliere sul momento quale altro iniziare, senza dovermi appesantire portandomi dietro due volumi.
Quanto poi alla lettura di certi romanzi immensi che non si sa come reggere o che appesantiscono la borsa? Nessun problema: il supporto non cambia dimensioni con il crescere del numero delle pagine.
Temevo che scaricare i libri fosse operazione lunga, ma un romanzo si scarica nel tempo in cui si fa il download di una singola canzone.
Immagino poi come potrà cambiare in meglio la vita per gli studenti delle scuole: un singolo e-reader in borsa invece di sette libroni e due vocabolari! In più potranno portarsi anche l’enciclopedia, senza nessun problema per la schiena.
Insomma, il mondo della lettura sta cambiando radicalmente, anzi è già cambiato del tutto. Tornare a leggere libri su carta per me è ora quasi difficile come tornare a guidare un auto con il cambio manuale, dopo averne guidata una con cambio automatico. E sono più di quaranta anni che leggo, figuriamoci chi impara ora a farlo. Le nuove generazioni non toccheranno carta e schiferano i vecchi libri come oggi, nell’era del 3D e degli effetti speciali, schifano i vecchi film in bianco e nero!
Si aprono nuove prospettive anche per gli autori, ma di questo parleremo un’altra volta.