Archive for ottobre 2022

LA NASCITA DEI MONDI DIVERGENTI DI DE FILIPPIS

Leggendo “Toba” (Lastaria Edizioni, 2021) di Bruno De Filippis (1953) avevo scoperto molti punti in comune tra la sua opera e le mie, in particolare l’idea ucronica di universi divergenti, in cui l’evoluzione e la storia umana abbiano preso corsi diversi. In “Toba” si parla di Terra 1, Terra 2, Terra 3 e Terra 4 per definire i mondi in cui si sono sviluppate alcune di queste linee temporali/ universi divergenti.

Incuriosito, sono dunque risalito alle origini della scrittura di De Filippis leggendo il suo primo romanzo “Cheronea” (Lastaria Edizioni, 2018) vi ritrovo non solo la medesima attenzione per gli eventi geologici (vulcani in “Toba”, terremoti in “Cheronea”) ma soprattutto il primo di questi mondi divergenti, Terra 2, un ambiente più evoluto e con diverse forme organizzative soprattutto per quanto concerne la famiglia e i matrimoni. In particolare, per esempio, immagina famiglie che definisce, coppia, doppia coppia, poker e tris a seconda di come siano combinate. In questo dimostra assai più fantasia, per esempio di Lois McMaster Bujold nel suo “Barrayar” e mi fa pensare alle differenze da me immaginate in “Via da Sparta”, anche se non si spinge alle fantasie di “Middlesex” di Jeffrey Eugenides o a immaginare i mutanti trisessuati di “Una favolosa tenebra informe” di Delany. Non posso poi non pensare  alla riflessione sul sesso libero, sulle limitazioni imposte alle sessualità dalla società e dalla struttura familiare, sulla libertà di andare in giro nudi (magari tatuati) che sembra anticipare la rivoluzione culturale del 1968, presente in “Straniero in terra straniera” di Robert Heinlein o ricordare, per le sessualità aliene, il mitico “Neanche gli Dei” di Isaac Asimov o “Il ritorno di Ender” di Orson Scott Card. Lo stesso Robert Heinlein, peraltro, descrivendo in “Lazzarus Long, l’immortale” un mondo futuro, cerca di mostrare soprattutto la differente morale di una società in cui il sesso sia libero (“La seconda nozione in ordine di assurdità è che l’accoppiamento sia peccaminoso in se stesso”), con famiglie allargate e serene, una nudità disinibita, liberi incesti, che molto mi fa pensare a questo “Cheronea”. Vorrei infine ricordare, in tema fantasessualità, “La mano sinistra delle tenebre” di Ursula Le Guin con la sua idea di un popolo in cui tutti sono nel corso della propria vita sia maschi che femmine, divenendo l’uno o l’altro solo in certi periodi.

Come mai De Filippis e altri autori si interrogano su formule familiari alternative? Io credo, che il calo

Bruno De Filippis

della natalità che porta a coppie con un solo figlio e a volte senza neppure quello, stia mettendo in crisi il concetto di matrimonio come istituzione. È bene interrogarsi su alternative. La morte della famiglia patriarcale, con tanti figli, fratelli, zii e cugini che, talora vivevano persino sotto lo stesso tetto o comunque a distanze ravvicinate è ormai morta. Non abbiamo più il supporto di vere famiglie estese. Spesso i pochi componenti delle famiglie moderne cambiano città o addirittura nazione, in una diaspora che crea solitudini e abbandoni. Le doppie coppie, i poker e le altre combinazioni suggerite dal gioco delle carte possono aiutarci a ritrovare una nuova dimensione solidaristica per la famiglia.

Non solo di questo parla “Cheronea”. Terra 2 è divisa in due diverse culture, dell’Est e dell’Ovest, diverse tra loro, soprattutto politicamente. Non mancano forme religiose alternative come una sorta di culto dell’evoluzione e dell’amore universale.

Ci sono persino strani mutanti, i cosiddetti animali doppi (gatto-topo, zanzara-ragno e così via) e persone prive di naso e orecchie, per effetto delle radiazioni.

Come in “Via da Sparta” con i Riti della Catarsi vengono uccise le persone di più di 55 anni, così in “Cheronea” per chi supera gli 80 o 81 anni (a seconda se viva all’Est o all’Ovest) l’eutanasia è la sola strada.

Tanti temi su cui riflettere!

Infine, un’ultima suggestione mi viene dal fiume che rappresenta una spaccatura dello spazio tempo, che mi ha richiamato alla mente “Il fiume della vita” di Philip Josè Farmer (con un misterioso fiume lungo cui sono disseminati uomini di ogni etnia ed epoca) ma anche “Il tempo è come un fiume” di Franco Piccinini.

Cheronea”, che può considerarsi un’ucronia con il suo punto di divergenza ai tempi dell’imperatore Commodo è, insomma, un romanzo intrigante, ricco di suggestioni e spunti di riflessione, che mi spinge ora a leggere anche il secondo romanzo di De Filippis!

BANALE FANTASESSUALITÀ SOCIOLOGICA

Barrayar” (1991) di Lois McMaster Bujold (Columbus2 novembre 1949) è il terzo volume della saga fantascientifica dei Vor. Volume che mi è parso piuttosto noioso e inutile. Argomento centrale è la differenza nell’organizzazione sociale dei pianeti Barrayar e Beta per quanto concerne matrimonio, procreazione ed equitazione. Ci si concentra proprio e solo sugli aspetti organizzativi, senza dire nulla che non si sia già visto, non solo in letteratura ma anche nella realtà e senza immaginare nulla al di là dell’amore eterosessuale per quanto riguarda il sesso. Nulla delle infinite sfumature del LGBT. Su un pianeta si partorisce in modo naturale, nell’altro le gravidanze sono meccanizzate, in uno ci si sposa per amore, nell’altro per accordi politici. Se poi come corredo di questo assetto sociale si scopre che in uno dei due mondi le donne non possono entrare nell’esercito e nell’altro sì, non è che ci si sorprenda in alcun modo.

D’accordo, tutta questa disquisizione su matrimonio e procreazione è corredata anche da un po’ di lotta

politica per la conquista del trono imperiale, ma dov’è la fantascienza? Non basta parlare di mondi alieni. Le stesse cose potevano essere raccontate ambientandole sulla Terra. Magari in un’ucronia che potesse giustificare le differenze (come vi pare invece, per esempio, “Via da Sparta”, in cui le differenze della vita sessuale nascono da precise motivazioni culturali?).

Decisamente meglio i precedenti “Gravità zero” e “L’onore dei Vor” (almeno hanno qualcosa di fantascientifico), anche se nessuno di questi lo metterei tra i miei romanzi di fantascienza preferiti.

LA MODERNITÀ DELLA FANTASCIENZA INDIANA

Acquistai una copia di “Avatar – Indian Science Fiction – Fantascienza indiana”, curato da Francesco Verso, allo stand di Future Fiction presso la fiera del fantastico Stranimondi 2021. È un singolare volume per metà in inglese e per metà con la traduzione italiana di racconti fantascientifici scritti da autori indiani, con particolare attenzione alle “questioni impellenti dei nostri tempi, soprattutto nei settori dell’informatica e della tecnocultura, così come della biotecnologia” (come si legge nell’introduzione di Tanur K. Saint).

Il titolo “Avatar” fa riferimento oltre che all’alter-ego dei videogiochi alla “discesa di una divinità sulla terra e in particolare ciascuna delle 10 incarnazioni del Dio Visnù”.

L’introduzione ci spiega che “la fantascienza indiana acquisì, invece, soprattutto dopo l’indipendenza, una spinta pedagogica, cercando di rendere popolari le idee scientifiche mettendo il concetto di autosufficienza alla base della storia, o raccontando una storia con alla base un problema scientifico”. Rilevanti appaiono le “preoccupazioni etiche”.

Il primo racconto “L’uomo della quintessenza” di Anil Menon solleva problematiche connesse al controllo pervasivo dell’identità, con i molteplici sistemi di tracciamento delle persone già tipico dei nostri tempi. Il protagonista Mann “non poteva essere localizzato perché non era possibile collegarlo a un identificativo unico e permanente. In altre parole, Mann, non aveva quintessenza”. La sostanza della storia e quasi quella di un giallo in cui si cerca di “localizzare qualcuno che non può essere localizzato”.

In “Microbiota e le masse: una storia d’amore” di S.B. Divya, la protagonista vive isolata da anni in un proprio microbiota, per difendersi da microbi, batteri e inquinamento del mondo esterno. Come si regolerà quando l’amore la spingerà a spezzare questo suo isolamento?

Il bel racconto “Comunitari” di Shikhandin mi ha fatto pensare ai “Costruttori” (in “Apocalissi fiorentine”, Tabula Fati 2019 e ProgettandoIng-Costruzioni, Gen-mar. 2016), con questa dilagante invasione verde, ma qui è la vegetazione della Terra stessa a dilagare e a far trasformare in vegetale tutto ciò che era animale, uomini compresi, in una storia non priva di poeticità nel suo lanciare l’allarme verso il degrado ambientale.

Nella storia di Vandana Sing, “La rete di Indra”, (“la rete cosmica assoluta in cui ogni nodo rispecchia l’intero”) ci parla dell’utopica costruzione di Ashapur, la Città della Speranza, costruita a imitazione di una rete micelica, una rete fungina, una miconet, con una rete energetica intelligente che pare quasi assumere autocoscienza. “Una rivoluzione che potrebbe salvare la nostra terra dall’emergenza climatica” realizzata da un gruppo di brillanti studenti, pronti a “distruggere vecchi paradigmi quasi tutti i giorni.

A New Singapore vivono i climies, le climate victims di uno tsunami che ha distrutto Old Singapore nel 2023. Non solo loro, a dir il vero: “New Singapore è la prima società al mondo composta interamente di individui dal patrimonio netto ultra alto e dalle loro famiglie”. A New Singapore “religione, sesso, credo, nascita, razza non significano nulla”. La protagonista di “Sostituzione” di Rimi B.Chatterjee vi arriva con una borsa di studio per studiare medicina con il suo idolo il Dottor Shankar che, tra le altre cose ha creato “un vaccino progettato per assicurarsi che dopo averlo preso, un uomo abbia in prevalenza figli maschi”, per risolvere il problema della sovrappopolazione, riducendo il numero delle “riproduttrici” a vantaggio dei “produttori”. La ragazza si trova a salvare il progetto del suo idolo, ma costretta a un radicale cambio di look.

In “Upgrade” di Manjula Padmanabhan, un’anziana signora si trova a dover sostituire la cuoca morta con un domestico robotico che prima rifiuta ma di cui poi scoprirà insospettabili pregi che le cambieranno la vita.

La “Madre” del racconto di Shovon Chowdhury è una sorta di Grande Fratello digitale, amorevole e pervasivo, che ha plasmato il proprio essere studiando 60 milioni di madri, un software nato come sito di incontri, che ora controlla l’intera società come una vera madre ossessiva con i suoi consigli, le sue regole e le sue imposizioni.

Con “Messo in PausaPrya Sarukkai Chabria ci racconta di un futuro molto lontano in cui su una Terra devastata l’umanità si nascose nelle profondità marine evolvendosi artificialmente in una specie di cozze senzienti. Quando la vita non fu più possibile neanche in quegli abissi riversò le sue conoscenze in una Testa, dall’esistenza sospesa, in attesa del ritorno a un ambiente adatto a rigenerare la vita.

Ne “La via della setaGiti Chandra ci spiega come sia stato possibile nel 2241 d.C. ritrovare sulla Luna i resti di un cinese del 241 a.C. e delle incredibili proprietà di una seta geneticamente modificata. Difficile non pensare ad analogo ritrovamento ne “Lo scheletro impossibile” (1977) di James Patrick Hogan, ma diversi sono gli sviluppi.

Quest’antologia, ricca di sogni distopici in cui si celano aneliti di speranza, sebbene all’apparenza non troppo dissimile da altre antologie fantascientifiche occidentali, ha un respiro diverso, risente di un’antica cultura differente da quella dominante anglo-americana che non si limita a trasparire dai nomi esotici di autori e personaggi ma è il substrato fondante dell’opera, che riunisce racconti di qualità e capacità inventiva che nulla hanno a invidiare a quelli di altre raccolte americane o europee. Se questo è certo merito del curatore Francesco Verso è anche sintomatico della maturità ormai raggiunta dalla fantascienza indiana, di livello decisamente internazionale, come i curricula degli autori presenti che dimostrano di ben conoscere la fantascienza dei nostri Paesi ma di saper innovare rispetto a questa.

BULLISMO E PUPISMO IERI E OGGI

Ricordo che quando ero bambino, non penso di aver avuto più di otto anni, il padre di un mio amico (una persona piuttosto diversa dai miei genitori a dir il vero) ci diceva qualcosa tipo: «Dovete imparare a diventare dei bulli. Dovete essere tosti, così le pupe vi correranno dietro».

Fu, credo una delle prime volte che sentii la parola “bullo” o quanto meno la prima in cui la vidi inserita in un contesto “morale”.

Durante la mia infanzia i bulli erano più che altro quelli del film “Bulli e pupe” con Marlon Brando e Frank Sinatra, “Bulli e pupe. Storia sentimentale degli anni cinquanta” di Steve Della Casa e Chiara Ronchini, “Giggi il bullo” con Alvaro Vitali ma ancor più “Poveri ma belli” di Dino Risi, anche se non ricordo se lì si usasse il termine.

Insomma, il bullo non era certo un modello di uomo o ragazzo da imitare, soprattutto per il mio tipo di formazione, ma era solo e soprattutto un ragazzo di borgata o periferia, sbruffone e cialtrone, non tanto un violento o un prevaricatore. Credo di averlo considerato spesso quasi un sinonimo di trasteverino, l’abitante di uno dei quartieri “antichi” di Roma.

Probabilmente la prima volta che ho usato il termine “bullismo” associandolo a un fenomeno di violenza e prevaricazione tra i giovani è stato quando ero ormai padre.

Questo non vuol dire che quando ero giovane questo fenomeno non esistesse. C’era eccome, ma i ragazzi imparavano a cavarsela da soli e, soprattutto, se non ci riuscivano, nessuno correva ad aiutarli.

Quando mi è stato chiesto di scrivere un racconto fantasy sul bullismo ho pensato di parlare del clima di violenza che si respirava ai tempi in cui ero al liceo, in particolare il 1977-78: gli anni di piombo. La rivoluzione culturale pacifista del 1968 si era ormai trasformata in un periodo di terrorismo e lotta armata, di estreme destre ed estreme sinistre che facevano a gara a chi creasse un maggior clima di terrore.

In tempi di prevalenza della Democrazia Cristiana, con all’opposizione un diffuso Partito Comunista, mi trovai in un anomalo liceo in cui il Movimento Sociale aveva quasi la metà dei consensi (e molti facevano parte di movimenti come Terza posizione). I fascisti spadroneggiavano ma il loro comportamento, a scuola, era proprio quello dei “bulli”: minacce, pizzi, bande semi-organizzate, picchettaggi. La politica spesso era solo un pretesto, anche se molti di loro gravitavano attorno a quello che sarebbe dovuto diventare il mio professore di filosofia se non fosse stato arrestato prima di diventarlo in quanto accusato di essere il mandante di alcuni omicidi, tra cui quelli dei magistrati Vittorio Occorsio e Mario Amato, nonché della strage di Bologna, per cui venne successivamente assolto. Venne poi condannato per associazione sovversiva e banda armata. Molti dei suoi alunni erano i nostri bulli alcuni dei quali arrestati per terrorismo. Insomma, non proprio gente facile da affrontare. E non venitemi a dire che oggi il bullismo è peggiorato…

Nel mio racconto “La banda degli sfigati” ho immaginato un liceo popolato da giganti, nani, elfi, orchi e altre creature magiche, che si scontrano con le stesse dinamiche. Gli anni di piombo, sono diventati qui gli anni di ferro.

Trovo interessante come il termine bullismo solo in pochi decenni abbia finito per rappresentare situazioni e persone ben diverse.

Il racconto fa parte di un’antologia “Non ti temo più”, edita a settembre 2022 da Tabula Fati e curata da Paola De Giorgi. Il sottotitolo è “Storie di bullismo e Cyberbullismo”. Già, perché quello che ai miei tempi mancava era il bullismo on-line e oggi si deve parlare anche di quello.

Il volume mi ha colpito per la prevalenza di voci femminili, su un fenomeno che, nella mia ignoranza, configuravo soprattutto maschile, perché derivato da quel mondo di cui scrivevo sopra, ma non c’è dubbio che anche delle ragazze possono essere malvagie e crudeli verso altre ragazze o che il fenomeno possa avvenire anche tra sessi diversi. Ai miei tempi i comparti erano maggiormente separati. Alle elementari ero in una classe di soli maschi, tanto per dire. Le autrici sono, dunque, undici, i racconti di autori maschi solo sei (due scrivono in coppia). Quattro delle cinque prefazioni sono scritte donne. Non ho verificato quanti personaggi maschili e quanti femminili ci siano, ma l’impressione è stata di una prevalenza di queste ultime figure, mentre mi sarei aspettato quanto meno rapporti invertiti.

Credo che questo sia un segnale di come il bullismo si stia trasformando. Non più semplice connotazione sociale tipicamente maschile, ma fenomeno di disagio diffuso in cui le donne sono diventate protagoniste. Si potrebbe forse parlare di “pupismo”, dato che la connotazione credo possa essere diversa a seconda del sesso degli attori. Le ragazze “pupizzano” in modo differente, più psicologico, credo, da come i maschi bullizzano, con maggiore fisicità. Se per i maschi le vittime del bullismo sono soprattutto ragazzi che non seguono le regole del gruppo dei bulli (che possono anche essere ben diverse dalle regole della società nel suo insieme), che hanno comportamenti difformi dalla “norma”, per le femmine credo che l’aspetto esteriore sia una causa scatenante più forte: magrezza, obesità, bruttezza in generale. Non per nulla nel volume, con il suo sguardo femminile, si parla di bodyshaming e persino di grassofobia.  

Nelle storie femminili mi pare prevalga l’intervento risolutore esterno, mentre questo è meno presente in quelle maschili.

Il volume si caratterizza per una certa diffusione di elementi fantastici o magici.

Nel racconto di Loredana Pietrafesa che apre il volume abbiamo una bambina perseguitata da due gemelle che troverà nella voce fantasma del nonno morto (che le manda messaggi in rima su aeroplanini di carta) la forza per superare la situazione, grazie anche all’intervento degli adulti e alla magia del nonno-fantasma che farà confessare le gemelle.

Surreale il racconto di Chiara Onniboni in cui un bambino mangia tutte le merendine dei compagni per non farli ricattare dai bulli. Di nuovo a essere risolutivo è l’intervento delle “autorità adulte”.

Nella storia di Marco De Franchi un padre bullo si ritrova con un figlio bullizzato. La soluzione arriva ancora dall’esterno.

Melania Fusconi ci regala una vittima magica, la cui capacità di mutare forma diventa la propria tortura personale e la causa del bullismo contro di lui. L’aiuto è ancora esterno e magico.

Nella storia di Carla Dolazza la protagonista, isolata dai coetanei, cerca l’amicizia nel portiere dello stabile (come non pensare a “L’eleganza del riccio” della Burberry o a “Il giorno prima della felicità” di Erri De Luca), che si rivela peggiore dei suoi compagni. Di nuovo abbiamo un intervento salvifico esterno.

Nel racconto di Alessandra Zenarola la causa del bullismo non è la bruttezza, ma il suo opposto, la bellezza. Qui sarà l’amicizia di un coetaneo a salvarla. Non occorre l’intervento di alcuna autorità. Sarà forse perché il bullismo contro una bella somiglia più all’invidia, mentre di solito è motivato dal disprezzo. Su questo però credo occorra fare una riflessione maggiore. Il bullo, credo, può essere spinto alla violenza proprio dal fatto di sentirsi “inferiore” nel contesto sociale in cui vive. Non credo sia tanto l’invidia verso la sua vittima a spingerlo ma piuttosto una sorta di invidia sociale verso il contesto in cui vive e in cui non riesce a eccellere a portarlo a dimostrare sui più deboli la propria fragile superiorità.

Analogamente la protagonista “Supplì” di Nicoletta Romanelli non doveva essere così “nerd” o brutta, se a salvare anche lei è l’amore di un ragazzo.

A salvare il protagonista di Andrea Gualchierotti è lui stesso, grazie a un sogno. Qui la causa del bullismo è solo una sua cicatrice. Come si diceva, però, per i maschi i problemi fisici sono facilmente superabili, soprattutto quando, come in questo caso non sono troppo marcati. Gli stessi difetti fisici posso essere causa di bullismo come non esserlo per nulla.

Il bullo di Errico Passaro insegue la propria vittima anche dopo essere morto, ma questa riesce a trovare in se stesso il modo per superare il problema.

Enrico & Vittorio Rulli decidono di usare il punto di vista del bullo, in una storia in cui la vittima di ragazzo è una ragazza, che lui prende in giro dicendole di amarla. Con pentimento postumo.

Un ragazzo magro ai limiti dell’anoressia nella narrazione di Donato Altomare riesce a ottenere il rispetto di chi lo bullizzava salvandoli in una situazione difficile. Risolve dunque da sé il problema in modo costruttivo e positivo, trasformando sapientemente il contesto e riuscendo a guadagnarsi la stima dei suoi avversari. Certo la sfortuna dell’incidente è stata per lui una discreta fortuna. Anche nel mio racconto uso il medesimo meccanismo, pur in un contesto diverso: la vittima vince aiutando i bulli e cambiandoli. Che è poi la mia esperienza personale in merito e quella che sento come più reale.

Nel racconto di Fiorella Borin l’essere bullizzati entrambi farà scoccare qualcosa tra un ragazzo e una ragazza.

Come nel racconto di Alessandra Zenarola, la vittima è una ragazza bella, che qui fa riemergere nell’insegnante i propri, simili, trascorsi giovanili.

Il racconto dai toni fantascientifici di Paola Giorgi ci mostra un futuro di una società divisa tra bulli (Alfa) e vittime (Omega). Purtroppo, non mancano al mondo ideologie che potrebbero portare in tale direzione.

La protagonista della vicenda narrata dalla curatrice Paola De Giorgi si presenta come una delle vittime più mature quando scopre che non c’è “nessuno a cui chiedere. Nessuno a cui rivolgersi in cerca d’aiuto” e quindi l’importante è che “Non devi arrenderti mai”.

Roberta Zimei immagina di intervistare un bullo pentito anni dopo che ha provocato involontariamente la morte della sua vittima.

Un argomento che il volume non tratta (del resto non è un saggio ma solo una raccolta di racconti) è il bullismo tra adulti. Devo dire che anche questo esiste e, anche se si dovrebbe presumere che un adulto siam meglio attrezzato per difendersi, ho visto persone prevaricarne altre sfruttando magari solo una posizione gerarchica superiore, non limitandosi a sfruttare la propria vittima, ma mettendola alla berlina davanti ai colleghi.

Insomma, un fenomeno a 360 gradi, che riguarda ogni fascia d’età e ogni sesso.

Il volume ha ricevuto il sostegno e la sponsorizzazione di molte associazioni. A fine volume si leggono i loghi della Commissione Pari Opportunità della Città di Porcia, dell’ADAO, Associazione Disturbi Alimentari e Obesità del Friuli, di Consult@noi, Associazione Nazionale Disturbi Alimentari e molti altri.

Una lettura importante per conoscerci meglio e riflettere sul nostro mondo, i rapporti interpersonali e il mondo giovanile.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: