Il numero 28 della bella e sempre molto interessante rivista di fantascienza diretta da Carlo Bordoni “IF -Insolito & Fantastico” (ora Odoya Edizioni) è dedicato all’autore ebreo polacco “Stalislaw Lem”, a un secolo dalla sua nascita, e curato da Tomasz Skocki (italianista all’Università di Varsavia).
Introduce il volume l’editoriale del Direttore Scientifico Alessandro Scarsella su “Il linguaggio trasversale del fantastico”, evidenziando come, in un momento come questo, autori come Lem rappresentino un ponte tra l’Europa dell’Ovest e quella dell’Est, di nuovo in parte divise del conflitto.
È seguito dall’introduzione del curatore “Un secolo di Stanisław Lem” e da un articolo del medesimo Skocki “Riscoprendo Lem”.
Stocki giustamente evidenza l’importanza di questo autore che spezza il lungo dominio anglo-americano della fantascienza, ponendosi come uno dei massimi autori del genere. Vi trovo evidenziato “il suo pessimismo circa la natura umana. Sopravvissuto agli orrori della guerra, del genocidio e della deportazione, esiliato dalla città dove era nato (e in cui non volle mai più tornare) e giunto alla maturità negli anni della guerra fredda e del pericolo atomico, Lem non poteva che provare orrore per un’umanità che pareva sempre pronta a dare il peggio di sé”.
In Lem “un altro motivo ricorrente è quello dell’incomunicabilità tra umano e non umano e dell’estraneità e incomprensibilità del cosmo: nelle sue opere Lem critica e spesso irride l’antropocentrismo e la convinzione dell’uomo di poter realmente capire e dominare l’universo. Inevitabile menzionare anche il suo ateismo, che rende ancora più interessante la riflessione sull’oceano-Dio al centro del più celebre tra i suoi romanzi.”
Interessante anche la parte del saggio sul successo postumo della sua opera.
Carlo Pagetti in “Ironie cosmiche e paradossi metanarrativi” fa un suggestivo e un po’ spiazzante raffronto tra il “Solaris” di Lem e il “Moby Dick” di Melville: “La stazione spaziale ricorda una balena, ma è anche una Pequod melvilliana tecnologicamente avanzata, che dovrebbe dare la caccia al Leviatano-oceano sotto di sé. Imperscrutabili risultano sia la balena bianca che l’oceano-pianeta alieno.”
Interessante anche il raffronto con “The Drowned World” di J.G. Ballard (1962) e ancor più con i viaggi di Gulliver di Swift o con “Il castello” di Kafka.
Riccardo Gramantieri, invece, si concentra su un’altra opera di questo autore, “L’invincibile”. Gramantieri ci spiega che “Il tema della mancanza di comprensione dell’Altro, che ne L’Invincibile si traduce nella necessità di dare senso al comportamento di creature non-biologiche, può essere interpretato attraverso le teorie di Wilfred Bion, fautore di un modello concettuale sulla formazione dei processi mentali fra i più interessanti della psicoanalisi post-freudiana.”
“Il romanzo L’Invincibile esplora una grande varietà di temi. È prima di tutto una storia di esplorazione spaziale, inoltre è il romanzo più “tecnologico” di Lem, nel quale lo scrittore non esita a descrivere astronavi, energobot e inforobot.”
“L’Invincibile è stato fra i primi romanzi di fantascienza a descrivere delle nano-macchine
e questo fa sì che il libro possa essere inserito nell’ambito della letteratura proto-postumanistica”. Centrale anche in questo romanzo è l’incomprensione, qui tra umani e micro-macchine.
Stanislaw Lem è stato, un po’ come Borges, un grande scrittore di apocrifi. Approfondisce il tema Matteo Maculotti. Del resto, persino “Uno degli aspetti più affascinanti di Solaris
consiste nell’invenzione della Solaristica, una disciplina sviluppatasi nel tentativo di studiare l’indecifrabile pianeta.” A differenza di Borges il polacco spesso crea apocrifi futuri, vere opere fantascientifiche. Tra questi il suo “Summa technologiae” gli permetterà nei decenni successivi di veder realizzate molte delle sue predizioni.
Agnieszka Gajewska esamina invece il pensiero filosofico del geniale polacco. “La narrativa di fantascienza aveva permesso a Lem di presentare la propria visione del futuro del mondo. I temi che lo affascinavano erano la fragile esistenza dell’animale uomo, i limiti conoscitivi derivanti dall’antropocentrismo, le sfide etiche generate dalle nuove tecnologie. Fin dai tempi dell’università si interessava di cibernetica, una conseguenza della sua passione giovanile legata alle scienze naturali e alla conoscenza delle opere di Charles Darwin. Facendo suo il punto di vista di Darwin e dello studioso di cibernetica Norbert Wiener sullo status della scienza, nei suoi racconti e romanzi Lem presentava l’opinione secondo cui non è possibile identificare lo sviluppo con il progresso, mentre i confini tra
ciò che è vivo e ciò che è artificiale, tra l’umano e il non umano, sono difficili da tracciare e mantenere stabili”.
La difficoltà di comprendere mondi alieni è sempre frutto di un insensato antropocentrismo, che ci rende incapaci di immedesimarci nell’altro tanto più è diverso da noi.
Nela parte non monografica della rivista, Carlo Bordoni intervista Alain Robbe-Grillet (1922-2008) scrittore, affabulatore e cineasta, creatore del “nouveau roman”, ma anche di un nuovo modo di fare cinema e, in un altro articolo, ci offre un veloce ritratto dell’autore di fantascienza e ucronia aretino Pierfrancesco Prosperi. Testo, peraltro, che ho letto anche nel volume “Architettura dell’ucronia” (Solfanelli, 2022), curato da Massimo Acciai Baggiani (che contiene anche un mio contributo su questo autore).
Segue proprio un racconto del nostro Prosperi, “Epicedio”, del lontano 1965, che vede per protagonista un autore di fantascienza e ci mostra una guerra nucleare in un futuribile 1970.
È di Bruce Mcallister il racconto successivo, “Inchiostro”, su ragazzo con problemi di emofilia che colleziona francobolli e che trasmette la propria malattia a una scatola di lettere, liberandosene, come in una sorta di “Ritratto di Dorian Gray” (Oscar Wilde, 1890). “Ash(2)” è, invece di Anonymous, in cui si immagina, come nella mia saga “Via da Sparta”, che ci sia un’età stabilita per legge per morire.
Segue, infine, “Psicosfera per Solaris” (Carlo Menzinger), un racconto che mescola il romanzo scritto con Massimo Acciai Baggiani “Psicosfera” (che molto deve a “Solaris”) con il capolavoro di Lem.
Nel suo consueto “Annuario” Riccardo Gramantieri esamina la produzione nazionale e internazionale di fantascienza del 2021.
Quasi in conclusione del volume si può leggere la bella recensione di Maurizio J. Bruno per il romanzo “Psicosfera” (Massimo Acciai Baggiani e Carlo Menzinger di Preussenthal, Edizioni Tabula Fati 2022) che rimarca i collegamenti letterari di quest’opera con alcuni capolavori che lo hanno preceduto, in primis “Solaris” di Lem ed evidenzia necessità di “porsi la più classica delle domande: cos’è reale e cosa finzione? Siamo davvero quelli che crediamo di essere? O siamo soltanto copie di noi stessi che si illudono di essere gli originali?”
Ho scoperto davvero tardi, Stephen King. Ho cominciato a leggerlo per caso, partendo da opere minori. Dico troppo tardi, perché più lo leggo e più mi rendo conto della sua grandezza, ecletticità, profondità e ricchezza narrativa e capisco sia stato un peccato averlo letto già in precedenza.
Il primo romanzo che lessi fu “Cell”, che mi piacque, ma come tante altre cose, insomma, non abbastanza da convincermi di leggere altro del suo autore. Lessi poi un’altra opera minore “La bambina che amava Tom Gordon” e cominciai a rendermi conto che questo signore meritasse maggior attenzione.
Stephen King
Qualche tempo dopo, eravamo nel 2010, mi trovai tra le mani “L’ultimo cavaliere”, primo volume della serie della “Torre nera”, che mi incuriosì ma mi lasciò piuttosto perplesso, tanto che impiegai un po’ a riprendere in mano la serie. E dire che in seguito mi sarei appassionato all’intera serie, trovandola davvero straordinaria.
Furono, nel 2012, la lettura di “It” e “22/11/’63” a farmi comprendere davvero l’importanza di questo autore.
Dunque, la lettura del numero 23 di “IF – Insolito & Fantastico”, dedicata a “Stephen King, reality stranger than horror” mi ha fatto particolarmente piacere, dato che mi ha permesso di calarmi in una materia in cui comincio ad avere una certa dimestichezza, ma della quale mi piacerebbe conoscere di più. Il volume è, infatti, ricchissimo di spunti per nuove letture (che spero di poter fare presto) e una buona guida per scegliere quelle più significative nel vastissimo panorama produttivo del Re.
Il volume è curato da Valerio Massimo De Angelis, subentrato allo scomparso Giuseppe Panella in corso di lavorazione, e suo è l’editoriale iniziale.
Aprono poi la serie di articoli le riflessioni di Umberto Rossi su “La lunga marcia”, un affascinante romanzo distopico uscito sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, un’opera di notevole maturità, se si pensa che King lo scrisse a solo 18 anni. È, infatti, il suo primo romanzo, anche se non il primo da lui pubblicato e, anzi, occorrerà attendere vari anni prima che di scoprire chi si nascondesse dietro la personalità immaginaria di Bachman.
Sbaglia chi crede che King sia un autore solo horror e la produzione uscita in stampa con questo pseudonimo ne è un esempio. “La lunga marcia” ne ha qualche tono ma è soprattutto spaccato di vita di provincia americana, come molte opere del Re. È anche fantascienza sociologica, con la creazione di un contesto sociale parzialmente immaginario. È opera di formazione. È romanzo sportivo, anche se la marcia praticata è qui uno sport estremo e immaginario. È, persino, romanzo ucronico (genere di cui King si dimostrerà poi maestro), dato che il presente narrato non potrebbe esistere senza che una diversa Storia lo abbia preceduto. Come fa notare Rossi, citando Smythe, “La lunga marcia” è anche “una metafora della guerra; specificamente del conflitto in corso in Vietnam”. Il romanzo poi anticipa i reality competitivi e tutta la narrativa che ne è derivata come, tanto per fare un esempio, “Hunger Games”. Sin dalla sua prima opera King mostra, insomma, la sua capacità di attingere da generi diversi, mescolandoli e reinventandoli in modo del tutto originale e si dimostra attento conoscitore della mente e delle dinamiche umane. E dire che un simile romanzo è considerato “minore” nella sua produzione!
Giuseppe Panella (in quello che è immagino sia uno dei suoi ultimi scritti) descrive il concetto di Male in King, concentrandosi soprattutto su romanzi come “Shinning”, “La nebbia”, “Le notti di Salem”, “L’ombra dello scorpione” e “Cujo”, e su come abbia trasformato e adattato alle sue classiche ambientazioni nel Maine il vampiro della letteratura gotica.
Riccardo Gramantieri esordisce nel suo testo affermando: “Col passare degli anni, e dei romanzi, Stephen King ha reso la propria opera sempre più complessa e ricca di riferimenti intertestuali”. In effetti, ogni opera di King ne richiama altre. Il ciclo della Torre Nera è esemplare in questo. Non solo sono 8 romanzi, ma ciascuno è collegato a molti altri. Ritroviamo in varie opere di King personaggi e luoghi di altre storie all’apparenza scollegate. Quasi ovunque è presente il Maine kinghiano, questo strano luogo-non-luogo, in cui posti e città reali si mescolano con località inventate. Molti autori hanno creato luoghi del tutto immaginari. King, invece, ha reinventato il suo Maine, creandogli anche una profondità che si perde in luoghi inconoscibili, da cui possono emergere creature quasi lovecraftiane come It.
Gramantieri poi evidenzia l’importanza del doppio, a partire dallo sdoppiamento dell’autore stesso nel suo alter ego Richard Bachman, per arrivare a tante opere in cui affronta il tema, come “La metà oscura”. Gramantieri cita Freud dicendo che “soltanto il fattore della ripetizione involontaria rende perturbante ciò che di per sé sarebbe innocuo”. In King il doppio si sdoppia e diviene, infatti, ripetizione e ossessione. Quello che Gramantieri non dice è che in molte storie (penso soprattutto alla “Torre Nera”, il doppio comporta schizofrenia e King se ne rivela uno dei più grandi narratori, capace di creare personaggi che si frammentano e ricompongono follemente, entrando e uscendo da loro stessi.
Tocca poi a Marco Petrelli esplorare il multiverso kinghiano, perché, già, il re del Maine non si limita a descrivere l’America di provincia come tutti noi la vediamo ma anche un universo invisibile che spesso emerge da universi paralleli o più spesso divergenti (“Credo che attorno a noi ci sia un mondo invisibile”) o da paesaggi onirici (una sua raccolta, per esempio, si chiama “Nightmares & dreamscapes”). King pare avere ben in testa il Lovecraft che scrive “egli aveva dimenticato che la vita non è nient’altro che una teoria di immagini della mente, che non c’è differenza tra quelle nate dalle cose reali e quelle scaturite da sogni segreti e che non c’è motivo di ritenere più vere le prime delle seconde” (da “La chiave d’argento”).
Stephen King
Come ricorda Petrelli, King riprende e muta il concetto quando scrive in “A volte ritornano”; “L’essere che, sotto al mio letto, aspetta di afferrarmi la caviglia, non è reale. Lo so. E so anche che, se sto bene attento a tenere i piedi sotto le coperte, non riuscirà mai ad afferrarmi la caviglia”.
Insomma, scrive Petrelli, “King ha ampiamente sfruttato l’idea che la realtà sia molto più complessa (e spaventosa) di quanto appaia”.
I romanzi del ciclo della Torre Nera ma anche “A volte ritornano”, entrambi citati in proposito da Petrelli, sono esempi di come anche in concetto di spazio-tempo in King assuma una nuova visione, con passaggi che ci conducono in altri tempi o altri luoghi. Si pensi anche alla porta nello scantinato (la tana del coniglio che richiama alla mente Carroll e la sua Alice) che fa tornare sempre indietro allo stesso anno in “22/11/’63”.
“La realtà è sottile e (…) la realtà vera che c’è al di là è una tenebra sconfinata piena di mostri” ben descrive un’altra visione dell’universo kinghiano. Non è, in fondo, questo l’universo in cui viviamo? Non siamo forse prigionieri su questo microscopico granello di polvere che è la Terra, circondato dal buio interstellare di cui nulla conosciamo e dal quale sempre attendiamo emergano dei mostri? Il mondo di King ne è espressione e metafora.
L’articolo di Roberto Risso parla di quello che fu il primo romanzo di King da me letto, “Cell” (2006), che raffronta con il precedente “The Stand” (in Italia “L’ombra dello scorpione”), per il carattere post-apocalittico di entrambi. Credo che questo tempo di pandemia sarebbe il momento giusto per leggere quest’ultimo, in cui “una malattia si diffonde per errore da un laboratorio dove si effettuano ricerche chimico-batteriologiche con fini bellici”, portando al “collasso della civiltà”.
“Una volta che la super-influenza ha sterminato l’umanità la narrazione si concentra sui personaggi superstiti positivi e negativi”.
“I sopravvissuti sono vittime di sogni”, come spesso accade in King, per il quale “telepatia, telecinesi, poteri soprannaturali, sogni premonitori e ‘interattivi’ sono tratti distintivi” della scrittura.
Nicola Paladin tratta un King quanto mai lontano dai canoni dell’horror, cui viene ingiustamente relegato, parlando di “Cuori in Atlantide” (1999), che affronta gli effetti della guerra del Vietnam sulla società americana. Paladin ci spiega che “nonostante la sua distanza dalla ‘combat zone’, esso mostri una realtà altrettanto corrotta della guerra”. Quest’opera “esplicita a livello metaforico la stretta relazione tra dipendenza e mortalità”. I protagonisti sono ossessionati (dipendenti) dal gioco Cuori, che, però, li distrae dallo studio, facendogli rischiare di essere presto candidabili per partire militari. Non si parla, dunque, di dipendenza da droghe, ma dal gioco. “Giocare a Cuori provoca contemporaneamente appagamento e angoscia in quanto può causare la morte” rendendo i ragazzi protagonisti di quella guerra che sentono ancora come lontana e distante.
Si vede qui la ricchezza di questo autore, che si esplica non solo nella creazione di trame geniali, personaggi intensi ed emblematici, ma anche nella capacità di usare con perizia il linguaggio: King mette “in mostra la portata culturale della guerra anche nel modo in cui influenza la lingua stessa del racconto”.
“King cancella i confini tangibili di Atlantide: fuor di metafora, tutta l’America si inabissa a causa del Vietnam”. “Cuori in Atlantide, per quanto peculiare, costituisce una profonda analisi della Guerra del Vietnam, vista da una prospettiva inconsueta”.
Si occupa ancora de “The Stand” l’articolo di Salvatore Proietti, che
esordisce “A ‘The Stand’, romanzo pubblicato da Stephen King nel 1978, il concetto di enciclopedia si applica su più livelli. È enciclopedica l’eterogeneità dei generi letterari: l’inizio è realista, prestissimo irrompe la fantascienza, poi si vira in direzione del soprannaturale; nel finale gli elementi ‘fantastici’ disturbanti escono di scena, adombrando un’utopia. È enciclopedico lo scenario geografico, in cui ampi spazi della nazione statunitense fungono da sfondo e da argomento di riflessione. È enciclopedica la portata delle allusioni letterarie e culturali”. Ed è gigantesca la dimensione del romanzo, dalla composizione lunga e complessa”.
Per Proietti questo romanzo è “forse la sua versione del ‘grande romanzo americano’” in cui “anche i linguaggi (a partire dal dialetto) si affastellano” e l’autore pare “sempre alla ricerca di significati multipli, contraddittori e sfuggenti”.
Richiama allora Carlo Bordoni quando evidenzia “la sua versatilità nell’esplorazione del tema dell’alienazione nel mondo moderno”, arrivando a sostenere, dandoci un’importantissima chiave di lettura, che “l’orrore può anche essere presentazione di uno scetticismo profondamente politico, riflessione critica del quotidiano”.
Alissa Burger affronta quindi la spina dorsale dell’opera kinghiana, la favolosa epopea western-ucronico-fantascientifica che è il ciclo di romanzi della “Torre Nera”, la più affascinante saga che mi sia mai capitato di leggere: “Il ciclo della Torre Nera copre quasi l’intero arco della carriera di Stephen King, si riverbera attraverso molte delle sue altre opere, ed è una chiave di volta per comprendere il metaverso kinghiano e gli innumerevoli personaggi, luoghi e conflitti che esso include”. Si caratterizza non solo per descrivere un incredibile multiverso, ma per personaggi con personalità multiple, richiamando i miti di Artù e della ricerca del Sacro Graal, partendo dall’opera di Robert Browning (“Childe Roland alla Torre Nera giunse” del 1855).
Il curatore Valerio Massimo De Angelis nel suo intervento si concentra sulla splendida ucronia sulla morte del presidente Kennedy “22/11/’63”, leggendolo come “una riflessione metaletteraria sul rapporto tra horror e Reale, perché l’organizzazione strutturale del testo si fonda sull’iterazione tra quella che noi consideriamo la ‘realtà’ del nostro presente, che si dà per stabilita e condivisa, e una vastissima serie di possibili variazioni del passato così come lo conosciamo, e gli effetti potenzialmente dirompenti che tali variazioni possono esercitare su quel nostro presente”.
Secondo De Angelis “per King il Reale è molto più strano dell’horror, e l’horror altro non è che il risultato (sempre malriuscito) di denunciare tutta una serie di traumi che la società statunitense (o più in generale la civiltà occidentale, o anche quella umana tout court) non ha alcuna intenzione di affrontare nella loro insopportabile, ingestibile, infine incredibile essenza ‘Reale’”.
De Angelis fa notare come questo scelto da King sia uno dei tre “grandi traumi che hanno definitivamente infranto il mito della ‘innocenza americana’”: “l’omicidio di Kennedy, la sconfitta nella guerra del Vietnam (la prima e unica nella storia americana), e la scoperta che il leader della nazione era un bugiardo”.
Il direttore della rivista Carlo Bordoni,chiudendo la parte monografica della rivista, esamina le opere scritte sotto lo pseudonimo di Richard Bachman e la scelta dell’autore di pubblicare sotto falso nome alcuni libri di notevole qualità.
Richard Bachman
Forse la volontà di cambiare nome derivò anche dal fatto che “King restava (e restò per molto tempo, fino alla seconda metà degli anni Ottanta) un fenomeno da baraccone, un autore di seconda serie, da far circolare fra gli appassionati, fra i lettori di genere, ben lontano dal meritare l’inclusione nel Parnaso letterario”, di cui meriterebbe invece il trono. Il Premio Nobel potrà forse rivalutarsi ai miei occhi e tornare a essere quel che era stato un tempo, quando saprà riconoscerne la rilevanza insignendolo del dovuto riconoscimento.
Un segno della sua grandezza è anche nelle parole di Bordoni quando afferma: “Malgrado il successo, malgrado quei lavori, King maturava. Cambiava genere, attualizzando i suoi contesti, perfezionando la sua tecnica. Non rimestava la stessa frittata, cosa che fanno per prassi consolidata molti scrittori nostrani quando sono riusciti a imporsi”.
“Stephen King. Questo autore così poco scontato, da cui dobbiamo aspettarci ancora molte sorprese”.
Finita la parte della rivista dedicata a King, troviamo un articolo di Riccardo Gramantieri sulla figura archetipale di Robinson Crusoe, a metà tra homo faber e bricoleur, e di come sia stata ripresa nella letteratura successiva a Defoe, in particolare dalla fantascienza e da questa di ambientazione marziana, con tutte le difficoltà dell’uomo nel tentativo di dominare con le sole proprie forze un ambiente alieno.
Seguono i ricordi degli scomparsi e compianti Giuseppe Panella e Giuseppe Lippi, per poi entrare nella sezione narrativa, che comprende solo tre racconti, uno di Massimo Acciai Baggiani, uno di Roberto Marchi e uno di un certoCarlo Menzinger di Preussenthal.
Avevo già avuto il piacere di leggere il racconto “Qualcuno bussò alla porta” di Massimo Acciai Baggianie trovo che dei tre sia quello che meglio si inserisce in questo volume, in quanto descrive un misterioso incontro in un paesino del Casentino, Corezzo, che chi conosce gli scritti di questo autore ha certo già avuto modo di incontrare. Al Casentino Acciai ha persino dedicato un intero libro. A rendere adatto a questo volume il racconti è l’insolito protagonista della storia, che non vi posso però rivelare per non togliervi il gusto della lettura.
Roberto Marchi ci parla di un altro incontro, quello con una “Tromba marina”.
Il mio racconto “Protesi” lo avevo scritto e pensato per un altro numero della rivista dedicato a Frankestein. Mi ha fatto comunque piacere trovarlo in questo numero che parla di un autore, che come avrete capito apprezzo molto. Sono sempre lieto, del resto, di poter avere una presenza in questa rivista che considero molto interessante, curata e seria, non per nulla è riconosciuta anche dall’ANVUR come rivista dell’Area 10 (ovvero è considerata citabile nei lavori letterari ufficiali).
In oltre dieci anni di produzione, la rivista ha cambiato editore passando da Tabula Fati a Odoya e ha visto alternarsi tanti nomi importanti come autori e curatori. Di quelli delle origini, credo di essere uno dei pochi rimasti.
“Protesi” mostra un mondo che come scriverebbe King è “andato avanti” (il che non sempre è un bene come credevano molti dei primi autori di fantascienza), in cui anziché comprare cellulari, smartphone e orologi, la gente si ricopre di protesi anatomiche, arrivando ad avere vari arti aggiuntivi e finendone schiava.
Anche questa volta il volume si chiude con l’analisi di Riccardo Gramantieri dei libri editi nel fantastico durante l’anno precedente, che, in questo caso sarebbe il 2018, dato che sebbene la rivista sia stata stampata dopo l’estate 2020, questo numero 23 è quello di dicembre 2019.
“Corpo & computer” è il terzo numero monografico della rivista “IF – insolito & Fantastico” da quando la rivista è passata dall’editore Tabula Fati (Solfanelli) a Odoya (Meridiano Zero). Nel passaggio non ha perso i suoi principali collaboratori, tra cui il sottoscritto, che ci scrive sin dai primi numeri. Come ricorda il direttore della rivista Carlo Bordoni nell’editoriale d’apertura, con questo numero 22, IF celebra dieci anni di attività, rivelandosi una delle più longeve riviste di critica letteraria nel campo del fantastico. Si festeggia anche un importante riconoscimento. L’ANVUR- Agenzia nazionale di Valutazione del Sistema Universitario ha riconosciuto IF “rivista di carattere scientifico per l’area 10, Settore F4, Critica letteraria e letterature comparate”, rendendo la rivista utilizzabile nei concorsi universitari e in ogni altra occasione per attestare la propria produzione scientifica e letteraria.
Ho il piacere di essere presente in questo numero non con un saggio (come spesso in passato), ma con il racconto fantascientifico “Corputer” in cui si immaginano computer integrati nei corpi umani e un social network estremamente pervasivo, detto “Mindnation”.
L’intero volume tratta, infatti, del rapporto tra corpo umano e sistemi di intelligenza artificiale, ma anche di cyborg.
Curatore del numero è Domenico Gallo, che apre con il saggio “Cantare corpi elettrici” in cui ci mostra come “una delle caratteristiche fondamentali della fantascienza” sia “quella di essere una letteratura capace di leggere il presente con estrema profondità”. “Forse la fantascienza è il modo che ha la letteratura di affrontare la realtà quando ogni strumento di analisi si è esaurito, quando la buona e vecchia narrativa non riesce ad agguantare quanto c’è di sfuggente nel mondo davanti ai nostri sensi e noi ne siamo costantemente perturbati”. Non basterebbe questo pensiero a sdoganare la fantascienza e il fantastico e a dargli una dignità pari, se non superiore al mainstream! Ottimo che concetti simili siano affermati in riviste di genere, ma quanto dovremo attendere per ritrovare queste frasi in volumi di storia della letteratura?
Quando ammetteremo, tutti, che “la fantascienza è stata la letteratura del XX secolo”? Quando capiremo che “le tecnologie sono il marchio indelebile dell’umano”? Che sono esse a caratterizzarci davvero?
Segue il saggio di Riccardo Gramantieri“Uomini e macchine: la fantascienza delle creature artificiali”, dove, tra le altre cose, parlandoci di cyborg, cita, Hook C.C. “la specie umana non rappresenta la fine di un processo evolutivo, bensì il suo inizio”, l’uomo come primo gradino verso una creatura nata dalla fusione con la tecnologia e la genetica, capace di colonizzare spazi nuovi. Parlandoci di virtuale ci racconta, anche, come Vernor Vinge “ritrae un futuro prossimo ove non sarà possibile distinguere la realtà dal virtuale: questo perché il mondo virtuale sarà visibile altrettanto bene del mondo reale”, l’uomo si andrà a confondere sempre più con la macchina e i suoi prodotti.
Interessanti, poi, le considerazioni di Alessandro Fambrini in “L’evoluzione e la macchina – Considerazioni sulle metamorfosi del corpo”, per esempio, quando parla di “Giganti” di Doblin in cui è messa “in scena un’umanità che si serve dapprima della macchina per espandere il proprio dominio sulla natura e finisce poi per violentarla e indurla alla ribellione”.
L’apporto della genetica alla mutazione dell’uomo nel post-uomo è qui evidenziata parlando de “La disorigine della specie” di Dietmar Dath.
Come dimenticarci del nostrano Italo Calvino parlando del difficile rapporto uomo-macchina?
Se ne occupa Jacopo Bertiin “L’umanità superflua di Italo Calvino”. Particolare è lo sguardo di questo autore: “la conclusione delle Cosmicomiche è amara, la specie umana, che avrebbe potuto essere lo strumento attraverso cui l’universo prende consapevolezza di se stesso e si dà una storia, sembra essere invece una strada senz’uscita dell’evoluzione”.
In “Ti con Zero” si chiede “avremo così macchine capaci di ideare e comporre poesie e romanzi?” e afferma “è con animo sereno e senza rimpianti che constato come il mio posto potrà essere occupato da un congegno meccanico”. Il lavoro può essere affidato a un computer e “all’uomo resta il piacere della lettura e, più in generale, di percepire e interpretare il mondo” (sempre che anche questo un giorno lo sappiano fare meglio le macchine, dico io!). “L’uomo può diventare di fatto obsoleto” è la grande intuizione di Calvino, che si pone un passo avanti nell’analisi dei rapporti tra uomo e macchine.
“Le macchine da tempo sapevano di poter fare a meno degli uomini, finalmente li hanno cacciati”. “Perché il mondo riceva informazioni dal mondo e ne goda bastano ormai i calcolatori e le farfalle” conclude poeticamente Calvino.
Roberto Paura in “Vite simulate ed escatologie tecnognostiche” parla della confusione tra creatori e creature: viviamo in un mondo artificiale creato da qualcun altro? Viviamo in mondi artificiali matrioska, l’uno dentro l’altro? “Per gli gnostici, la realtà fisica in cui viviamo non è che un’illusione creata da un demiurgo malvagio”.
Ignazio Sannain “Uncanny valley” ci racconta il robot tra arte e ricerca scientifica.
Tomasz Skocki ci racconta “Le visioni postumane di Jacek Dukai” il maestro polacco del world building, autore anche di ucronie come “Ghiaccio”.
Giuseppe Panella ne “Il corpo esteso” ci parla di cyborg.
Francesco Verso descrive una “Umanità geo-tecno distribuita”, ispirandosi a William Gibson “il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito”, mostrando come questo sia in corso di superamento.
È un’interessante analisi storica quella diDomenico Galloin “Computer umani e computazione” sulle persone che, in passato, prima dell’informatica, erano impiegate per effettuare calcoli matematici complessi.
Completata la parte monografica della rivista “Corpo & computer”, troviamo un saggio di Giulia Iannuzzi sul fandom italiano, una recensione di Roberto Risso della distopia “L’uomo verticale” di Davide Longo, un’analisi della fantascienza a fumetti di Daniele Barbieri, una riflessione sul rischio di obsolescenza del fantastico scritta da Alessandro Scarsella.
La parte narrativa della rivista comprende i racconti:
“Giardino di inferno” di Silvina Ocampo, versione al femminile della fiaba di Barbablù, a sua volta ispirata alle efferatezze pederastiche del Maresciallo Gilles de Rais (di cui scrissi nel mio romanzo “Giovanna e l’angelo”);
“Corputer” del sottoscritto Carlo Menzinger di Preussenthal in cui un piccolo gruppo di persone cerca di ribellarsi allo strapotere del social network Mindnation;
“Mondo a misura d’uomo” di Dario Marcucci, che descrive una devastante invasione aliena e un’umanità trasformata in attrazione zoologica.
Chiudono il volume la rassegna sulla fantascienza del 2017, fatta da Riccardo Gramantieri, la recensione di Francesco Galluzzi del saggio sulle “Figures pisantes” di Jean-Claude Lebensztejn, quella di Walter Catalano del saggio “Io sono Burroughs” di Barry Miles, in cui Catalano esprime la diffidenza, che condivido, verso questo autore, quella di Stefano Rizzo al saggio “Le meraviglie dell’impossibile” di Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco, quella di Carlo Bordoni al volume di Umbero Eco e Jean-Clude Carrière “Non sperate di liberarvi dei libri” in cui i due autori si preoccupano del dilagare della digitalizzazione dei testi e della fine che possono fare le librerie alla morte dei loro proprietari.
Si finisce con il raccontino fulminante di Luigi Annibaldi “Il cuore della terra”.
Carlo Menzinger di Preussenthal, autore del racconto “La scimmia futurista” presente nella rivista n. 21 di IF – Insolito & Fantastico
Ancora una volta la rivistaIF- Insolito & Fantastico diretta da Carlo Bordoni, per la seconda volta edita da Odoya, con il numero 21 dedicato al “Futurismo” e curato da Alessandro Scarsella ha prodotto un volume di qualità e interesse elevati.
Singolare per una pubblicazione che si occupa di insolito e fantastico scegliere come tema un movimento letterario, artistico e culturale di un secolo fa e che non aveva come suo obiettivo descrivere mondi immaginari ma costruire una società nuova, anche se con alcune caratteristiche che fanno pensare alla fantascienza di anticipazione.
Come scrive Carlo Bordoni nel suo editoriale nel Futurismo non c’è oggi “niente che faccia pensare al futuro”, ma occorre ammettere che “è stato il primo movimento che abbia guardato al futuro con determinazione, ricercando nuove forme espressive”.
Come la prima fantascienza ottimistica, aveva “piena fiducia nella tecnica”. Quanto poco moderno era invece nella sua esaltazione della guerra, della violenza e del nazionalismo!
Introduce il volume Alessandro Scarsella con il suo “Retroterra futurista e poesia fantastica da Marinetti a Pessoa”, presentandoci i temi generali, lo spirito e le interazioni del movimento.
Ci parlano del futurismo inglese Giuseppe Panella e Susanna Becherini (“La macchina, il vortice: Pound e Marinetti”).
Gianfranco De Turris in “Suggestioni SF dell’architettura futura” parla delle possibili suggestioni che il futursimo potrebbe aver ricevuto dall’opera di Albert Robida e dal suo Saturnino Farandola e raffronta la descrizione futurista di una città del futuro, beneficiata dai prodigi dell’elettricità (questa grande novità di quegli anni) con quella negativa fatta da Emilio Salgari nel suo “Le meraviglie del duemila” in cui l’aria satura di elettricità crea problemi di salute ai viaggiatori risvegliatisi dopo in secolo e ci parla delle architetture futuriste immaginate (ma mai realizzate) da Antonio Sant’Elia.
Guido Andrea Pautasso e Antonino Contiliano parlano del futurismo russo in “Il proletariato volante di Vladimir Majakovskij” e “Futurismo russo e futurismo sospeso”.
Con “L’uomo macchina e i miti dell’ultramodernità” Guido Andrea Pautasso ci parla dell’aspirazione futurista a un mondo tutto meccanico, mentre con “L’automobile futurista” affronta l’amore per la velocità di questo movimento.
Simona Cigliana ci racconta (“L’ottimismo artificiale di Marinetti”) come Marinetti aspirasse a realizzare “l’«ottimismo artificiale» come sforzo cosciente di pensiero positivo, come risposta lucida e consapevole del poeta-creatore alla negatività del mondo e della storia”.
Il futurismo italiano non era solo Marinetti. Dalmazio Frau ci scrive di Volt, ovvero Vincenzo Fani Ciotti (“Invito alla lettura della Fine del mondo”), che aderì al movimento “senza rifiutare la tradizione della destra monarchica, cattolica e poi fascista”. Dice che si potrebbe definire la “Fine del mondo”, in cui si descrive un’invasione umana dell’etere (come era chiamato allora lo spazio), un “romanzo «futurfascista»”
Silva Milani (“I robot da salotto al tempo della signorina Felicita”) parla del dramma futurista “Elettricità sessuale” o “Fantocci elettrici” che vedeva in scena accanto a una coppia in crisi la sua copia robotizzata che continuava nella quotidianità dei gesti.
Filippo Tommaso Marinetti
Tocca a Francesco Galluzzi parlare del cinema futurista (“Vita futurista sullo schermo”) anche se ben poco è stato prodotto.
Interessanti le considerazioni di Stefano Tani sul fiorentino Aldo Palazzeschi (“Perelà, figlio degenere di Mafarka”) che pur dicendosi futurista, assume una strada personale (che lo porterà a essere il membro del movimento con successo più duraturo). Tani ci fa notare come all’autoreferenzialità del movimento marinettiano, Palazzeschi contrapponga un’attenzione verso il pubblico, alla violenza e freddezza degli altri futuristi una delicatezza e un’emotività più moderne.
Di nuovo ci parla della velocità Valentina Misgur (“Correre correre correre volare volare”).
Si chiude così la parte saggistica del volume e si apre quella antologica, prima con alcuni testi dell’epoca:
“La guerra elettrica” di FT Marinetti, in cui immagina, per esempio, di “scrivere in libri di nikel, il cui spessore non supera i tre centimetri, non costa che otto franchi e contiene, nondimeno, centomila pagine” (penso agli e-reader), mentre gli “uomini si lanciano sui loro monoplani, agili proiettili, per sorvegliare tutta la circolazione irradiante dell’elettricità nell’innumerevole ammattonato delle pianure”, giacché sul terreno “l’uomo diventato aereo, vi posa il piede solo di tanto in tanto”. “Le malattie sono assalite da ogni parte, confinate nei due o tre ultimi ospedali, divenuti inutili, triturati, sbriciolati polverizzati dalle veementi ruote dell’intensa civiltà”.
“Principio di una nuova etica e fine del mondo” di Renato di Bosso e “La nuova religione” di Ignazio Scurto, in cui immaginano una nuova fede, il “Macchinesimo” e un nuovo uomo, una sorta di cyborg, il “Macchinantropo”. Qualcosa di simile all’anima umana viene trasferita da una macchina all’altra, in una sorta di eternità robotizzata.
“Per una società di protezione delle macchine” di Felice Azari, detto Dinamo, che immagina una sorta di sensibilità delle macchine, che vanno difese dai maltrattamenti.
“Gli sterilizzati” (1926) di Luciano Folgore, esempio di proto-fantascienza che immagina un mondo sterilizzato dai sentimenti in cui uno “scienziato dal vestito d’amianto” tenta di costruire un uomo artificiale “con le più felici combinazioni della meccanica e della chimica”. Anche qui l’anima sembra un oggetto trattabile con la tecnica: “l’anima era là dentro una fialetta”.
Dipinto di Giacomo Balla
Alle testimonianze del periodo futurista seguono alcuni racconti contemporanei. Apre la sessione “La scimmia futurista” del sottoscritto Carlo Menzinger di Preussenthal, in cui, un secolo dopo quegli anni, ho cercato di mostrare il superamento di quell’approccio. Protagonista è un moderno amante del futurismo Aldo Severino (Aldo come Palazzeschi e Severino quasi come Gino Severini), che deluso dalla vita moderna sogna di “tornare una scimmia antica” e si rifugia in Africa, nella giungla, dove è aggredito da un branco di scimmie bonobo, guidate da una di esse, Uthi, colpita da un fulmine e pervasa di spirito futurista e che distrugge la casa, i libri e il dipinto futurista gelosamente conservato da Aldo, per poi scoprire colori e tela e disegnarvi un “intrico di saette oscure”. Il futurismo, insomma, anziché essere modernità, si nutre di istinti scimmieschi di violenza e prevaricazione.
Poetico il racconto di Vitaldo Conte “V – Solstizio d’estate” dell’innamorato che si lancia, per la prima volta, con un paracadute, portando con sé due rose “per divenire un paracadutista di lussuria futurista”.
Max Gobbo “Sfida alle stelle” concede a Marinetti di realizzare quello che sarebbe potuto essere un suo sogno, inaugurare “l’immensa sagoma di un razzo siderale”.
Elabora in chiave futurista, Udovicio Atanagi, con “La macchina della morte” il dolore per la morte della donna amata.
Si chiude, infine, il volume con una riflessione di Renato Gionvannoli (“L’avvento del razzo” sulla presenza dei razzi in letteratura da Cyrano di Bergerac in poi e con lo “Annuario della fantascienza 2016” scritto da Riccardo Gramantieri”.
L’ultimissima pagina è per il racconto fulminante di Lugi Annibaldi “L’amore dei libri cristallizzati” sull’amore non corrisposto di un libro per l’uomo che l’ama!
Il prossimo numero sarà sul tema “Corpo e computer”. Lo aspettiamo!
Con il numero 19 dedicato al “Gotico” si è chiusa la collaborazione tra la rivista “IF – Insolito & Fantastico” e l’Editore Tabula Fati (Solfanelli). Dal numero 20 (già uscito) il nuovo editore è, infatti, Odoya (Meridiano Zero).
Il volume monografico esplora questa volta la letteratura gotica.
Dopo l’introduzione del direttore della rivista Carlo Bordoni(“Gotico, neogotico, eredi del passato”), l’articolo del 1998 dello scomparso Romolo Runcini parla de “L’orrore ben temperato del fantastico irlandese: Yeats, Wilde e Stoker”, in cui spiega le differenze tra il senso del soprannaturale tra culture cattoliche come la nostra e quella irlandese e culture protestanti “C’è, nel protestante, una responsabilità civile e religiosa dell’individuo che invece il cattolico non può mantenere, poiché il sacro è delegato ai signori della Chiesa”. Questo, per inciso, forse spiega anche in parte il minor senso civico degli italiani rispetto ai popoli del nord Europa! Il rapporto del protestante con le scritture è diretto e non mediato dalla Chiesa come nel cattolicesimo. “La Bibbia, come sappiamo, a partire dal concilio di Trento, è stato il primo libro posto all’Indice, come i libri di Giordano Bruno, Campanella, Savonarola, Calvino, tutti eretici da bruciare.” I protestanti leggono costantemente la Bibbia, i cattolici, ancora oggi, mai.
“Il fedele cattolico tempera, smussa questi sentimenti di paura, di smarrimento e raggiunge sì l’inconscio, ma lo raggiunge attraverso le forme più morbide, più addolcite dell’irreale: infatti il fantastico di Yeats, di Wilde e in parte anche quello di Stoker, è un fantastico che in fondo si apparenta al meraviglioso”.
Interessante anche la visione di Yeats, per il quale “a poet… never speaks directly as to someone at the breakfast table, there is always a phantasmagoria”.
Runcini spiega poi la nascita della mitologia irlandese fatta di elfi e nani come quella di un popolo di “uomini e donne, più piccolo e incapaci di comprendere quella grande rivoluzione che è stata la rivoluzione agraria, cioè la ruota, l’aratro e così via”.
Sarà lo sviluppo tecnologico del XIX secolo a far morire alcune forme d’arte. Per esempio “la ritrattistica fotografica da Daguerre a Nadar, mette in ginocchio schiere di pittori, poiché anche la gente comune può permettersi una foto.” Cambia così in quegli anni il rapporto con l’arte e la letteratura e in questo clima si sviluppa il gotico.
Con “Introduzione al gothic novel” torna a scrivere il curatore Carlo Bordoni spiegandoci come l’ambientazione del gotico (letteratura tipicamente nord-europea) sia di norma nell’esotico (per loro) paesaggio mediterraneo (Italia, Spagna, Corsica), con i suoi castelli, conventi, rovine, labirinti, segrete, scale, cripte, da cui proviene un senso di mistero, nutrendosi di maledizioni, segni premonitori, profezie. Il grande capostipite del gotico è “Il Castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, ambientato, appunto, nel Salento italiano. Anche “I misteri di Udolfo” (1794) di Ann Radcliffe vede un’ambientazione italiana (l’Appennino). Bordoni ci parla anche del “Vathek” (1784) di William Beckford (che avrà più ampio spazio in altri articoli della rivista), de “Il monaco” (1796) di Matthew G. Lewis, di Frankestein (1818) di Mary Shelley (non solo gotico ma certo uno dei primissimi esempi di fantascienza, se non il primo), di “melmoth, l’uomo errante” (1820) di Charles R. Maturin e, persino del ben più recente “Il nome della rosa” (1980) di Umberto Eco.
Carlo Bordoni
L’articolo di Giorgio Rimondi “Trasformazioni e sopravvivenze” analizza la visione del sublime in Sigmund Freud “Per Freud – come lo leggo io – il sublime è uno dei maggiori interessi rimossi”.
Riccardo Gramantieri ci parla di “Thomas Tryon e il gotico americano”, spiegandoci come il gotico classico, fino a Charles Brockden Brown, si caratterizza per una “spiegazione naturale dei fenomeni che, per tutto il romanzo, erano supposti soprannaturali”. Nel gotico moderno (novecentesco), soprattutto grazie al contributo di H.P. Lovecraft, “la spiegazione dell’intreccio romanzesco esulerà dal reale”.
Per quanto riguarda l’America, il gotico, da “la festa del raccolto” (1973) di Thomas Tryon, si sviluppa attorno a comunità chiuse.
Parlando di gotico, come non ricordare Stephen King? Del suo “Shinning” parla diffusamente Barbara Sanguineti in “Impronte gotiche in Shinning”.
Riccardo Rosati con “Vathek: quando l’occidente sapeva guardare all’esotico” ci fa notare come “nell’epoca contemporanea non si sia più capaci di porci in relazione con la cultura orientale a differenza dei secoli passati” e “l’Occidente abbia perso qualsivoglia capacità empatica verso le altre culture”, perdendo “quella passione per l’Oriente tipica del XVIII e XIX secolo”, così ben descritta dal “Vathek” di Beckford.
Poe e Lovecraft
Per Borges l’inferno rappresentato da Beckford era il “primo realmente atroce della letteratura”. Per Rosati il “Vathek” potrebbe “essere descritto in vari modi: ridondante, falsamente morale, arabeggiante. Noi preferiamo giudicarlo attraverso le parole di un’amica personale di Beckford, Lady Craven, la quale così si espresse: <<Bello, orribilmente bello>>.
Carl Einstein, che pure lo critica, sostiene che questo testo abbia inaugurato “la serie di libri che ci hanno dato conoscenza ed esercizio di arte pura, che hanno sospinto l’arte nel campo di un’immaginazione conchiusa e le hanno conferito la forza di un organismo in sé perfetto”.
Giuseppe Panella ci parla di uno dei più geniali autori italiani in “L’inferno che stiamo attraversando. Dino Buzzati scrittore gotico” a proposito del suo “Il colombre”, in cui le porte dell’Inferno si aprono a Milano, un inferno che somiglia maledettamente al mondo in cui viviamo e del suo “Poema a fumetti”, una moderna versione del mito di Orfeo ed Euridice.
Molti sono stati gli emuli del maestro del gotico H.P. Lovecraft, ma in “Mondi e visioni della notte. Da Lovecraft ai gotici moderni” Walter Catalano individua come veri continuatori dello spirito lovecraftiano la triade Michel Houllebecq, Michele Mari e Thomas Ligotti.
Se Lovecraft è di certo un padre del gotico, cosa dire di Edgar Allan Poe? Ce ne parla Vito Tripi in “Poe oltre Poe” in cui indaga come questo maestro sia stato visto e reinterpretato da fumetti, TV e cinema.
Non avrei mai pensato che il Faust di Goethe potesse essere considerato una parodia del gotico, come farebbe pensare il titolo dell’articolo di Chiara Nejrotti e, in effetti, anche l’articolo sembra dirne altro.
Tim Burton, nella citazione iniziale dell’articolo di Max Gobbo “Le suggestioni gotiche del cinema di Tim Burton”, confessa di non aver letto molto, ma di sicuro deve aver visto molti film, dato che molte delle sue opere sono rifacimenti di film o loro rivisitazioni (da “La fabbrica di cioccolato” a “Il pianeta delle scimmie”). Innegabile, poi, è che molta della sua produzione abbia atmosfere gotiche, se non di più, dal corto “Frankenweenie” che si rifà al classico di Mary Shelley, al più tenebroso dei “Batman”, a “Edward Mani di Forbice”.
Sembra tratto direttamente dal precedente numero di “IF” sulla “Fantareligione”, l’articolo di Claudio Asciuti “Solo un dio ci può salvare”. Articolo che si riaggancia anche alla mia ultima lettura “Europa e Islam” con considerazioni come “Per l’occidente monoteista però religione è il culto che ha a che fare con una delle tre Religioni del Libro”; “l’hinduismo o il buddismo paiono credenze di seconda mano”; “la religione, quale essa sia ha un nucleo fondante che il mythos”. Ci parla, poi, di Dick, Lovecraft, Machen, Blackwood, Leiber, Hoffmann, Kafka, Tolkien e Borges (dimenticandosi però di Lewis!).
Frankestein
E Dracula? Della creature di Bram Stoker parla Jole Ottazzi in “Conte Dracula: vittima o carnefice” che inizia con uno strano diagramma che mette in relazione vivi, morti, non-morti e non-vivi. Dracula nasce da “un’eliminazione delle possibilità: non può vivere, non può morire, non può risorgere, non può neppure andare all’inferno come malvagio punito e, in ogni caso, non può essere salvato”.
A Pierfrancesco Prosperi sono dedicati un’intervista e lo spazio per il racconto “Un vecchio diario” che ci parla delle più classiche apparizioni ossessive del gotico, con il loro trasferirsi da una vittima alla successiva.
Il racconto di S. Gaut vel Hartman si chiama “Lo scricchiolio del gelo” e comincia con l’inquietante ritorno di Adolf Hitler che si arrampica dal fondo di un pozzo. Scopriremo, però, una realtà più complessa, di cloni e imitazioni teatrali. Con toni che sfiorano più volte il surreale.
“Il portale” è un racconto di Alex Barcaro, che ci parla di angeli, della loro guerra con gli arcangeli e di Portali.
Andrea Ferrari con “L’incontro” ci parla della sottile linea tra la vita e la morte e di ciò che si trova nel mezzo.
Come non parlare di ville abbandonate? Lo fa Andrea Franzoni con “Il simulacro”, dove troviamo una figlia misteriosamente scomparsa, sospetti di stregoneria, “orribili uomini dalla faccia bianca”. Una storia che ci lascia con l’attesa di uno svolgimento ulteriore.
Di un’altra casa parla “L’ombra dei migratori” di Massimo Prandini, con un nono piano “etereo”.
Thomas Tyron
Segue quindi un estratto del romanzo di Emilio Salgari “Le meraviglie del duemila”, in cui due viaggiatori del tempo, si risvegliano dopo cento anni, nel 2003, e scoprono come sia cambiato il mondo. Un mondo che solo in parte somiglia al nostro. Avevo già letto il romanzo in tempi recenti, essendomi incredibilmente sfuggito quando ero bambino e divoravo tutto ciò che questo autore avesse scritto. Da questo estratto noto un’insolita attenzione per l’epoca in cui fu scritto verso il consumo di carne: gli abiti e il cibo sono vegetali. “Stoffa vegetale. Già da sessant’anni abbiamo rinunciato a quella animale, troppo costosa e poco pulita in paragone a questa” e “Vi avverto che è un pranzo a base di vegetali: ma queste pietanze non sono meno nutrienti e non vi parranno meno saporite.”
Donato Altomare riprende (“Ancora sulle biblioteche”) il suo progetto di segnalazione di biblioteche disponibili ad accogliere collezioni di libri fantastici.
Walter Catalano recensisce il nuovo romanzo di David Cronenberg “Divorati” in “Nel labirinto di Cronenberg”, dove, a quanto pare, questo regista e autore non ha abbandonato il gusto per certe rappresentazioni crude e violente della corporeità umana, quindi Catalano ci parla de “Il futuro di Urania”, la celebre rivista di fantascienza con cui io e tanti altri siamo cresciuti.
Seguono varie recensioni più brevi, tra cui vorrei ricordarmi dell’ucronia “Il richiamo del corno” di Sarban.
Chiude il numero l’articolo di Claudio Asciuti “Linus e il regressio ad uterum” da cui mi pare di capire che la rivista Linus non sia più, purtroppo, quella di una volta.
Da tempo pensavo di ordinare il primo volume della rivista “IF – Insolito & Fantastico”, ma non mi decidevo mai. Sono, infatti, abbonato alla rivista a partire dal numero 2 e avevo tutti i numeri tranne il primo! Con il numero 20 “IF” ha cambiato editore passando da Solfanelli a Odoya (Meridiano Zero). Mi sono detto che se non mi fossi affrettato a ordinare il numero a Solfanelli, avrei rischiato di non trovarlo più e così finalmente l’ho acquistato, assieme al numero 19, che nel cambio di editore mi ero perso.
Come i numeri successivi, nuovo e vecchio editore, anche questo primo numero è “monografico”, nel senso che gli articoli presenti trattano un tema specifico, che, nel caso, come si legge dal titolo del numero è “Robot e androidi”.
Questa uscita non prevede alcun mio contributo, poiché questi sono iniziati solo dal numero 3.
Curatore era già allora Carlo Bordoni, cui immagino si debba l’editoriale introduttivo non firmato che illustra gli intenti della rivista e spiega come il nome si rifaccia a quello della storica omonima pubblicazione che poi si fuse con Galaxy nel 1974.
Il primo articolo è di Romolo Runcini che, come spiegato nell’editoriale, era il direttore di “Labirinti del fantastico”. Il tema dell’articolo è più ampio di quello della rivista e riguarda “Il fantastico e l’immaginario del nostro tempo”.
Sarà Franco Brambilla a calarci più direttamente nell’argomento con “L’uomo e il suo doppio” in cui fa una carrellata di questa storica figura partendo dal dramma “R.U.R.” di Čapek, passando per le leggi della robotica di Asimov, “2001 Odissea nello spazio” di Clarke, “Il pianeta proibito” di Stuart, il “Giardiniere di uomini” di Sheckley, “il film Alien” di Scott, “Il cacciatore di androidi” di Dick.
S’intitola “Lunga vita alla nuova carne” la riflessione di Domenico Gallo che approfondisce la precedente analisi, andando persino indietro nel tempo, esaminando l’opera di Kafka, di Shelley, di Odle, della Moore, arrivando poi a esaminare la fantascienza del periodo classico.
Riccardo Gramantieri ci parla degli androidi e degli organismi cibernetici ne “La letteratura cyborg di William Burroughs e Kathy Acker”.
Fondamentale per il volume è la riflessione di Carlo Bordoni “Karel Čapek : il primo robot non si scorda mai” sulla nascita della letteratura robotica e il precedente rappresentato dalla rappresentazione teatrale di questo autore ceco: “R.U.R.”.
Giuseppe Panella s’interroga “Sulla tecnologia e il suo feticcio”, facendo “Ipotesi su Michael Crichton”, l’autore di “Westworld”, quella sorta di lunapark tecnologico robotizzato che è stato prima trasformato nel celebre film interpretato da Yul Brinner e poi dalla serie TV con Anthony Hopkins. Ma anche de “L’uomo terminale”, il cui cervello è collegato a un computer centrale.
Imprescindibile, sul tema, un’analisi dell’opera dell’autore del Ciclo dei Robot. Se ne occupa Alessandro Vietti con “Isaac Asimov e le leggi della robotica”.
Dell’autore di “Metropolis” con la sua Eva Futura, la prima macchina sexy del cinema, scrive Francesco Galluzzi in “Robot e spettri in Fritz Lang”.
Westworld
Si apre quindi, dopo la parte saggistica, la sezione narrativa con il racconto di Renato Pestriniero “A sua immagine e somiglianza”, che prospetta l’avvento di una nuova razza di uomini, in parte meccanizzati, al fine di svolgere al meglio lavori in ambienti ostili, come lo spazio.
In “Scrivete a Donna Cibernetica” Andrea Coco immagina un’androide bionico di sesso femminile che si rivolge alla rubrica di una rivista per esprimere i suoi problemi relazionali.
Con “Daneel” Alessandro Vietti ci porta in un mondo che ricorda quello del Ciclo dei Robot di Isaac Asimov, con un robot domestico il cui nome Daneel ricalca persino quello dell’eroe della saga R. Daneel Olivaw. La prima Legge della Robotica asimoviana lo costringe a leggere compulsivamente.
Vincenzo Bosica, che chiude la sezione narrativa, in “Capsule”, immagina un mondo in cui il trapianto di organi artificiali ha raggiunto estremi distopici.
La rassegna è dedicata a “L’uomo-auto di J.G. Ballard”, ovvero al romanzo “Crash” e altre opere dell’autore inglese. Ne scrive Riccardo Gramantieri.
Diego Zandel fa una “Intervista a Juan Gomez Jurado”, l’autore spagnolo di “Ultima ora nel deserto”, su una ricerca all’Indiana Jones del Sacro Graal.
Segue quindi, in ricordo di Franco Fossati, un suo vecchio articolo su “Il fantastico e la fantascienza nei fumetti”, seguito da un editoriale che ricorda la sua scomparsa nel 1996.
Chiudono il volume varie recensioni di opere recenti, sia di saggistica che di narrativa.
L’interessante rivista “IF –Insolito & Fantastico” è arrivato, con il numero dedicato alla “UTOPIA” al numero 20, che già sarebbe un bel traguardo da festeggiare, ma questo numero rappresenta anche per un altro motivo un momento importante per la storia di questa rivista nata nel Settembre 2009 e con cui ho collaborato sin dal numero 3. Da questa pubblicazione di dicembre 2016 è cambiato l’editore, che non è più Tabula Fati (Solfanelli), ma Odoya (Meridiano Zero). Altra cosa che si nota subito è la periodicità che da quadrimestrale è già da un po’ diventata semestrale, anche se mi pare che questo sia stato formalizzato solo ora.
La rivista continua a essere diretta dall’ottimo Carlo Bordoni, ma per la prima volta vedo indicati in copertina, in luogo, come in passato, dei nomi dei principali collaboratori, quelli dei due curatori Riccardo Gramantieri e Giuseppe Panella, da sempre tra gli autori più attivi della rivista.
Questa mantiene il suo taglio monografico, ovvero ogni uscita tratta uno specifico tema. Per il numero 20, come già scritto, si tratta della “UTOPIA”.
All’inizio la rivista prevedeva la presenza di una sessione dedicata alla pubblicazione di racconti (tra cui ci sono stati anche alcuni miei lavori), poi questa parte fu soppressa, mantenendo solo il taglio saggistico. In un secondo momento riapparvero i racconti, con la pubblicazione anche dei vincitori di specifici concorsi promossi dalla rivista stessa. Nella nuova versione della rivista siamo tornati al taglio privo di racconti (tolta una mezza paginetta finale).
Carlo Bordoni, il direttore della rivista IF Insolito & Fantastico
Non so se sia dovuto al nuovo editore, ai nuovi curatori o semplicemente al tema del numero, ma la sensazione che ho avuto leggendo “UTOPIA” è che sia anche un po’ cambiata l’impostazione degli articoli. Non saprei bene spiegare in che modo, ma mi sono parsi, per così dire, più “scientifici” o comunque con un approccio che sembra ricercare una maggior accuratezza critico-letteraria. Questo senza nulla togliere a tutti gli articoli delle uscite precedenti, sempre professionali e interessanti, ma è come se ci sia una qualche volontà di accentuare questo taglio. Peraltro, sul numero 20 compare anche il mio articolo “Asimov e le utopie a scadenza”, ma non ho avuto alcuna indicazione da nessuno su un diverso approccio o stile da seguire, dunque queste forse sono solo sensazioni personali.
Infine, va segnalato anche il cambio, seppure ridotto, della veste grafica. In ogni caso si conserva il formato “a libro”.
“UTOPIA” si apre con l’Editoriale che annuncia il nuovo corso, spiega la scelta del tema, ricorrendo i 500 anni dalla pubblicazione omonima di Thomas More e fa sapere che ora la rivista è divisa in due parti, una monografica a tema e una generalista con articoli di attualità, rubriche e recensioni. La parte monografica rimane, come in passato, quella prevalente e caratterizzante.
Giuseppe Panella
Segue l’Introduzione dei due curatori “Ritorno all’utopia”.
Giustamente il primo articolo, di Alessandro Scarsella ci parla dell’opera di Tommaso Moro (“Il Moro di Venezia: una traduzione tardiva”) e delle sue prime versioni italiane.
Il curatore Giuseppe Panella, assieme a Susanna Becheriniin “Utopia come pedagogia della perfezione umana” ci parlano della motivazione formativa e politica delle utopie, dell’uso di queste narrazioni per indicare un percorso umano e, soprattutto, sociale da intraprendere.
Singolare l’aspetto esaminato da “Brevi appunti sull’utopia sessuale dal XVI al XVIII secolo” di Bruno Vitiello, che affronta il tema della sessualità nelle utopie di quell’epoca.
Il direttore della rivista, Carlo Bordoni ne “Il ritorno del turco meccanico” coniuga passato, presente e futuro in una riflessione sull’utopia tecnologica e sul suo opposto, la paura della macchina, la paura che la macchina possa rubare il lavoro all’uomo.
Riporta la riflessione di Marcuse su cosa potrà fare l’uomo del proprio tempo liberato dal lavoro della macchina, su come il capitalismo potrebbe essere messo in forse dall’aumento del tempo libero e dalla progressiva scomparsa dei lavoratori, essendo il lavoro fonte di controllo sociale. Se l’utopia di un mondo popolato di macchine sempre migliori e più autonome ci affascina, rimane il rischio che la loro produttività non si trasformi in ricchezza collettiva, ma sia fonte di reddito solo per pochi, creando ampissimi strati di diseredati e poveri in stato di miseria. Le attuali riflessioni sul reddito di cittadinanza ancora sembrano fantascientifiche, ma il sempre più veloce progredire dell’automazione, renderanno necessario farvi sopra considerazioni stringenti, giacché non basta migliorare la produttività dell’industria e dei servizi traducendola in esuberi. Sono quegli stessi lavoratori resi inutili e obsoleti, coloro che dovrebbero in primis beneficiare del progresso, mediante la percezione di redditi adeguati.
Alessandro Fambriniin “Kurd Lasswitz e la progettazione dell’utopia” ci parla del Jules Verne tedesco e in particolare del suo utopistico pianeta (“Su due pianeti” – “Auf zwei Planeten” del 1897), coevo della celebre “Guerra dei Mondi” di H.G. Wells, ma di approccio assai più positivista. La riflessione di Lasswitz è un invito alla moderazione, giacché mostra come il modello di mondo in cui tutto è corretto e prevedibile appaia altrettanto fallace di quello in cui nulla è determinato e ciascuno può ottenere tutto quello che vuole. Solo dall’unione dei due modelli nascerà l’equilibrio. Per il tedesco la soluzione non viene da Dio ma dalla tecnica. Chi trova la soluzione, quando gli viene chiesto chi sia risponde infatti “Io sono l’ingegnere”.
L’articolo dei curatori Riccardo Gramantieri e Giuseppe Panella “Distruggere ed edificare, parole in libertà e calcestruzzo” sembra quasi voler anticipare il tema del prossimo numero di IF “Futurismo”, raccontandoci delle attuazioni architettoniche del movimento novecentesco di Marinetti grazie alle nuove tecniche legate al cemento armato, di cui disegnano quasi una sorta di storia.
Segue quindi l’articolo del sottoscritto Carlo Menzinger “Asimov e le utopie a scadenza”, con il quale faccio seguito a una mia totale rilettura di tutti i romanzi e racconti sulla storia futura asimoviana, riuniti, soprattutto, nei cicli tra loro collegati “Robot”, “Impero” e “Fondazione”. La mia riflessione concerne come l’ottimismo asimoviano vada mutando da un ciclo all’altro, mostrandoci una moltitudine di modelli utopici a volte paralleli, a volte alternativi tra loro.
Anche Silverio Zanobettilascia qui un articolo sulla letteratura fantascientifica, analizzando l’opera di un altro grandissimo autore del genere in “La fantaeconomia di Robert Heinlein”. L’approccio particolarmente serio di questo numero emerge anche in questo articolo, con i riferimenti alle teorie economiche e filosofiche di Adam Smith, Friedrick von Hayek, Robert Nozik e Jacques Lacan.
Il tema della tecnologia, già affrontato da Carlo Bordoni è ripreso e sviluppato da Domenico Gallonel suo “Utopie tecnologiche e liberazione dal lavoro”, con riferimenti qui anche ai movimenti di liberazione dalla macchina, come i luddisti e affronta le riflessioni di Reynolds sul reddito di cittadinanza.
Giulia Iannuzzi ci introduce all’utopia energetica con il suo “Sognando il moto perpetuo” che affronta il tema della ricerca in fantascienza della fonte energetica ideale.
In “Le forme della città futura” Riccardo Gramantieritorna sul ruolo dell’architettura già affrontato nell’articolo precedente scritto assieme all’altro curatore. Qui si parla anche di arcologia. Quando si parla di arcologia si ragiona in merito a un enorme edificio sufficiente a mantenere un’ecologia interna e una densità abitativa estremamente alta. Il termine, parola macedonia formata dalle parole “architettura” ed “ecologia”, è stato coniato dall’architetto Paolo Soleri negli anni sessanta del Novecento. L’arcologia viene affrontata come utopia architettonica, ma non posso non pensare alle sue implicazioni per le grandi navi generazionali della fantascienza, quelle in grado di trasportare uomini, animali e piante per secoli attraverso lo spazio, di cui ho recentemente parlato commentando “Universo” di Robert Heinlein.
Adele Tiengo, esperta degli scritti di Margaret Atwood, in “Sulle strade dell’Ustopia nel mondo di Maddaddam” parlandoci dell’opera di questa autrice, ci spiega come questa abbia coniato il termine “Ustopia” per indicare un’opera che sia al contempo utopia e distopia. Del resto queste ultime sono sempre troppo estreme per essere realistiche. Nel mondo reale (ma anche in narrativa) non dovrebbero esserci utopie senza elementi distopici e viceversa. Terrò presente il termine “ustopia” per definire il mio nuovo romanzo “Via da Sparta”, che è, soprattutto, ucronia, ma, in effetti, anche ustopia, dato che per descrivere un mondo del tutto nuovo, come ho tentato di fare, non si può che dipingerne al contempo aspetti negativi e positivi.
Valerio Vangelisti in “La nascita di Eymerich” ci racconta come la sua esperienza di ghost-writer per un testo sulla subpersonalità schizoide, lo abbia influenzato nel creare il suo inquisitore, pensando ai sintomi di tale malattia (timore di essere toccato, paura di aggressioni, aggressività latente, orrore degli insetti).
Maggie Gee, invece, intervistata da Domenico Gallo ci parla dei suoi romanzi eco-apocalittici “Il diluvio” e “Il pianeta di ghiaccio”.
Gianfranco De Turris (“Il risveglio della soap opera stellare”) critica duramente il VII episodio di Star Wars.
Walter Catalanocerca di farci scoprire un autore (“Lo strano caso di Thomas Ligotti”) che sembra voler sfuggire alle luci della ribalta e che considera interessante sebbene “così estremo e faticoso, così inattuale e del tutto refrattario a qualsiasi imbonimento nei confronti del pubblico”.
Maria Theresa Chialantci parla, invece, di una distopia di chiara ispirazione orwelliana “2084 – Il potere dell’immortalità nella città del dolore” in cui Lerro Menotti illustra gli aspetti distopici di un mondo utopico in cui si sia trovata la chiave per l’immortalità e la cancellazione del dolore.
Walter Catalano, poi, ci accompagna del mondo degli sceneggiati di genere fantastico trasmessi dalla RAI, commentando il saggio “Fantasceneggiati – Sci-fi e giallo magico nelle produzioni RAI (1954-1987)” opera di Leopoldo Santovincenzo e Carlo Modesti Pauer.
Riccardo Gramantieri completa il volume con un’analisi delle pubblicazioni di genere fantastico del 2015, lasciando la chiusura a un breve quadretto narrativo di Luigi Annibaldi(“Pagamenti in amore”).
Il prossimo appuntamento di IF sarà con il Futurismo.
La mitica IF Rivista di letteratura fantascientifica, torna in veste rinnovata per i tipi delle Edizioni Odoya di Bologna. Il direttore Carlo Bordoni presenta la nuova rivista, che avrà una grafica tutta nuova e cadenza semestrale. Il primo numero della nuova serie, presentato dai curatori Riccardo Gramantieri e Giuseppe Panella, è dedicato all’Utopia: un modo per festeggiare i Cinquecento anni dalla pubblicazione dell’iconico libro di Thomas More.
Saggi di Giuseppe Panella, Riccardo Gramantieri, Alessandro Scarsella, Susanna Becherini, Bruno Vitiello, Carlo Bordoni, Alessandro Fambrini, Carlo Menzinger, Silverio Zanobetti, Domenico Gallo, Giulia Iannuzzi, Adele Tiengo.
Mentre nelle sale cinematografiche di tutto il Pianeta Terra impazza il settimo film del ciclo di “Guerre Stellari”, Tabula Fati dedica il numero monografico n. 18 di IF – Insolito & Fantastico all’altra grande (e per me inferiore) saga fantascientifica di questi nostri anni: “Star Trek”.
Ultimamente la rivista è tornata all’originaria ripartizione che vedeva una parte saggistica e una narrativa, prevedendo anche un concorso a tema, il cui risultato è la pubblicazione di tre racconti.
Tra i racconti pubblicati, fuori concorso, compare anche il mio, di sapore ucronico, “L’altra Gerusalemme”, in cui immagino che al termine della Seconda Guerra mondiale, Israele sia fondato tra le due Germanie anziché in Palestina. Ho scritto il racconto con l’idea di mostrare come sarebbe cambiato, in tale situazione, il terrorismo internazionale in Medio Oriente e in Europa.
Sebbene incentrato sulla saga di “Star Trek”, il volume non manca di dedicare un capitolo alle vicende dei Cavalieri Jedi, con l’articolo di Riccardo Rosati “La religione in Star Wars”.
Interessante, in particolare, l’analisi di M. Gobbo sul tema “Star Trek come rappresentazione filmica di un cinquantennio”. La longevità infatti, di entrambe queste serie, le rende entrambe termometri dell’evoluzione della nostra società, del modo di concepire il cinema e la fantascienza.
Curioso il raffronto di Nunziante Albano tra “Star Trek” e la serie tedesca “Raumpatrouille”.
Fuori tema, Vito Tripi ci parla di Dottor Destino, Gianfranco De Turris ci parla dello scomparso Hans Ruedi Giger, l’inventore di Alien, morto il 12/05/2014, e Marco Cimmino delle debolezze dei narratori fantastici italiani dei secoli scorsi.
Il Lato Oscuro di… Carlo Menzinger
Nella parte narrativa, a parte il mio racconto e i vincitori del concorso, Franco Piccinini, Juri Casati e Franco Calabrese, rileva il finale del romanzo “La donna eterna” (She, 1887) di Henry Ridder Haggard.
Colgo l’occasione della lettura della recensione, in fine volume, di tre romanzi sugli zombie scritti da autori italiani (Nicola Furia, Massimo Spiga, Alessandro Girola) fatta da Vito Tripi, per riportare una mia veloce riflessione: le storie di zombie in Italia non potrebbero funzionare. Abbiamo case troppo “fortificate”, alti muri, vere fortezze. Le storie di apocalissi zombie funzionano solo in paesi come l’America con case di periferia che sembrano fatte di cartone, porte di vetro, finestre al piano terra senza inferriate. Dunque, stiamo tranquilli: se mai ci sarà un’apocalisse zombie, gli italiani si salveranno!
Ci insegna wikipedia che “La fantapolitica è un filone narrativo che si concentra nel descrivere un sistema politico o una situazione politica ipotetici, ambientati spesso in un futuro prossimo. (omissis)
Il termine italiano è una parola macedonia tra fantasia (o fantastico) e politica, con significato di “politica fantastica”, analogamente alla parola fantascienza. Il termine e il relativo genere hanno avuto una notevole diffusione a partire dai primi anni sessanta. In ambito anglosassone è usata l’espressione political fiction.
La fantapolitica, nelle opere odierne di narrativa e cinema, è spesso assimilata a un sottogenere della fantascienza. Tali opere possono utilizzare riferimenti ad una ipotetica società del futuro o a fatti accaduti e persone esistenti, o descrivere l’evoluzione futura di una situazione politica presente. Non mancano tuttavia esempi, anche classici, di romanzi fantapolitici ambientati in un mondo immaginario, in cui si fa ampio ricorso all’allegoria o si attribuiscono a personaggi o popoli evidentemente inventati vizi e difetti che l’autore intende “mettere alla berlina”, in genere a scopo satirico o moraleggiante.”
Aggiungerei che se i fatti narrati fossero nel passato, con buona probabilità saremmo nell’ambito dell’ucronia più che della fantapolitica.
Quella sorta di enciclopedia della letteratura fantastica che è la rivista “IF – Insolito e Fantastico”, dedica dunque il numero 17 di questo 2015 alla “Fantapolitica” cui sono dedicati gli articoli e i racconti di questo volume, come di consueto monografico e, come sempre, rigorosamente di 128 pagine in formato “libro”.
Essendo un genere sviluppatosi negli anni ’60 del secolo scorso, in piena Guerra Fredda, il tema più ricorrente della fantapolitica era la paura della bomba atomica e del comunismo, visto come regime totalitario. Ce ne parla anche il curatore della rivista Carlo Bordoninel suo articolo introduttivo.
Che la fantapolitica sia uno strumento della politica è tema che sviluppa Domenico Gallo, che cita anche la stroncatura a “1984” di Orwell, fatta da Palmiro Togliatti, riportata a seguire.
Dei romanzi di Brian Aldiss ci parlano sia Riccardo Gramantieri, sia Carlo Bordoni. Della fantapolitica a sfondo religioso scrive Giuseppe Panella. Dei rapporti tra questo genere e la sincronicità tratta Max Gobbo, mentre di Robert Heinlein (ma non siamo più dalle parti della fantascienza?) scrive Vittorio Piccirillo. Esiste una branca della fantapolitica dedicata a quel politicante di Berlusconi? Pare di sì, a quel che scrive Lucasz Jan Berezowki.
Di “Fuga da New York” di Carpenter e del suo sequel scrive Dalmazio Frau, mentre i “Diari di Turner” di MacDonald sono raccontati da Diego Sobrà.
Un’analisi del genere viene affrontata da Gianfranco De Turris e Tomaz Skocki ci parla di come è trattato in Polonia.
Alla sezione di saggistica, come al solito, fa seguito la parte di narrativa, che comprende sia brani scelti dall’editore, sia i vincitori del concorso per racconti a tema.
Vi leggiamo così, fuori concorso, brani di Giovanni Agnoloni (di cui avevo già recensito il romanzo distopico “Sentieri di notte” e che qui si cimenta nella narrazione di un viaggio spaziale con allucinazioni), Fernando Iwasaki Cauti (che ci offre una serie di micro racconti di pochissime righe, a volte molto taglienti ed efficaci- della sua scrittura ci scrive poi Chiara Boschiero) e il classico Camille Flamarion (e il suo amore siderale)
In concorso erano invece Darkum Neik (ci mostra un Sudamerica sovieticizzato), Dario Marcucci (storia dal sapore distopico) e Juri Casati (il suo divertente racconto ci spiega alcuni eventi storici recenti con il naufragio di una nave aliena in Corea del Nord).
Di seguito vorrei ricordare i numeri di IF usciti sinora:
Ho partecipato spesso alla rivista con miei articoli, che colgo l’occasione per ricapitolare qui (il numero è quello della rivista, seguito dal titolo dell’articolo):
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”