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L’ANTICONFORMISMO RAMPANTE

Italo Calvino

Dopo “Il Visconte dimezzato” riprendo la mia rilettura della Trilogia degli Antenati di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) con il geniale “Il Barone rampante” (1957). Che vi si narri di un nobiluomo che vive sugli alberi penso lo ricordino tutti. Quel che non ricordavo dalla mia lontanissima lettura giovanile era che il Barone Cosimo Rondò sugli alberi decise di salirvi da bambino e vi rimase sino alla fantasiosa morte, quando era ormai anziano, restando sempre ligio alla regola autoimpostasi di non posare mai piede al suolo. Vi si racconta quindi di come, quasi una sorta di Robinson Crusoe (come gli fa notare l’amica Viola), si attrezzasse per vivere al meglio delle possibilità sulla sua isola aerea, riuscendo peraltro a spostarsi per lunghe distanze, in un tempo in cui i boschi erano ancora folti ed estesi. Alla sua morte, ci racconta la voce narrante del fratello, già la situazione del regno arboreo era mutata e il verde andava facendosi

più rado.

Si è ai tempi di Napoleone Bonaparte con il quale il Barone ha una conversazione che rovescia quella tra Diogene e Alessandro Magno, ma non il senso di superiorità che deriva al Barone dal poter guardar tutti letteralmente dall’alto in basso. Vive Cosimo sugli alberi, discosto dalla società, ma non per questo con questa non ha rapporti, dall’amicizia con la nobile vicina Viola, poi sua moglie, a quella con i monelli ladri di frutta, per arrivare a quella con gli esuli spagnoli che, in esilio, come lui non possono poggiare i piedi sul suolo italico e si sono rassegnati a sorte arboricola. Si associa persino alla Massoneria e si impegna nell’esercito e in politica, governa le sue terre e le difende a modo suo. Come a dire che una vita alternativa è sempre possibile, che le convenzioni si possono spezzare, anche solo rifiutandosi, per un prolungato vezzo infantile, di posar piede a terra.

IL MISTERO SURREALE DELLA FABBRICA DI SCHIO

Massimo Bernardi è autore che predilige il surreale. Lo avevo ben visto leggendo “Hanno invaso la Svizzera” e ancor più il precedente “Mandala”. Il reale si mescola nella sua narrazione con il fantastico ma questo difficilmente resta imbrigliato nelle regole della fantascienza o del fantasy, ma sfocia in un caleidoscopio di trovate surreali.

La mia nuova lettura si chiama “I fantasmi della Fabbrica Alta”. L’ambientazione è concreta e realistica, in parte attuale, in parte storica, a Schio, presso il Lanificio Rossi.

I fantasmi compaiono nel titolo e, in effetti, anche nella storia, eppure siamo ben lontani dal romanzo gotico. Anche se vengono definiti tali, più che ectoplasmi, sono creature fantascientifiche imprigionate in “intercapedini del tempo” o particolari creature capaci di superare i confini del tempo e i limiti della consueta mortalità.

Il luogo fisico della Fabbrica Alta di Schio fa quindi da teatro extra-temporale per vicende del XIX e XXI secolo. La Fabbrica Alta “in apparenza è solo un edificio abbandonato in mezzo alle sterpaglie, che ha perso la sua funzione produttiva alla fine degli anni Sessanta del Novecento e che oggi è considerato uno dei più significativi e meglio conservati esempi di archeologia industriale del Nord Italia” (pag. 185), ma “molti ignorano che la Fabbrica Alta non è solo questo. Non è solo assenza, non è solo un passato che non ritorna. La Fabbrica Alta è molto di più. È qualcosa che si fa fatica a trovare le parole giuste per descriverla” (pag. 185). “Occorre che, chi si presenta davanti alle sue mura con l’intenzione di entrare, ne abbia davvero il desiderio” (pag. 186).

Che dire dei personaggi? Si va dalla piccola Bettina, nascosta nell’intercapedine del tempo per un secolo e mezzo, ad Amalia che da giovane “aiuta i soldati a nascondersi” e poi diventa “una strega cattiva che si vendica su una bambina”, alla “romantica eroina preraffaellita” Lady Shallot, all’”anarchico ribelle e incendiario, che poi diventa assassino di sua madre” Zeno a tanti altri (pag. 196).

In fondo sono “tutti dei fantasmi” ed è “tutta una finzione”, una serie di “storie strampalate” (come scrive Bernardi a pag. 196) un po’ pirandelliane, con l’autore che conversa con i propri personaggi in cerca di realtà.

Tante le citazioni, da Calvino a Böcklin, a Bosch, a Twin Peaks, a John William Waterhouse solo per dirne alcuni, come numerosi sono i personaggi e le trovate inventive di questo autore.

SCOMPARIRE ALLA RICERCA DEL CLONE AMATO

Era un po’ che non leggevo nulla di Haruki Murakami (Kyoto, 12 gennaio 1949), autore sempre suggestivo anche se spesso con qualche debolezza narrativa. Ho da poco letto “A sud del confine, a ovest del sole” (1992), un’opera molto più mainstream di altre che avevo letto ed eccomi di nuovo a leggere qualcosa di suo con “La ragazza dello Sputnik” (1999).

Haruki Murakami

Nonostante il titolo, come per la precedente lettura, anche qui la fantascienza non c’entra per nulla. La protagonista, la giovane scrittrice Sumire, viene definita così dal coprotagonista voce narrante perché ha confuso il movimento letterario Beatnik con il celebre satellite artificiale russo. A dir il vero la confusione della ragazza non è del tutto immotivata. Leggo, infatti, che “La parola beatnik è stata inventata dal giornalista Herb Caen, del San Francisco Chronicle, in un suo articolo del 2 aprile 1958, come termine denigratorio per riferirsi ai beats, ovvero ai membri della Beat Generation, come unione di parole con il satellite sovietico Sputnik, per sottolineare sia la distanza dei beat dalla società statunitense corrente, sia il fatto che erano vicini alle idee comuniste” (da Wikipedia).

Il romanzo è uno dei più realistici di Murakami, anche se non manca un misterioso episodio in

cui Myu, la donna più matura di cui si innamora la giovane Sumire, rimasta bloccata su una ruota panoramica, sbirciando in casa propria con un binocolo vede se stessa fare l’amore con un uomo. Discesa dalla ruota si sdoppierà: una Myu rimarrà nel mondo reale ma con i capelli divenuti bianchi e una forte avversione per il sesso, mentre l’altra Myu, forse, continuerà una sua esistenza più libera in un altro spazio.

Quando Sumire misteriosamente scompare il narratore sospetta possa aver raggiunto, alla ricerca dell’amore, la Myu sdoppiata, perché rifiutata dalla Myu asessuata.

Lettura piacevole, scorrevole, con una trama più semplice e lineare di altre opere del giapponese come “Nel segno della pecora” (1982) con il ragazzino che fissa il pene di balena, l’autista con il numero di telefono di Dio e la pecora che entra nelle persone o  “La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie” con i suoi unicorni al pascolo o anche “1Q84” (2009) con  i Little People e le loro crisalidi d’aria. Siamo qui piuttosto dalle parti “Tokyo blues” (anche noto come “Norwegian wood”) come genere e come qualità non troppo lontani da “Kafka sulla spiaggia” che credo resti il suo romanzo che ho apprezzato di più.

Un autore, comunque, da continuare a leggere perché ogni sua opera apre un mondo nuovo.

VITA SPEZZATA DI UN ANTENATO

Italo Calvino

Dopo aver riletto “Le Cosmicomiche” riprendo la lettura con un nuovo romanzo di Italo Calvino, uno della trilogia degli antenati, “Il Visconte dimezzato” (1951), che avevo letto ai tempi della scuola. Vi ritrovo, come ricordavo dalla lettura giovanile fatta, la solita vena surreale tipicamente calviniana, con questo Visconte Medardo, che, durante la guerra con i turchi, si ritrova con il corpo spezzato in due. Non con un taglio orizzontale, come purtroppo avviene in guerra, ma con un perfetto taglio verticale che divide la parte destra dalla sinistra. All’inizio si pensa che una metà sia andata persa per sempre ma poi riappare. Sono una la parte buona, l’altra quella “grama” del Visconte che fu. Quella cattiva si diletta a uccidere i suoi sudditi per futili motivi e a tagliare in due fiori e animali. Innamorato di una ragazza le offre in omaggio uno scoiattolo tagliato come lui per lungo. Una sorta di Dottor Jekyll e Mr. Hyde, ma che non si alternano nel medesimo corpo ma hanno preso possesso uno della parte destra e l’altro della sinistra. Entrambe se ne vanno in giro

saltellando appoggiate a una gruccia.

Una forma particolare di schizofrenia, forse un’anti-schizofrenia. Non so se ci sia modo per descrivere una personalità scissa in tal modo, ma dietro questa favola c’è della psicoanalisi.

Sembra che per render la pace al paese e alla povera fanciulla vittima dell’amore del Visconte ci sia solo da riunire le due parti anche se “non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo” che perfetto non è di certo.

Inutile dire, che come per “Le Cosmicomiche”, anche qui ritrovo nel dimezzamento del Visconte qualcosa della decapitazione del  mio Lazzaro in “L’Eterno e la Stella Vagante”: anche questo libro, letto oltre quarant’anni fa, mi ha lasciato qualcosa dentro, un seme che sta ancora maturando. Come ne scrivevo poco fa per “Le Cosmicomiche”, questa è ottima cosa per valutare la qualità di un volume. E mi chiedo, poi, se potrò mai provare a raccontare in questo modo la storia dei miei antenati.

L’UNIVERSO DI CALVINO

Credo siano passati ormai oltre quarant’anni dalla prima volta che lessi “Le cosmicomiche” (scritte tra il 1963 e il 1964 e raccolte nel 1965) di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985), eppure è stata una di quelle letture importanti, che ti restano dentro per una vita. Nel rileggerlo oggi, c’ho ritrovato i semi persino dell’ultimo romanzo che ho completato recentemente (“L’Eterno e la Stella Vagante”, inedito).

Ottimo segno per un libro. Credo anzi sia questo quasi il massimo cui un autore potrebbe ambire: far sì che un libro diventi parte dell’essere dei propri lettori. Ci sono, poi, libri che addirittura, si dice, ti cambiano la vita, ma senza arrivare a questi estremi anche un libro che lasci i suoi semi a maturare per anni ha raggiunto un enorme risultato.

L’ho letto per valutarne il mantenimento in una lista delle migliori opere fantascientifiche, ma definire fantascienza un libro simile mi pare difficile. È vero che Calvino parte da alcuni temi o principi scientifici, astronomici, fisici, evolutivi o altro, ma l’approccio è talmente fantastico e surreale che si perde del tutto la razionalità che il genere dovrebbe avere. Calvino scrive come solo Calvino scrive e provare a farlo come lui non avrebbe neppure senso. Inserirlo in un genere non si può. Questo è solo surrealismo fantastico calviniano. Troppo unico è il suo modo di trattare con leggerezza il surreale della scienza.

Quando nel primo racconto (si tratta, infatti, di un’antologia) ci narra di un tempo in cui la luna era così vicina che bastava una

Italo Calvino

scala per salirci non si pensa certo ad Asimov o Heinlein ma alle avventure del Barone di Münchhausen (1781) e di Cyrano di Bergerac (Parigi, 6 marzo 1619 – Sannois, 28 luglio 1655) e all’opera di Luciano (Samosata, 120 circa – Atene, tra il 180 e il 192) che entrambi ha preceduto, ma le peripezie lunari con la bella di turno hanno qualcosa di tipicamente italiano, se non strapaesano. Sono influsso magico della luna che tanta altra letteratura ha ispirato, non certo fantascientifica. Quando ci racconta di una famiglia che vive in una Nebula da secoli, non c’è nulla di scientifico ma un rendere normali esseri umani qualcosa di immortale e prossimo agli dei, pur restando profondamente persone comuni. Il disseminare la Galassia di segni per orientarsi come se il protagonista fosse Hansel o Gretel nel bosco è di nuovo un portare la piccolezza dell’uomo alla pari con la grandiosità dell’universo. Dimenticarsi delle sue reali misure, dimenticarsi dei suoi vuoti infiniti, dimenticarsi del ristretto arco di tempo in cui ciascuno di noi è imprigionato, facendoci di nuovo quasi credere di poter essere tutti noi degli dei. Lo stesso quanto gioca con la fisica e la matematica e immagina un’intera comunità stipata in un singolo punto geometrico. Come non pensare allora a “Flatlandia” (1884) di Edwin Abbott Abbot.

E il personaggio che gioca con gli atomi o lanciare galassie riporta altre suggestioni, che forse solo la fantascienza umoristica di “Guida galattica per autostoppisti” e opere simili possono richiamare.

Quasi grotteschi sono i racconti che vedono un’evoluzione così accelerata che un personaggio umano si ritrova a conversare con un prozio pesce o un dinosauro si trova a vivere tra la gente senza che questa lo riconosca come tale o troviamo un giovane essere informe con tutta l’evoluzione davanti o persone vissute prima della nascita delle stelle, che precipitando attraverso il vuoto cosmico, adocchiano ogni tanto qualche galassia lontana. Singolare il tale che comunica con stelle lontane centinaia di milioni di anni luce mostrando dei cartelli con pollice alto o verso, come in un’anticipazione dei moderni Like e Unlike.

Opera geniale, leggera e profondissima, insomma. Una fiaba per adulti che non si può non leggere e che letta non può essere dimenticata. Neppure ora, dopo tanti decenni.

NOVE PENNE PER L’UCRAINA

Strani anni questi con cui è iniziato il decennio. Prima bloccati in casa per la pandemia, con l’economia in crisi per assenza di turismo, riduzione dei consumi, imprese chiuse, poi una guerra in Europa che sembra quasi sia la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ma purtroppo non è per nulla così, persino in Ucraina già si era combattuto, ma anche in Bosnia, Kosovo, Cecenia e questo evitando di considerare atti bellici i numerosi attentati di varia matrice. La differenza sono le parti in causa e chi le sostiene, che sommano agli orrori di chi la guerra la subisce con morti, feriti e devastazioni gli effetti inusitati sulle tasche degli italiani e degli altri europei, che si apprestano a patire un gelido inverno russo con bollette di energia e gas e spese per riscaldamento alle stelle.

Ho appena finito di leggere lo splendido saggio “Il declino della violenza” di Pinker che, giustamente, sostiene che questa si sia ridotta enormemente in tutte le sue manifestazioni, anche quella bellica. Tra le tante cose, però, notava (il volume fu pubblicato nel 2011) che la cosiddetta Lunga Pace in Europa non sarebbe potuta durare ancora a lungo (statisticamente e storicamente parlando) e che il momento in cui le guerre iniziano e quello in cui finiscono non sono prevedibili, ma anche se la tendenza verso la pace è sempre più forte, questo non c’avrebbe esonerato da un nuovo importante conflitto europeo. Tra le possibili aree di crisi accennava ai rapporti tra la Federazione Russa e gli stati dell’ex-URSS.

Ebbene, eccoci qua, nel mezzo di questa invasione russa dell’Ucraina i cui sviluppi ed esiti restano ancora misteriosi. La Russia, ossessionata dall’idea dell’accerchiamento NATO e dell’avanzata di questa e dell’Unione Europea su quelli che un tempo furono suoi territori, volenterosa di riportare sotto l’ala di Mosca zone popolate da numerosi russi, ha sferrato un attacco che, si presume, immaginasse veloce, ma la comunità internazionale ha reagito come non aveva fatto nel caso di altre sue azioni in Georgia, Cecenia e nella stessa Ucraina, creando una drammatica situazione di stallo da cui appare difficile uscire.

In questo clima uno dei più importanti autori di genere ucronico e fantascientifico italiani, Pierfrancesco Prosperi, dopo aver scritto un racconto ispirato a queste vicende, ha pensato bene di chiamare a sé alcuni amici perché dessero ciascuno il proprio contributo narrativo.

Realizza così il volume “SLAVA UKRAÏNI!” con l’esemplificativo sottotitolo “9 Penne contro l’Orco”: “Poi mi è venuta l’idea di allargare il tiro, coinvolgendo altre penne, fantascientifiche e no, in un’Ùantologia partita col titolo provvisorio PENNE CONTRO L’ORCO, tanto per essere chiari, e poi diventata SLAVA UKRAÏNI!, dal grido di battaglia novecentesco che in italiano suona “Gloria all’Ucraina!”. Sarebbe stata, chiaramente, un’antologia di parte; non che non si potessero criticare gli ucraini, per carità, ma doveva essere ben chiaro chi era l’aggressore e chi l’aggredito” scrive lo stesso Prosperi nella sua introduzione.

Gli autori sono Massimo Acciai Baggiani, Renato Campinoti, Mauro Caneschi, Alberto Costantini, Alberto Henriet, Carlo Menzinger di Preussenthal, Thomas M. Pitt, Pierfrancesco Prosperi ed Erica Tabacco. L’editore è Tabula Fati. Acciai, Campinoti, Menzinger e Prosperi sono tutti membri dell’associazione culturale Gruppo Scrittori Firenze e già hanno collaborato tra loro in altri progetti.

Apre l’antologia Alberto Costantini con il suo “Nata il 24 febbraio” che ci mostra un “futuro allucinato e distopico” attraverso il diario di una ragazza nata il giorno in cui è iniziata la guerra e che ora vive in un’Italia e in un Europa soggiogate e in perenne stato di guerra.

Ho avuto l’onore di essere uno degli autori di questa raccolta e il mio “Ucronie ucraine” è il secondo della serie. Amo spesso usare allitterazioni nei miei titoli e questa volta ci stava proprio bene dato che vi si racconta di uno scienziato ucraino, fervente patriota, che, nel 2222 cerca di liberare la sua patria dal bisecolare dominio russo con strampalati e sempre più sfortunati viaggi nel tempo che creano universi ucronici distopici fino a un ironico e surreale finale.

“Cuore di ghiaccio”, la “cinica e beffarda cronaca di Mauro Caneschi, intrisa di echi dickiani” (come scrive Prosperi) ci porta in un’estensione del conflitto che vede i russi avanzare in territorio polacco, in una strategia volta a “indurre i paesi alleati dell’Ucraina ad accogliere ondate gigantesche di profughi che ne piegavano la logistica e le risorse”, mentre “L’Ucraina era una distesa di macerie”.

A proposito del racconto del curatore, “Il mio processo come criminale di guerra”, lascerei la parola allo stesso Prosperi che così ne parla nell’introduzione “Ribaltando la situazione, ho immaginato che gli americani, occupata inopinatamente Mosca in un prossimo futuro grazie al solito virus, sottopongano a processo il Presidente e il governo russo per i crimini di guerra commessi durante l’invasione del confinante paese di Ukronia, ottenendo dalla difesa di questi personaggi risposte e argomentazioni surreali e non troppo dissimili da quelle usate nei mesi scorsi dalle fonti ufficiali moscovite”.

Il conflitto immaginato è quanto mai duro con “una serie di incendi di origine chiaramente dolosa” che “ha devastato il principale istituto di ricerca sulle armi biologiche ad Aralsk, scatenando un virus che in pochi giorni ha sterminato tra i dieci e i quindici milioni di persone tra bambini e adulti” e sebbene si svolga nel Paese immaginario di Ukronia, i riferimenti alla storia attuale sono evidenti. Quando il conflitto pare volgere a favore degli americani, tutto cambia a sorpresa.

Ne “La guerra di Aleksej” di Alberto Henriet, il conflitto si mescola con il sadismo di chi la combatte in prima persona. Come scrive l’autore, “Aleksej ha trentadue, ed è russo. Fa parte di un gruppo paramilitare di estrema destra di San Pietroburgo, il Rusich. Combatte come volontario nell’operazione militare speciale, lanciata da Putin in Ucraina il 24 febbraio 2022. È un ufficiale al comando di giovani soldati totalmente inesperti”. “Aleksej il lupo del Rusich, è un gran figlio di puttana. Non è un militare, ma una bestia sadica. Continua ad andare in quel fottuto capanno. Per torturare Viktor, il soldato gay di Kiev.”

Uno dei suoi militari dice “Col mio blindato, a volte Aleksej mi costringe a schiacciare auto di civili ucraini, uccidendoli senza una ragione militare apparente. Il loro unico torto è di trovarsi sulla mia traiettoria.”

In “Una cinica decisione” di Thomas M. Pitt gli alleati dell’Ucraina si interrogano su come sbloccare una situazione che pare ormai senza vie d’uscita.

La sola autrice donna del volume, Erica Tabacco, giustamente, dedica il proprio “Bersaglio numero 2” a un’immaginaria eroica First Lady ucraina, vittima di un drammatico attentato.

Massimo Acciai Baggiani nel suo “Osservatore”, che vede protagonista una bambina, fa intervenire nel conflitto un utopistico alieno, lanciando una speranza di pace.

Ecco poi, a chiudere il libro, un insolito Renato Campinoti in veste fantascientifica, che immagina in “Il passato non è mai morto” gli sviluppi del conflitto nel 2024 e i nuovi assetti politici del pianeta.

Insomma, un’immagine spesso drammatica e dura dei possibili sviluppi futuri di questo conflitto devastante, con racconti scritti con impegno, partecipazione ma non privi di ironia, perché anche nelle tragedie è lecito sorridere o fare della satira e questo non abbassa il tono di un messaggio politico forte di condanna di un conflitto che questo XXI secolo e quest’Europa (che pareva aver ormai imparato la lezione dopo due conflitti mondiali), non avrebbero mai dovuto vedere.

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Antonella Cipriani ne scrive qui su Testi e Parole.

BULLISMO E PUPISMO IERI E OGGI

Ricordo che quando ero bambino, non penso di aver avuto più di otto anni, il padre di un mio amico (una persona piuttosto diversa dai miei genitori a dir il vero) ci diceva qualcosa tipo: «Dovete imparare a diventare dei bulli. Dovete essere tosti, così le pupe vi correranno dietro».

Fu, credo una delle prime volte che sentii la parola “bullo” o quanto meno la prima in cui la vidi inserita in un contesto “morale”.

Durante la mia infanzia i bulli erano più che altro quelli del film “Bulli e pupe” con Marlon Brando e Frank Sinatra, “Bulli e pupe. Storia sentimentale degli anni cinquanta” di Steve Della Casa e Chiara Ronchini, “Giggi il bullo” con Alvaro Vitali ma ancor più “Poveri ma belli” di Dino Risi, anche se non ricordo se lì si usasse il termine.

Insomma, il bullo non era certo un modello di uomo o ragazzo da imitare, soprattutto per il mio tipo di formazione, ma era solo e soprattutto un ragazzo di borgata o periferia, sbruffone e cialtrone, non tanto un violento o un prevaricatore. Credo di averlo considerato spesso quasi un sinonimo di trasteverino, l’abitante di uno dei quartieri “antichi” di Roma.

Probabilmente la prima volta che ho usato il termine “bullismo” associandolo a un fenomeno di violenza e prevaricazione tra i giovani è stato quando ero ormai padre.

Questo non vuol dire che quando ero giovane questo fenomeno non esistesse. C’era eccome, ma i ragazzi imparavano a cavarsela da soli e, soprattutto, se non ci riuscivano, nessuno correva ad aiutarli.

Quando mi è stato chiesto di scrivere un racconto fantasy sul bullismo ho pensato di parlare del clima di violenza che si respirava ai tempi in cui ero al liceo, in particolare il 1977-78: gli anni di piombo. La rivoluzione culturale pacifista del 1968 si era ormai trasformata in un periodo di terrorismo e lotta armata, di estreme destre ed estreme sinistre che facevano a gara a chi creasse un maggior clima di terrore.

In tempi di prevalenza della Democrazia Cristiana, con all’opposizione un diffuso Partito Comunista, mi trovai in un anomalo liceo in cui il Movimento Sociale aveva quasi la metà dei consensi (e molti facevano parte di movimenti come Terza posizione). I fascisti spadroneggiavano ma il loro comportamento, a scuola, era proprio quello dei “bulli”: minacce, pizzi, bande semi-organizzate, picchettaggi. La politica spesso era solo un pretesto, anche se molti di loro gravitavano attorno a quello che sarebbe dovuto diventare il mio professore di filosofia se non fosse stato arrestato prima di diventarlo in quanto accusato di essere il mandante di alcuni omicidi, tra cui quelli dei magistrati Vittorio Occorsio e Mario Amato, nonché della strage di Bologna, per cui venne successivamente assolto. Venne poi condannato per associazione sovversiva e banda armata. Molti dei suoi alunni erano i nostri bulli alcuni dei quali arrestati per terrorismo. Insomma, non proprio gente facile da affrontare. E non venitemi a dire che oggi il bullismo è peggiorato…

Nel mio racconto “La banda degli sfigati” ho immaginato un liceo popolato da giganti, nani, elfi, orchi e altre creature magiche, che si scontrano con le stesse dinamiche. Gli anni di piombo, sono diventati qui gli anni di ferro.

Trovo interessante come il termine bullismo solo in pochi decenni abbia finito per rappresentare situazioni e persone ben diverse.

Il racconto fa parte di un’antologia “Non ti temo più”, edita a settembre 2022 da Tabula Fati e curata da Paola De Giorgi. Il sottotitolo è “Storie di bullismo e Cyberbullismo”. Già, perché quello che ai miei tempi mancava era il bullismo on-line e oggi si deve parlare anche di quello.

Il volume mi ha colpito per la prevalenza di voci femminili, su un fenomeno che, nella mia ignoranza, configuravo soprattutto maschile, perché derivato da quel mondo di cui scrivevo sopra, ma non c’è dubbio che anche delle ragazze possono essere malvagie e crudeli verso altre ragazze o che il fenomeno possa avvenire anche tra sessi diversi. Ai miei tempi i comparti erano maggiormente separati. Alle elementari ero in una classe di soli maschi, tanto per dire. Le autrici sono, dunque, undici, i racconti di autori maschi solo sei (due scrivono in coppia). Quattro delle cinque prefazioni sono scritte donne. Non ho verificato quanti personaggi maschili e quanti femminili ci siano, ma l’impressione è stata di una prevalenza di queste ultime figure, mentre mi sarei aspettato quanto meno rapporti invertiti.

Credo che questo sia un segnale di come il bullismo si stia trasformando. Non più semplice connotazione sociale tipicamente maschile, ma fenomeno di disagio diffuso in cui le donne sono diventate protagoniste. Si potrebbe forse parlare di “pupismo”, dato che la connotazione credo possa essere diversa a seconda del sesso degli attori. Le ragazze “pupizzano” in modo differente, più psicologico, credo, da come i maschi bullizzano, con maggiore fisicità. Se per i maschi le vittime del bullismo sono soprattutto ragazzi che non seguono le regole del gruppo dei bulli (che possono anche essere ben diverse dalle regole della società nel suo insieme), che hanno comportamenti difformi dalla “norma”, per le femmine credo che l’aspetto esteriore sia una causa scatenante più forte: magrezza, obesità, bruttezza in generale. Non per nulla nel volume, con il suo sguardo femminile, si parla di bodyshaming e persino di grassofobia.  

Nelle storie femminili mi pare prevalga l’intervento risolutore esterno, mentre questo è meno presente in quelle maschili.

Il volume si caratterizza per una certa diffusione di elementi fantastici o magici.

Nel racconto di Loredana Pietrafesa che apre il volume abbiamo una bambina perseguitata da due gemelle che troverà nella voce fantasma del nonno morto (che le manda messaggi in rima su aeroplanini di carta) la forza per superare la situazione, grazie anche all’intervento degli adulti e alla magia del nonno-fantasma che farà confessare le gemelle.

Surreale il racconto di Chiara Onniboni in cui un bambino mangia tutte le merendine dei compagni per non farli ricattare dai bulli. Di nuovo a essere risolutivo è l’intervento delle “autorità adulte”.

Nella storia di Marco De Franchi un padre bullo si ritrova con un figlio bullizzato. La soluzione arriva ancora dall’esterno.

Melania Fusconi ci regala una vittima magica, la cui capacità di mutare forma diventa la propria tortura personale e la causa del bullismo contro di lui. L’aiuto è ancora esterno e magico.

Nella storia di Carla Dolazza la protagonista, isolata dai coetanei, cerca l’amicizia nel portiere dello stabile (come non pensare a “L’eleganza del riccio” della Burberry o a “Il giorno prima della felicità” di Erri De Luca), che si rivela peggiore dei suoi compagni. Di nuovo abbiamo un intervento salvifico esterno.

Nel racconto di Alessandra Zenarola la causa del bullismo non è la bruttezza, ma il suo opposto, la bellezza. Qui sarà l’amicizia di un coetaneo a salvarla. Non occorre l’intervento di alcuna autorità. Sarà forse perché il bullismo contro una bella somiglia più all’invidia, mentre di solito è motivato dal disprezzo. Su questo però credo occorra fare una riflessione maggiore. Il bullo, credo, può essere spinto alla violenza proprio dal fatto di sentirsi “inferiore” nel contesto sociale in cui vive. Non credo sia tanto l’invidia verso la sua vittima a spingerlo ma piuttosto una sorta di invidia sociale verso il contesto in cui vive e in cui non riesce a eccellere a portarlo a dimostrare sui più deboli la propria fragile superiorità.

Analogamente la protagonista “Supplì” di Nicoletta Romanelli non doveva essere così “nerd” o brutta, se a salvare anche lei è l’amore di un ragazzo.

A salvare il protagonista di Andrea Gualchierotti è lui stesso, grazie a un sogno. Qui la causa del bullismo è solo una sua cicatrice. Come si diceva, però, per i maschi i problemi fisici sono facilmente superabili, soprattutto quando, come in questo caso non sono troppo marcati. Gli stessi difetti fisici posso essere causa di bullismo come non esserlo per nulla.

Il bullo di Errico Passaro insegue la propria vittima anche dopo essere morto, ma questa riesce a trovare in se stesso il modo per superare il problema.

Enrico & Vittorio Rulli decidono di usare il punto di vista del bullo, in una storia in cui la vittima di ragazzo è una ragazza, che lui prende in giro dicendole di amarla. Con pentimento postumo.

Un ragazzo magro ai limiti dell’anoressia nella narrazione di Donato Altomare riesce a ottenere il rispetto di chi lo bullizzava salvandoli in una situazione difficile. Risolve dunque da sé il problema in modo costruttivo e positivo, trasformando sapientemente il contesto e riuscendo a guadagnarsi la stima dei suoi avversari. Certo la sfortuna dell’incidente è stata per lui una discreta fortuna. Anche nel mio racconto uso il medesimo meccanismo, pur in un contesto diverso: la vittima vince aiutando i bulli e cambiandoli. Che è poi la mia esperienza personale in merito e quella che sento come più reale.

Nel racconto di Fiorella Borin l’essere bullizzati entrambi farà scoccare qualcosa tra un ragazzo e una ragazza.

Come nel racconto di Alessandra Zenarola, la vittima è una ragazza bella, che qui fa riemergere nell’insegnante i propri, simili, trascorsi giovanili.

Il racconto dai toni fantascientifici di Paola Giorgi ci mostra un futuro di una società divisa tra bulli (Alfa) e vittime (Omega). Purtroppo, non mancano al mondo ideologie che potrebbero portare in tale direzione.

La protagonista della vicenda narrata dalla curatrice Paola De Giorgi si presenta come una delle vittime più mature quando scopre che non c’è “nessuno a cui chiedere. Nessuno a cui rivolgersi in cerca d’aiuto” e quindi l’importante è che “Non devi arrenderti mai”.

Roberta Zimei immagina di intervistare un bullo pentito anni dopo che ha provocato involontariamente la morte della sua vittima.

Un argomento che il volume non tratta (del resto non è un saggio ma solo una raccolta di racconti) è il bullismo tra adulti. Devo dire che anche questo esiste e, anche se si dovrebbe presumere che un adulto siam meglio attrezzato per difendersi, ho visto persone prevaricarne altre sfruttando magari solo una posizione gerarchica superiore, non limitandosi a sfruttare la propria vittima, ma mettendola alla berlina davanti ai colleghi.

Insomma, un fenomeno a 360 gradi, che riguarda ogni fascia d’età e ogni sesso.

Il volume ha ricevuto il sostegno e la sponsorizzazione di molte associazioni. A fine volume si leggono i loghi della Commissione Pari Opportunità della Città di Porcia, dell’ADAO, Associazione Disturbi Alimentari e Obesità del Friuli, di Consult@noi, Associazione Nazionale Disturbi Alimentari e molti altri.

Una lettura importante per conoscerci meglio e riflettere sul nostro mondo, i rapporti interpersonali e il mondo giovanile.

IL 23 LUGLIO 2022 INCONTRO NAZIONALE DELLA WORLD SF ITALIA A PISTOIA E PREMIAZIONE DEL VEGETTI 2022

La mattina del 23 luglio 2022 alle ore 11,00 si terrà presso l’Hotel Milano, sito in Pistoia al viale Antonio Pacinotti, n°10 l’Assemblea Nazionale dell’associazione degli operatori del fantastico World SF Italia.

Nel pomeriggio ci saranno alcuni eventi aperti al pubblico presso

L’AUDITORIUM TERZANI DELLA BIBLIOTECA SAN GIORGIO,

VIA SANDRO PERTINI A PISTOIA:

Ore 15.30 

Saluti istituzionali

70 Anni di Fantascienza in Italia (1952-2022)

Introduzione e presentazione di Pier Luigi Gaspa

Interventi di:

Giovanni Mongini – critico cinematografico e scrittore

Adalberto Cersosimo – scrittore di fantascienza

Franco Piccinini – scrittore di fantascienza

Ore 16.30

Dove va la fantascienza italiana – storia e prospettive

Introduzione e presentazione di Pier Luigi Gaspa

Interventi di:

Donato Altomare – scrittore e presidente World Sf Italia

Adalberto Cersosimo – scrittore di fantascienza

Franco Piccinini  – scrittore di fantascienza

Ore 17.30

Cerimonia di premiazione

Premio Ernesto Vegetti 2022

Premi della critica per la fantascienza italiana della World Italia SF

Ore 18.30

Donato Altomare presenta il primo numero della Rivista della World sf Italia
interverranno il curatore Luca Ortino e gli editori Luca Oleastri e Giorgio Sangiorgi (Scudo edizioni)

PREMIO VEGETTI

Si ricorda che le opere finaliste del Premio Vegetti (con le relative giurie) sono:

Opere finaliste e giurie XI Ediz. 2022 Premio Ernesto Vegetti

Elenco delle opere finaliste (*) e delle giurie alla XI Ediz. del Premio Vegetti, anno 2022.

(*) Proclamazione disponibile anche sulla pagina Youtube della World SF Italia

Per la categoria Romanzo di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: V. Barbera, F. Giambalvo, S. Giuffrida

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Galassie perdute III-Privazione di Vittorio Piccirillo (Ed. Tabula Fati 2021)

L’isola di Heta – Fuoco Amico I di Sandra Moretti (Ed. Tabula Fati 2021)

TOBA di Bruno de Filippis (Lastaria Ed. 2021)

Per la categoria Saggio di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: Tea C. Blanc, M. Conese, L. Sorge

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Guida al cinema horror di M.Tetro, R.Azzara, R.Chiavini, S.Di Marino (Ed. Odoya 2021)

Philip K. Dick. Tossine metaboliche e complessi illusori prevalenti di S.Carducci, A. Fambrini (Mimesis Ed. 2021)

Science Fiction Theatre-La serie TV di Giovanni Mongini (Ed. Scudo 2021)

Per la categoria Antologia di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: T. Bologna, M. Serra, M. Settembre

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Contaminazioni a cura di Vittorio Piccirillo (Ed. Tabula Fati 2021)

Il fiore della quintessenza a cura di Sergio Mastrillo (Ali Ribelli Ed. 2021)

Soundscapes a cura di Luca Oleastri (Ed. Scudo 2021)

Per la categoria Racconto di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: P. Cartoceti, D. Longoni, C. Treanni

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Corpi paralleli di Giovanna Repetto (Urania Millemondi n. 90, Mondadori, 2021)

Effetti collaterali di Franco Piccinini (I miei compagni di viaggio, Ed. Scudo 2020)

Il Jam di Sergio Mastrillo (n.230, Rivista Delos Science Fiction, 2021)

La creatrice di tempi di Lukha B. Kremo (Urania Millemondi n. 90, Mondadori, 2021)

Le pietre di Marte di Carlo Menzinger (Dimensione Cosmica n.12, Ed. Tabula fati, 2020)

Letto 224 di Pierfrancesco Prosperi (Contaminazioni, Ed. Tabula fati, 2021)

Io ci sarò sia la mattina (all’Assemblea dei Soci), sia il pomeriggio alle conferenze e al Premio. Spero di incontrare molti voi e che facciate il tifo per le due antologie a cui ho partecipato “Contaminazioni” (con il racconto “Supposte ucroniche”) e “Soundscapes” (con il racconto “Fedpato”) e per il mio racconto solistaLe pietre di Marte”.

IL SURREALE WILD WEST SHOW LETTERARIO DI LANSDALE

Fuoco nella polvere” (2001) del grande e fantasioso Joe R. Lansdale (Gladewater, 28 ottobre 1951), è un romanzo spiazzante. Si comincia a leggero pensando di essere dalle parti di un western ma i dirigibili Zeppelin e gli aerei giapponesi in volo sconvolgono subito l’ambientazione. Si ritrova il celeberrimo Wild West Show di Buffalo Bill e si pensa allora di essere in una sorta di post-western. Solo che quel famoso istrione di William Frederick Cody, comunemente noto come Buffalo Bill, è stato decapitato ma la sua testa è ancora viva, come nella serie TV “Santa Clarita Diet”. Per giunta troviamo il Mostro di Frankestein e scopriamo che Cody vorrebbe avvalersi della scienza che ha portato alla sua creazione per riacquistare un corpo. Ok! Se non siete ancora abbastanza confusi, ecco che compare Latta. Latta? Sì, l’uomo di latta del “Mago di Oz” o meglio dai quattordici libri (più quelli di altri autori) che compongono la saga “I libri di Oz” (1900-1920) dello scrittore statunitense L. Frank Baum. Ci si ritrova poi su un’isola che pare proprio quella del classico della proto-fantascienza di H.G. Wells “L’isola del dottor Moreau” (1896) con i suoi animali trasformati in mezzi-uomini e le loro leggi contro lo spirito animale che è ancora in loro. Come non pensare peraltro anche a “La fattoria degli animali” (1945) di Orwell? Non vi basta? Che ci sia Toro Seduto, nulla di strano, visto che parliamo del Wild West Show, ma ecco comparire anche il capitano Nemo di “20.000 leghe sotto il mare” (1828-1905) di Jules Verne. Ecco che si scopre che Momo (alias il Dottor Moreau) in passato è stato Jack Lo Squartatore. Ecco che sull’isola arriva un non-morto zannuto come gli uomini-bestia di nome Vlad (Dracula).

Ed ecco gli esperimenti su teste di scimmie decapitate ma viventi. Ecco Latta e il Mostro di Frankestein che si innamorano e si raccontano le loro “vere” storie a vicenda, facendoci scoprire che il Dottor Frankestein ha lasciato alla sua Creatura un bel po’ di sensi di colpa.

Aggiungete a tutto questo lo stile inconfondibile di Lansdale, con le sue metafore estreme tipo “Era freddo come i testicoli di un maiale castrato in una tinozza di metallo, e nevicava.” Aggiungete sentenze lapidarie come “Quando la vita ti offre dei limoni, tu fatti una limonata” e comprenderete che si può entrare solo in due modi in romanzi come questo: accettando con meraviglia e gratitudine la sua assurdità surreale e la sua profonda ricchezza letteraria, oppure rifiutarlo con sufficienza, un’alzata di spalle e una smorfia di disgusto. A voi la scelta. Ma non fatela a caldo o potreste pentirvene.

Joe Richard Harold Lansdale, meglio conosciuto come Joe R. Lansdale (Gladewater28 ottobre 1951),

UN SUPER PUFFO MARZIANO IN TERRA STRANIERA

Che dire di un classico della fantascienza come “Straniero in terra straniera” (1961) di un grande nome del genere come Robert A. Heinlein (Butler, 7 luglio 1907 – Carmel-by-the-Sea, 8 maggio 1988) che descrive l’incontro con la civiltà terrestre (leggi “americana”) da parte di un giovane uomo figlio di una prima spedizione di colonizzazione su Marte, rimasta senza superstiti tranne lui, allevato dai marziani e quindi cresciuto secondo una diversa cultura?

Già da queste poche righe si comprende come il presupposto scientifico di un Marte abitato da creature senzienti ed evolute sia ormai superato. L’opera però trova un utile espediente per mostrare la nostra civiltà con occhi alieni pur senza ricorrere direttamente alla presenza di extraterrestri che, se troppo simili a noi, sarebbero parsi implausibili, mentre se troppo diversi avrebbero reso il raffronto con noi poco rilevante.

Il romanzo si inserisce quindi nel filone iniziato dai viaggi sulla Luna di Luciano, Cyarno de Bergerac, del Barone di Münchhausen e dei “I viaggi di Gulliver”: quello dello stupore per civiltà diverse.

Non “vediamo” mai i marziani, se non per via indiretta tramite quanto ne ha appreso Michael Valentine Smith, l’Uomo di Marte, o tramite quanto riferito. Sono comunque assai diversi da noi, con forti poteri mentali telepatici, telecinetici e non solo. Riescono persino a disgregare cose e persone spostandole in altre dimensioni (vi assicuro che ho letto questo libro dopo aver scritto “Psicosfera”!). In qualche modo questi poteri possono essere appresi perché anche Mike, l’Uomo di Marte, li sa usare. Molto diversa (e apprezzabile sebbene poco descritta) è anche l’organizzazione sessuale e sociale, con esseri che evolvono da uno stadio all’altro sino a quello degli Anziani, esseri onniscienti e dagli immensi poteri. Da notare come nello stadio giovanile i marziani siano di sesso femminile (ninfe), mentre da adulti siano tutti maschi e come la maggioranza della popolazione sia costituita da “spettri”, esseri che si sono disgregati/ staccati dal corpo (morti) ma vivono ancora.

Robert A. Heinlein

Anche la Terra in cui è ambientata la storia appare diversa, soprattutto dal punto di vista sociale. Appare importate una nuova religione dionisiaca, quella dei fosteriti, in cui il sesso ha un grande rilievo religioso.

Il romanzo è in gran parte una riflessione sulla fede, la divinità e le religioni. Lo stesso protagonista arriva a fondare una nuova religione panteistica in cui tutti sono Dio.

Rilevante è anche la riflessione sul sesso libero, sulle limitazioni imposte alle sessualità dalla società e dalla struttura familiare, sulla libertà di andare in giro nudi (magari tatuati) che sembra anticipare la rivoluzione culturale del 1968, anche se il romanzo appare, agli occhi moderni piuttosto casto (anche qui non posso non pensare a quanto scrivo nella saga di “Via da Sparta”).

I marziani, avendo una cultura del tutto diversa hanno anche una lingua molto differente. Questo però viene reso in maniera un po’ infantile con l’uso ripetuto molte volte del termine “groccare” (in inglese “grok”) che significa letteralmente “bere” e figurativamente “comprendere”, “amare” o “essere uno con” ma che viene usato con un’insistenza che fa pensare al “puffare” degli omini blu di Peyo.

Da notare anche le riflessioni sulla proprietà del pianeta: appartiene all’Uomo di Marte, visto che Mike è il solo uomo a esserci nato e vissuto? Sorprende che nessuno prenda in considerazione che possa essere di proprietà dei marziani. La mentalità coloniale nel 1961 pare ancora molto forte.

Ci sono anche brani dal sapore piuttosto reazionario, che contrastano con i messaggi di pace, amore e sesso libero, come questo:

“– Come stavo dicendo, – osservò, – una donna che non sa cucinare è pelle sprecata. Se non verrò servito a puntino vi baratterò tutte e tre per un cane e poi sparerò al cane. Cosa c’è di dolce, Miriam?

E che dire della nota “in che modo una maestra potrebbe tenere a bada un bambino che ne sa più di lei?” che fa pensare ai giorni d’oggi con le nuove generazioni con un’alfabetizzazione digitale a volte superiore a quella degli adulti.

Opera, insomma, in cui le riflessioni sociologiche, ora assai meno “rivoluzionarie” di allora prevalgono quasi sulla narrazione, l’avventura e le vicende del protagonista, facendone un lavoro interessante per comprendere quegli anni e la letteratura fantastica degli anni ’60, in parte ancora godibile, ma un po’ superato.

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