Incuriosito dal successo di questa autrice, donna e, per giunta, italiana, ho acquistato “La Setta degli Assassini”, il primo volume del ciclo “Le guerre del Mondo Emerso” di Licia Troisi. Solo dopo aver finito di leggerlo sono andato a cercarmi una sua biografia e dal suo sito ho scoperto che è nata il 25 novembre 1980, dunque ha solo ventotto anni ed è maledettamente giovane (ero convinto fossimo coetanei!)
Devo dire subito che, nell’acquistare il libro, ho commesso un errore. Avrei voluto, infatti, iniziare la lettura dal primo volume e tale pensavo questo fosse ma ho scoperto solo aprendolo che è il primo volume, sì, ma del secondo ciclo.
A chi non avesse mai letto nulla di Licia Troisi consiglierei dunque ora di partire dal ciclo “Cronache del Mondo Emerso” e dal primo volume di questo “Nihal della Terra del Vento”, qualcuno, tra l’altro, dice che il primo ciclo è migliore del secondo.
In quarta di copertina si possono leggere le lodi che di quest’autrice fa la stampa. In particolare, Panorama la definisce “La Regina del Fantasy”.
Vorrei, però, prima soffermarmi sulla definizione di fantasy, cui, si dice, che questo ciclo appartiene. Leggo che il termine inglese è stato spesso utilizzato per indicare tutta la letteratura fantastica, e altre volte in riferimento al genere isolato. Registrato dai dizionari come genere letterario che tratta di universi immaginari di stampo medievale in cui operano il sovrannaturale e la magia, in realtà il termine è applicabile a opere in prosa che abbiano le seguenti caratteristiche:
a. siano ambientate in mondi secondari, cioè immaginari, con regole interne ben precise e sempre rispettate;
b. presentino forze magiche e sovrannaturali che operano al loro interno;
c. possiedano uno stile elevato e un linguaggio alto, a volte arcaicizzante;
d. affrontino il tema della ricerca (la quest) di un oggetto;
e. presentino la lotta tra il Bene e il Male.
Sono andato a ricercarmi una definizione di fantasy, perché la sensazione che ho avuto alla fine della lettura era che questa storia lo fosse assai poco.
La mia idea del genere (che “frequento” poco) è, infatti, molto legata a quella di un mondo di magia, pieno di esseri fantastici come elfi, gnomi, draghi e troll. Ebbene questi compaiono nel romanzo, ma la loro natura magica mi è parsa del tutto secondaria rispetto allo svolgimento della storia. Ovvero, se anche alcuni personaggi, come Lonerin, sono maghi, si servono assai poco dei loro poteri e gli gnomi potrebbero essere una qualunque feccia umana, dato che la loro appartenenza ad una specifica razza non mi pare abbia grande importanza per la trama.
L’impressione che ne ho avuto è stata quella di una bella storia inserita in un contesto fantasy più per comodità di inserirla in un ciclo e in un genere di facile individuazione che per un’esigenza intrinseca del narrato. Badate che questo, al meno per me, non è un difetto. I generi letterari sono comodi per catalogare i libri, ma i “buoni” libri difficilmente si lasciano etichettare!
Bisogna, però, dire che il punto “a” è rispettato e ho trovato molto suggestiva l’idea della suddivisione geografica dei mondi emersi in Terra del Vento, Terra delle Rocce, Terra dei Giorni, Terra del Sole, Terra del Mare e Terra della Notte.
Il romanzo è ambientato soprattutto in quest’ultima che è tale di fatto, dato che non vi sorge mai il sole. Idea che mi pare, come dicevo, ricca di suggestione.
Che il punto “b” sia un po’ carente l’ho già scritto. Il punto “c”, poi, non mi pare sia la massima preoccupazione dell’autrice.
Per quanto riguarda “d”, è vero che Dubhe, la protagonista, va alla ricerca della pozione che potrà salvarla dalla Maledizione che la tortura, ma questa mi pare una ricerca troppo personale e “egoistica” per essere definita una “quest”, ma immagino che la cosa potrà svilupparsi negli altri romanzi del ciclo.
Infine, direi che il punto “e” è abbastanza rispettato dato che la Setta degli Assassini rappresenta senz’altro il Male. Però, il bene è piuttosto poco rappresentato, dato che anche Dubhe e il suo Maestro in fondo sono degli assassini e Dubhe di mestiere fa la ladra, dunque non proprio degli stinchi di santo.
Ma veniamo all’analisi degli elementi del successo. Vorrei partire dalla lista che avevo individuato nel post su Harry Potter:
1. trama: indubbiamente c’è una storia anche se la trama è piuttosto essenziale e potrebbe essere agevolmente riassunta in poche righe senza perdere elementi significativi;
2. strutturazione: per valutare questo aspetto correttamente dovrei leggere tutti i libri, cosa che non ho fatto. Questo è ben strutturato al suo interno con l’alternarsi di capitoli ambientati nel presente e capitoli ambientati nel passato. I personaggi emergono e si delineano bene;
3. ambientazione costante: anche qui andrebbero visti tutti i libri del ciclo ma posso presumere che ci sia;
4. ripetitività e ritualità: pur avendo letto solo questo volume, mi pare (da quel che ho letto in merito) che i romanzi siano caratterizzati da una progressività della storia, piuttosto che da una loro ciclicità, ma attendo conferma da chi li ha letti tutti;
5. magia come estraneamento dalla realtà: direi che anche qui il senso dell’ambientazione fantasy è questo, pur con i limiti già detti;
6. mondo magico come mondo parallelo, specchio della nostra schizofrenia: qui il mondo è alternativo al reale ma non c’è la schizofrenia del passaggio dal mondo vero a quello magico che può esserci, ad esempio in Harry Potter, si svolge tutto in un unico mondo, non si torna nel mondo “reale”;
7. amicizia: non mi pare che ci sia molta “vera amicizia”. Il rapporto di Dubhe con il Maestro è quello di un’orfana alla ricerca di una figura paterna e quello con Jenna somiglia di più ad un amore mancato, quella con Lonerin è piuttosto acerba;
8. lotta tra Bene e Male senza manicheismo assoluto: questo è vero anche per questo romanzo;
9. compenetrazione tra il Bene e il Male: è meno evidente che in Harry Potter;
10. tanti nemici, grandi e piccoli: se questo era vero per il ciclo della Rowling, qui, invece, il nemico è uno solo, la Setta, con chi c’è dietro, come Aster, e con chi la compone, manca quindi la piccola lotta quotidiana;
11. un personaggio che si sente debole ma che scopre di essere forte e speciale: Dubhe non si sente mai del tutto debole, sebbene sia spesso sperduta e spaventata, ma è sempre piuttosto forte e, comunque, non scopre mai di avere poteri particolari, il suo è il normale percorso di crescita da bambina ad adulta;
12. spettacolarità: è assai ridotta;
13. competizione: non c’è competizione tra uguali. Il solo con cui Dubhe potrebbe competere è Jenna ma hanno un rapporto assai diverso;
14. mistero: sebbene vi siano cose da scoprire (passaggi segreti, vie di fuga, complotti…) non vi è un vero mistero da svelare;
15. suspance: la storia si lascia leggere volentieri e induce a proseguire nella lettura ma la suspance e l’attesa per nuovi sviluppi è relativa;
16. paura: la protagonista può anche provare paura qualche volta ma non certo il lettore;
17. avventura: ce ne è in giusta dose;
18. iniziazione e crescita verso l’età adulta: questa è la parte che più mi è piaciuta di questo libro. I capitoli in cui Dubhe bambina è cacciata dal suo paese ed erra alla ricerca di un modo per sopravvivere e si lega così al Maestro, sono assai gradevoli. C’è da dire che, però, Dubhe non cresce mai del tutto (non in questo romanzo, ma ce ne sono altri), che stenta a capire chi sia e cosa debba fare di sé, ma, indubbiamente questo può essere definito un libro di iniziazione;
19. morte: visto che si parla di assassini, ovviamente la morte è presente e, forse, anche il senso della morte, ma non c’è alcuno interrogarsi su di essa o il tentativo di superarla. Semmai solo un anelito naturale di sopravvivenza.

Cosa intendo dimostrare con questo confronto tra gli elementi dei romanzi della
Rowling e quelli presenti nei cicli della
Troisi? L’impressione che potrebbe risultarne, temo possa essere quella che “La Setta degli Assassini” non sia un buon libro. Il che non è quello che penso.
Credo che la Troisi si stia meritando il successo che ha ed il suo romanzo complessivamente mi è piaciuto.
Mettere però così a confronto due romanzi di successo (seppure non pari) mi aiuta (e spero aiuti anche chi legge) a capire l’eccezionalità abilità della Rowling ad inserire così tanti elementi nei suoi libri. Ad onore di Licia Troisi, devo però dire che mentre per Harry Potter ho esaminato tutti e sette i volumi, averne qui visto solo uno mi ha certo fatto perdere qualche elemento.
Vorrei però concludere con la sensazione, suscettibile di cambiare man mano che andrò avanti con quest’analisi, che la presenza ben equilibrata di tutti o molti degli “ingredienti magici” è uno degli aspetti importanti per il successo di un libro e azzarderei quasi a dire che il successo possa essere proporzionale alla maggior presenza di questi.
Nel libro della Troisi, infatti, sono presenti molti “ingredienti magici”, in quelli della Rowlings, tantissimi, in romanzi di scarso successo a volte se ne trovano si è no uno o due.
Ripeto, però, ancora, a scanso di equivoci, quanto precisato nel
precedente post:
in ogni ricetta ci devono essere ingredienti principali ed ingredienti di cui occorre solo un pizzico (eccedere con uno di essi può fare più danno che non metterlo!). La maestria nel cuoco non sta solo negli ingredienti ma anche nelle loro dosi, nei tempi di cottura e nella presentazione del piatto.
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