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ALLA SCOPERTA DELLA STORIA TOSCANA

Alba Gaetana Avarello, autrice del GSF Gruppo Scrittori Firenze ha dedicato a Francesco Burlamacchi (Lucca, 27 settembre 1498 – Milano, 14 febbraio 1548), il politico toscano, il suo romanzo-saggio “Francesco Burlamacchi” (Angelo Pontercorboli Editore, 2020) che porta l’esplicativo sottotitolo “L’avversione a ogni forma di tirannia”.

L’opera è scritta in forma romanzata ma è chiaramente frutto di attenti e dettagliati studi, che traspaiono in ogni pagina, dove l’intento informativo e descrittivo spesso prevarica quello narrativo, in un volume di assai gradevole e interessante lettura per la scoperta di un personaggio piuttosto noto ai toscani, ma meno ad altri, contemporaneo dei Medici, cui, da gonfaloniere delle Repubblica di Lucca, cercò di avversare il potere dilagante sulla Toscana, vedendoli più come tiranni che come i mecenati dipinti dalla storiografia fiorentina. Fu però l’imperatore asburgico Carlo V, sotto la cui protezione era la stessa Lucca, per impedire il conflitto a farlo decapitare.

Corredano il volume un glossario e un interessante bibliografia.

Parterre, Firenze, 17/12/2022 Carlo Menzinger presenta Alba Avarello che parla del suo “Francesco Burlamacchi”
Parterre, Firenze, 17/12/2022 Alba Avarello presenta il suo “Francesco Burlamacchi”.

COME SI DOVREBBE STUDIARE LA STORIA

Forse una trentina d’anni fa lessi un saggio (di cui non ricordo né titolo né autore) che trovai molto illuminante su come l’epoca moderna sia notevolmente meno violenta di quelle antiche, anche se la percezione comune sembra immaginare l’opposto.

Questa discrepanza tra realtà e percezione credo derivi dal fatto che anche una piccola dose di violenza appare come disturbante e quindi ci lascia insoddisfatti come se fosse assai maggiore di quanto è. I media poi ce la mostrano, amplificata, come se fosse onnipresente.

Leggo ora un saggio più recente e molto più elaborato che riprende la medesima idea: Il declino della violenza(“The Better Angels of Our Nature: Why Violence Has Declined”, 2011) di Steven Pinker, un saggio di ben 898 pagine nell’edizione italiana (Mondadori). Un libro impegnativo per dimensioni ma accessibile a tutti per contenuti e che tutti dovrebbero leggere per capire chi siamo, come siamo e perché.

Come lo stesso Pinker nota nelle sue conclusioni, infatti, il declino della violenza è il fenomeno storico più importante della Storia, ma anche il meno conosciuto e studiato. Occorre porre fine a questa situazione perché si porta dietro equivoci deleteri nella descrizione del mondo contemporaneo, che, come faccio notare spesso, tutto sommato, pur con i suoi difetti, sembra essere proprio uno dei migliori mondi possibili che si possano immaginare, ma rischia di non restarlo a lungo se non lo proteggiamo adeguatamente.

Secondo, enorme, pregio di questo libro è che sa esaminare la Storia con uno sguardo scientifico, facendo ricorso a statistica, demografia, psicologia e persino psichiatria.

Credo, infatti, che lo studio della Storia sia ancora, spesso, a livelli primitivi e molta strada debba essere fatta ancora per trasformarla in una Scienza. Anche l’uso dell’ucronia, con lo studio dei mondi alternativi possibili sarebbe uno strumento di cui ogni storico dovrebbe dotarsi nelle sue analisi. La Storia è, poi, molto poco scientifica nello studiare i propri numeri.

Non a caso Steven Arthur Pinker (Montréal, 18 settembre 1954), un canadese naturalizzato statunitense, è uno scienziato cognitivo, professore di psicologia all’Università di Harvard e non uno storico. Non per nulla un altro dei migliori autori di saggi storici per me è Jared Diamond (autore, per esempio, di “Armi, acciaio e malattie” e “Collasso”). Jared Mason Diamond (Boston, 10 settembre 1937) è un biologo, fisiologo, ornitologo, antropologo e geografo statunitense.

Steven Arthur Pinker

Solo grazie a veri scienziati si riesce a dare un approccio moderno e scientifico alla Storia.

Il declino della violenza” sostiene che questa nel mondo è diminuita sia nel lungo che nel breve periodo e in tutti i suoi aspetti (guerra, genocidio, stupro, bullismo, omicidio, trattamento di bambini, donne, minoranze, razzismo…).

L’autore affronta l’argomento sotto diversi punti di vista, tutti estremamente documentati, sia con dati statistici, sia con riferimenti alla letteratura precedente. Non solo analizza le tendenze storiche, ma ne cerca le motivazioni sia nel succedersi degli eventi, sia a livello psicologico e psichiatrico.

Come scrive wikipedia “Sottolinea il ruolo dei monopoli di stato-nazione sulla forza, del commercio (facendo in modo che “altre persone diventino più preziose vive che morte”), di maggiore alfabetizzazione e comunicazione (promotrice dell’empatia), nonché un aumento di un orientamento razionale alla risoluzione dei problemi come possibili cause di questa diminuzione della violenza. Egli osserva che, paradossalmente, la nostra impressione di violenza non ha seguito questo declino, forse a causa di una maggiore comunicazione, e che un ulteriore declino non è inevitabile, ma è subordinato alle forze che sfruttano le nostre migliori motivazioni come l’empatia e l’aumento della ragione.”

Innumerevoli sono stati per me gli spunti di riflessione. Vorrei ricordarne solo alcuni (per quanto abbastanza numerosi):

  • Leggendo la Bibbia avevo già evidenziato la quantità di violenza che vi è presente. Pinker esamina questo e altri testi antichi, che dipingono un mondo in cui la violenza era decisamente più diffusa e accettata.
  • La violenza non è un prodotto della civiltà: Anche i primi ritrovamenti di corpi umani evidenziano morti per violenza. L’uomo è un grande genocida fin dalla preistoria, come ci insegnano opere come “Da animali a dèi” di Harari e “La sesta estinzione” di Kolbert.
  • Nell’analizzare il cristianesimo ne emerge la grande ipocrisia tra la predicazione dell’amore fraterno e la pratica della violenza contro chi non professa la fede (crociate, inquisizione, streghe, cavalleria composta da gentiluomini assassini…).
  • Anche la letteratura successiva abbonda di violenza, basti pensare alle tragedie di Shakespeare e alle fiabe dei fratelli Grimm.
  • Interessante lo studio degli antichi galatei che, nell’indicare come ci si dovesse comportare, mettevano in evidenza i comportamenti antisociali dell’epoca in cui furono scritti. Si pensi all’introduzione delle posate in Europa al posto dei coltelli da guerra e caccia e alla loro totale eliminazione dalle tavole cinesi.
  • Come nell’evoluzione si passa dai microrganismi monocellulari a organismi complessi così nelle società umane si passa da nuclei più piccoli e meno organizzati ad altri che lo sono maggiormente. Questo, sia a livello evolutivo, sia a livello sociale, porta a una riduzione del conflitto tra le singole parti, che ora collaborano tra loro per un bene comune. La crescita della dimensione degli Stati fa diminuire la frequenza dei conflitti.
  • Nell’analizzare le differenze geografiche della diffusione della violenza, nota come alcuni Stati nordamericani abbiamo tassi di violenza tra i più alti del mondo. Analizza quindi come negli Stati Uniti del sud vi sia maggior tolleranza verso la violenza se serve a tutelare se stessi, e come vi sia più forte la cultura dell’onore. Alcuni sostengono che nel sud emigrarono gli scozzesi allevatori mentre nel nord maggiormente agricoltori. Gli allevatori sono più a rischio di essere derubati perché gli animali possono essere portati via la terra no e questo li rende più violenti. Questo però non sembrerebbe vero. Sembrerebbe invece che vi arrivarono popolazioni provenienti da zone montane e più impervie in cui il senso dell’onore era più importante essendo lo stato meno presente. Nell’ovest invece prevalse la cultura di cowboy (allevatori).
  • Il boom di natalità degli anni sessanta portò a un enorme impennata di violenza: difficile gestire questi nuovi barbari da educare. La tv rese la violenza una conoscenza comune degli adolescenti che si potevano ispirare a comportamenti che le generazioni precedenti non avevano conosciuto. I baby boomer rappresentavano un popolo interconnesso grazie a TV e radio. Le élite si sentirono logorate dalla informalizzazione dei rapporti (si veda la progressiva abolizione dell’uso del Lei).
  • Non c’è correlazione tra economia (come maggior ricchezza o povertà) e violenza in particolare omicidi. Casomai la povertà accresce i danni alla proprietà, se cresce la disoccupazione.
  • Un ambiente ordinato fa ridurre la criminalità.
  • La morale stabilisce i propri principi come frutto della ponderazione di costi e benefici.
  • Le guerre di religione, l’inquisizione, la lotta contro gli eretici hanno fatto molti più morti (in proporzione alla popolazione del tempo) delle guerre mondiali. Dare importanza all’anima al posto della vita porta a far perdere valore alla vita stessa e quindi fa aumentare gli omicidi. La morale può essere grave fonte di istigazione alla violenza. Pinker descrive poi le atrocità delle torture.
  • La diffusione della pulizia ha reso gli esseri umani meno ripugnanti e quindi meno soggetti a essere oggetto di violenza da parte di altri che li consideravano come non umani.
  • Il miglioramento dell’economia (ricchezza) ha portato in modo maltusiano a un incremento della popolazione e quindi a una ricchezza pro capite invariata fino alla rivoluzione industriale.
  • Nel 1700 la diffusione dei testi scritti e della lettura favorirono l’empatia e la rivoluzione umanitaria.
  • Raffrontando i morti nelle principali guerre della storia umana con la popolazione vivente in ciascuna epoca, si scopre come le guerre del ventesimo secolo in rapporto al numero di abitanti del mondo fossero confrontabili con quelle di molti altri conflitti dei secoli passati. Le morti per eventi singoli possono sommarsi raggiungendo numeri molto maggiori delle grandi guerre. Si pensi alle morti per incidenti automobilistici che nello stesso arco di tempo della Seconda Guerra Mondiale portano altrettante vittime. “delle 21 cose peggiori (a nostra conoscenza) che gli esseri umani hanno fatto gli uni agli altri, quattordici si situano in secoli anteriori al XX”. Di grandissimo interesse la tabella nel Capitolo V che riparametra i morti dei principali conflitti sull’entità della popolazione del tempo. “Il peggiore massacro di tutti i tempi fu provocato dalla rivolta e guerra civile di An Lushan che, scoppiata in Cina sotto la dinastia Tang, durò otto anni e, secondo i censimenti, comportò la perdita di due terzi dei sudditi dell’impero, un sesto della popolazione mondiale del tempo”. I suoi 36 milioni di morti, se parametrati alla popolazione mondiale del XX secolo, sarebbero stati ben 429 milioni, contro i 55 milioni della Seconda Guerra Mondiale. Si era negli anni tra il 755 e il 763 d.C.
  • Le guerre iniziano in modo casuale e finiscono in modo casuale. Non conta la durata del periodo di pace o di guerra precedente. Difficile quindi predire quanto dureranno o quanto dureranno i periodi di pace.
  • Dalle statistiche sulla pace emerge che dopo la Seconda Guerra Mondiale nei Paesi sviluppati tutti gli indici sulla violenza sono pari a zero. Questo non esclude, come abbiamo ben visto in questi mesi, che il processo possa arrestarsi. Il calcolo delle probabilità diceva nel 2011 come fosse pressoché inevitabile lo scoppio di una nuova guerra in Europa. La lunga pace nucleare sembra essere un’eccezione nella Storia. Già dal 1989 gli studiosi sostenevano che la lunga pace stava per finire.
  • Pare che non sia la minaccia nucleare a impedire la guerra ma la volontà di evitare una guerra convenzionale.
  • Gli Americani hanno un’esperienza della guerra molto ridotta rispetto agli Europei, che le hanno affrontate per secoli, forse per questo accettano la diffusione delle armi tra i cittadini e hanno una maggior volontà di combattere.
  • Guardando le statistiche, le democrazie fanno meno guerre degli stati illiberali.
  • Le grandi potenze sono diventate più interessate a far finire in fretta i conflitti scatenati dai loro alleati che non ha farli vincere.
  • Nei Paesi in via di sviluppo la morte per fame e malattie durante i periodi di guerra si sta riducendo. Questo sembra effetto dell’assistenza umanitaria fornita dalle altre nazioni a livello sanitario.
  • Nel XX secolo i genocidi hanno causato più morti delle guerre. Il disgusto spesso è alla base del genocidio e l’ideologia lo sostiene. Ideologie utopiche ricercano la perfezione e portano al genocidio per eliminare chi non risponde ai canoni. Gli utopisti si sentono molto buoni ma non si rendono conto che la loro ideologia portata all’estremo può diventare razzista e generare genocidi. I genocidi sono stati molto meno studiati delle guerre dagli storici. Primi esempi di genocidi furono gli stermini delle altre specie di Homo. A leggere la Bibbia uno dei primi grandi genocidi fu… Dio.
  • In alcune specie, pensiamo ai leoni per esempio, quando ci sono più maschi adulti sono i maschi che lasciano il gruppo. Nei primati (scimpanzè e uomini in particolare) invece semmai sono le femmine che si allontanano, mentre i maschi rimangono nello stesso gruppo familiare e questo crea forme di solidarietà che poi degenerano, per meccanismi di conservazione genetica, in una maggior propensione a sacrificarsi per i propri parenti e quindi anche una propensione alla guerra. Molti terroristi suicidi sono affetti da questa forma di sacrificio per la famiglia. A volte i terroristi suicidi sono scapoli giovani con numerosi fratelli, che beneficeranno di eventuali guadagni offerti dalle cellule terroristiche e per collocare poi il resto della famiglia in modo migliore nella società.
  • Terrorismo nel lungo periodo si estingue, degenerando in violenza estrema che non trova più supporto nella società civile.
  • Nell’analizzare il rischio di guerra provocata da paesi islamici e lo stato della democrazia di questi, emerge dai dati una forte diffusione del pacifismo islamico.
  • Nell’evidenziare l’importanza della cultura nel ridurre la violenza, cita Voltaire “Coloro che possono farvi credere assurdità, possono farvi commettere atrocità”.
  • Un altro assurdo luogo comune è che i bambini siano innocenti e la violenza si impari. Già la psicoanalisi ci ha mostrato come questo sia del tutto falso. I dati di Pinker mostrano come l’età in cui siamo più violenti è fino ai due anni: i bambini non imparano la violenza, imparano a non praticarla.
  • Come diceva Platone e ripeteva Freud, i buoni sognano di compiere violenza, ma i cattivi la fanno.
  • Nella psicologia della violenza, il colpevole ha sempre una motivazione.
  • Pinker passa poi a esaminare quali parti del cervello si attivino in casi di violenza vendetta e simili, quali sostanze o comportamenti rendano più violenti: l’ossitocina rende più empatici, la lettura di opere di narrativa espande l’empatia, fondamentale lo sviluppo dell’autocontrollo, le tendenze aggressive possono essere ereditabili, il calo della violenza è stato troppo veloce per essere giustificato a livello genetico biologico, il senso morale genera violenza.
  • La tolleranza e le regole di mercato allontanano la violenza come soluzione ai conflitti. Le sanzioni economiche come nuova forma di guerra (lo vediamo anche ora in Ucraina).
  • Studi sulla gravità delle guerre intraprese dagli USA mostrano come sia collegata con l’intelligenza (Q.I.) dei loro presidenti.
  • L’irrazionalità genera violenza.
  • Il Quoziente di intelligenza medio della popolazione (americana) da un secolo a questa parte è aumentato enormemente. Un cittadino medio del 1910 oggi avrebbe un quoziente intorno a un 70. Nei test sui Q.I. risultano migliorati i risultati soprattutto su somiglianze e matrici.
  • Capacità di immaginare mondi ipotetici ci rende più intelligenti, comprensivi e meno violenti. In ambito letterario sottolineerei l’importanza della diffusione di ucronia e fantascienza per aprire le menti.
  • La scuola prima insegnava a imparare a memoria ora insegna a comprendere. È cresciuta l’intelligenza astratta.
  • La stupidità morale favorisce il razzismo.
  • I liberali hanno un Quoziente di intelligenza superiore a quello dei conservatori, ma le persone più intelligenti pensano in modo economico, hanno una visione commerciale dei rapporti umani e questo le porta a una minore violenza. L’educazione prepara alla democrazia. La politica per slogan ne ha abbassato il livello di razionalità portando al ritorno di alcuni episodi bellici.

Insomma, come già scritto, un libro ricchissimo di spunti, che si possono anche non condividere ma da cui partire per comprendere meglio il nostro mondo e migliorare il nostro modo di ragionare. Anche perché una cosa che questo saggio non dice è che se la violenza contro la nostra stessa specie è diminuita, quella contro il nostro mondo sta aumentando vertiginosamente e rischiamo di distruggerlo: non è forse una violenza peggiore che poi si ritorcerà contro tutti noi, che, anzi, già si sta ritorcendo?

UN FANTASMA STORICO FUGGITO DALL’INFERNO DANTESCO

Il mistero di Branca Doria – Alessandra Casati

Nel IX cerchio dell’Inferno di Dante, in un grande lago ghiacciato i traditori degli ospiti scontano la loro pena, immersi nel ghiaccio, le loro lacrime gelano, impedendo ad altre lacrime di fluire e causando loro immensa sofferenza. Tra questi troviamo il nobile genovese, Brancaleone Doria, detto Branca. A lui Alessandra Casati dedica un intero romanzo “Il mistero di Branca Doria” (Porto Seguro, 2017), che lo vede protagonista. L’espediente narrativo è fantastico, in chiave quasi dantesca. L’autore si rivolge in seconda persona a un nostro contemporaneo che s’imbatte nel fantasma di Branca Doria. Lungi dal fuggirne via, intavola una discussione e il genovese gli

Alessandra Casati

racconta così la sua intera vita. Vita di scontri, battaglie, intrighi politici, violenza, ma anche di un uomo che difende e protegge una famiglia che, anno dopo anno, si accresce.

Il romanzo, molto ben documentato, ci rende un Branca Doria quanto mai vivido, una trama ricca di avventure ed eventi, che rendono la lettura piacevole.

La copertina realizzata dall’editore si nota per l’originalità in quanto non riporta alcun testo, a parte il nome della casa editrice, né il titolo, né il nome dell’autrice.

ADDIO ALLE BRACCIA AMATE

Copertina dell’edizione italiana del romanzo Addio alle armi di Ernest Hemingway, primo numero della collana Oscar Mondadori

Mi sto riconciliando con Ernest Hemingway, dopo i dissapori di gioventù. Quando lo lessi per la prima volta, molti anni fa, da ragazzo, non mi piacque o, forse, sarebbe più giusto dire, mi lasciò indifferente.

L’ho scoperto in tempi più recenti, apprezzando “Il vecchio e il mare”. Torno ora a leggerlo in una delle sue opere più importanti, “Addio alle armi” (1929 – “Farewell to Arms”, che si potrebbe anche tradurre come “Addio alle braccia” dell’amata). Si tratta, in sintesi, di un romanzo di amore e guerra ambientato durante il primo conflitto mondiale in Italia e vede come protagonista un ufficiale americano che collabora con gli italiani guidando un reparto medico ma che a seguito della disfatta di Caporetto diserta.

Leggendolo mi tornava sempre in mente il romanzo “Memories of a desert rat” (1996) scritto dal mio prozio Adrian Jucker. Questo per due motivi. Il primo è che entrambi scrivono di un anglosassone (americano Hemingway, inglese Jucker) che combatte in Italia (per Hemingway nella Prima Guerra Mondiale, per Jucker nella Seconda). Il secondo e più importante motivo è che in entrambi i libri ho avuto la sensazione come se la guerra fosse tutto sommato solo una parte marginale della vita di questi ufficiali al fronte, che, per l’appunto, continuavano a vivere, preoccupandosi di mangiare e bere bene, di incontrare donne, facendo amicizia e innamorandosi. Oggi tendiamo a dipingere le guerre come qualcosa di cupo e drammatico, ma sebbene Hemingway dichiari, persino nella prefazione, di essere contro la guerra, e sebbene il suo protagonista alla fine diserti, non mi ha fatto percepire in alcun modo il vero orrore del conflitto. Non per nulla in Europa ci si apprestava a combattere un’altra terribile guerra a pochi anni dalla fine della prima. Non era, io credo, ancora maturo nel mondo un autentico spirito anti-bellico, come abbiamo conosciuto nei decenni successivi al 1945. Spirito di cui mi pare ci stiamo ormai già dimenticando.

Per questo stesso secondo motivo, mi viene da pensare anche a “Guerra e Pace” (1869) di Lev Tolstoj: anche leggendo questo romanzo ho visto molta poca guerra, soprattutto nella prima parte! Penso allora a tanti film di guerra del secolo scorso e persino a certa fantascienza recente in cui non si fa altro che combattere o in cui si vede davvero molto più orrore che non in queste opere.

Il protagonista di “Addio alle armi”, Frederic Henry, dopo aver disertato ed essere fuggito ai carabinieri con un tuffo rocambolesco, fugge in Svizzera con la sua amata inglese, ma lì dovrà dire addio oltre che alle armi anche alle…. braccia di Catherine.

Lettura, oltre che importante, in ogni caso piacevole. Credo che proverò ad approfondire la mia conoscenza con questo americano, che mi era parso solo un tipo un po’ troppo amante della caccia, del bere e della bella vita, ma che, pare, abbia qualche cartuccia da sparare.

IL DIFFFICILE REGNO SICILIANO DI COSTANZA D’ALTAVILLA

Nei giorni scorsi, con l’idea di leggere qualcosa che potesse ispirarmi in merito alla possibile scrittura di una storia della famiglia, lessi “La sposa normanna” dell’australiana Margaret Moore, lettura piacevole ma per nulla istruttiva dal punto di vista storico, incentrata sulla storia d’amore immaginaria tra una nobile normanna e uno scozzese.

In realtà, il libro che avrei voluto leggere e ho ora letto, omonimo, era “La sposa normanna” di Carla Maria Russo, romanzo storico sulle vicende della monaca normanna Costanza d’Altavilla, che fu costretta a rinunciare ai voti per sposare Enrico VI di Hohenstaufen, detto il Severo o il Crudele (Nimega, 1º novembre 1165 – Messina, 28 settembre 1197), che fu re dei Romani (1190-1197), imperatore del Sacro Romano Impero (1191-1197) e re di Sicilia (1194-1197) col nome di “Enrico I di Sicilia”. Era il secondo figlio dell’imperatore Federico Barbarossa e della sua consorte Beatrice di Borgogna e fu costretto a sposare Costanza di Altavilla (Palermo, 2 novembre 1154 – Palermo, 27 novembre 1198), la figlia postuma del re normanno Ruggero II di Sicilia, erede designata del nipote Guglielmo II di Sicilia e reggente del medesimo regno per conto del figlio Federico II di Svevia e imperatrice consorte (come moglie di Enrico VI di Svevia).

Il romanzo narra in modo concreto e vivace come la donna fu costretta a rinunciare al convento, a sposarsi ormai trentatreenne con il diciannovenne Enrico, con il quale non ci fu mai un buon rapporto. La sovrana non riesce a dare al Regno di Sicilia e all’Impero un erede fino ai quarant’anni, quando nel 1194 diede alla luce colui che diverrà Federico II di Svevia. Lo partorisce in viaggio dalla Germania alla Sicilia, a Jesi, secondo Carla Maria Russo, perché il marito non credeva fosse davvero incinta e voleva assistere al parto, costringendola così a un viaggio in pieno inverno con una gravidanza a rischio, portandola quindi a partorire anzi tempo lungo la strada. Nel romanzo, per far sì che il parto non sia messo in discussione, vi fa assistere tutte le donne del villaggio e si mostra poi agli uomini mentre allatta in un toccante passaggio.

Carla Mareia Russo

Donna forte, appare nel libro, che affronta un marito distante ed egoista, che sostiene la nobiltà locale contro l’Impero e difende con le unghie il figlio Federico, pur dovendolo abbandonare bambino a quattro anni, per la propria morte prematura.

Vediamo poi come Federico, con l’appoggio del popolo, riesca a crescere e a ottenere il ruolo che gli spettava per nascita.

Lettura quindi ricca di informazioni, ben scritta, con personaggi ben caratterizzati e per giunta, quanto mai utili ai miei fini, dato che discendo proprio da una figlia di Federico II, che sposo un d’Aquino (famiglia di mia madre) e quindi, tramite lei, discenderei anche da questa “sposa normanna”. Una nobildonna sveva, Richina von Wolfsölden, sarebbe stata la madre di una delle figlie di Federico, Margherita di Svevia, nata intorno al 1230 (1227-1298 per altre fonti), che divenne poi moglie dal 1247 di Tommaso II d’Aquino conte di Acerra.

Tommaso II d’Aquino (nato dopo il 1225 – Palermo, 15 marzo 1273) è stato un politico italiano, figura di rilievo della cerchia di Federico II di Svevia, del quale divenne anche parente avendone, appunto, sposato la figlia naturale Margherita. In seguito, si allontanò dagli Hohenstaufen, abbandonando la causa ghibellina per aderire alla parte guelfa.

I d’Aquino erano una famiglia di antica nobiltà feudale e di origini longobarde, fedele agli Hohenstaufen e ferocemente avversa agli Altavilla normanni. Tommaso II era nipote per via paterna di Tommaso I d’Aquino.

Le parentele dei d’Aquino con i sovrani normanni non si limitano a queste: in seguito al matrimonio tra Sibilla d’Aquino, dei conti di Acerra, sorella di Riccardo, I conte di Acerra, e re Tancredi, i d’Aquino si imparentarono con i re Normanni di Sicilia. Riccardo d’Aquino, primo conte di Acerra, fu accanto a re Tancredi durante le lotte dinastiche per il trono di Sicilia e fu ucciso, come la moglie Sibilla, per ordine dell’Imperatore Enrico VI nel 1197.

Quanto a San Tommaso d’Aquino (Roccasecca, 1225 † Fossanova, 1274), era figlio del conte Landolfo feudatario di Roccasecca e di Teodora di Napoli probabile nipote di Federico Barbarossa. Dunque, ancora una volta la famiglia si sarebbe intrecciata con gli Hohenstaufen.

Di Carla Maria Russo avevo già letto l’interessante “Il cavaliere del Giglio” sulla famiglia Uberti e la battaglia di Montaperti.

LA GENTE DI DANTE È ARRIVATA

Non è stata breve la strada che ci ha condotto a vedere la pubblicazione dell’antologia del GSF Gruppo Scrittori FirenzeGente di Dante” (Tabula Fati, Settembre 2021).

La proposta fu di Caterina Perrone. Poteva il Gruppo Scrittori Firenze rimanere in silenzio nel settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, il grande esule fiorentino? Si chiedeva. D’altra parte, noi del Comitato Direttivo dell’associazione culturale ci si domandava se potessero gli scrittori del GSF azzardarsi a far sentire la propria voce nel ricordo del sommo poeta.

È prevalsa, però, la voglia di fare e di esserci in quest’importante ricorrenza letteraria che tanto strettamente riguarda la città che rappresentiamo.

Mi è, quindi, stato chiesto di affiancare Caterina Perrone nella cura dell’antologia. Cosa che ho fatto non senza riluttanza e perplessità. Sono, è vero, autore che spesso si diletta a giocare con la storia, ma non sono uno storico, né tanto meno un dantista. Sarebbe stato un gioco più grande di noi?

Abbiamo però osato, pensando che la gente di Dante non è solo quella della Firenze del XIII e XIV secolo o che compare nelle opere del poeta, siamo anche noi. Gente che si è fatta trascinare nella lettura, nello studio, a riflettere, a rivivere quel mondo e quelle atmosfere. Ci siamo appassionati e riconosciuti. È stata una bella avventura. Non credevamo che questa idea trovasse tanti seguaci. Quando ci siamo voltati la gente era ormai una piccola folla. Ne è uscita una raccolta corposa. Il tema era difficile. Ci si poteva impaurire per un confronto con una figura tanto importante e non pensavamo di poter contare su una risposta così sentita da parte di tanti autori che hanno voluto aderire, soci vecchi e nuovi della nostra associazione. Sorprende sempre come partendo da uno spunto comune possano uscir fuori tanta diversità, tanta inventiva, tanta creatività. Ed ecco che le stesse vicende e gli stessi personaggi, pur nella correttezza dei dati storici, paiono diversi, perché differenti siamo noi che guardiamo e in loro forse riconosciamo ed esprimiamo un po’ di noi stessi. Felice mi è parsa la nostra scelta di raccontare le persone e i personaggi di Dante e della sua opera, piuttosto che confrontarci con questa, con i suoi versi e i suoi pensieri, impresa più complessa che riserviamo ad altri.

Quest’antologia del GSF – Gruppo Scrittori Firenze vuole essere dunque un tributo al grande poeta toscano attraverso racconti che ne illustrano lo spirito, la vita e quella dei personaggi del suo tempo o delle sue opere, con toni che vanno dallo storico, all’ucronia, alla creazione fantastica, come è giusto per ricordare un autore che non è stato solo il più grande padre della lingua italiana e un poeta cardine della nostra letteratura, ma anche uno dei massimi autori di genere fantastico nazionali, con la creazione di un intero universo ultraterreno, cosa che me lo fa sentire più vicino del Dante Alighieri studiato a scuola. Non ci si sorprenda quindi nel trovare in quest’antologia, accanto alla narrazione strettamente storica, viaggi nel tempo o visioni oniriche, perché l’omaggio alla vena immaginifica di Dante è anche in questo.

Il GSF – Gruppo Scrittori Firenze, associazione impegnata su svariati fronti culturali, dai premi letterari e artistici, agli incontri letterari e turistici, ai gruppi di lettura, ai corsi di scrittura creativa, ai reading, ai momenti di scrittura a tema, con questo volume, edito dal Gruppo Editoriale Tabula Fati, torna a distanza di pochi mesi dall’uscita di Accadeva in Firenze Capitale (Carmignani Editrice, 2021) a raccontare la propria città in un volume di narrativa a sfondo storico, per la quale  i suoi autori stanno dimostrando una particolare sensibilità e un’ammirevole vena creativa, attraendo a sé ogni anno nuove penne.

La partecipazione a Gente di Dante è avvenuta tramite l’adesione a un bando pubblicato sul sito e sul blog dell’associazione all’inizio del 2021 e poi diffuso sulle principali piattaforme social, lasciando la possibilità di partecipare a chiunque fosse socio del GSF o volesse diventarlo. Come curatori, nella nostra opera di selezione ed editing, abbiamo avuto l’ausilio di un comitato editoriale composto, oltre che da noi, dalla presidente del GSF Cristina Gatti, dai soci Massimo Acciai Baggiani, Renato Campinoti, Barbara Carraresi e Chiara Sardelli. Come consulenti storici siamo stati assistiti dai professori Alessandro Ferrini e Massimo Seriacopi.

Il volume è corredato da un’appendice a cura dell’Unione Fiorentina Museo Casa di Dante, cortesemente messoci a disposizione da Tullia Carlino Hautmann, responsabile del Coordinamento Museo ed Eventi e della Segreteria di Presidenza Associazione.

L’immagine di copertina è stata realizzata dalla socia Daniela Corsini.

Un sentito ringraziamento a tutti loro, agli autori e all’editore Marco Solfanelli di Tabula Fati, che hanno reso possibile la realizzazione di quest’antologia.

Siamo lieti e orgogliosi, dunque, di poter aggiungere questa nuova opera alle precedenti antologie dell’associazione.

Copertina provvisoria

Come si diceva, il progetto “Gente di Dante” ha avuto un considerevole successo, portando alla ricezione di un gran numero di testi, tutti di apprezzabile qualità, che coprono una ricca gamma di chiavi narrative, che potranno soddisfare gli amanti di generi letterari diversi, e presentano un’interessante e a volte inconsueta panoramica sul tempo di Dante Alighieri e sui personaggi delle sue opere. Così numerosi da costringerci a escluderne vari, pur pregevoli.

Per esprimere le due diverse anime che compongono quest’antologia, l’abbiamo divisa in due parti:

La suggestione della storia

L’incanto della fantasia.

Ci siamo molto appassionati nel leggere i testi che pervenivano man mano, stupendoci per la loro varietà e originalità. Pensiamo meritino di essere lette entrambe le parti, in quanto l’una complementare all’altra, nella pur diversa visione che offrono.

Il volume si apre con le prefazioni del dantista Massimo Seriacopi e del giornalista Paolo Ciampi, seguite dall’introduzione di noi curatori (che ho in parte ripreso in queste righe).

Si passa quindi ai 36 racconti, metà nella prima e metà nella seconda parte, in entrambe disposti in ordine più o meno cronologico.

Ecco, quindi, l’intensa narrazione di Fabrizio De Sanctis su Farinata degli Uberti; ecco le riflessioni di Luca Anichini sull’arte della guerra a quei tempi; ecco la Pia di Caterina Perrone, che la vuole Malavolti più che Tolomei; ecco i racconti sulla battaglia di Campaldino cui partecipò lo stesso poeta, scritti da Giorgio Smojver e Gianni Marucelli; ecco i rapporti di Dante con la politica nella narrazione di Luca Lunghini; ecco il contesto urbanistico e artistico nel racconto di Gabriele Antonacci; ecco la vita quotidiana e politica dell’Alighieri nel racconto di Renato Campinoti; ecco i viaggi e l’esilio del vate nelle storie di Maila Meini, Barbara Carraresi, Brunetto Magaldi, Milena Beltrandi e Giovanni Paxia; ecco le imprese di Corso Donati descritte da Paolo Ferro e Renato Mosi; ecco gli odii tra famiglie nel racconto di Sergio Calamandrei; ecco la morte del grande fiorentino nel testo di Antonella Bausi ed ecco Cristina Gatti che ci presenta la figura dell’occultista Cecco D’Ascoli.

Si chiude così la parte più legata alla storia, all’accurata narrazione delle vicende e si apre quella in cui la fantasia e la creatività trovano maggior sfogo.

Nicoletta Manetti dà voce a Beatrice Portinari dopo la sua morte; Antonella Cipriani ci parla della moglie dell’Alighieri, di cui poco sappiamo; Manna Parsì si immagina l’infanzia di Dante e Beatrice; Alessandro Lazzeri torna indietro nel tempo sino alla battaglia di Campaldino e Pierfrancesco Prosperi immagina un’ucronia connessa all’epico scontro che muta il nostro presente; David Ferrante ci parla di Celestino V; Rosalba Nola affronta la figura della trovatora Bieris de Romanz; le atmosfere descritte da Samuele Mazzotti per la nascita della “Divina Commedia” si fanno surreali, strani e misteriosi sono gli incontri del poeta alle prese con la stesura dei primi canti dell’inferno; ripercorre la sua vita in una sorta di incubo l’Alighieri prima di raggiungere Beatrice in paradiso nella narrazione di Francesco Russo; Miriam Ticci parla di una vita tutta all’insegna dei versi danteschi; torna indietro dai nostri giorni al 1306 la protagonista della storia di Terza Agnoletti; è un incubo dantesco quello di Fabio Ferrante; Francesca Tafanari e Oliva Cordella immaginano un condominio moderno abitato da Dante e da gente del suo tempo; Silvia Alonso trasforma l’Inferno in un suggestivo videogioco; il mio racconto offre una spiegazione fantastica al recupero degli ultimi tredici canti del “Paradiso” e alla scomparsa della salma dell’Alighieri; Massimo Acciai Baggiani prosegue il mio racconto immaginando Dante ai giorni d’oggi; Donato Altomare ci mostra un surreale e fantascientifico Caronte alle prese con la morte di Cerbero.

Mi piacerebbe raccontarvi qualcosa di tutti questi autori, ma sono davvero troppi. Vi invito solo a leggerne le biografie alla fine del volume, dalla quale vedrete come siano stati accolti accanto a scrittori con minor esperienza anche autori importanti, con ampia produzione e che sono stati apprezzati anche vincendo importanti premi di rilevanza nazionale.

Ringrazio, tutti coloro che hanno partecipato e speriamo che voi lettori possiate gradirne come noi la lettura.

Se vorrete incontrarci, il volume sarà presentato nelle seguenti occcasioni:

  • 8 Settembre ore 17,00 – Presentazione di “Gente di Dante” (ore 18,00) e “Accadeva in Firenze Capitale” – Palazzo Datini a Prato – Via Ser Lapo Mazzei, 43
  • 13 Settembre ore 18,00 Piazza davanti Casa di Dante – Intervento nel corso del reading dantesco  – Via Santa Margherita 1
  • 17 Settembre ore 18,00 circa – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA – Giardino della Biblioteca Buonarroti  a Firenze – Viale Alessandro Guidoni, 188
  • 30 Settembre ore 17,00 – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA – Circolo degli Artisti Casa di Dante a Firenze – Via Santa Margherita 1
  • 18 Ottobre ore 17,00 – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA – SMS Rifredi Via Vittorio Emanuele II, 303

LA TROIA DI CASSANDRA

Cover: Cassandra - Christa Wolf

La famiglia di Cassandra è un po’ anche la nostra, tanto la conosciamo, per averne scritto non solo Omero, ma tanti altri dopo di lui. Leggerne pare quasi di sentir parlare di parenti o amici, per quanto le vicende che la riguardano siano lontane ormai secoli se non millenni.

Eppure non tutti sanno quanti figli siano attribuiti a Priamo, il re di Troia. Omero parla di 21 maschi e 3 femmine. Altri autori aggiungono nuovi nomi. Se i maschi erano una ventina, le femmine pare strano siano solo tre.

Certo non pensiamo a tutti loro, ma i nomi di Ettore, Cassandra, Paride sono immortali e non è difficile ricordarsi anche di Eleno, Polidoro e Troilo.

Chi pensa a Cassandra pensa di solito a una profetessa di sventura e il suo nome ne è divenuto quasi sinonimo.

Oltre a parlarne Omero, ne scrivono, per esempio, Virgilio, Apollodoro, Eschilo e Igino tra gli antichi. Molti altri dopo di loro. Figlia di Ecuba, era la gemella di Eleno, nome che ci ricorda quello della bella moglie di Menelao, rapita da suo fratello Paride. Era sacerdotessa di Apollo e, come tale, aveva il dono della preveggenza.

L’autrice Christa Wolf (1929-2011) con il suo “Cassandra” riprende questa figura leggendaria e ci mostra la guerra di Troia dalla sua prospettiva, che è anti-greca, quindi opposta a quella di Omero, e femminile.

Christa Wolf
Christa Wolf

Ecco, quindi, che l’eroico piè veloce Achille diviene Achille La Bestia, bruto più di tutti i bruti, colui che assassina il fratello di Cassandra Triolo, ancora giovinetto, disarmato e rifugiato sul suolo sacro del tempio!

Ecco Paride che rapisce Elena, sì, ma la perde, rapitagli a sua volta dagli egizi. Per chi o cosa si combatte allora? Per un fantasma, per un onore offeso o piuttosto per ragioni commerciali, come insegnano gli storici e la stessa Wolf ci ricorda.

Donna viva e intensa è questa sua Cassandra. Veggente, sì, ma così lontana dai personaggi delle opere ESP. Veggente non per magia ma per intuito e capacità di comprendere gli eventi e le persone.

ESP! Già, leggendo mi è venuto da pensare che Omero, oltre che di tanti altri generi, in fondo è stato anche il precursore della letteratura paranormale!

Se nel leggere “Nessun luogo. Da nessuna parte” mi aveva un po’ disturbato il fatto che il romanzo si muovesse troppo sul piano emotivo e troppo poco su quello dell’azione, in quest’altra opera della Wolf tale sensazione è del tutto assente, sebbene si tratti un monologo / flusso di pensiero della protagonista. La motivazione credo risieda nel fatto che qui le riflessioni di Cassandra non sono su un’esistenza vuota ma sulla più avventurosa delle storie, quella che costituisce la trama portante nientemeno che dell’Iliade.

IL GALLES DI ARTÙ E CIAMPI

Ottima miscela un autore come Paolo Ciampi e uno dei grandi miti europei, quello di Re Artù, di Merlino, dei cavalieri

In compagnia di re Artù. In viaggio per Galles e Cornovaglia con leggende e  cavalieri - Paolo Ciampi - Libro - Ugo Mursia Editore - Viaggi, scoperte e  tradizioni | IBS

della Tavola Rotonda e della ricerca del Sacro Graal. Ne è nato un volume dal titolo “In compagnia di Re Artù” (sottotitolo “In viaggio per Galles e Cornovaglia con leggende e cavalieri”), edito da Mursia nel 2019.

Paolo Ciampi è autore che ho letto in più occasioni e che ho portato nel GSF Gruppo Scrittori Firenze, per il quale attualmente riveste il ruolo di Presidente del premio letterario “La Città sul Ponte”.

Giornalista, è narratore di luoghi e di viaggi. Lo conobbi anni fa per un libro sul grande esploratore Odoardo Beccari che ispirò Emilio Salgari “Gli occhi di Salgari”, cui seguirono molte altre appassionanti letture, tutte caratterizzate da uno sguardo poetico sulle cose, da una grande cultura, da una stimolante capacità di citare altri autori e di collegare storie, eventi e personaggi.

Questo volume non è da meno. Libro di viaggio “dove la storia incontra la leggenda”. Ne esco con una lunga lista di autori o titoli che vorrei ora leggere o rileggere, come Dylan Thomas, Thomas Malory (“Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri”), Thomas Hardy, Bruce Chatwin (“Sulla collina nera”), Goffredo di Monmouth (“Storia dei re di Britannia”), T.S. Eliot (“La terra desolata”) e Mark Twain con la sua grande ucronia “Un americano alla Corte di Re Artù” (il viaggio nel passato di un “cittadino di un paese dal passato corto, ma convinto di incarnare l’idea stessa di futuro”, opera fondamentale della mia infanzia letteraria). Perché King Arthur è personaggio leggendario la cui storia, quella vera, è fatta più che altro di ipotesi e supposizioni. È quasi più un personaggio letterario che uno storico, per quanto sono numerose le opere scritte, girate, musicate su di lui e il suo mondo magico e cavalleresco, su Lancillotto e Ginevra, su Percival- Parsifal, su Galvano-Gawain-San Galgano, su Uther Pendragon, su Merlino-Myrddin, su Mordred il traditore-usurpatore, su Giuseppe di Arimatea e il Santo Graal, su luoghi come l’isola di Avalon (l’isola delle mele, l’isola di vetro), il regno di Logres, la Cambria (antico nome del Galles), i monti Brecon Beacons dove furono radunati i Cavalieri della Tavola Rotonda, le isole Scilly dove si rifugiarono. E vorrei ricordarmi qui anche del gigante pluriomicida che giace a Yr Wyddfa, ucciso da Artù, o il suo conterraneo Idris (altro mitico gigante), o di Madoc-Madog, il gallese che si narra sia giunto con cento uomini in America al tempo delle Crociate, prima dei vichinghi e di Colombo.

Vorrei qui appuntare decine di citazioni prese da questo libro, a partire da quelle introduttive, sia di opere d’altri sia di riflessioni dello stesso autore.

Mi limito ad alcune, con il proposito di farne buon uso in futuro:

Intervista a Paolo Ciampi, scrittore e viaggiatore responsabile | IT.A.CÀ
Paolo Ciampi

Create miti su voi stessi, anche gli dèi hanno cominciato così” di Stanilslaw Jerzy Lec.

I miti a cui si crede tendono a diventare veri” di George Orwell.

Il silenzio di quell’uomo è meraviglioso da ascoltare” di Thomas Hardy.

Can you tell me where my country lies?” di Peter Gabriel, quello dei Genesis.

Chi disprezza l’altrui credo abbassa il proprio credendo di esaltarlo” di Ashoka, un potente re indiano.

Nel deserto nudo, sotto un cielo indifferente” di Lawrence d’Arabia.

Time and tide wait no men”, scritto su una panchina gallese.

If nothing goes right, go left”, su una mattonella in vendita in un negozio di Hay-on-Wye, la “capitale mondiale del libro”, una cittadina che ha deciso di accumulare ovunque libri su libri.

Ecco, poi, lo sguardo attento di Ciampi verso la natura che gli fa paragonare la campagna toscana a quella inglese “un altro miracolo che non è solo della natura e non è solo dell’uomo, ma della natura e dell’uomo insieme, attraverso secoli e secoli di lavoro sapiente.

Viva la mia campagna e viva la campagna britannica”.

Eccolo che citando San David, presunto nipote di Re Artù, e il suo “fate le piccole che avete visto fare e sentito dire da me”, osserva “Fate le piccole cose: mi piace. Perfino la traversata a piedi di un continente comincia dal primo passo”, vera filosofia del fare.

Eccolo, parlando di miti e di fiabe, citare il grande John Ronald Reuel Tolkien sostenendo (quanto hanno ragione entrambi!) che “le fiabe sono cosa seria, da adulti. Non sottovalutate mai elfi, orchi, anelli magici” (scrive Ciampi).

Eccolo quindi concludere nelle ultime pagine che “Artù è vero, che le sue storie sono vere, lo sono perché sono dentro i libri, continueranno a esserlo finchè ci saranno i libri” e anche, in fondo, che “Artù oggi sia ancora l’attesa del buon governo e della buona politica” di cui avremmo tutti un gran bisogno.

Un libro “In compagnia di Re Artù” da cercare, leggere e conservare, come tutte le buone letture e magari da tenere in valigia per un viaggio in Galles e Cornovaglia, fuori dai soliti itinerari e con un filo conduttore che dia un senso al viaggiare.

VIVERE UN NAUFRAGIO

Amazon.it: Più lontano dal mare. Cronaca di un naufragio - Cipriani,  Antonella - Libri

Chi non ricorda il naufragio della nave da crociera Costa Concordia e la vergognosa fuga del suo capitano Schettino il 13 gennaio 2012?

Non pensavo, però, di conoscere qualcuno che, in quella triste circostanza si fosse trovato a bordo. Partecipava a quel viaggio, invece, Antonella Cipriani, autrice come me del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, e su questa tragedia scrisse proprio il suo primo libro “Più lontano dal mare” (Vertigo, Novembre 2014), sottotitolo “Cronaca di un naufragio”.

Il volumetto si presenta intenso e vivo, proprio per la veridicità dei fatti narrati, dall’emozione di quella che, per lei, parrebbe la prima crociera, alle paure che già emergevano per il solo fatto di trovarsi in mare, alla paura vera quando la gravità degli eventi emerge poco alla volta, alla ricerca sempre più disperata di una via di fuga, fortunatamente poi trovata, alla grande solidarietà degli isolani del Giglio, nella casa di uno dei quali Antonella si ritrovò, in abito da sera e scalza, per ripararsi dal gelo di una notte invernale, all’approdo al centro di accoglienza che tanto ci ricorda quello dei piccoli e drammatici costanti naufragi dei migranti che approdano sulle nostre coste.

La vicenda non può non farmi tornare alla mente anche, quando

Antonella Cipriani

descrive l’inclinarsi della nave, il loro scivolare lungo pavimenti inclinati, analoga vicenda che vissi quando ero ancora bambino piccolissimo, durante l’incidente che capitò nel 1965 al transatlantico Raffaello, appena giunto nell’Atlantico e costretto a un lungo viaggio di ritorno con la nave inclinata su un fianco per la rottura degli stabilizzatori. In quell’occasione, per fortuna non ci furono morti ma solo una sessantina di feriti (e a qualche complicanza nel successivo parto di mia madre, nel dare alla luce mia sorella Silvia), ma sono viaggi che restano nella “storia familiare”.

Di Antonella Cipriani avevo già letto “Qualcosa di molto serio e altri racconti”, opera assai diversa in quanto di fantasia, ma vi si riconosce l’attenzione per le emozioni e uno stile accurato che ritroviamo anche in quest’opera prima.

LA FORTUNA ARRIDE ALLE BELLE INVESTIGATRICI

Fiamma e ombra - Emiliano Mecati - Alessio Seganti - - Libro - Solfanelli -  Pandora | IBS

Di Alessio Seganti ed Emiliano Mecati avevo già letto e apprezzato un romanzo di fantascienza dal titolo “Karma avverso” (Tabula Fati, 10/10/2018).

Alla coppia si è ora aggiunto Federico Marangoni per realizzare un’opera di genere assai diverso: un giallo storico, intitolato “Fiamma e ombra” (Solfanelli, Settembre 2020).

Eppure, i due romanzi hanno qualcosa in comune: una giovane, bella ed eroica protagonista e un’indagine. Anche questo personaggio, come la protagonista di “Karma avverso” pare essere particolarmente amata dalla Fortuna.

L’ambientazione è emiliana (il sottotitolo suona “Un intrigo bolognese”), nell’anno 1390 e si snoda attorno all’edificazione della grande cattedrale “popolare” di San Petronio, voluta dalla gente della città ma avversata dalla Chiesa di Roma.

La giovane Lucia Fiamma è una ragazza un po’ fuori dal suo tempo, figlia del professore di diritto Domenico Fiamma (che conduce l’indagine attorno a un misterioso incendio e a un furto), è quanto mai colta in varie discipline, atletica e spregiudicata e anche il padre appare di larghe vedute nel tollerare i suoi amori vedovili (Lucia ha perso in giovane età il marito) con il proprio studente provenzale Bertram, abile spadaccino. Il terzetto si destreggia tra intrighi e misteri, mettendo a repentaglio le loro stesse vite.

Un romanzo avvincente, intenso, ben scritto, che conferma la solidità narrativa di questa coppia di scrittori ora mutata in terzetto, con felice esito. L’esperienza storica di Marangoni ha certo contribuito positivamente al risultato.

Che altra sorpresa avremo da questi autori in futuro? Quale altra firma si aggiungerà alle loro e quale genere letterario vorranno esplorare? Visto i precedenti, non posso che attendere con curiosità le novità in arrivo.

Bologna Italy San Petronio from Asinelli.jpg
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