Laura Gronchi è un’altra autrice della “scuderia” della fiorentina Porto Seguro, di cui ho già letto molti volumi. L’ho conosciuta virtualmente in occasione della Fiera del Thriller e del Noir, organizzata on-line dal Collettivo Scrittori Uniti.
Laura Gronchi (Pontedera – Pisa, 1967)
Il suo romanzo “Ossessione” si può dunque definire un noir, anche se prevalgono i temi dei rapporti umani tra i personaggi, le ambientazioni africane, il terrorismo internazionale di matrice islamica, il peso della memoria di un rapimento terroristico, violenze domestiche e stalking.
La storia è breve ma intensa, ricca di temi, e scorre via veloce, senza annoiare.
È un piacere quando capita di trovare libri come “Eden” (Edizioni Creativa, 2008- Tabula Fati, 2016) di Maurizio J. Bruno che scorrono via veloci e ti spingono ad andare avanti sia per la curiosità di svelare il mistero degli strani, antichissimi manufatti “umani” trovati su remoti pianeti, sia per il susseguirsi di avventure, dalle indagini dell’archeologo italiano, alla fuga sfortunata in zattera del carpentiere iraniano, alla caduta-naufragio del turista spaziale con la sua seducente maestra-guida di deltaplano, alle imprese della moglie di questo alla sua ricerca in una giungla aliena
accompagnata da militari un po’ imbranati, in lotta con creature di altri mondi.
Avvincente l’enigma su cui tutto si regge: che cosa ci fanno manufatti di apparente origine umana, ma vecchi di dieci-quindicimila anni su pianeti lontani, appena raggiunti dal turismo spaziale e mai conosciuti prima da esseri umani?
La soluzione del mistero ha una sua logica, anche se cozza con la mia “fede evoluzionista”, ma non voglio aggiungere di più per non rovinarvi il mistero.
Anche qui, come nel romanzo “Spacefood” di Andrea Coco, sempre edito da Tabula Fati e che ho letto poco prima, è apprezzabile l’introduzione di personaggi italiani in contesti fantascientifici. Singolare, poi, che in
entrambi si parli di turismo spaziale, enogastronomico per Coco, da villaggio-vacanza per Maurizio J. Bruno ma non solo (e anche qui non dico altro per non svelare troppo). Un’altra coincidenza che mi ha colpito, ma questa è solo una curiosità personale: Coco, Bruno e il sottoscritto siamo tutti nati nel 1964!
Quel che conta, comunque, è che è davvero una lettura piacevole, un libro ben scritto e ben equilibrato nelle sue parti. Penso proprio che leggerò presto altro di Maurizio J. Bruno. Tra l’altro ho scoperto dalla sua biografia che è stato il fondatore de “Il rifugio dell’esordiente” di Libri Danae, quel faro nel mare dell’editoria in tempi pre-facebook, cui da esordiente mi sono più volte rivolto e ad altri ho consigliato il link.
Leggendo “Spacefood” (Tabula Fati, 2020) di Andrea Coco, il titolo che mi tornava continuamente in testa era “Il ristorante al termine dell’universo” (1980), secondo volume della saga di fantascienza umoristica “La guida galattica per gli autostoppisti” di Douglas Adams. Evidentemente anche l’autore doveva pensarci, altrimenti non avrebbe intitolato la seconda parte del romanzo “Il ristorante ai confini della galassia”, che pare proprio un omaggio a questo autore.
Andrea Coco (Roma, 1964)
Ho, purtroppo, letto solo il primo dei romanzi di Douglas e non sono quindi in grado di fare un raffronto tra “La guida galattica per gli autostoppisti” e “Spacefood”, ma entrambi parlano, ironicamente, di ristoranti in luoghi remoti dell’universo.
Come si capisce facilmente dal titolo “Spacefood” ha al centro della narrazione il cibo. Andrea Coco è autore italiano e penso abbia voluto dare un tocco di italianità alla sua storia. Credo sia importante che gli autori nazionali cerchino di fare fantascienza con ambientazioni italiane. Qui l’ambientazione è decisamente aliena, ma il cibo, perbacco, è maledettamente italiano!
“Un carpaccio di tartufo aveva aperto il pranzo”, “poi erano seguiti lasagne al forno e tortellini di Natale”, “saltimbocca alla romana e tacchina farcita” (pag. 230).
E i protagonisti sono oltre che dei buongustai (“si chiamano Aner Sims, celebre giornalista enogastronomico del Times of Hibernia, abile scrittore dal gusto raffinato, e Scilla Aliprand, ricca proprietaria terriera, oriunda del pianeta di Oversturia, donna dalle qualità cerebrali non comuni” – pag.175), anche alquanto golosi “Aner e Scilla avevano la salivazione a mille, le papille olfattive impazzite, stimolate dalla massa di odori che arrivavano dai piatti” (pag. 181).
Gran parte delle loro vicende culinarie e “avventure enogastronomiche” (pag. 169) ruotano intorno a un mistero: “il cuoco del celebre Ristorante ai Confini della Galassia era stato rapito!” (pag. 172).
Altro protagonista importante è Augusto “Rock” Parboni, incaricato di ritrovare il cuoco (“Augusto, io Pandolfus Florespinus, Sindaco di Znavel, ti nomino Investigatore Ufficiale, con il compito di trovare Apuleius e scoprire chi lo ha rapito” (pag. 175).
Se dunque la seconda parte si snoda tra una girandola di trovate come una
sorta di surreale detective story spaziale dall’umorismo douglasiano, la prima parte fa piuttosto pensare a un boccaccesco “Decamerone” o a al calviniano “Castello dei destini incrociati”, se non al più fantascientifico “La compagnia dei viaggiatori del tempo” di Massimo Acciai Baggiani, con quella gara di narrazione grazie alla quale, a un certo punto, gli avventori di uno dei ristoranti galattici si cimentano a narrare ognuno una sua storia.
Tra i toni umoristici non mancano anche frecciatine che sembrano rivolte a noi contemporanei dell’autore, come “Da una parte si parla di slow life, ma dall’altra si tollera un turismo mordi e fuggi” e “Znavel della provincia ha preso solo gli aspetti peggiori: campanilismo e chiusura mentale!” (pag. 224). Tutta la Galassia è paese!
Un volume da conservare e consultare per quando si volesse fare un giro enog-astronomico per la Galassia!
Dopo aver letto il bel numero monografico di “IF – Insolito e Fantastico” (n. 23 – dicembre 2019) dedicato a Stephen King, mi è venuta voglia di leggere ancora qualcosa di questo autore che considero forse il migliore tra i viventi e certo uno dei migliori in assoluto. Ho così preso un’altra “manciata” di suoi libri. Ho, dunque, ora letto “L’Istituto” (Settembre 2019), una bella storia ESP con dei bambini sfruttati da un ente segreto.
Stephen King spesso viene riduttivamente definito il re dell’horror. Non ho certo letto tutta la sua produzione, ma devo dire che ben poco di quello che mi è capitato di leggere rientrava in tale etichetta e se lo faceva aveva comunque ben altri contenuti ad arricchirlo. Sono andato su Wikipedia per vedere in che anno fosse stato pubblicato e ho letto nella prima riga “L’Istituto è un romanzo horror/fantascientifico di Stephen King, pubblicato in contemporanea negli USA e in Italia il 10 settembre 2019”. Certo Wikipedia non è il Vangelo (per chi ci crede), ma definire “L’istituto” un “romanzo horror/fantascientifico”? Preoccupato ho dato un’occhiata ai siti di Sperling & Kupfer (l’editore italiano), IBS e Amazon. Per fortuna, questa definizione non compare.
Veniamo al libro. Che cos’ha di fantascientifico? Forse, l’idea che possa esistere un istituto governativo americano che sfrutta le capacità psioniche (telepatia, telecinesi e precognizione) per propri fini e, in particolare, che possa essere previsto il futuro. Tutto ciò rientra, però, più nel genere paranormale, anche se vi è chi sostiene che i poteri ESP (Extra-sensory perception) abbiano un fondamento scientifico.
Quello che non vi trovo per nulla è l’elemento horror. Certo, i bambini, per potenziare i propri poteri, sono sottoposti a torture, ma King non indulge nei dettagli, né cerca di spaventare e in ogni caso sono quantitativamente marginali. Sarebbe come definire horror un romanzo sui campi di concentramento tedeschi, sui lager sovietici o su Guantanamo!
In questo romanzo, invece, King si conferma un maestro nel raccontare storie con dei bambini come protagonisti, come nel mitico “It”, in “L’autunno dell’innocenza – Stand by me” o nel meno noto “La bambina che amava Tom Gordon”, e si dimostra un attento conoscitore della mente umana e delle interrelazioni personali. I bambini per King non sono mai personaggi caricaturali, ma piccoli adulti, con grandi capacità potenziali che il pericolo e la difficoltà sanno tirar fuori. Bambini capaci di forti affetti e grandi amicizie, in cui la solidarietà può essere un’arma potente (qui esemplificata – e direi quasi metaforizzata – dal cerchio delle menti che attiva il “grande telefono”).
Che genere di romanzo è, dunque, “L’istituto”? Direi un ottimo thrillerESP.
Per chi ha già letto precedenti capolavori di questo autore, forse aggiunge poco, ma letto a sé, rimane comunque una splendida prova narrativa.
Un altro tema kinghiano che qui ricorre è la possibilità di mutare il futuro, già rappresentato in modo esemplare nella splendida ucronia fantascientifica “22/11’63”, con cui dimostra che mutare la storia in meglio a volte può avere conseguenze catastrofiche.
Non manca poi, come in altre opere, la descrizione della triste provincia americana, di un sud armato e sempre pronto a farsi giustizia da solo.
L’ultima mia pubblicazione “in solitaria”, con un volume di testi solo miei, risale a ottobre 2019 ed è l’antologia di racconti distopici “Apocalissi fiorentine” (Edizioni Tabula Fati). A dir il vero non ero proprio da solo, perché il volume è stato illustrato con 48 immagini realizzate dagli studenti di architettura di Firenze del professor Marcello Scalzo.
Da allora, ho però partecipato a varie antologie e riviste.
Sperando di non aver dimenticato qualcosa, conterei:
19 racconti su riviste o antologie cartacee
20 racconti on-line
19 poesie on-line
Per un totale di 39 racconti e 58 testi complessivi.
I volumi a cui tengo di più sono:
L’antologia “Sparta ovunque” che contiene 7 racconti scritti oltre che da me da Massimo Acciai Baggiani, Donato Altomare, Sergio Calamandrei, Paolo Ninzatti e Pierfrancesco Prosperi, ambientati tutti nel mondo ucronico da me creato per la saga “Via da Sparta”.
La mia ennesima partecipazione alla splendida rivista “IF Insolito & Fantastico” (Odoya), dedicato a un autore che stimo moltissimo, Stephen King, con il racconto fantascientifico “Protesi”.
Ne avevo già fatto un riepilogo qualche mese fa, ma ci sono molte nuove uscite importanti che vorrei ricordare (a me prima di tutto, perché mi ci confondo un po’).
Ho pensato allora di fare questo post per riepilogarli.
Sparta ovunque (Edizioni Tabula Fati) – Gli anni del fuoco e del Ferro – Ottobre 2020 (contiene 7 racconti di altrettanti autori – Acciai, Altomare, Calamandrei, Lercari, Menzinger, Ninzatti, Prosperi – ambientati nel mondo della mia saga “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019 (Delos Edizioni) – Collasso domotico (racconto già pubblicato in “Apocalissi fiorentine”)
Tralascio qui articoli e recensioni, altrimenti la lista si farebbe troppo lunga. Tra blog, siti e riviste temo di aver raggiunto o superato il centinaio. Spero di non aver dimenticato nulla.
Dovrebbe poi uscire nel 2021 con Tabula Fati in un’antologia il racconto “Supposte ucroniche”, che richiama molte altre mie pubblicazioni.
Per inizio del nuovo anno dovremmo avere, poi, l’uscita dell’antologia del GSF – Gruppo Scrittori Firenze sugli anni di Firenze Capitale, che conterrà il mio racconto storico su Stibbert “Il collezionista inglese”.
A febbraio 2021 attendo l’uscita su un’importante rivista esperantista di un racconto ambientato nel mondo di “Via da Sparta” tradotto in esperanto da Massimo Acciai Baggiani.
Vedremo se mi riuscirà di pubblicare altro prima del 2021. Con buona probabilità dovrei superare le 50 pubblicazioni nel solo 2020! Senza contare le decine di recensioni (credo prossime al centinaio).
E dire che mi pare un anno un cui riesco a combinar poco con i libri. A volte le sensazioni sono ingannevoli e certi elenchi aiutano a rendersi meglio conto della situazione.
A volte la fantascienza si pone interrogativi scientificamente importanti. Uno di questi riguarda ciò che ha fatto sì che l’umanità sviluppasse una civiltà tecnologica e se questo fosse stato possibile in un pianeta in cui le acque ricoprissero ogni cosa. La nostra civiltà si basa sull’uso del fuoco e la conseguente possibilità di forgiare i metalli. In un “Pianeta d’acqua” non avremmo legna per accendere il fuoco e dovremmo trovare materiali meno adatti. Necessiteremmo di piattaforme galleggianti su cui accenderlo e saremmo in grossa difficoltà a estrarre minerali o metalli, sepolti nelle profondità marine.
Il romanzo “Pianeta d’acqua” (1966) di Jack Vance è una delle opere che esplora queste tematiche e lo fa proprio con particolare attenzione a questi problemi. Immagina, però, non una civiltà nata e sviluppatasi su questo
Jack Vance
mondo acquatico, ma i discendenti di naufraghi umani, giunti dalla lontana Terra e con una memoria confusa e che potremmo definire “leggendaria” di quella che fu la nostra tecnologia.
Altre volte la fantascienza ha immaginato che il nostro pianeta di ricoprisse di acqua per effetto dello scioglimento dei ghiacci, anche se sappiamo ora che questo porterebbe a sommergere ampie zone di costa ma non certo le montagne, essendo l’innalzamento massimo stimato in 65 metri. Sufficiente a distruggere la nostra civiltà, che si è sviluppata soprattutto sulle rive dei mari, ma non a sommergere ogni cosa come in un immane diluvio.
Un esempio è il film “Waterworld” (1995) diretto da Kevin Reynolds e con Kevin Costner, ma, in effetti, basterebbe pensare alla Bibbia e a Noè per averne i precedenti narrativi. La storia del diluvio, del resto, è presente anche in altre culture.
Un altro esempio importante è “Deserto d’acqua” (noto anche come “Il mondo sommerso”), romanzo del 1962 di J.C. Ballard. In “Pianeta d’acqua”, però, il mare è molto profondo e il fondo non è raggiungibile, mentre nell’opera di Ballard si tratta più che altro di un’immensa palude e i “pirati” riescono persino a prosciugarne delle parti.
“Pianeta d’acqua” dunque ci offre uno scenario assai più estremo e quindi più interessante.
In “Terre sommerse” di Kassandra Montag” (pubblicato in Italia nel 2020) gli oceani si sono innalzati e hanno trasformato l’America in un arcipelago, i suoi abitanti rifugiati su pochi lembi di terra circondati da una distesa d’acqua. Anche qui nulla di estremo come il mondo di Vance.
L’altra caratteristica interessante di “Pianeta d’acqua” è che racconta dei lontani discendenti di un’astronave naufragata e sprofondata nelle acque moltissime generazioni prima, lasciando solo vaghe tracce del ricordo del mondo di provenienza e facendo così sviluppare miti e persino una nuova religione che adora il Re Kragen, un essere reale di dimensioni colossali, che attraversa i mari. Una specie di enorme verme acquatico, assai più grande di una balena.
Il tema delle generazioni che si succedono durante un viaggio spaziale è un altro degli argomenti più interessanti della fantascienza, che ritroviamo con una certa frequenza nella narrazione dei viaggi sulle navi generazionali, che impiegano secoli per raggiungere stelle lontane. Trovo assai affascinante immaginare come la cultura possa evolvere in questi ambienti ristretti. Non sempre questo lo vediamo a bordo di astronavi come in “Universo” (1941) di Heinlein, “Viaggio senza fine” o “Non-stop” (1958) di Brian Aldiss, la trilogia degli “Esiliati” o de “L’astronave dell’esilio” (The Exiles Trilogy, 1971-1975) di Ben Bova, la serie “Rama” (1973-1993) di Arthur C. Clarke e Gentry Lee, “Eclissi 2000” (1979) di Lino Aldani, il romanzo “Colony” (2000) di Rob Grant, “Supernave” (Mothership, 2004) di John Brosnan. Romanzi come “Livello 7” di Mordecai Roshwald o “La fuga di Logan” (1967) di William Francis Nolan e George Clayton Johnson immaginano contesti terrestri.
L’astronave da cui vengono doveva trasportare dei detenuti. I loro discendenti si dividono in caste che prendono nome dalle “colpe” dei genitori: Ladri, Teppisti, Peculatori, Contrabbandieri, Prevaricatori, Mascalzoni e Pataccari, anche se ci sono caste che sembrano avere altre origini come gli Intercessori o gli Arbitri.
Sono poi ulteriormente divisi in clan e in base all’isola di appartenenza.
Queste, ovviamente, non sono vere isole, ma delle grosse zattere galleggianti.
Questa divisione in caste appare più fantasiosa, varia e divertente di altre che si possono trovare per esempio nella serie “Divergent”(2011 e seguenti) di Veronica Roth, che parla di Candidi, Eruditi, Pacifici, Abneganti e Intrepidi.
Ancora qualcosa andrebbe detto sulle creature marine che popolano il pianeta, questi kragen che sembrano avere la capacità di continuare a crescere senza fine, un po’ come fanno gli alberi, così da raggiungere dopo vari anni le immani dimensioni del Re Kragen.
Nella loro ricerca di metalli, gli abitanti del pianeta scoprono di avere del ferro nel proprio sangue e lo estraggono per farne utensili. Non hanno, infatti, nessun altro animale terrestre da cui prenderlo e si sottopongono a salassi volontari. Le creature marine, invece, hanno un sangue diverso, che non contiene ferro ma rame. Trovo questo dettaglio pregevole, segno della volontà di Vance di descrivere un mondo veramente alieno e non una fotocopia “annacquata” della Terra. Il termine kragen credo che richiami non a caso la parola kraken con cui si intende un leggendario mostro marino, di solito di aspetto polipesco, mito sviluppatosi tra i marinai nel Seicento e Settecento, probabilmente derivante dall’avvistamento di grossi calamari e in qualche modo collegato a miti scandinavi medievali. Ci sarebbe qui da aprire un intero capitolo sui mostri marini nelle leggende e in narrativa.
Forse “Pianeta d’acqua” non sarà un capolavoro della letteratura, essendo forse un po’ troppo semplice nella strutturazione dei personaggi e persino dell’ambientazione, che alla fine vede la presenza dei kragen, delle spugne e di ben poche altre creature, ma è un romanzo che si legge con grande piacere e, come si è visto, ricco di importantissimi spunti di riflessione.
In tempi di pandemia non riusciamo più a incontrarci, fare presentazioni e partecipare a fiere e altri eventi, ma i nostri libri sono sempre lì che aspettano di trovare nuovi lettori.
Vorrei allora proporvene alcuni a prezzi speciali, sperando vi vada di leggerli o magari, visto che Natale si avvicina, di regalarli.
Sono libri che potete ordinaresui siti on-line, ai soliti prezzi, oppure ve li posso spedire io con piego-libro e, se volete, una dedica speciale.
Ecco i libri che vi propongo:
SPARTA OVUNQUE: sette racconti scritti da sette autori e ambientati nell’universo divergente della mia saga ucronica “VIA DA SPARTA”.
APOCALISSI FIORENTINE: una raccolta di racconti distopici che sembrano scritti apposta per questi giorni, sulle fragilità del mondo viste come fossero di una città. C’è persino un virus letale da debellare!
VIA DA SPARTA: romanzo ucronico che immagina le avventure di una schiava ilota in fuga in un mondo contemporaneo in cui la storia ha mutato corso facendoci vivere sotto il ferreo controllo dell’Impero di Sparta.
IL NARRATORE DI RIFREDI: alla scoperta del quartiere fiorentino di Rifredi e di uno dei suoi autori Massimo Acciai Baggiani, attraverso interviste, recensioni, racconti e poesie.
E veniamo alle offerte (comprese le spese di spedizione):
SPARTA OVUNQUE: € 10,00
APOCALISSI FIORENTINE: € 10,00
VIA DA SPARTA (un volume a scelta tra IL SOGNO DEL RAGNO, IL REGNO DEL RAGNO e LA FIGLIA DEL RAGNO): € 9,00
IL NARRATORE DI RIFREDI: € 5,00
LA BAMBINA DEI SOGNI: € 9,00
Questi sono già prezzi scontati, ma se comprerete più di un volume, voglio scontarli ancora:
2 volumi € 18
3 volumi: € 25
4 volumi: € 30
5 volumi: € 36
Per chi ordina almeno 3 volumi, in regalo IL NARRATORE DI RIFREDI.
Per me sono prezzi sotto-costo, come invito alla lettura. Spero che vorrete, poi, farmi sapere che cosa ne pensate con un commento o una recensione in rete.
Si può pagare con bonifico, paypal o ricarica telefonica (quest’ultimo sistema solo per alcuni importi).
Sono anche disponibile a fare scambi con libri scritti da voi e posso valutare di regalarvene una copia se mi promettete una recensione (sincera) su uno spazio con un po’ di visibilità.
Immaginate un serial killer che prediliga le donne incinta, che asporti dal loro ventre i bambini non nati, che ami gli indovinelli a base di opere d’arte. Immaginate il tema del doppio. Immaginate un diario crittografato che potrebbe nascondere oppure no la soluzione del dramma in corso. Immaginate una detective story in cui l’investigatore corra contro il tempo per salvare dalle grinfie di un serial killer una persona a lui molto cara. Immaginate che soffra della sindrome di Asperger. Avrete così un’idea dell’intenso thriller ideato da Diego Pitea “L’ultimo rintocco” (edito da GoWare), romanzo che ho scoperto grazie alla Fiera del Thriller e del Noir organizzata di
recente dal Collettivo Scrittori Uniti.
Il ritmo a volte si fa serrato, la curiosità è stimolata e il lettore si sente coinvolto nella risoluzione del mistero e nello svolgimento dell’azione, che non manca. Inevitabile pensare a Dan Brown, e anche se Pitea si muove diversamente la qualità del testo non è poi così diversa.
Il finale fornisce persino il profilo psicologico dell’assassino.
Ho scoperto davvero tardi, Stephen King. Ho cominciato a leggerlo per caso, partendo da opere minori. Dico troppo tardi, perché più lo leggo e più mi rendo conto della sua grandezza, ecletticità, profondità e ricchezza narrativa e capisco sia stato un peccato averlo letto già in precedenza.
Il primo romanzo che lessi fu “Cell”, che mi piacque, ma come tante altre cose, insomma, non abbastanza da convincermi di leggere altro del suo autore. Lessi poi un’altra opera minore “La bambina che amava Tom Gordon” e cominciai a rendermi conto che questo signore meritasse maggior attenzione.
Stephen King
Qualche tempo dopo, eravamo nel 2010, mi trovai tra le mani “L’ultimo cavaliere”, primo volume della serie della “Torre nera”, che mi incuriosì ma mi lasciò piuttosto perplesso, tanto che impiegai un po’ a riprendere in mano la serie. E dire che in seguito mi sarei appassionato all’intera serie, trovandola davvero straordinaria.
Furono, nel 2012, la lettura di “It” e “22/11/’63” a farmi comprendere davvero l’importanza di questo autore.
Dunque, la lettura del numero 23 di “IF – Insolito & Fantastico”, dedicata a “Stephen King, reality stranger than horror” mi ha fatto particolarmente piacere, dato che mi ha permesso di calarmi in una materia in cui comincio ad avere una certa dimestichezza, ma della quale mi piacerebbe conoscere di più. Il volume è, infatti, ricchissimo di spunti per nuove letture (che spero di poter fare presto) e una buona guida per scegliere quelle più significative nel vastissimo panorama produttivo del Re.
Il volume è curato da Valerio Massimo De Angelis, subentrato allo scomparso Giuseppe Panella in corso di lavorazione, e suo è l’editoriale iniziale.
Aprono poi la serie di articoli le riflessioni di Umberto Rossi su “La lunga marcia”, un affascinante romanzo distopico uscito sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, un’opera di notevole maturità, se si pensa che King lo scrisse a solo 18 anni. È, infatti, il suo primo romanzo, anche se non il primo da lui pubblicato e, anzi, occorrerà attendere vari anni prima che di scoprire chi si nascondesse dietro la personalità immaginaria di Bachman.
Sbaglia chi crede che King sia un autore solo horror e la produzione uscita in stampa con questo pseudonimo ne è un esempio. “La lunga marcia” ne ha qualche tono ma è soprattutto spaccato di vita di provincia americana, come molte opere del Re. È anche fantascienza sociologica, con la creazione di un contesto sociale parzialmente immaginario. È opera di formazione. È romanzo sportivo, anche se la marcia praticata è qui uno sport estremo e immaginario. È, persino, romanzo ucronico (genere di cui King si dimostrerà poi maestro), dato che il presente narrato non potrebbe esistere senza che una diversa Storia lo abbia preceduto. Come fa notare Rossi, citando Smythe, “La lunga marcia” è anche “una metafora della guerra; specificamente del conflitto in corso in Vietnam”. Il romanzo poi anticipa i reality competitivi e tutta la narrativa che ne è derivata come, tanto per fare un esempio, “Hunger Games”. Sin dalla sua prima opera King mostra, insomma, la sua capacità di attingere da generi diversi, mescolandoli e reinventandoli in modo del tutto originale e si dimostra attento conoscitore della mente e delle dinamiche umane. E dire che un simile romanzo è considerato “minore” nella sua produzione!
Giuseppe Panella (in quello che è immagino sia uno dei suoi ultimi scritti) descrive il concetto di Male in King, concentrandosi soprattutto su romanzi come “Shinning”, “La nebbia”, “Le notti di Salem”, “L’ombra dello scorpione” e “Cujo”, e su come abbia trasformato e adattato alle sue classiche ambientazioni nel Maine il vampiro della letteratura gotica.
Riccardo Gramantieri esordisce nel suo testo affermando: “Col passare degli anni, e dei romanzi, Stephen King ha reso la propria opera sempre più complessa e ricca di riferimenti intertestuali”. In effetti, ogni opera di King ne richiama altre. Il ciclo della Torre Nera è esemplare in questo. Non solo sono 8 romanzi, ma ciascuno è collegato a molti altri. Ritroviamo in varie opere di King personaggi e luoghi di altre storie all’apparenza scollegate. Quasi ovunque è presente il Maine kinghiano, questo strano luogo-non-luogo, in cui posti e città reali si mescolano con località inventate. Molti autori hanno creato luoghi del tutto immaginari. King, invece, ha reinventato il suo Maine, creandogli anche una profondità che si perde in luoghi inconoscibili, da cui possono emergere creature quasi lovecraftiane come It.
Gramantieri poi evidenzia l’importanza del doppio, a partire dallo sdoppiamento dell’autore stesso nel suo alter ego Richard Bachman, per arrivare a tante opere in cui affronta il tema, come “La metà oscura”. Gramantieri cita Freud dicendo che “soltanto il fattore della ripetizione involontaria rende perturbante ciò che di per sé sarebbe innocuo”. In King il doppio si sdoppia e diviene, infatti, ripetizione e ossessione. Quello che Gramantieri non dice è che in molte storie (penso soprattutto alla “Torre Nera”, il doppio comporta schizofrenia e King se ne rivela uno dei più grandi narratori, capace di creare personaggi che si frammentano e ricompongono follemente, entrando e uscendo da loro stessi.
Tocca poi a Marco Petrelli esplorare il multiverso kinghiano, perché, già, il re del Maine non si limita a descrivere l’America di provincia come tutti noi la vediamo ma anche un universo invisibile che spesso emerge da universi paralleli o più spesso divergenti (“Credo che attorno a noi ci sia un mondo invisibile”) o da paesaggi onirici (una sua raccolta, per esempio, si chiama “Nightmares & dreamscapes”). King pare avere ben in testa il Lovecraft che scrive “egli aveva dimenticato che la vita non è nient’altro che una teoria di immagini della mente, che non c’è differenza tra quelle nate dalle cose reali e quelle scaturite da sogni segreti e che non c’è motivo di ritenere più vere le prime delle seconde” (da “La chiave d’argento”).
Stephen King
Come ricorda Petrelli, King riprende e muta il concetto quando scrive in “A volte ritornano”; “L’essere che, sotto al mio letto, aspetta di afferrarmi la caviglia, non è reale. Lo so. E so anche che, se sto bene attento a tenere i piedi sotto le coperte, non riuscirà mai ad afferrarmi la caviglia”.
Insomma, scrive Petrelli, “King ha ampiamente sfruttato l’idea che la realtà sia molto più complessa (e spaventosa) di quanto appaia”.
I romanzi del ciclo della Torre Nera ma anche “A volte ritornano”, entrambi citati in proposito da Petrelli, sono esempi di come anche in concetto di spazio-tempo in King assuma una nuova visione, con passaggi che ci conducono in altri tempi o altri luoghi. Si pensi anche alla porta nello scantinato (la tana del coniglio che richiama alla mente Carroll e la sua Alice) che fa tornare sempre indietro allo stesso anno in “22/11/’63”.
“La realtà è sottile e (…) la realtà vera che c’è al di là è una tenebra sconfinata piena di mostri” ben descrive un’altra visione dell’universo kinghiano. Non è, in fondo, questo l’universo in cui viviamo? Non siamo forse prigionieri su questo microscopico granello di polvere che è la Terra, circondato dal buio interstellare di cui nulla conosciamo e dal quale sempre attendiamo emergano dei mostri? Il mondo di King ne è espressione e metafora.
L’articolo di Roberto Risso parla di quello che fu il primo romanzo di King da me letto, “Cell” (2006), che raffronta con il precedente “The Stand” (in Italia “L’ombra dello scorpione”), per il carattere post-apocalittico di entrambi. Credo che questo tempo di pandemia sarebbe il momento giusto per leggere quest’ultimo, in cui “una malattia si diffonde per errore da un laboratorio dove si effettuano ricerche chimico-batteriologiche con fini bellici”, portando al “collasso della civiltà”.
“Una volta che la super-influenza ha sterminato l’umanità la narrazione si concentra sui personaggi superstiti positivi e negativi”.
“I sopravvissuti sono vittime di sogni”, come spesso accade in King, per il quale “telepatia, telecinesi, poteri soprannaturali, sogni premonitori e ‘interattivi’ sono tratti distintivi” della scrittura.
Nicola Paladin tratta un King quanto mai lontano dai canoni dell’horror, cui viene ingiustamente relegato, parlando di “Cuori in Atlantide” (1999), che affronta gli effetti della guerra del Vietnam sulla società americana. Paladin ci spiega che “nonostante la sua distanza dalla ‘combat zone’, esso mostri una realtà altrettanto corrotta della guerra”. Quest’opera “esplicita a livello metaforico la stretta relazione tra dipendenza e mortalità”. I protagonisti sono ossessionati (dipendenti) dal gioco Cuori, che, però, li distrae dallo studio, facendogli rischiare di essere presto candidabili per partire militari. Non si parla, dunque, di dipendenza da droghe, ma dal gioco. “Giocare a Cuori provoca contemporaneamente appagamento e angoscia in quanto può causare la morte” rendendo i ragazzi protagonisti di quella guerra che sentono ancora come lontana e distante.
Si vede qui la ricchezza di questo autore, che si esplica non solo nella creazione di trame geniali, personaggi intensi ed emblematici, ma anche nella capacità di usare con perizia il linguaggio: King mette “in mostra la portata culturale della guerra anche nel modo in cui influenza la lingua stessa del racconto”.
“King cancella i confini tangibili di Atlantide: fuor di metafora, tutta l’America si inabissa a causa del Vietnam”. “Cuori in Atlantide, per quanto peculiare, costituisce una profonda analisi della Guerra del Vietnam, vista da una prospettiva inconsueta”.
Si occupa ancora de “The Stand” l’articolo di Salvatore Proietti, che
esordisce “A ‘The Stand’, romanzo pubblicato da Stephen King nel 1978, il concetto di enciclopedia si applica su più livelli. È enciclopedica l’eterogeneità dei generi letterari: l’inizio è realista, prestissimo irrompe la fantascienza, poi si vira in direzione del soprannaturale; nel finale gli elementi ‘fantastici’ disturbanti escono di scena, adombrando un’utopia. È enciclopedico lo scenario geografico, in cui ampi spazi della nazione statunitense fungono da sfondo e da argomento di riflessione. È enciclopedica la portata delle allusioni letterarie e culturali”. Ed è gigantesca la dimensione del romanzo, dalla composizione lunga e complessa”.
Per Proietti questo romanzo è “forse la sua versione del ‘grande romanzo americano’” in cui “anche i linguaggi (a partire dal dialetto) si affastellano” e l’autore pare “sempre alla ricerca di significati multipli, contraddittori e sfuggenti”.
Richiama allora Carlo Bordoni quando evidenzia “la sua versatilità nell’esplorazione del tema dell’alienazione nel mondo moderno”, arrivando a sostenere, dandoci un’importantissima chiave di lettura, che “l’orrore può anche essere presentazione di uno scetticismo profondamente politico, riflessione critica del quotidiano”.
Alissa Burger affronta quindi la spina dorsale dell’opera kinghiana, la favolosa epopea western-ucronico-fantascientifica che è il ciclo di romanzi della “Torre Nera”, la più affascinante saga che mi sia mai capitato di leggere: “Il ciclo della Torre Nera copre quasi l’intero arco della carriera di Stephen King, si riverbera attraverso molte delle sue altre opere, ed è una chiave di volta per comprendere il metaverso kinghiano e gli innumerevoli personaggi, luoghi e conflitti che esso include”. Si caratterizza non solo per descrivere un incredibile multiverso, ma per personaggi con personalità multiple, richiamando i miti di Artù e della ricerca del Sacro Graal, partendo dall’opera di Robert Browning (“Childe Roland alla Torre Nera giunse” del 1855).
Il curatore Valerio Massimo De Angelis nel suo intervento si concentra sulla splendida ucronia sulla morte del presidente Kennedy “22/11/’63”, leggendolo come “una riflessione metaletteraria sul rapporto tra horror e Reale, perché l’organizzazione strutturale del testo si fonda sull’iterazione tra quella che noi consideriamo la ‘realtà’ del nostro presente, che si dà per stabilita e condivisa, e una vastissima serie di possibili variazioni del passato così come lo conosciamo, e gli effetti potenzialmente dirompenti che tali variazioni possono esercitare su quel nostro presente”.
Secondo De Angelis “per King il Reale è molto più strano dell’horror, e l’horror altro non è che il risultato (sempre malriuscito) di denunciare tutta una serie di traumi che la società statunitense (o più in generale la civiltà occidentale, o anche quella umana tout court) non ha alcuna intenzione di affrontare nella loro insopportabile, ingestibile, infine incredibile essenza ‘Reale’”.
De Angelis fa notare come questo scelto da King sia uno dei tre “grandi traumi che hanno definitivamente infranto il mito della ‘innocenza americana’”: “l’omicidio di Kennedy, la sconfitta nella guerra del Vietnam (la prima e unica nella storia americana), e la scoperta che il leader della nazione era un bugiardo”.
Il direttore della rivista Carlo Bordoni,chiudendo la parte monografica della rivista, esamina le opere scritte sotto lo pseudonimo di Richard Bachman e la scelta dell’autore di pubblicare sotto falso nome alcuni libri di notevole qualità.
Richard Bachman
Forse la volontà di cambiare nome derivò anche dal fatto che “King restava (e restò per molto tempo, fino alla seconda metà degli anni Ottanta) un fenomeno da baraccone, un autore di seconda serie, da far circolare fra gli appassionati, fra i lettori di genere, ben lontano dal meritare l’inclusione nel Parnaso letterario”, di cui meriterebbe invece il trono. Il Premio Nobel potrà forse rivalutarsi ai miei occhi e tornare a essere quel che era stato un tempo, quando saprà riconoscerne la rilevanza insignendolo del dovuto riconoscimento.
Un segno della sua grandezza è anche nelle parole di Bordoni quando afferma: “Malgrado il successo, malgrado quei lavori, King maturava. Cambiava genere, attualizzando i suoi contesti, perfezionando la sua tecnica. Non rimestava la stessa frittata, cosa che fanno per prassi consolidata molti scrittori nostrani quando sono riusciti a imporsi”.
“Stephen King. Questo autore così poco scontato, da cui dobbiamo aspettarci ancora molte sorprese”.
Finita la parte della rivista dedicata a King, troviamo un articolo di Riccardo Gramantieri sulla figura archetipale di Robinson Crusoe, a metà tra homo faber e bricoleur, e di come sia stata ripresa nella letteratura successiva a Defoe, in particolare dalla fantascienza e da questa di ambientazione marziana, con tutte le difficoltà dell’uomo nel tentativo di dominare con le sole proprie forze un ambiente alieno.
Seguono i ricordi degli scomparsi e compianti Giuseppe Panella e Giuseppe Lippi, per poi entrare nella sezione narrativa, che comprende solo tre racconti, uno di Massimo Acciai Baggiani, uno di Roberto Marchi e uno di un certoCarlo Menzinger di Preussenthal.
Avevo già avuto il piacere di leggere il racconto “Qualcuno bussò alla porta” di Massimo Acciai Baggianie trovo che dei tre sia quello che meglio si inserisce in questo volume, in quanto descrive un misterioso incontro in un paesino del Casentino, Corezzo, che chi conosce gli scritti di questo autore ha certo già avuto modo di incontrare. Al Casentino Acciai ha persino dedicato un intero libro. A rendere adatto a questo volume il racconti è l’insolito protagonista della storia, che non vi posso però rivelare per non togliervi il gusto della lettura.
Roberto Marchi ci parla di un altro incontro, quello con una “Tromba marina”.
Il mio racconto “Protesi” lo avevo scritto e pensato per un altro numero della rivista dedicato a Frankestein. Mi ha fatto comunque piacere trovarlo in questo numero che parla di un autore, che come avrete capito apprezzo molto. Sono sempre lieto, del resto, di poter avere una presenza in questa rivista che considero molto interessante, curata e seria, non per nulla è riconosciuta anche dall’ANVUR come rivista dell’Area 10 (ovvero è considerata citabile nei lavori letterari ufficiali).
In oltre dieci anni di produzione, la rivista ha cambiato editore passando da Tabula Fati a Odoya e ha visto alternarsi tanti nomi importanti come autori e curatori. Di quelli delle origini, credo di essere uno dei pochi rimasti.
“Protesi” mostra un mondo che come scriverebbe King è “andato avanti” (il che non sempre è un bene come credevano molti dei primi autori di fantascienza), in cui anziché comprare cellulari, smartphone e orologi, la gente si ricopre di protesi anatomiche, arrivando ad avere vari arti aggiuntivi e finendone schiava.
Anche questa volta il volume si chiude con l’analisi di Riccardo Gramantieri dei libri editi nel fantastico durante l’anno precedente, che, in questo caso sarebbe il 2018, dato che sebbene la rivista sia stata stampata dopo l’estate 2020, questo numero 23 è quello di dicembre 2019.
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”