Archive for agosto 2017

TENNIS, DROGA, CINEMA D’AUTORE E ALTRE FOLLIE NELL’AMERICA ONANISTA DELL’ANNO DEL PANNOLONE PER ADULTI DEPEND

Risultati immagini per David Foster Wallace infinite jestHo finalmente finito di leggere “Infinite jest”, lo scherzo infinito di David Foster Wallace. Era tanto che desideravo di farlo, ma devo dire che la lettura si è rivelata un’impresa maggiore persino dello “Ulisse” di Joyce (che peraltro mi piacque molto). Avendo trovato “Infinite jest” tra le proposte di lettura della Fratellanza della Fantascienza anobiiana, mi sono finalmente convinto ad affrontarlo. Cosa mi aveva bloccato prima? Soprattutto le sue dimensioni (1281 pagine nell’edizione Einaudi, 16.800 sul mio e-reader!). Davvero “infinito”!

Fin dalle prime pagine mi è stato, però, piuttosto chiaro che qui la fantascienza, quella classica almeno, c’entra poco. Certo, il mondo descritto è un’America corrispondente, si direbbe al 2009, futura rispetto alla pubblicazione del romanzo, avvenuta nel 1996. In che anno si sia, non è, in realtà, facile capirlo dato che la numerazione a partire dalla nascita di Cristo è stata abolita e sostituita dalla dedica a uno sponsor.

Gli anni cui si fa riferimento, sono, infatti:

  • Anno del Whopper
  • Anno dei Cerotti Medicati Tucks
  • Anno della Saponetta Dove in Formato Prova
  • Anno del Pollo Perdue Wonderchicken
  • Anno della Lavastoviglie Silenziosa Maytag
  • Anno dell’Upgrade per Motherboard-Per-Cartuccia-Visore-A-Risoluzione-Mimetica-Facile-Da-Installare Per Sistemi TP Infernatron/InterLace Per Casa, Ufficio, O Mobile Yushityu 2007
  • Anno dei Prodotti Caseari dal Cuore dell’America
  • Anno del Pannolone per Adulti Depend
  • Anno di Glad.
Risultati immagini per David Foster Wallace

David Foster Wallace, all’anagrafe David Wallace (Ithaca, 21 febbraio 1962 – Claremont, 12 settembre 2008), è stato uno scrittore e saggista statunitense. È stato un romanziere americano, scrittore di cronaca e saggista, nonché un docente di scrittura creativa. Il romanzo di Wallace del 1996 Infinite Jest è stato citato dalla rivista Time come uno dei 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 al 2005.

L’anno in cui la storia inizia è l’Anno del Pannolone per Adulti Depend. Gli Stati Uniti si sono fusi con il Canada e il Messico dando luogo all’ONAN (Organization of North American Nations), acronimo che allude alla pratica masturbatoria. Si parla anche di un movimento indipendentista del Quebec e di vari gruppi terroristici che lo sostengono, come gli “Assassini sulle Sedie a Rotelle”, un gruppo derivante dai membri del Gioco del Prossimo Treno (gara in cui sei ragazzi aspettano l’arrivo di un treno distesi sulle rotaie: vince chi scappa per ultimo). Tutto fa pensare che il mondo sia cambiato prima del 1996, dunque, saremmo dalle parti dell’ucronia, più forse che della fantascienza. Però, mancano riferimenti storici importanti, così come mancano particolari tecnologie innovative. Diciamo che siamo più che altro in campo fantasociologico. Non saprei dire che le numerose droghe cui si fa riferimento siano esistenti o immaginarie, però, non hanno effetti particolari, anche se fossero fanta-allucinogeni, l’elemento non mi parrebbe sufficiente a parlare di fantascienza, che, insomma, rimane, poco più di un tocco d’ambientazione. Non essendo un patito di sport, potrebbero essermi sfuggite ipotesi di fanta-tennis o fanta-football, ma in linea di massima, anche questi argomenti mi sembrano trattati in modo sostanzialmente realistico anche se squadre e giocatori mi parrebbero immaginari. Insomma, l’ambientazione ucronica e fantascientifica è piuttosto debole e serve al massimo a immaginare campionati di tennis immaginari, un po’ come ha fatto il nostrano Brizzi con il calcio nel suo ucronico “L’inattesa piega degli eventi” (2008). Dopo centinaia di pagine finalmente si trovano poche righe dedicate a una misteriosa Grande Concavità in cui si è sviluppato uno strano ecosistema particolarmente rigoglioso. Varie decine di pagine dopo si parla di una possibile invasione di criceti selvatici giunti a Boston dalla Grande Concavità: questa è la cosa più fantascientifica che io abbia notato, a parte forse un veloce accenno a neonati giganti che vivono nella foresta.

Certo, ci sono alcune situazioni piuttosto paradossali come il giovane tennista che minaccia di suicidarsi se perde qualsiasi partita e si porta appresso apposta una pistola.

Oltre che di tennis, si parla soprattutto di pazzia, malattie mentali, come la depressione psicotica, e droghe. In particolare di droghe, in effetti. Il che potrebbe contribuire a un atmosfera piuttosto psichedelica, ma non è così, perché tutto rimane molto concreto e reale e si parla più che altro dell’attività di recupero dalle dipendenze che si svolge nell’Ennet House in cui lavora un tal Don Gately. L’incipit con il tennista che pareva ritardato mi ha fatto pensare, nelle prime pagine, a “Fiori per Algernon” di Daniel Keyes, ma mi sbagliavo: il resto del romanzo ha poco a che fare con queste visioni straniate di chi ha una diversa modalità di percezione dell’ambiente. Comunque, quel ragazzo davanti alla commissione esaminatrice che aspetta di essere ammesso al liceo nonostante il risultato disastroso dei suoi test, ma in virtù delle sue doti tennistiche, mi ha anche fatto un po’ rabbia, a pensare che in America davvero danno tanto peso alle capacità sportive, al punto da favorire i ragazzi che permettono alle scuole di vincere qualche torneo. Certo questa è un’America immaginaria, ma quanto lontana dalla realtà? L’inizio è trascinante con questa visione straniata della realtà, con questa attenzione maniacale e autistica al dettaglio. L’intelligenza di Hal Incandenza, il tennista, a volte lo fa sembrare superdotato, come quando recita a memoria il dizionario, altre volte pare un demente, per la sua incapacità di relazionarsi. Eppure, andando avanti, questo Hal non sembra poi così diverso da tutti gli altri e si capisce che l’attenzione al dettaglio non è una tara mentale di Hal, ma sembrerebbe esserlo proprio dell’autore, di David Foster Wallace “In Persona”! Se non ci fossero tutti questi affascinanti ma interminabili e forse fastidiosi dettagli certo il Signor Wallace non avrebbe potuto accumulare tutte queste centinaia di pagine! Farlo per descrivere la visione di un autistico avrebbe avuto un senso. Farlo tanto per farlo, fa sembrare un po’ autistico Wallace “In Persona”!

La vita all’interno dell’ETA, la scuola di tennis dominio incontrastato degli Incandenza, sembra una metafora di un mondo in cui si vive tutti assieme ma si è talmente in competizione l’uno con l’altro, che nessuna amicizia vera può nascere. Una metafora, forse, degli Stati Uniti d’America. Il Risultati immagini per tennis folleromanzo, però, non si concentra per nulla su questo.

Infinite jest” è un immane calderone in cui il Signor Wallace ha gettato un po’ di tutto. Gli ingredienti principali sono il tennis e le droghe, ma sono rilevanti anche le varie malattie, fisiche e psichiche, come l’amore tra lo svizzero senza gambe e la donna senza cranio. Qua e là ci ritroviamo in bocca, nel mangiare questo colossale piatto, varie digressioni sui temi più vari. Particolari, per esempio, l’episodio della donna con il cuore artificiale non impiantato ma tenuto nella borsetta e che scippata grida “fermate quell’uomo: mi ha rubato il cuore!” o il suicidio molto pulp con il micronde di Lui In Persona (come di solito viene chiamato il padre dei fratelli Incandenza), che potrà sembrare particolarmente splatter solo fino a quando si legge, più avanti, di quello masochistico della madre di Madame Psychosis, infilando le braccia nel trita rifiuti.

Ci sono le digressioni sui tentativi di cinema sperimentale di uno degli Incandenza e gli spot surreali di fine millennio dei raschialingua. C’è l’episodio di un certo Lumen che nell’estrarre la pistola rompe i pantaloni, restando in mutande e alla fine viene impalato alla rovescia, cioè dalla bocca, con una scopa. C’è la vicenda dell’associazione UDRI (Unione delle Deformità Repellenti e Improbabili), del perché i suoi membri portino il velo e tutte le disquisizioni per negazione di negazioni sull’accettarsi, sull’intelligenza e sulla deformità. C’è la vicenda di Lenz, che passa il tempo ad ammazzare gatti chiudendoli dentro dei sacchi che sbatacchia contro vari oggetti oppure dandogli fuoco. Ama anche uccidere cani, ma per questi preferisce farseli amici con della carne e poi accoltellarli, stando attento a non insanguinare i vestiti. A volte è tentato di dar fuoco anche ai barboni. Si innamora di un altro uomo ma non ha il coraggio di dichiararsi senza drogarsi prima. Più avanti, lo ritroviamo a pedinare donne cinesi (“orientoidi”) che si portano dietro tutti i loro averi in borse della spesa. C’è la lunga tirata sull’uso del latte in polvere. A un certo punto Ori Incandenza lascia il tennis per il football (quello americano, con la palla ovale) e abbiamo così numerose pagine su questo sport e i progressi del ragazzo sport-dotato. C’è poi la parte dedicata all’Eschaton, uno strano gioco fatto, tra le altre cose, con le racchette e i calzini da tennis, che è una sorta di mix tra un war-game un gioco di ruolo e il tennis. Questa parte mi pare dilungarsi un po’ troppo, anche se è abbastanza apprezzabile l’ironia velata della mescolanza di realtà e finzione, quando i ragazzi combattono spostandosi da una nazione all’altra con un solo passo.

Risultati immagini per drogaCi sono numerose descrizioni di film realizzati da Lui in Persona o da un altro Incandenza, come quello su un burocrate ritardatario, quello su Blood Sister, una suora tatuata che viene dai bassifondi e gira in moto e prova a convertire una punk adolescente.

Molte digressioni, in realtà, non sono affatto tali, ma solo vicende narrate nei centri di recupero o scene di questi o episodi legati al mondo del tennis.

Ci sono varie riflessioni sulla vita e le persone come quella sui vari tipi di bugiardi o quella sulle varie forme di paura.

C’è quello che rimane con la fronte incollata alla vetrata ghiacciata e viene strappato via brutalmente, ci sono le riflessioni di Gately sull’infermiera sexy che gli ha appena fatto un clistere o il suo incontro con un presunto spettro. C’è quello che va in strada a chiedere un contatto umano e ottiene solo soldi in elemosina, subito imitato dai mendicanti di zona.

Ci sono i ragazzi che non si accorgono di avere un cane legato all’auto e lo trascinano facendolo a brandelli sanguinolenti.

C’è una certa profondità in alcune di queste immagini spesso crude, che sono specchi di un mondo che somiglia al nostro, pur dichiarandosi immaginario.

Ma oltre a questo, come dicevo, ci sono soprattutto droga e tennis.

Risultati immagini per cineasta

Ken Loach

Sarà che non amo gli sport, ma parlarne tanto mi pare davvero eccessivo. La traduzione di “Infinite jest” è “Scherzo infinito”, ma, considerando che i protagonisti non fanno che giocare, forse sarebbe stato meglio chiamarlo “Infinite game”! Il nome del libro, deriverebbe da quello di un’omonima fantomatica pellicola realizzata da James Incandenza, in cui avrebbe recitato nuda Madame Psychosis e di cui – tutto sommato raramente – si parla nel romanzo. Pare (così almeno leggo su wikipedia, ma non avevo colto questo aspetto) che la visione di codesto film produrrebbe un vero e proprio piacere fisico, talmente intenso che i suoi ignari spettatori dopo pochi istanti diventano catatonici e perdono qualsiasi interesse per tutto ciò che non sia l’infinita visione del film. La cartuccia rappresenterebbe l’incarnazione estrema della dipendenza. Il cinema come droga. Il film trarrebbe l’origine del proprio nome da un verso dell’Amleto “”Ahimè, povero Yorick! L’ho conosciuto, Orazio: un compagno di scherzi infiniti”.

Ci sono vari modi di parlare di droghe, uno consiste nel realizzare racconti allucinati, come scritti sotto l’effetto degli stupefacenti. Wallace sceglie soprattutto di parlare della vita di chi si droga e dedica ampio spazio al tempo trascorso nei centri di recupero dalla tossicodipendenza, con episodi come l’arrivo di Hal Incandenza, dopo un lungo aggirarsi attorno all’edificio cubico che la racchiude, in una stanza dove tanti adulti stringono in mano degli orsacchiotti di peluche e piangendo rievocano la propria infanzia e sollecitano abbracci consolatori. Trai racconti dei frequentatori di questi centri si ricorda quello della tossica adottata il cui padre adottivo violentava l’altra figlia, handicappata, o quello della cocainomane che drogandosi partorisce un figlio deforme e morto e rifiutandone la morte continua a portarlo con sé come fosse vivo.

Per scrivere un romanzo tanto lungo, ovviamente non si possono lesinare i dettagli e Wallace non ne è affatto avaro! Se, anzi, si volesse definire il suo stile di scrittura non si potrebbe far a meno di citare questa sovrabbondanza di particolari che fanno dilatare ogni episodio oltre i livelli di prolissità più spinti di certi brani di Murakami, basti pensare alle pagine dedicate al letto cigolante e ai tentativi di risolvere il problema.

Certo alcuni brani sono affascinanti proprio per la ricchezza di dettagli, come tutti quegli uomini che dormono rannicchiati e sparsi sul fianco di una collina mentre qualcun altro attorno a loro gioca a frisbee (incongruamente chiamato “palla”). Solo che anche questo episodio va avanti così a lungo che ci si perde un po’ per strada.

Alcune definizioni non sono prive di suggestione come quella del football come sport omoerotico per omofobici repressi:

Un balletto di grugniti e schianti di omoerotismo represso, il football, Sig.na Steeply, per come lo vedo io. L’ampiezza esagerata delle spalle, lo sradicamento mediante una maschera della personalità facciale, l’enfasi sul contatto invece che sul non-contatto. I vantaggi da guadagnarsi con la penetrazione e la resistenza. I pantaloni aderenti che accentuano i glutei e le cosce. Il passaggio radicale ma lento alla «superficie artificiale», all’«erba artificiale». E li guardi, tutti questi uomini a darsi pacche sul culo dopo la partita. È come se Swinburne si fosse messo a inventare uno sport organizzato in una delle notti scure della sua anima. E lasci perdere Orin quando dice che il football è un sostituto rituale di un conflitto armato. Il conflitto armato è già molto rituale di per sé, e dato che noi ce li abbiamo già i conflitti armati (faccia un giro per Roxbury o Mattapan, una di queste sere) non c’è nessun bisogno di un sostituto. Il football è una pratica per omofobici repressi”.

Molti episodi, a descriverli, sembrerebbero davvero pulp, se non splatter, ma te li ritrovi lì, nel fiume delle parole di Wallace e non riesci neppure a disgustarti. Se ho provato una certa nausea è stata semmai verso tutto questo tennis. Se nei prossimi giorni dovessi vedere una racchetta, potrei non garantire sulla tenuta delle mie viscere!

Tra tante parole ci sono anche alcuni, pochi, neologismi interessanti come bradipedonismo.

Ho letto che i fratelli Incandenza ricordano (o forse sono ispirati) dai fratelli Karamazov di Dostojevsky. Sarà per questo che leggendolo spesso ero perplesso? L’autore che meno mi piace in assoluto è proprio questo russo prolisso e verboso! In effetti, anche Wallace, con le sue centinaia di pagine e il suo eccesso di dettagli è davvero prolisso. Dopo altre esperienze negative con Dostojevsky non ho osato leggere i “Fratelli Karamazov”, per cui non saprei dire quanto questa somiglianza tra i personaggi ci sia, ma, riflettendoci, nell’approccio alla scrittura, qualcosa c’è. Insomma, se vi piace Dostojevky, prendete con le pinze le mie critiche a Wallace: vuol dire che valutiamo diversamente la narrativa. Ma davvero si somigliano? Forse no. “I Demoni” di Dostojevsky sono indubbiamente un libro lungo, ma la prolissità del russo è dovuta a un “onanistico” (per restare in tema) riflettere su se stesso, mentre in Wallace deriva da quest’attenzione maniacale al dettaglio, che persino Gately, nel suo sogno dello spettro, nota, interrogandosi sul perché il suo sogno sia così ricco di dettagli (episodio, per inciso, che racchiude una bella riflessione sull’esistere e il morire). In “Infinite Jest”, però, a differenza che ne “I Demoni”, ci sono i fatti, molti, una miriade di piccole storie, di scene (non “scenette”, sono sempre troppo dettagliate e Risultati immagini per minestronelunghe per usare un diminutivo) che danno sostanza al romanzo. Il vacuo russo non riesce a fare nulla di simile. Wallace è qualche passo avanti. Che cosa non mi ha convinto, allora? Non mi preoccupa la lunghezza in sé di un libro. In fondo ho letto con piacere intere serie di romanzi con un numero complessivo di pagine ben superiori, come tutti i cicli di Isaac Asimov o “La Torre Nera” di Stephen King. I cicli di Asimov, sono stati messi assieme un po’ artificialmente e “La Torre Nera” si è andato dilatando nel tempo senza, sembrerebbe, un progetto iniziale, eppure quanto sono più coinvolgenti.

Il problema della lunghezza, qui è nell’assenza di una trama portante significativa, che catalizzi l’attenzione. Ogni tanto, in “Infinite jest” si è colti dalla visione di alcune splendide immagini o storie affascinanti, ma poi si risprofonda in quella melma di tennis e centri di recupero da varie dipendenze. Una melma da cui emergono continuamente oggetti interessanti, però.

Mancanza di trama, qui, vuol dire soprattutto mancanza di struttura, di qualcosa che tenga insieme gli ingredienti di questo calderone. Siamo davanti a un gran minestrone, più che a un piatto elaborato. Un minestrone con ottimi ingredienti, ma talmente mescolati che non sempre si riescono ad apprezzare. Anche la Rowling mescola tantissimi ingredienti nella sua non meno lunga saga di Harry Potter, ma con quale abilità lo fa! Lei sì è una chef della narrativa. Wallace, al confronto, sembra uno che cucini per le mense: grandi quantità e una certa varietà di gusti per soddisfare l’appetito di tutti. Ti sfama, anzi ti abboffa, e alla fine ti alzi con una certa nausea. Non fatemi vedere una racchetta da tennis, per favore! Lo dico per voi.

PROVACI ANCORA LUIS

Risultati immagini per storia del gatto e del topo che diventò suo amico pdfDopo il successo della “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, Luis Sepùlveda ci riprova con una storiella con protagonista un gatto e altri animali con “Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico”. Il prodotto è un raccontino che non oserei neppure definire favola e degno di tanti analoghi scritti di amici del web che ogni tanto si mettono a digitare qualche pagina di una storiella narrata a un figlio o nipote. Protagonisti sono tre personaggi dai nomi quasi omofoni, Max, Mix e Mex. Ci spiega l’autore che Max è il nome di suo figlio e Mix quello del suo gatto. A questi personaggi, presi dalla propria vita, aggiunge il topo Mex. Il gatto è cieco e il topo diventa suo amico e guida, fungendogli da occhi e narrandogli ciò che vede.

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Luis Sepùlveda

Ho detto che Mix è il gatto di Max, ma Sepùlveda ci spiega che “potrei dire che Mix è il gatto di Max, oppure che Max è l’umano di Mix, ma come ci insegna la vita non è giusto che una persona sia padrona di un’altra persona o di un animale, quindi diciamo che Max e Mix, o Mix e Max, si vogliono bene.” Questo è l’incipit di questo libricino (o libruncolo) e già basterebbe a farcelo chiudere per il banale buonismo pseudo-anti-razzista. Se fosse una favola, ci vorrebbe una morale in chiusura, ma questa è già nell’incipit e si sostanzia in un plauso dell’amicizia, che rende tutto possibile.

Per fortuna le pagine sono poche, scritte grandi e scorrono velocissime, perché la lettura mi pare alquanto inutile, persino per un bambino, cui più propriamente dovrebbe essere indirizzato. Magari gli si può dedicare una sera, seduti accanto a un figlio che ci ascolta leggere. Probabilmente si addormenterà prima della fine. A qualcosa almeno sarà servito.

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L’INDIA DELL’OPPIO

Risultati immagini per Mare di papaveriDopo aver letto un romanzo sulla povertà più profonda dell’India di metà del secolo scorso con “La città della gioia” di Lapierre, faccio ora un salto indietro di un altro secolo per tornare ai tempi delle colonie inglesi nelle pagine di un autore indigeno, Amitav Gosh, che nel suo “Mare di papaveri” ci parla di un Paese che sembra assai meno misero di quello descritto da Lapierre, ma che era già profondamente ferito e con una povertà diffusa. L’impostazione dei due romanzi non potrebbe, però, essere più diversa, perché “Mare di papaveri” è una grande avventura che, per brevi momenti, può persino farci venire in mente il nostrano Emilio Salgari e i suoi pirati. Non per nulla al centro di tutta la vicenda c’è una nave, la Ibis, adibita ora al trasporto di schiavi, ora al commercio di oppio. Come si capisce dal titolo, le vicende ruotano in gran parte attorno al mondo dell’oppio, ai suoi coltivatori, a chi lo commercia, a chi ne trae profitto e a chi lo consuma e ne è schiavo.

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Amitav Gosh

I protagonisti sono membri di ogni classe sociale, indigeni e coloni. Chissà se è un caso che anche qui, come ne “La città della gioia” ci sia una Lambert. La vita in questo “Mare di papaveri” è dura, a volte spietata. La sorte è fragile e può rovesciarsi come un fortunale in mezzo al mare.

In questo mondo si muovono personaggi con un loro spessore, una loro forza vitale, con sogni, speranze e desideri di sopravvivenza se non di rivalsa. Ci sono storie d’amore, amicizie impensabili, solidarietà, cameratismo a condire un’avventura corale che ci descrive un mondo esotico per epoca e lontananza geografica, ma con protagonisti così umani ma sentirli nostri fratelli. Non ci sono le emozioni forti de “La città della gioia”, ma il racconto è coinvolgente.

LA CITTÀ DELLA FAME DIGNITOSA

Risultati immagini per la città della gioiaLa città della gioia” di Dominique Lapierre, pubblicato nel 1985, è già un classico, ma ancora oggi, che ci illudiamo di sapere tutto sull’India, si legge con interesse e grande partecipazione. Ci parla dell’India degli anni ’60 del secolo scorso e pur essendo un romanzo, con personaggi inventati, si riferisce a esperienze reali.

Uno dei protagonisti è il contadino Hasari Pal, che, giunto nello sterminato formicaio di Calcutta, riesce a diventare un “uomo-cavallo”, ovvero un guidatore di risciò, e a mantenere così la sua famiglia, che vive in strada. Un altro protagonista è il missionario francese Paul Lambert, che francescanamente rinuncia a tutto per venire a vivere da povero tra i più miseri dei derelitti, riuscendo a entrare in profonda armonia con la popolazione locale e a esserne rispettato se non venerato per il suo grande amore verso Dio e gli uomini.

Compare più avanti, dopo oltre duecento pagine, il terzo protagonista, il medico americano Max Loeb, reclutato dallo stesso Lambert per dare assistenza medica a questa sterminata popolazione di senza tetto (eppure dalla quarta di copertina parrebbe lui il protagonista principale).

Tra le pagine compare persino Madre Teresa.

Quello che è evidenziato maggiormente è il grande spirito di questo popolo, che pur colpito dalle più atroci malattie o sprofondato oltre i limiti Risultati immagini per la città della gioiaimmaginabili di povertà, continua non solo a resistere e a sopravvivere, ma lo fa con serenità e persino con gioia.

Leggendo queste pagine ci si cala veramente in questa situazione di totale carenza di tutto, tranne che di voglia di vivere, di accettazione, di pace interiore. Persino gli ultimi di noi occidentali, così abituati ad agi che per quella gente parrebbero principeschi, non potranno non stupirsi di scoprire una miseria tanto profonda.

In questi giorni in cui tanto si parla di migranti e di come “arginarli”, leggere queste pagine ci fa capire meglio, da cosa molti di costoro davvero fuggono. Se queste persone vengono da privazioni simili a quelle de “La città della gioia”, quale tragica traversata in barcone potrà mai apparire loro difficile o dolorosa? Alcuni di loro forse si lasciano alle spalle una vita in cui, giorno per giorno, non si sa, come in questa Calcutta, se si vedrà l’alba successiva. Un piccolo aiuto per loro può fare la differenza tra la vita e la morte. Eppure, in un mondo in cui i poveri aumentano continuamente, quando l’equilibrio si spezzerà? Quando la nostra economia non sarà più in grado di sostenere nuovi sbarchi?

I movimenti demografici sono come i venti che si muovono in basse alla bassa e alta pressione. Dalla miseria la gente defluisce inarrestabile verso zone in cui questa è minore. “Sacche” di ricchezza non tossono che generare “tornado migratori” che nessuna barriera potrà fermare a lungo. I moti dei popoli si arrestano solo con l’uguaglianza, tutto il resto sono solo palliativi davanti a simili moti.

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Dominique Lapierre

Lapierre non ci parla, però, di migranti verso l’Europa, ma semmai di contadini, come Hasari Pal, che rimasti in povertà, cercano nelle grandi città dell’India stessa un tentativo di rinascita, dando vita alle grandi urbanizzazioni di questo continente in continua crescita demografica e, ora, anche economica. Lapierre non ci parla, se non indirettamente, del desiderio di questa gente che vive di nulla, di raggiungere la qualità di vita occidentale, dell’immane bomba economica rappresentata da un miliardo e trecento milioni di indiani. Ci parla, invece, della grande dignità di lebbrosi e altri malati, di gente senza casa e senza lavoro, che riesce a trovare in sé la gioia di vivere, la forza non solo di tirare avanti, ma di essere generosi e solidali con chi ha poco come loro.

Un libro importante, che fa riflettere e che ti resta dentro.

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