Ieri su Postpopuli è uscita un’intervista che mi ha fatto Giovanni Agnoloni, che riporto di seguito.
- Hai deciso di dedicarti soprattutto alla narrativa per bambini e ragazzi. Perché?

L’intervistatore Giovanni Agnoloni
A dire il vero amo scrivere storie molto diverse e le mie prime esperienze sono state con romanzi per adulti. Come età, intendo, non certo a “luci rosse”. Decisi di scrivere il primo volume della serie di romanzi per ragazzi “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia” quando mia figlia di sette anni mi chiese se avevo scritto qualcosa che le potessi leggere. Cominciai così a scrivere le avventure di un bambino della sua età (poi aumentata a 8 anni, per adeguarla alla sua, che era cresciuta) che si ritrova a vivere in una preistoria alternativa. Scelsi la preistoria perché era nel programma di quell’anno della scuola dell’infanzia. Volli infatti fare un romanzo che fosse sia divertente per un bambino, sia utile come strumento didattico, sia gradevole per un lettore adulto. Chiamai il romanzo “Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale”. Purtroppo prima che riuscissi a pubblicarlo, mia figlia era già molto più grande! Comunque in seguito ho scritto anche il secondo volume “Jacopo Flammer nella terra dei suricati” e abbozzato il terzo.

Carlo Menzinger -Nato a Roma il 3 Gennaio 1964 (Foto giugno 2014)
Non c’è comunque nessuna scelta di dedicarmi in modo esclusivo a questo gruppo di lettori. Con altri autori ho scritto la gallery novel (un romanzo scritto a più mani e illustrato da 17 artisti) “Il Settimo Plenilunio” che uscì precorrendo i tempi di “Twilight” e che parla di un conflitto tra umani, vampiri e licantropi. Lo considero il solo romanzo adolescenziale da me scritto. I thriller “Ansia assassina” e “La bambina dei sogni” sono invece per un pubblico maturo e non impressionabile e che ricerca letture lineari e immediate. Romanzi come “Il Colombo divergente” e “Giovanna e l’angelo” sono invece per un pubblico più attento e meditativo. Se “Ansia assassina” si potrebbe definire un “fast-book”, questi sono certo “slow-book”.
- Al centro delle tue storie c’è soprattutto il tema dell’ucronia, già oggetto di un’ampia tradizione letteraria. Che cosa vi trovi di particolarmente affascinante?
Il mio primo romanzo, “Il Colombo divergente”, scritto nella prima metà degli anni ’90, è un’ucronia, ma devo confessare che quando lo scrivevo non sapevo di scrivere qualcosa che potesse essere catalogato in tal modo, del resto l’ucronia è solo uno degli aspetti che lo caratterizzano. Fu mentre già scrivevo “Giovanna e l’angelo” (un’altra ucronia, più onirica), che cominciai a scoprire il genere.
Sebbene l’ucronia abbia le sue radici nel XIX secolo con Geoffroy Louis (“Histoire de la Monarchie universelle: Napoléon et la conquête du monde” – 1836 -, rivisto come “Napoleone apocrifo”– 1841) e con Renouvier (“Uchronie” del 1857) che ha dato il nome al genere, e precedenti addirittura in epoca romana (un breve brano di Tito Livio), in realtà è fondamentalmente un genere piuttosto nuovo e tolti alcuni esempi precedenti come “La svastica sul sole” di Dick (1962) e “L’ultima tentazione di Cristo” (1955) di Nikos Kazantzaki, si può dire che il genere sta riscontrando solo di recente (dopo la scrittura de “Il Colombo divergente”) un certo seguito tra autori e lettori, con opere di Saramago (“Il vangelo secondo Gesù Cristo” del 1991, di Harris (“Fatherland” del 1992), King (“22/11/’63” del 2011) o Silverberg (“Roma Eterna” del 2004), solo per citarne alcuni.
Fu proprio quando scoprii l’impressionante potenziale narrativo dell’allostoria e l’incredibile quantità di ucronie che possono essere narrate, che decisi di fare il possibile per far conoscere questo genere ancora tanto ristretto e creai un gruppo di 18 scrittori e assieme realizzammo l’antologia “Ucronie per il terzo millennio”, con la quale abbiamo cercato di coprire, a grandi linee, un po’ tutte le epoche storiche. La maggior parte dei romanzi ucronici è, infatti, purtroppo focalizzata su nazismo e fascismo o al massimo sulla storia romana, ma c’è grande carenza di divergenze medievali o di altre epoche.
Il grande fascino di questa forma narrativa è proprio la possibilità di descrivere un’enorme quantità di storie diverse, unendo il rigore del romanzo storico alla creatività della fantascienza. È un genere ancora tutto da sviluppare, anche se molti nomi di rilievo ci si stanno avvicinando.
- I tuoi romanzi hanno nella meraviglia e nello straniamento due effetti fondamentali. Trovi che siano due elementi carenti, nella narrativa per adulti di stampo realistico?
La letteratura, come il cinema, devono stupire, meravigliare e portarci in mondi lontani. La letteratura come cronaca del quotidiano, dell’ordinario, del reale spesso viene considerata come più “importante”, ma credo che sia un grande fraintendimento. Più un’opera è creativa, immaginifica, fantasiosa più affascina, trascina, coinvolge. Fantastico non vuol dire lontano da ciò che ci tocca veramente. Significa trascurare la materialità dei problemi e delle vicende reali, per dare attenzione al cuore, all’anima, al sogno, all’essenza stesa dell’essere umano, che si differenzia dagli altri esseri viventi proprio per questa sua capacità di vivere con la mente, per questa imprescindibile necessità di sognare.
Quale autore è più grande di quello che riesce a creare mondi alternativi, che riesce a farci dimenticare i problemi di ogni giorno e ci trascina nelle pagine del suo libro, facendoci, per poco, quasi credere di essere altrove?

- La tua scelta del copyleft a cosa è dovuta? Alle difficoltà del mondo editoriale o a un’istanza ideale di tipo educativo?
Purtroppo dobbiamo prendere atto che, soprattutto in Italia, gli autori che vivono dei propri libri, solo di quelli, sono davvero pochissimi. Qualcuno parlava di una decina. Questo non vuol dire che con qualche libro non si possa guadagnare qualcosa di significativo, ma riuscire a farlo sistematicamente è cosa per pochi. Inoltre, ho potuto constatare per esperienza personale che i piccoli e medi editori non hanno le risorse per investire sui libri che pubblicano in termini di revisione dei testi, promozione e marketing. Cosa me ne faccio allora di una casa editrice? Rappresenta una garanzia di maggior qualità del libro edito? Purtroppo neanche questo. I piccoli editori a pagamento pubblicano di tutto. I piccoli editori non a pagamento selezionano un po’ di più, ma persino i grandi editori pubblicano libri vergognosi.
Constatato che dando i propri libri a pagamento ai lettori, gli incassi per l’autore sono spesso poca cosa, il passaggio successivo, allora, non può che essere quello di autopubblicarsi e regalare i propri libri.
Usare il copyleft con un editore è, infatti, più difficile, dato che questo, per definizione, è un’impresa e come ogni azienda mira a un profitto e quindi non può certo regalare i libri.
L’autore, invece, se scrive per sé e per essere letto, può farlo: può regalare i propri libri. Può usare il copyleft.
Certo per regalare libri cartacei occorre essere piuttosto ricchi (qualcosa come un mecenate alla rovescia, un autore che finanzia il suo committente!). La stampa ha costi che non possono certo essere azzerati e che, anzi, se le copie stampate sono poche, per ciascuna sono piuttosto elevati.
Il copyleft è invece reso possibile dall’e-book. Ogni libro, anche un e-book ha dei costi, che sono innanzitutto quello dell’impegno dell’autore, ma anche quelli dell’editing e della promozione, ma un e-book non ha costi di stampa e di distribuzione. Immaginando che l’autore regali il proprio lavoro, rimane il problema dell’editing, che ho risolto con una cosa che chiamo “web-editing”, ovvero faccio leggere prima della stesura finale i miei libri a decine di persone con il preciso intento di correggerli e migliorarli.
Con e-book, web-editing e copyleft superiamo la catena autore-editore-distributore-negozio-lettore, mettendo in contatto diretto e immediato autore e lettore, con scambio continuo e costante di confronti. I miei romanzi in copyleft vengono continuamente adattati e revisionati sulla base dei consigli dei lettori. De “La bambina dei sogni” non ho fato due o tre edizioni ma un numero enorme di micro-edizioni, che non ho mai contato. Per ogni refuso corretto potevo fare un nuovo e-book! Questo migliora anche la qualità, ma non si può fare con le logiche di un editore. Scrivere non è più un mestiere (se mai lo è stato), ma comunicazione diretta con il mondo.
- Nelle tue opere adotti uno stile semplice e fluido. È una scelta che vuole rifuggire da certi stilemi intellettuali del mondo letterario o solo un riflesso dell’età media dei tuoi lettori?
Il mio primo romanzo edito, “Il Colombo divergente”, credo sia piuttosto complesso e articolato. Ha diversi piani di lettura, giochi di parole, allusioni al misticismo e non solo, simbolismi non svelati, personaggi da scoprire, riferimenti a diverse teorie storiografiche, riflessioni, la narrazione in una
difficile seconda persona, l’uso del presente per una storia passata. Tale complessità però era inserita in una trama (la scoperta dell’America) abbastanza semplice e in un racconto che poteva essere letto anche solo come un’avventura. Già allora mi preoccupavo di essere “leggibile”.
Il romanzo successivo su Giovanna D’Arco, “Giovanna e l’angelo”, ripeteva per stile e impostazione la struttura de “Il Colombo divergente”, aggiungendoci l’elemento onirico, il mutamento dei personaggi e la descrizione dell’indifferenza del mondo davanti al mutamento.
Fu proprio la constatazione di essere arrivato a livelli troppo complessi a spingermi in un percorso di semplificazione della mia scrittura. La prima occasione mi fu data dal mio editore di allora “Liberodiscrivere” che mi chiese la pubblicazione di un romanzo di poche pagine. Ne approfittai per scrivere un veloce pulp-thriller (“Ansia assassina”) che, innanzitutto, spostava la scena dal passato al presente e al mondo di oggi, tornava a una più canonica terza persona e rinunciava all’approfondimento psicologico dei personaggi, che venivano presentati in una rapida carrellata, dove le vicende di uno erano subito sostituite da quelle di un altro e dove le azioni di ciascuno (e non certo i loro pensieri) descrivevano il vero protagonista, assente fino all’ultimo capitolo, ma centrale in tutti gli altri.
Il mio percorso verso la semplicità non era completo. Quale libro meglio di uno per ragazzi, per tornare a uno stile semplice, con una trama cronologica, un punto di vista esterno focalizzato sul protagonista, descrizioni a volte quasi didattiche! Nasce così il primo volume della serie “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia”, ovvero “Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati”. Nel frattempo, lungo la stessa strada c’era stato anche il romanzo per adolescenti “Il Settimo Plenilunio”, ma essendo opera di scrittura a 6 mani e di illustrazione a 34 mani, si pone un po’ fuori da tale percorso personale. Credo che la semplicità in letteratura sia un enorme conquista e che solo i più grandi autori la raggiungano. In poesia gli haiku ne
sono uno splendido esempio e tra le raccolte di versi ne ho pubblicata anche una in cui tento di approcciare questa forma poetica: “Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto”. Quanta complessità nella semplicità di soli tre versi! Mi piacerebbe molto riuscire a scrivere opere non banali ma semplici come “Il piccolo principe”, “Il gabbiano Jonathan Livingstone”, “L’alchimista”, “Candide” o il recente “The giver”, ma credo che il mio percorso in tal senso ora si sia interrotto e dovrò cercare di conciliare la mia vocazione naturale verso il complesso con uno stile il più possibile lineare e diretto. Questo, del resto, era nelle mie intenzioni sin dall’inizio: cercare la semplicità per tornare verso il complesso.
Quello che amo è il complesso che si cela dietro il semplice. La magia di un atomo che pare indivisibile, ma al suo interno contiene un universo!
- Hai mai pensato di scrivere un romanzo realistico? E quali sono adesso i tuoi progetti narrativi?
Nulla è più reale della fantasia. Come ho già detto rispondendo a una domanda precedente, considero il genere fantastico decisamente superiore a quello realistico, e gli autori fantastici più abili di quelli realistici ma questo non toglie che a volte abbia la tentazione di scrivere un romanzo calato nella realtà di oggi, per poter descrivere in modo diretto il mondo che ci circonda. Ne ho persino in bozza uno che parla della maleducazione degli italiani e dell’arroganza di alcune persone nel nostro Paese, ma non so se lo completerò mai.

Carlo Menzinger nel 1967
Al momento (ovvero negli ultimi anni) sto cercando di scrivere una nuova ucronia, un po’ per colmare l’assurda situazione che fa sì che io sia considerato un autore ucronico, quando i miei due romanzi ucronici li ho scritti prima di conoscere il genere e dopo, come ucronie, ho scritto solo racconti o le storie di fantascienza con Jacopo Flammer, che non sono certo ucronie pure.
“Il Colombo divergente” e “Giovanna e l’angelo” narrano il momento in cui la Storia muta il suo corso. Quello che voglio fare ora è scrivere un’ucronia in cui si vedano gli effetti di una divergenza temporale a distanza di secoli. Dirò solo che questa variazione è avvenuta nell’antica Grecia e che la storia è ambientata oggi. Questo comporta la difficile ricostruzione di un mondo con in mezzo due millenni e mezzo in cui le cose sono andate diversamente. Tutto deve essere diverso, ma, per poter essere accettabile e comprensibile per i lettori, non troppo!
Di progetti, per quando l’avrò finito, ne ho moltissimi altri, alcuni appena abbozzati. Mi piacerebbe scrivere di fantascienza (ho in mente, per due romanzi diversi, un’apocalisse “speciale” e un mondo post-apocalittico di cui non dico nulla). Sono anche tentato di scrivere un seguito a “La bambina dei sogni” (anche se il suo finale aperto è tale per restare tale) e mi sento un po’ in dovere di proseguire le avventure di Jacopo Flammer.
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