Archive for marzo 2015

IL MANCATO PARTO DELLA SCHIZOFRENICA

E sei! Sono infine arrivato a leggere il sesto romanzo della serie “La Torre Nera”, scritta da Stephen King.

Come noto il ciclo si compone dei romanzi:

  1. La torre nera I: L’ultimo cavaliere(1982, pubblicato originariamente come romanzo breve; edizione rivista nel 2003(The Dark Tower I: The Gunslinger)
  2. La torre nera II: La chiamata dei Tre(1987(The Dark Tower II: The Drawing of the Three)
  3. La torre nera III: Terre desolate(1991(The Dark Tower III: The Waste Lands)
  4. La torre nera IV: La sfera del buio(1997(The Dark Tower IV: Wizard and Glass)
  5. La torre nera V: I lupi del Calla(il titolo annunciato era L’Ombra Strisciante[1][2]) (2003(The Dark Tower V: Wolves of the Calla)
  6. La torre nera VI: La canzone di Susannah(2004) (The Dark Tower VI: Song of Susannah)
  7. La torre nera VII: La torre nera(2004(The Dark Tower VII: The Dark Tower)
  8. La torre nera: La leggenda del vento(2012(The Dark Tower: The Wind Through the Keyhole)

 

A quanto pare però la storia si dovrebbe concludere con il settimo volume, essendo l’ottavo una sorta di spin off che si colloca cronologicamente più dalle parti degli eventi narrati nel quarto libro.

Ai 7/8 libri principali, sono collegate numerose altre opere di King. Riporto di seguito la ricostruzione che ho trovato su wikipedia:

 

I collegamenti in realtà non finiscono qui. Nel romanzo che ho appena letto, “La Canzone di Susannah”, per esempio, ci sono riferimenti sia a “Le notti di Salem”, opera che direi costituisce quasi un prequel della serie, sia a “It” il cui spirito aleggia sulla storia. Sento persino dei legami con “22/11’63”.

Questo sesto volume condivide con il terzo un brutto finale o per meglio dire un non-finale, che ci lascia sospesi in attesa di leggere il successivo, come se, in realtà, il terzo e il quarto volume come il sesto e il settimo fossero due parti della stessa storia, a loro volta inserite nella trama generale.

Peccato da poco, direte voi, dato che comunque stiamo parlando di un’opera che ha senso (ma aspetto di leggere l’ultimo volume per confermare che questo “senso generale” esiste) solo se letta nel suo insieme.

Questo sesto volume è scritto, come è consuetudine del grande King, con la consueta professionalità, tecnica e maestria, eppure c’era una parola, mentre leggevo, che mi si affacciava alla testa: “disordinato”. Strano, perché il libro segue un suo ordine e un suo filo, ma è stata una sensazione che mi ha fatto compagnia spesso, forse per i passaggi /salti dalle vicende della schizofrenica Suasannah/Mia/Detta a quelle delle coppie separate Roland Deschain /Eddie Dean e Jake Chambers / Padre Donald Callahan (con annesso bimbolo Oy).

Stephen King

Diciamo, poi, che tutto sommato la gravidanza di Susannah/Mia non è coinvolgente come altre parti del ciclo e la stessa triplice schizofrenia di quella che può dirsi la vera protagonista di questo volume è ormai cosa nota e stuzzica meno che nelle precedenti letture. Diciamo che la gravidanza sembra un filo troppo esile per una trama, anche se deve reggere solo un volume su otto e più. Il fatto poi di non riuscire neppure a capire se l’atteso neonato/ Tizio sarà una specie di Rosemary’s Baby o altro, svuota l’intero libro di un suo senso. Simpatica l’introduzione nella storia del personaggio Stephen King, un po’ meno i suoi diari semi-falsi in appendice, compresa la morte alla “Mr Mercedes”, che se non altro hanno il pregio di confermarci qualcosa che già avevamo intuito: King ha scritto questa saga senza sapere dove andasse a parare e inventandone gli sviluppi un po’ per volta. Speriamo davvero che il settimo volume sia da coronamento al tutto e non, invece, una delusione, che smonti l’intera costruzione di questa saga, che potrebbe essere una di quelle, assieme, a quella di Harry Potter, meglio realizzate che io abbia mai letto.

Anche se questo volume mi pare abbassare un po’ il tono della serie, l’interesse rimane alto e la saga di qualità. Appena possibile, dunque, dopo una pausa per leggere altro, passerò al settimo e decisivo volume.

L’UOMO ESSENZIALE (QUASI FANTASCIENZA)

Una giornata di Ivan Denissovic” è un breve romanzo, edito nel 1962, scritto da Aleksandr Isaevič Solženicyn (in russo: Алекса́ндр Иса́евич Солжени́цын?, traslitterato anche come Aleksandr Isaevič Solženitsyn o Aleksandr Isaevich Solzhenitsyn, autore nato Kislovodsk l’11 dicembre 1918 e morto a Mosca il 3 agosto 2008, premio nobel nel 1970).

Racconta la dura vita di un campo di prigionia in cui i carcerati sono costretti a lavori forzati in un ambiente gelido, con temperature inferiori a -30 gradi e che raggiungono anche i 40 gradi sotto zero.

Vessati dai carcerieri e dagli altri detenuti, i carcerati si arrangiano per sopravvivere e per trarre un minimo di soddisfazione persino da un’esistenza tanto sfortunata.

Dopo averci mostrato tanto orrore, l’autore conclude la descrizione della giornata del suo protagonista con le parole:

Quel giorno aveva avuto molta fortuna: non l’avevano ficcato in prigione, la squadra non era stata mandata al <<Villaggio Socialista>>, a pranzo era riuscito a rimediare una sbobba, il caposquadra aveva sistemato bene la percentuale, Sciuchov aveva lavorato con gioia al muro, alla tastata non gli avevano trovato il pezzo di sega, la sera aveva guadagnato qualcosa da Tsezar e aveva comprato il tabacco. E non si era ammalato, ce l’aveva fatta. Era trascorsa una bella giornata, quasi felice.

Piccole soddisfazioni che fanno risaltare la miseria in cui sono inserite, ma che mostrano anche la grande adattabilità degli esseri umani (almeno di alcuni), capaci di trovare ragioni di speranza e di conforto anche là dove non ce ne sono affatto o sembrano non esserci.

La bellezza di questo romanzo sta proprio nel riuscire a mostrare questa forza che risiede in noi, quest’energia che ci aiuta a superare l’avversità. Quelli che vediamo nelle grandi difficoltà sono gli uomini veri, non certo quelli che vivono in case riscaldate, che pranzano in ristoranti eleganti, sorseggiano cocktail, vanno a fare shopping.

Gli uomini del gulag ricordano i sopravvissuti delle migliori storie di fantascienza, gli uomini degli albori della storia, i naufraghi: uomini che della civiltà hanno ormai solo un vago ricordo o una vaga idea, uomini per i quali tirare avanti un altro giorno è già un successo.

Solgenitsin

Aleksandr Isaevič Solženicyn

È questo l’uomo che abbiamo perso. È questo lo spirito che il nostro mondo moderno non ha più. È per questo che ci affascinano telefilm come “The walking dead” o “Lost”, romanzi come “La strada” di Cormac Mc Carthy, “Robinson Crusoe” di Defoe, “Io sono leggenda” di Richard Matheson o“Ayla figlia della terra” della Auel. Sono mondi devastati, ma vi scorgiamo l’uomo vero che alza la testa.

La scrittura semplice e lineare di Solgenitsin ben si sposa con questa narrazione cruda.

Il romanzo riesce a essere dunque qualcosa di più di una testimonianza storica, di una denuncia politica e diventa opera narrativa pura, che descrive l’uomo nella sua essenza, come riesce a fare soprattutto la letteratura fantastica, che potendosi astrarre dal reale, a volte, arriva all’essenziale. Il drammaturgo russo, invece, ci riesce partendo dalla descrizione di un’esperienza personale, dai suoi anni passati in un gulag sovietico. Sembra una distopia, ma era la realtà.

Se in questo 2015 il messaggio di denuncia dei gulag sovietici perde di rilievo, essendo ormai l’Unione Sovietica un ricordo della Storia, è proprio il momento di rileggere Solgenitsin come autore per apprezzarne la semplice capacità narrativa, astraendosi da giudizi politici.

LA MISTERIOSA AVVENTURA DELLA FISICA

Quando uno scrittore sa scrivere veramente, riesce a farlo bene sia per un romanzo, sia per un saggio. Da ragazzo amavo molto Isaac Asimov. Ora ne colgo i limiti, ma rimane comunque un autore con una fluidità di linguaggio e una tecnica narrativa collaudate.

Ho letto ora “Il libro di fisica”, un poderoso saggio di oltre seicento pagine, di quelle vere, belle fitte, eppure, nonostante l’argomento che non è certo il mio campo, la lettura è scorsa quasi sempre veloce e piacevole (a parte forse il capitolo sulla fisica sub-nucleare in cui mi sono un po’ distratto).

Amo Asimov soprattutto per la fantascienza, ma questo scrittore russo-americano ha scritto anche gialli e in molti suoi romanzi di fantascienza si nota la struttura del giallo. Ho finito abbastanza di recente di rileggermi il “ciclo dei robot” che, indubbiamente, è una vera e propria detective story (anzi più d’una) con ambientazione fantascientifica e basata su alcuni assunti (le famose tre leggi della robotica) “scientificamente fantastiche”.

Anche nel saggio “Il libro di fisica”, Asimov usa una tecnica narrativa che è un misto tra storia d’avventura e giallo. Ci parla della fisica come di una grande avventura, in cui alcuni personaggi (gli scienziati) poco per volta dipanano il mistero della natura. Asimov non ci presenta subito lo stato delle conoscenze attuali, ma, capitolo per capitolo, argomento per argomento, ci mostra come siamo arrivati a queste scoperte, con quali ragionamenti e fatti da quali persone. Ci mostra una teoria e vediamo i protagonisti, come degli investigatori, metterla in dubbio, rianalizzarla da un altro punto di vista, scoprirne i punti deboli e trovare la soluzione per farla funzionare o una teoria alternativa per sostituirla.

Questo rende il libro ancora attuale sebbene Asimov sia morto il 6 aprile del 1992 e il volume sia stato pubblicato nel 1984. Mancano cioè gli ultimi sviluppi della scienza e della tecnologia, ma il libro va letto come una storia della fisica. Basterebbe quindi solo aggiungervi un piccolo paragrafo in fondo a ogni capitolo per renderlo del tutto attuale. Cosa che forse è stata fatta fino ad allora, dato che nell’introduzione, Asimov scriveva che quella che ho letto era l’ennesima edizione del medesimo libro, opportunamente aggiornata.

Non aspettatevi insomma la dimostrazione di teoremi e tesi con complicati ragionamenti matematici, ma una narrazione discorsiva, interessante per chiunque.

Isaac Asimov, nato Isaak Judovič Ozimov, in russo: Исаáк Ю́дович Ози́мов? (Petroviči, 2 gennaio 1920 – New York, 6 aprile 1992), è stato un biochimico e scrittore russo naturalizzato statunitense. Firma Le sue opere sono considerate una pietra miliare sia nel campo della fantascienza sia nel campo della divulgazione scientifica. È autore di una vastissima e variegata produzione, stimata intorno ai 500 volumi pubblicati, incentrata non solo su argomenti scientifici ma anche sul romanzo poliziesco, la fantascienza umoristica e la letteratura per ragazzi. (wikipedia)

I capitoli del volume sono:

  1. Cosa è la scienza?
  2. L’universo
  3. Il sistema solare
  4. La Terra
  5. L’atmosfera
  6. Gli elementi
  7. Le particelle
  8. Le onde
  9. La macchina
  10. Il reattore

L’EVOLUZIONE DELLA SCRITTURA – Intervista a Carlo Menzinger

Ieri su Postpopuli è uscita un’intervista che mi ha fatto Giovanni Agnoloni, che riporto di seguito.

 

  • Hai deciso di dedicarti soprattutto alla narrativa per bambini e ragazzi. Perché?

    L’intervistatore Giovanni Agnoloni

A dire il vero amo scrivere storie molto diverse e le mie prime esperienze sono state con romanzi per adulti. Come età, intendo, non certo a “luci rosse”. Decisi di scrivere il primo volume della serie di romanzi per ragazzi “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia” quando mia figlia di sette anni mi chiese se avevo scritto qualcosa che le potessi leggere. Cominciai così a scrivere le avventure di un bambino della sua età (poi aumentata a 8 anni, per adeguarla alla sua, che era cresciuta) che si ritrova  a vivere in una preistoria alternativa. Scelsi la preistoria perché era nel programma di quell’anno della scuola dell’infanzia. Volli infatti fare un romanzo che fosse sia divertente per un bambino, sia utile come strumento didattico, sia gradevole per un lettore adulto. Chiamai il romanzo “Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale”. Purtroppo prima che riuscissi a pubblicarlo, mia figlia era già molto più grande! Comunque in seguito ho scritto anche il secondo volume “Jacopo Flammer nella terra dei suricati” e abbozzato il terzo.

Giugno 2014

Carlo Menzinger -Nato a Roma il 3 Gennaio 1964 (Foto giugno 2014)

Non c’è comunque nessuna scelta di dedicarmi in modo esclusivo a questo gruppo di lettori. Con altri autori ho scritto la gallery novel (un romanzo scritto a più mani e illustrato da 17 artisti) “Il Settimo Plenilunio” che uscì precorrendo i tempi di “Twilight” e che parla di un conflitto tra umani, vampiri e licantropi. Lo considero il solo romanzo adolescenziale da me scritto. I thriller “Ansia assassina” e “La bambina dei sogni” sono invece per un pubblico maturo e non impressionabile e che ricerca letture lineari e immediate. Romanzi come “Il Colombo divergente” e “Giovanna e l’angelo” sono invece per un pubblico più attento e meditativo. Se “Ansia assassina” si potrebbe definire un “fast-book”, questi sono certo “slow-book”.

 

  • Al centro delle tue storie c’è soprattutto il tema dell’ucronia, già oggetto di un’ampia tradizione letteraria. Che cosa vi trovi di particolarmente affascinante?

Il mio primo romanzo, “Il Colombo divergente”, scritto nella prima metà degli anni ’90, è un’ucronia, ma devo confessare che quando lo scrivevo non sapevo di scrivere qualcosa che potesse essere catalogato in tal modo, del resto l’ucronia è solo uno degli aspetti che lo caratterizzano. Fu mentre già scrivevo “Giovanna e l’angelo” (un’altra ucronia, più onirica), che cominciai a scoprire il genere.

Sebbene l’ucronia abbia le sue radici nel XIX secolo con Geoffroy Louis (Histoire de la Monarchie universelle: Napoléon et la conquête du monde”  – 1836 -, rivisto come “Napoleone apocrifo”– 1841) e con Renouvier (“Uchronie” del 1857) che ha dato il nome al genere, e precedenti addirittura in epoca romana (un breve brano di Tito Livio), in realtà è fondamentalmente un genere piuttosto nuovo e tolti alcuni esempi precedenti come “La svastica sul sole” di Dick (1962) e “L’ultima tentazione di Cristo” (1955) di Nikos Kazantzaki, si può dire che il genere sta riscontrando solo di recente (dopo la scrittura de “Il Colombo divergente”) un certo seguito tra autori e lettori, con opere di Saramago (“Il vangelo secondo Gesù Cristo” del 1991, di Harris (“Fatherland” del 1992), King (“22/11/’63” del 2011) o Silverberg (“Roma Eterna” del 2004), solo per citarne alcuni.

Fu proprio quando scoprii l’impressionante potenziale narrativo dell’allostoria e l’incredibile quantità di ucronie che possono essere narrate, che decisi di fare il possibile per far conoscere questo genere ancora tanto ristretto e creai un gruppo di 18 scrittori e assieme realizzammo l’antologia “Ucronie per il terzo millennio”, con la quale abbiamo cercato di coprire, a grandi linee, un po’ tutte le epoche storiche. La maggior parte dei romanzi ucronici è, infatti, purtroppo focalizzata su nazismo e fascismo o al massimo sulla storia romana, ma c’è grande carenza di divergenze medievali o di altre epoche.

Il grande fascino di questa forma narrativa è proprio la possibilità di descrivere un’enorme quantità di storie diverse, unendo il rigore del romanzo storico alla creatività della fantascienza. È un genere ancora tutto da sviluppare, anche se molti nomi di rilievo ci si stanno avvicinando.

 

  • I tuoi romanzi hanno nella meraviglia e nello straniamento due effetti fondamentali. Trovi che siano due elementi carenti, nella narrativa per adulti di stampo realistico?

La letteratura, come il cinema, devono stupire, meravigliare e portarci in mondi lontani. La letteratura come cronaca del quotidiano, dell’ordinario, del reale spesso viene considerata come più “importante”, ma credo che sia un grande fraintendimento. Più un’opera è creativa, immaginifica, fantasiosa più affascina, trascina, coinvolge. Fantastico non vuol dire lontano da ciò che ci tocca veramente. Significa trascurare la materialità dei problemi e delle vicende reali, per dare attenzione al cuore, all’anima, al sogno, all’essenza stesa dell’essere umano, che si differenzia dagli altri esseri viventi proprio per questa sua capacità di vivere con la mente, per questa imprescindibile necessità di sognare.

Quale autore è più grande di quello che riesce a creare mondi alternativi, che riesce a farci dimenticare i problemi di ogni giorno e ci trascina nelle pagine del suo libro, facendoci, per poco, quasi credere di essere altrove?

 

  • La tua scelta del copyleft a cosa è dovuta? Alle difficoltà del mondo editoriale o a un’istanza ideale di tipo educativo?

Purtroppo dobbiamo prendere atto che, soprattutto in Italia, gli autori che vivono dei propri libri, solo di quelli, sono davvero pochissimi. Qualcuno parlava di una decina. Questo non vuol dire che con qualche libro non si possa guadagnare qualcosa di significativo, ma riuscire a farlo sistematicamente è cosa per pochi. Inoltre, ho potuto constatare per esperienza personale che i piccoli e medi editori non hanno le risorse per investire sui libri che pubblicano in termini di revisione dei testi, promozione e marketing. Cosa me ne faccio allora di una casa editrice? Rappresenta una garanzia di maggior qualità del libro edito? Purtroppo neanche questo. I piccoli editori a pagamento pubblicano di tutto. I piccoli editori non a pagamento selezionano un po’ di più, ma persino i grandi editori pubblicano libri vergognosi.

Constatato che dando i propri libri a pagamento ai lettori, gli incassi per l’autore sono spesso poca cosa, il passaggio successivo, allora, non può che essere quello di autopubblicarsi e regalare i propri libri.

Usare il copyleft con un editore è, infatti, più difficile, dato che questo, per definizione, è un’impresa e come ogni azienda mira a un profitto e quindi non può certo regalare i libri.

L’autore, invece, se scrive per sé e per essere letto, può farlo: può regalare i propri libri. Può usare il copyleft.

Certo per regalare libri cartacei occorre essere piuttosto ricchi (qualcosa come un mecenate alla rovescia, un autore che finanzia il suo committente!). La stampa ha costi che non possono certo essere azzerati e che, anzi, se le copie stampate sono poche, per ciascuna sono piuttosto elevati.

Il copyleft è invece reso possibile dall’e-book. Ogni libro, anche un e-book ha dei costi, che sono innanzitutto quello dell’impegno dell’autore, ma anche quelli dell’editing e della promozione, ma un e-book non ha costi di stampa e di distribuzione. Immaginando che l’autore regali il proprio lavoro, rimane il problema dell’editing, che ho risolto con una cosa che chiamo “web-editing”, ovvero faccio leggere prima della stesura finale i miei libri a decine di persone con il preciso intento di correggerli e migliorarli.

Con e-book, web-editing e copyleft superiamo la catena autore-editore-distributore-negozio-lettore, mettendo in contatto diretto e immediato autore e lettore, con scambio continuo e costante di confronti. I miei romanzi in copyleft vengono continuamente adattati e revisionati sulla base dei consigli dei lettori. De “La bambina dei sogni” non ho fato due o tre edizioni ma un numero enorme di micro-edizioni, che non ho mai contato. Per ogni refuso corretto potevo fare un nuovo e-book! Questo migliora anche la qualità, ma non si può fare con le logiche di un editore.  Scrivere non è più un mestiere (se mai lo è stato), ma comunicazione diretta con il mondo.

 

  • Nelle tue opere adotti uno stile semplice e fluido. È una scelta che vuole rifuggire da certi stilemi intellettuali del mondo letterario o solo un riflesso dell’età media dei tuoi lettori?

Il mio primo romanzo edito, “Il Colombo divergente”, credo sia piuttosto complesso e articolato. Ha diversi piani di lettura, giochi di parole, allusioni al misticismo e non solo, simbolismi non svelati, personaggi da scoprire, riferimenti a diverse teorie storiografiche, riflessioni, la narrazione in una difficile seconda persona, l’uso del presente per una storia passata. Tale complessità però era inserita in una trama (la scoperta dell’America) abbastanza semplice e in un racconto che poteva essere letto anche solo come un’avventura. Già allora mi preoccupavo di essere “leggibile”.

Il romanzo successivo su Giovanna D’Arco, “Giovanna e l’angelo”, ripeteva per stile e impostazione la struttura de “Il Colombo divergente”, aggiungendoci l’elemento onirico, il mutamento dei personaggi e la descrizione dell’indifferenza del mondo davanti al mutamento.

Fu proprio la constatazione di essere arrivato a livelli troppo complessi a spingermi in un percorso di semplificazione della mia scrittura. La prima occasione mi fu data dal mio editore di allora “Liberodiscrivere” che mi chiese la pubblicazione di un romanzo di poche pagine. Ne approfittai per scrivere un veloce pulp-thriller (“Ansia assassina”) che, innanzitutto, spostava la scena dal passato al presente e al mondo di oggi, tornava a una più canonica terza persona e rinunciava all’approfondimento psicologico dei personaggi, che venivano presentati in una rapida carrellata, dove le vicende di uno erano subito sostituite da quelle di un altro e dove le azioni di ciascuno (e non certo i loro pensieri) descrivevano il vero protagonista, assente fino all’ultimo capitolo, ma centrale in tutti gli altri.

Il mio percorso verso la semplicità non era completo. Quale libro meglio di uno per ragazzi, per tornare a uno stile semplice, con una trama cronologica, un punto di vista esterno focalizzato sul protagonista, descrizioni a volte quasi didattiche! Nasce così il primo volume della serie “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia”, ovvero “Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati”. Nel frattempo, lungo la stessa strada c’era stato anche il romanzo per adolescenti “Il Settimo Plenilunio”, ma essendo opera di scrittura a 6 mani e di illustrazione a 34 mani, si pone un po’ fuori da tale percorso personale. Credo che la semplicità in letteratura sia un enorme conquista e che solo i più grandi autori la raggiungano. In poesia gli haiku ne sono uno splendido esempio e tra le raccolte di versi ne ho pubblicata anche una in cui tento di approcciare questa forma poetica: “Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto”. Quanta complessità nella semplicità di soli tre versi! Mi piacerebbe molto riuscire a scrivere opere non banali ma semplici come “Il piccolo principe”, “Il gabbiano Jonathan Livingstone”, “L’alchimista”, “Candide” o il recente “The giver”, ma credo che il mio percorso in tal senso ora si sia interrotto e dovrò cercare di conciliare la mia vocazione naturale verso il complesso con uno stile il più possibile lineare e diretto. Questo, del resto, era nelle mie intenzioni sin dall’inizio: cercare la semplicità per tornare verso il complesso.

Quello che amo è il complesso che si cela dietro il semplice. La magia di un atomo che pare indivisibile, ma al suo interno contiene un universo!

 

  • Hai mai pensato di scrivere un romanzo realistico? E quali sono adesso i tuoi progetti narrativi?

Nulla è più reale della fantasia. Come ho già detto rispondendo a una domanda precedente, considero il genere fantastico decisamente superiore a quello realistico, e gli autori fantastici più abili di quelli realistici ma questo non toglie che a volte abbia la tentazione di scrivere un romanzo calato nella realtà di oggi, per poter descrivere in modo diretto il mondo che ci circonda. Ne ho persino in bozza uno che parla della maleducazione degli italiani e dell’arroganza di alcune persone nel nostro Paese, ma non so se lo completerò mai.

Carlo Menzinger_inverno_1967

Carlo Menzinger nel 1967

Al momento (ovvero negli ultimi anni) sto cercando di scrivere una nuova ucronia, un po’ per colmare l’assurda situazione che fa sì che io sia considerato un autore ucronico, quando i miei due romanzi ucronici li ho scritti prima di conoscere il genere e dopo, come ucronie, ho scritto solo racconti o le storie di fantascienza con Jacopo Flammer, che non sono certo ucronie pure.

Il Colombo divergente” e “Giovanna e l’angelo” narrano il momento in cui la Storia muta il suo corso. Quello che voglio fare ora è scrivere un’ucronia in cui si vedano gli effetti di una divergenza temporale a distanza di secoli. Dirò solo che questa variazione è avvenuta nell’antica Grecia e che la storia è ambientata oggi. Questo comporta la difficile ricostruzione di un mondo con in mezzo due millenni e mezzo in cui le cose sono andate diversamente. Tutto deve essere diverso, ma, per poter essere accettabile e comprensibile per i lettori, non troppo!

Di progetti, per quando l’avrò finito, ne ho moltissimi altri, alcuni appena abbozzati. Mi piacerebbe scrivere di fantascienza (ho in mente, per due romanzi diversi, un’apocalisse “speciale” e un mondo post-apocalittico di cui non dico nulla). Sono anche tentato di scrivere un seguito a “La bambina dei sogni” (anche se il suo finale aperto è tale per restare tale) e mi sento un po’ in dovere di proseguire le avventure di Jacopo Flammer.

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