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LE MATRJOSKE DELLA TORRE NERA

Risultati immagini per la leggenda del vento kingHo resistito solo per pochi mesi prima di lasciarmi tentare. In effetti, la lettura ha confermato quanto mi aspettavo. Siamo nel Medio-Mondo, si parla della Torre Nera, dei Vettori, di bimboli e di altre creature tipiche di questo non-luogo, ma siamo su una strada secondaria del racconto, anzi, più lontani ancora dalla trama principale, dato che (questo non me l’aspettavo) quello che ho letto era quasi un meta-romanzo, se non un meta-meta-romanzo o, se preferite e forse più correttamente, un romanzo matrjoska, dato che non abbiamo al suo interno un vero pseudobiblion, ma solo un racconto, o meglio una leggenda.

Incontriamo, infatti, il pistolero della saga Roland di Gilead, con tutti i suoi amici, il suo ka-tet, e li vediamo rifugiarsi da una tempesta molto forte, come se ne vedono solo nel Medio-Mondo. Mentre aspettano che questa passi, Roland racconta ai suoi compagni una sua avventura di quando era ragazzo, in cui combatteva con quelle creature che sono qualcosa di più dei licantropi e che potremmo definire mutaforma, degli uomini in grado di trasformarsi in animali diversi. Roland ragazzo, in questo racconto (quasi uno pseudobiblion) incontra un bambino e gli racconta una storia che gli narrava sua madre quando era piccolo: “La leggenda del vento” (quasi un altro pseudobiblion dentro il precedente), che per l’appunto parla di una tempesta simile a quella in cui si trova Roland nella storia principale.

Diciamo quindi che la maggior debolezza di questo romanzo (a parte il fatto di essere una storia autonoma rispetto alla saga, cosa che potrebbe anche essere un vantaggio, consentendo a chi voglia di leggerla, senza conoscere gli altri libri) sta proprio nel fare ricorso a questo trucco per dilatare la storia principale (“La leggenda del vento”) con un’altra storia minore (l’avventura di Roland giovane), collegandola alla trama della saga con un racconto del tutto esile.

Noto poi alcune immagini che mi ricordano altre storie. Per esempio, quando il ragazzo della storia centrale, Tim, guarda nel secchio magico ritrovo Harry Potter che guarda nel Pensatoio di Silente o quando Tim dorme sotto il lenzuolo magico con la tigre mi sembra quasi di vendere “Vita di Pi”.

King è pur sempre King e le sue storie sono sempre godibili, ma questo è di certo il volume più debole tra tutti quelli della saga e uno dei meno significativi dell’autore, che si può evitare di leggere senza perdere molto.

LA GUERRA DI ODISSEO

Sono passati appena sei mesi da quando ho letto per l’ultima volta una riscrittura moderna (e italiana) della “Iliade” di Omero. Mi riferisco a “Iliade, Omero” di Alessandro Baricco. In questi giorni ho, invece letto, “Il mio nome è nessuno – Il giuramento”, il primo dei due volumi con cui Valerio Massimo Manfredi ripercorre la vita di Ulisse, prima e dopo i fatti della guerra di Troia. Sebbene i fatti narrati siano i medesimi, l’intento dei due autori è diverso e diverso è il risultato, sebbene in entrambi i casi apprezzabile. Baricco aveva l’intento di fare una sintesi dell’Iliade, per leggerla in pubblico. Manfredi ci mostra i fatti di Ilio con lo sguardo del più moderno dei suoi protagonisti: Odisseo. Manfredi, poi, in realtà, anche solo in questo primo volume (il secondo dovrebbe essere incentrato sulla “Odissea”) non ci parla esclusivamente dell’Iliade, ma la prima parte del volume ci racconta della gioventù di Ulisse e dei miti che lo hanno influenzato, primo fra tutti, il viaggio degli argonauti alla ricerca del Vello d’Oro, ma anche le imprese di Ercole. Miti che Manfredi non presenta come tali, ma come imprese eccezionali seppur non soprannaturali di uomini contemporanei o quasi di Odisseo. Solo raramente indulge al fantastico, ma solo per riferire di credenze, come quando racconta del nonno di Ulisse, creduto da chi lo conosceva un licantropo, spiegandoci razionalmente come questa credenza sia nata.

Dunque i romanzi di Manfredi e di Baricco hanno in comune l’aver spogliato l’epos omerico delle sue divinità e della sua antica magia, ma Manfredi è capace di rendergliene una rinnovata, più moderna, quella della narrazione di tempi e fatti a tutti ben noti ma così lontani nel tempo e nel sentire quotidiano da rivestirsi di un’aura esotica e arcaica.

Valerio Massimo Manfredi

Come già ho avuto modo di notare leggendo la trilogia su “Alexandros” o “Lo scudo di Talos”, Manfredi è un autore che ben conosce i fatti narrati, che scrive con leggerezza e precisione e non manca di saper dare quel tocco in più che trasforma la Storia in una buona storia da essere narrata (dove la scomparsa della maiuscola non vuol essere in senso negativo, ma solo differenziare l’oggetto dello studio degli storici dall’esercizio narrativo). Doti che non sempre si riscontrano in autori stranieri più famosi, che a volte indulgono nelle descrizioni “folcloristiche” o si limitano a descrivere i personaggi storici senza aggiunger loro alcuno spessore.

L’Odisseo di Manfredi, è invece personaggio che spicca tra gli eroi di Troia più di quanto si notasse nei versi omerici e viene quasi da pensare che il vero protagonista di quella guerra in fondo fu lui, più di Achille, Elena, Paride, Agamennone, Menelao, Aiace o altri. Solo che nella “Iliade” non era messo bene in luce. Quasi che attendessimo l’opera di Manfredi per illuminarlo correttamente, sebbene fosse tutto già lì, nei versi di Omero.

 

I ROMANZI DELLA TORRE NERA

A conclusione dei precedenti post sulla Torre Nera, vorrei ricordare qualcosa sulla struttura della saga.

I volumi principali sono:

  1. La torre nera I: L’ultimo cavaliere(1982, pubblicato originariamente come romanzo breve; edizione rivista nel 2003(The Dark Tower I: The Gunslinger)
  2. La torre nera II: La chiamata dei Tre(1987) (The Dark Tower II: The Drawing of the Three)
  3. La torre nera III: Terre desolate(1991) (The Dark Tower III: The Waste Lands)
  4. La torre nera IV: La sfera del buio(1997) (The Dark Tower IV: Wizard and Glass)
  5. La torre nera V: I lupi del Calla(il titolo annunciato era L’Ombra Strisciante[1][2]) (2003) (The Dark Tower V: Wolves of the Calla)
  6. La torre nera VI: La canzone di Susannah(2004) (The Dark Tower VI: Song of Susannah)
  7. La torre nera VII: La torre nera(2004) (The Dark Tower VII: The Dark Tower)
  8. La torre nera: La leggenda del vento(2012) (The Dark Tower: The Wind Through the Keyhole)

Come si diceva il volume conclusivo è il settimo romanzo e l’ottavo ritorna indietro nella trama.

Molti altri romanzi di King sono collegati al ciclo, ma direi che “Le notti di Salem” possa essere considerato come un prequel della serie, anche se si potrebbe leggere a metà, prima de “I lupi della Calla”, dato che sono soprattutto gli ultimi romanzi a farvi riferimento.

In un racconti della raccolta “Tutto è fatidico” compare Roland.

Altri romanzi connessi pare siano (ma devo leggerne ancora molti e verificare):

“Insomnia” (citato nel settimo volume e in cui è protagonista Patrick Danville, personaggio fondamentale del settimo romanzo)

It” (se non altro per la tartaruga e una certa visione del mondo e per una possibile identità tra Dandelo e It)

“L’ombra dello scorpione (che spero di leggere presto)

“Desperation”

Stephen King

“Cuori in Atlantide”

“Il talismano”

“La casa del buio”

“Mucchio d’ossa”

E, dicono, molti altri.

Come Asimov (che ha unito tra loro i suoi principali cicli), anche King, a un certo punto della sua carriera, infatti, pare abbia sentito l’esigenza di creare un filo conduttore che tenesse legate tra loro tutte le sue numerose opere e ha trovato questo filo nella saga della Torre Nera. Insomma, una lettura quasi infinita, come i molti “Quando” in cui si svolge.

L’ECCLETTISMO DEL RE

Risultati immagini per stephen king i lupi del callaCredo che ben pochi autori sarebbero in grado di mescolare fantascienza, western, romanzo gotico, ucronia e fantasy. Ci vuole una grande penna per fare questo, un “re” della tastiera. Probabilmente ci vuole uno che si chiami King, Stephen King. Quello che ha fatto nel romanzo fiume che potremmo chiamare “La Torre Nera” e che riunisce ben otto lunghi romanzi di grande ecclettismo e poliedricità.

C’è ancora qualcuno che, quando gli dico che sto molto apprezzando questo autore, storce il naso e risponde che non ama l’horror. Certo King è quello di “Carrie” e “Shinning”, ma non potrebbe esserci errore (eresia?) peggiore di definirlo un autore horror. I suoi romanzi sono solo apparentemente di genere, tanta è la loro ricchezza e tanto in essi i generi sono mescolati, e solo talora, direi, sono davvero horror.

Per ora ho letto solo alcune delle sue opere, ma più vado avanti è più apprezzo la grandissima fluidità di scrittura, che gli permette di dilatare delle storie per centinaia o migliaia di pagine (come per “La Torre Nera”) senza creare mai momenti di noia o di fiacchezza. Del grande autore horror ha la capacità di tenere sempre altissima l’attenzione, ma questo lo fa con storie di bambini come il romanzo “La bambina che amava Tom Gordon”, in storie sullo spirito profondo delle nostre paure come “It”, in ucronie geniali come “22/11/’63”, in romanzi gotici come “Salem’s Lot”, che sono anche affreschi di vita di provincia americana, in thriller psicologici come “Mr Mercedes”, con i racconti di “Tutto è fatidico”, in uno dei quali compare anche Roland di Gilead in un momento antecedente la saga de “La Torre Nera”.

Leggendo il primo romanzo della serie “L’ultimo cavaliere”, che ci parla di infinitamente grande e infinitamente piccolo, di passato che è futuro, l’avevo definito un western-fantasy; leggendo il secondo romanzo “La chiamata dei tre”, mi ero appassionato vedendo mutare quel mondo pseudo-western in un immaginifico mondo fantascientifico con aramostre e porte del tempo, in una storia che ci parla di schizofrenia, droga, follie omicide; leggendo il terzo volume “Terre desolate” veniamo proiettati in un capolavoro fantascientifico popolato da antiche macchine pensanti che è un vero trattato narrativo della schizofrenia; leggendo il
quarto “La sfera del buio” ci ritroviamo nella medesima atmosfera del precedente per poi essere proiettati in un America ucronica.

Sono così, infine, giunto a leggere il quinto volume della serie “I lupi della Calla”. La storia narrata segue immediatamente quella di “Terre desolate”, eppure precede anche quella dell’ottavo volume “La leggenda del vento” e persino il secondo romanzo scritto da King “Salem’s Lot” o “Le notti di Salem” (1975).

Il primo volume è del 1982. “I lupi della Calla” è del 2003, l’ottavo volume è del 2012, a testimonianza del ricorrente impegno dell’autore su questa storia.

Vi compare (grazie all’amore di King per i collegamenti tra le proprie opere) per la prima volta nella saga un nuovo personaggio l’ex-prete Pére Callahan, che già avevamo incontrato ne “Le notti di Salem”, ma i riferimenti a opere di altri autori sono numerosissimi, dall’omaggio all’altra grande autrice del nostro secolo, che si ritrova nel nome delle bombe volanti intelligenti dette “Harry Potter”, in ricordo del famoso boccino da Qidditch inventato dalla Rowling, a quello a “2001 Odissea nello Spazio” di Clarke nel confronto tra il robot Andy e l’ex-eroinomane Eddie, alle spade laser di “Guerre stellari” a “Uomini e topi” di Steinbeck, all’”Ulisse” di Joyce a Elton John. Ci sentirei persino un po’ di Isaac Asimov, con la scomparsa dei robot, che caratterizza il passaggio dal ciclo dei robot a quello della Fondazione.

La vera ispirazione di questo volume sono però, soprattutto, “I sette samurai” di Akira Kurosawa e il loro remake americano “I magnifici sette”, vera ispirazione di questa storia in cui il pistolero Roland (che fa pensare allo Yul Brinner del film), affiancato da un improbabile quartetto composto dall’ex-tossicomane Eddie, dal ex-prete ubriacone Callahan, dalla schizofrenica Susannah priva delle gambe, al bambino Jake, per non parlare dello strano animaletto parlante simil-cane Oy, si preparano ad affrontare l’arrivo, che si ripete a ogni generazione nella valle di Calla Bryn Sturgis, di un’orda di esseri famelici, chiamati Lupi, per la maschera lupina che indossano sul volto, ma che si sospetta possano essere zombie inviati da vampiri o vampiri loro stessi.

Troviamo, insomma, in questo volume, grande esempio di mescolanza di generi, il romanzo gotico con vampiri, licantropi (richiamati se non altro dal nome delle misteriose creature), zombie, robot, pistoleri, donne guerriere lanciatrici di piatti fatali, gangster, bibliofili, viaggi nel tempo, mondi onirici. Insomma, tutto il fantastico concentrato con innegabile maestria in qualche centinaio di pagine!

La lotta contro i lupi si pone come un intermezzo necessario nella ricerca della Torre Nera, vera missione di Roland di Gilead, che non viene accantonata. Nelle loro escursioni – tramite “contezza” (qualcosa che mi fa pensare a la mia “La bambina dei sogni”, in cui, pure, guarda caso, compare una Torre Nera) o porte del tempo – nella New York del XX secolo, infatti, i nostri eroi hanno modo di difendere dai gangster il bibliofilo Calvin Torre (che, forse, è un richiamo a “La prosivendola” di Pennac oltre ad avere nel proprio nome il suffisso “Cal” che accomuna il villaggio e il prete e il nome della meta di Roland “Torre”). Calvin Torre è, infatti, il difensore,
forse inconsapevole, della Rosa, che, a sua volta, potrebbe essere la chiave per salvare la Torre Nera.

Nel volume non manca la minaccia dell’arrivo di una gravidanza diabolica, che fa pensare a “Rosemary’s Baby” di Ira Levin, ma di questo probabilmente sapremo di più nel prossimo volume, la cui lettura faticherò a rimandare ancora per un po’.

 

 

Stephen King

IT: UN MOSTRO LOVECRAFTIANO EMERSO DA ARCANI ABISSI SPAZIO-TEMPORALI

IT - Stephen King

IT – Stephen King

Dice Wikipedia che “Stephen Edwin King (Portland, 21 settembre 1947) è uno scrittore statunitense, uno dei più celebri autori di letteratura fantastica, in particolare horror, dell’ultimo quarto del XX secolo, è considerato quindi un autore di spicco anche nel romanzo gotico moderno.

Scrittore notoriamente prolifico, nel corso della sua fortunata carriera, iniziata nel 1974 con Carrie, ha pubblicato oltre sessanta opere, fra romanzi e antologie di racconti, entrate regolarmente nella classifica dei bestseller, vendendo complessivamente più di 350 milioni di copie.

La maggior parte delle sue storie ha avuto trasposizioni cinematografiche o televisive, anche per mano di autori importanti quali Stanley Kubrick, John Carpenter, Brian De Palma e David Cronenberg. Probabilmente nessun autore letterario, a parte William Shakespeare, ha avuto un numero maggiore di adattamenti.

It” è un romanzo horror pubblicato nel 1986 ed è spesso considerato il capolavoro di Stephen King.

Indubbiamente è un romanzo quanto mai denso e corposo, come si deduce dalle 1.238 pagine che lo compongono. La densità non è data solo dal numero di pagine, ma anche dal sovrapporsi delle vicende dei numerosi protagonisti, descritte in due diversi periodi temporali e dalla mescolanza di generi. Definirlo un horror mi pare infatti quanto mai riduttivo. La descrizione dell’infanzia dei protagonisti è parte rilevante della storia e ci fa pensare a “Stand By Me” (il bellissimo film tratto dal suo “Il corpo”) o a “L’ultima estate che giocammo ai pirati” di Alessandro Soprani.

Seguiamo così le avventure di un gruppo di ragazzini (I Perdenti), ognuno con qualche problema (asma, obesità, balbuzie…) e lo svilupparsi della loro amicizia, cementata dallo scontro con la banda dei bulli più grandi e, soprattutto, dall’incontro con un mostro lovecraftiano emerso da arcani abissi spazio-temporali, un essere mutaforma che si nutre delle paure infantili e che talora assume le sembianze di un clown crudele, ma che non disdegna forme tipiche dei mostri classici come quella del licantropo o dello zombie, proprio perché il suo aspetto è determinato dalle paure di ciascuno.

A volte, verso metà romanzo soprattutto, ci si può chiedere che bisogno ci fosse di scrivere una storia simile in oltre 1.200 pagine, quando forse ne sarebbero potute bastare tre o quattrocento.

La voluminosità della storia contribuisce però a dare sostanza e peso alla natura ancestrale di questo mostro, che appare ciclicamente a turbare la quiete della cittadina americana Derry e rende epico il romanzo.

Nel leggere ho notato non poche analogie con il ciclo di Harry Potter e non per nulla si tratta in entrambi i casi di due trai massimi bestseller mondiali. Vorrei allora applicare lo stesso tipo di analisi che avevo seguito per i sette romanzi della Rowling, individuando alcuni “ingredienti” che facevano di Harry Potter un best-seller e vedere come compaiono in “It”.

  • Trama: trama vuol dire intreccio, mescolanza di storie diverse. Qui c’è vera trama. Più storie di diversi personaggi e due diversi periodi temporali, il tutto tessuto con maestria, creando perfetta unità narrativa.
  • Ambientazione costante: Derry nel passato, Derry nel futuro. Per Harry Potter mi riferivo alla ricorrenza dell’ambientazione nei vari romanzi, ma, vista la lunghezza di questo libro, il concetto si può applicare analogamente.
  • Ripetitività e ritualità: le apparizioni di Pennywise sono cicliche, il suo aspetto muta, ma appare in certi momenti e certi luoghi (secondo certi riti). Per sconfiggerlo occorre una sorta di vero rito. L’amicizia dei ragazzi è sancita dal rito del coccio di bottiglia. I palloncini, i pon pon arancioni, i tombini sono tutti elementi ricorrenti.
  • Magia come estraneamento dalla realtà: i sette ragazzi pur continuando a vivere nel loro mondo abituale vedono e provano cose che altri non possono né vedere, né provare. Sono, per definizione dei Perdenti, che nel mondo magico diventano Vincenti fino al punto di salvare il mondo. Si rifugiano nei Barren per sfuggire a una provincia triste e spesso ostile.
  • Mondo magico come mondo parallelo, specchio della nostra schizofrenia: L’intera Derry è una città schizofrenica di cui una parte nega l’esistenza dell’altra.
  • Amicizia: è la componente più forte del libro. L’amicizia aiuta a superare le prevaricazioni dei bulletti e, magicamente, consente di combattere il Male.
  • Lotta tra Bene e Male: It è il Male assoluto, ma dov’è il Bene? La Tartaruga sembra volere il Bene ma è indifferente. L’Altro non agisce. Qui c’è più manicheismo che nella Rowling.
  • Tanti nemici, grandi e piccoli: Henry Bowers e i suoi bulli per le lotte quotidiane, It-Pennywise per la grande lotta.
  • Un personaggio che si sente debole ma che scopre di essere forte e speciale: i Perdenti sconfiggono senza poteri un mostro all’apparenza onnipotente.
  • Spettacolarità: le multiformi apparizioni di It. Certo mancano i castelli, i draghi volanti, il quiddich e altre trovate della Rowling, ma lo spettacolo, assai macabro, non manca.
  • Competizione: tra i Perdenti e bulli. Mancano le gare tra Case di Howgart e la competizione scolastica.
  • Mistero: It, la Tartaruga e l’Altro sono mostri lovecraftiani provenienti da passati lontanissimi e distanze inimmaginabili e la loro vera natura, che si scopre poco per volta, non potrà mai essere svelata per intero, in quanto troppo lontana dalla razionalità umana.
  • Suspance: l’attesa del mostro e della sua nuova forma.
  • Paura: è un racconto che mira a spaventare e che descrive come i mostri nascano proprio dalle nostre paure.
  • Avventura: per dei ragazzini costruire dighe o tane sotterranee e combattere a sassate sono già delle avventure, affrontare un essere ancestrale che si nutre delle paure infantili e fa strage di bambini, allora cos’è?
  • Iniziazione e crescita verso l’età adulta: cosa ci fa crescere di più della capacità di affrontare  le nostre paure. Vediamo i sette ragazzi crescere, maturare e, talora, persino morire.
  • Morte: onnipresente, fin dalle prime pagine, come in Harry Potter, e ancora più presente nel finale, vera padrona delle scene. Anche qui non risparmia i “Buoni”.

Insomma la Rowling ha mirato a un pubblico più giovane e ha aggiunto qualche tocco di spettacolarità in più, limando gli aspetti macabri che troviamo in King, ma gli ingredienti sono piuttosto simili anche se le storie sono diverse.

L’autrice di “Harry Potter” avrà letto “It”, prima di scrivere il suo ciclo?

Firenze, 07/01/2011

Leggi anche:

Il western fantasy di King – L’ultimo Cavaliere (La Torre Nera) – Stephen King

La bambina che sconfisse la natura – La bambina che amava Tom Gordon – Stephen King

King for President of Ucronia – 22/11/’63 – Stephen King

La gran cuoca Rowling e i magici ingredienti di Harry Potter – Harry Potter e i Doni della Morte – J.K. Rowling

IL SETTIMO PLENILUNIO: UN ROMANZO COLLETTIVO – Recensione di Antonio Daniele

Il Settimo Plenilunio - Menzinger, Calamandrei, Bumbi

Il Settimo Plenilunio – Carlo Menzinger, Sergio Calamandrei, Simonetta Bumbi

Ho appena finito di leggere il numero 8 di “IF – Insolito & Fantastico“, numero dedicato ai “Fumetti“, di cui vi parlerò a breve.

Segnalo qui che, verso la fine della rivista, c’è una bella recensione di Antonio Daniele (uno che di vampiri se ne intende: ha curato la nuova edizione de Il Vampiro di Franco Mistrali). Per esigenze di spazio è stata un po’ tagliata dall’editore (solo un po’!). Per chi la volesse leggere per intero ecco il testo che mi ha inviato lo stesso Antonio Daniele (che qui ringrazio):

Carlo Menzinger, Simonetta Bumbi e Sergio Calamandrei, Il Settimo Plenilunio, Genova, Liberodiscrivere, 2010, pp. 240, € 19,00

 

Il Settimo Plenilunio è un interessante esperimento letterario di Carlo Menzinger, Simonetta Bumbi e Sergio Calamandrei (non accreditato in copertina, ma, a tutti gli effetti, un terzo autore). Come spiega lo stesso Menzinger nell’introduzione, si tratta di un “romanzo collettivo”, e al tempo stesso di una “gallery novel”, a cui hanno contribuito diciassette artisti con numerose illustrazioni.

Siamo in un imprecisato futuro. Alla conferenza “Vampirismo e licantropia: origini della leggenda”, il professor Michele Moretti annuncia la sensazionale scoperta di due divinità alla base delle leggende sulle creature della notte: il dio degli abissi Ecatron e la dea della notte Saravhan. Tutto è partito dal ritrovamento di un manoscritto del X secolo, che anticiperebbe di centinaia d’anni la nascita di questi miti. Una giovane donna, dalla folta chioma rossa, segue attenta tra il pubblico, poi avvicina lo studioso,

Antonio Daniele

Antonio Daniele

Ben costruita è anche la mitologia alla base della società dei vampiri e dei licantropi, creature

IF - Insolito & Fantastico n. 9 - Fumetti

IF – Insolito & Fantastico n. 9 – Fumetti

nate in seguito ad una maledizione di Ecatron, alle quali Saravhan, mossa a pietà, fece dono dell’immortalità. Per la verità i vampiri non risultano particolarmente attraenti, essendo tratteggiati come esseri arroganti e sadici. Ne escono meglio i lupi mannari, che, pur essendo mostri sanguinari, hanno un cuore: si innamorano, soffrono, sono solidali, semplici nei loro istinti primari. Bello, in particolare, il passaggio in cui viene descritto il funzionamento del cervello di Chew: «i pensieri nella sua mente di lupo scorrevano in modo strano, diverso, più lento, più essenziale. Erano pensieri animaleschi. Non era più capace di veri ragionamenti. I sentimenti, però, erano sempre vivi e forti. La mente funzionava bene nel cercare modi per predare o per fuggire ai pericoli. Non aveva spazio per molto altro. C’era, comunque, uno spazio per l’amore».

(Antonio Daniele)

L'amore ai tempi dei vampiri

Edward e Bella in TwilightQuando l’anno scorso è stato pubblicato il romanzo curato e in parte scritto da me “Il Settimo Plenilunio”, che narra la storia di un’umana fidanzata con un licantropo e che s’inamora di un vampiro, mi è parso giusto leggere finalmente “Twilight” di Stephenie Meyer, storia che, in estrema sintesi potrebbe somigliare a quella del nostro romanzo. Quando l’abbiamo scritto (nel 2007) ne ignoravamo (siamo tre autori) l’esistenza, trovo dunque curioso ritrovarci alcune somiglianze, sebbene gli intenti dei due romanzi siano assai diversi.
Questo del resto è abbastanza scontato, quando si scrive una storia di “genere”. Il romanzo gotico, poi, ha regole e canoni ben più stringenti di altri generi letterari ed è facile che due storie abbiano alcuni punti in comune. Parlerò altrove delle somiglianze con “Il Settimo Plenilunio”. Qui vorrei dire invece solo di “Twilight”.
Quello che la Meyer ha fatto di originale con questo libro è stato di trasformare una storia gotica, tradizionalmente fatta di paura, orrore, magari disgusto e, certo, passione, in una storia d’amore adolescenziale.
Con questo non intendo fare una notazione negativa. Semplicemente constato un’innovazione nel genere e una sua interesante miscela con il romanzo rosa e con il romanzo adolescenziale.
I vampiri che ne escono fuori sono dei ragazzi bellissimi, che vivono isolati all’interno della scuola, ignorando gli altri e ignorati da tutti, sino al ritorno nell’umida Forks, di una ragazzina imbranata ma attraente di nome Bella. Noto per inciso il ricorso a un’ambientazione scolastica per una storia con personaggi fantastici, come in Harry Potter.
Per qualche strana alchimia, scoppia l’amore tra il bel vampiro e la ragazzetta.
I vampiri vivono tutti assieme e hanno deciso di rinunciare al sangue umano, oltre che bellissimi (come mai?) sono anche fortissimi, velocissimi e ognuno ha poteri particolari come leggere nel pensiero, prevedere il futuro, cambiare le emozioni degli altri. Insomma più che dei vampiri sembrano dei supereroi. E non dormono in bare (non dormono affatto) e non si sciolgono al sole (ma diventano luminosi!).
Certo non tutti i vampiri sono buoni e virtuosi come loro e un giorno arrivano a Forks anche quelli cattivi, allora, da bravi supereroi i vampiri buoni difenderanno la ragazzina imbranata e la sua famiglia ignara.
Tutto ciò avrà, come sappiamo, sviluppi in vari altri volumi, per ora quattro, credo, in cui avrannoStephenie Meyer   la loro parte anche alcuni licantropi, tra cui il giovane Jacob che già qui rende geloso il buon vampiro Edward e che si sta già innamorando, un po’, della sprovveduta e incosciente Bella.
Si assite alla nascita, difficoltosa, di un amore. Il finale si immagina, ma viene ritardato sempre più, per la gioia delle lettrici, credo. Gli amori contrastati sono sempre interessanti. In questo caso la difficoltà più grande viene dall’interno della coppia, dal loro essere decisamente male assortiti, dalla paura di Edward Cullen di risvegliare i propri istinti predatori e di divorare per sbaglio la sua amata, la cui fragilità, rispetto ai suoi superpoteri, è tale che potrebbe ucciderla con una sola mano.
C’è poi l’angosciante tema dell’immortalità: che senso a vivere in eterno, se si deve vivere soli? Meglio vivere e morire presto umanamente o vivere in eterno da dannati? Certo altri vampiri conosciuti in letteratura avevano l’aria più sfigata di Edward, che invece non sembra passarsela male, con una bella villa, belle macchine (ne spunta sempre una nuova) e un gruppetto di amici con cui giocare a baseball. Si capisce che anche Bella abbia voglia di diventare un vampiro: mica gli si prospetta di abitare a casa Adams o in un reliquario di un castello cadente pieno di ragnatele e ratti. I tentativi di Edward di convincerla che è meglio essere mortali non la persuadono affatto. Forse sarebbe bastato mostrargli che viveva, da bravo vampiro di una volta, in un bel cimitero infestato di spettri e si sarebbe data una calmata.
Una storia, comunque, ben scritta e piacevole, adatta soprattutto per un pubblico di ragazzine ma leggibile da tutti.
 
Leggi anche:

Perché scrivere di vampiri e licantropi nel terzo millennio?
– "Il vampiro" di John W. Polidori
– "Il Vampiro" di Franco Mistrali
"Dracula" di Bram Stoker
Tutti i post su Il Settimo Plenilunio
"Karpat Infinite Love" di Karinee Price
Vampiri – N. 5 di IF – Insolito & Fantastico
Oltretomba – N. 2 di IF – Insolito & Fantastico
Il Settimo Plenilunio di Menzinger, Bumbi e Calamandrei  di   <!–

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"Bestiario stravagante" di Massimiliano Prandini
"Werewolf" di Francesca Angelinelli <!–

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PERCHE' SCRIVERE DI VAMPIRI E LICANTROPI NEL TERZO MILLENNIO?

FilostratoIl romanzo gotico, che vede trai suoi protagonisti vampiri e licantropi, sta avendo ultimamente un rinnovato successo, ma le sue origini sono tutt’altro che recenti.
Il mito del vampiro nasce dalle leggende popolari di gran parte dell’Europa e si collega a figure di esseri non-morti presenti in numerose culture umane. Tra i non-morti il vampiro si caratterizza per l’abitudine di succhiare il sangue. Il termine ha origine slava. Come figura nasce dall’antica paura che un morto possa tornare in vita e tormentare i viventi. L’usanza di seppellire i morti potrebbe avere motivazioni igieniche, ma il deporre sulla tomba pesanti lapidi sembra riconducibile alla medesima paura.
Pare che il più antico testo che parli di esseri simili a vampiri, sia una tavoletta babilonese su cui è incisa una formula magica per proteggersi dagli etimmé, i demoni succhia-sangue.
Di simili esseri parlano anche gli antichi geci e romani (Filostrato e Flegone Tralliano) e il mito trova sviluppi in epoche successive.
Sarà però tra il XIX e il XX secolo che il vampiro, con Polidori, Le Fanu, Presket Prest, Bram Stoker, Connell e altri, diverrà soggetto letterario di romanzi di successo.
Anche per la licantropia le origini si perdono nelle tradizioni popolari e persino nella Nabucodonosor Bibbia si legge che Nabucodonosor fu trasformato in lupo. Gli egizi veneravano il Dio-sciacallo Anubi e il Dio-lupo Ap-uat che traghettava i morti nell’Aldilà.
La leggenda più diffusa vuole che il lupo mannaro assuma sembianze animalesche con la luna piena. Invenzione più moderna è che possa essere ucciso solo da una lama d’argento. In epoche più recenti si è sviluppata la credenza che la licantropia fosse una vera e propria malattia.
In letteratura i  licantropi fanno la loro comparsa in alcuni romanzi ottocenteschi come quelli di Baring-Gould, Maturin, Reynolds e Dumas.
  
 Dopo due secoli che i romanzi ne trattano, perché parlare ancora di vampiri e licantropi al giorno d’oggi, all’inizio di questo terzo millennio?
Scrivere romanzi gotici poteva avere un senso nel XIX secolo e le motivazioni degli autori e dei lettori di allora penso possano essere solo in parte le stesse di quelli odierni.
Con questo genere di storie in passato si mirava soprattutto a sorprendere e spaventare o a esorcizzare la paura della morte. Erano storie che, sebbene avessero radici culturali assai più antiche, avevano ancora una freschezza e originalità sufficienti a suscitare stupore, ansia e, spesso, paura.
Questo oggi avviene in maniera assai minore, ma rimane, soprattutto per  i lettori più giovani, una componente importante.
Parrebbe difficile allora che una storia di vampiri o licantropi si discosti troppo da una Anne Rice trama ormai collaudata. Nulla di nuovo sotto la luna, dunque? Sarebbe un genere ormai “esaurito”? A quanto pare no, dato il successo di romanzi come quelli della Meyer e di autrici più canoniche come la Rice o la Kalogridis e l’attenzione generale per questo genere narrativo.
Non sono un sociologo e non voglio certo cercare di dare una risposta universale al quesito, che rimando ad altri più competenti.
Penso però di poter qui presentare la mia testimonianza di autore, che, dopo aver scritto romanzi ucronici e thriller, si è trovato a scrivere, assieme ad altri due autori (Simonetta Bumbi e Sergio Calamandrei) un romanzo popolato dalle creature della notte, IL SETTIMO PLENILUNIO
 
Realizzare un romanzo a più mani è un processo diverso dalla scrittura “in solitario” e anche i processi decisionali connessi sono diversi: per certi aspetti meno coscienti e per altri più sistematici.
 Il Settimo Plenilunio - Carlo Menzinger, Simonetta Bumbi, Sergio CalamandreiLa scelta del genere narrativo, nel nostro caso, credo sia stata in buona parte incosciente, nel senso che ci siamo trovati a scrivere di vampiri e licantropi quasi per caso. Le scelte casuali, però, nascondono sempre motivazioni meno apparenti ma forse più profonde di quelle delle scelte consce.
La parte sistematica della scelta, certo, ci ha orientati verso un terreno già battuto, verso cioè la letteratura cosiddetta “di genere”, per rendere più facile raggiungere un linguaggio e delle strutture comuni trai vari autori, senza la necessità di reinventarle. Che i personaggi dovessero essere creature della notte, però, è venuto quasi da sé, come se qualcosa inconsciamente ci avesse spinto in quella direzione. Il segno, mi pare, che anche in noi si fosse risvegliata una certa attenzione verso il romanzo gotico. Quando abbiamo cominciato a scrivere, all’inizio del 2006, il fenomeno “Twilight” ancora non era arrivato in Italia ma il mondo del sovrannaturale, con la saga di Harry Potter, aveva già trovato ampio spazio e dunque parlare di non-morti stava tornando attuale. Il fenomeno non sembrava essere solo motivato dal marketing. C’era probabilmente qualcosa di diverso nella nostra società e nel nostro modo di vivere che riportava in auge il romanzo gotico.
Perché l’avevamo adottato anche noi? Sicuramente non ci interessava spaventare: quello che abbiamo realizzato è stato qualcosa di diverso da una classica storia del genere. Vampiri e licantropi sono divenuti, per noi, metafora del nostro mondo globalizzato, del conflitto tra più razze o popoli presenti sullo stesso territorio. Siccome oggi i conflitti si svolgono soprattutto sul piano economico, la storia è diventata anche, in parte, una satira del consumismo. Se un tempo si esorcizzava la paura della morte, nel nostro romanzo, forse, si esorcizza piuttosto la paura del diverso, dello straniero tra di noi.New Moon - Licantropi - Meyer

Ebbene, la mia ipotesi è che in questo sia, in parte, il senso del ritorno al successo di queste figure: rappresentano il conflitto tra civiltà diverse che convivono nello stesso spazio, fenomeno molto attuale.  Vampiri e licantropi sono dei “diversi”, degli “stranieri”  che popolano però lo stesso spazio fisico degli umani. Sono gli extra-comunitari della porta accanto. Ma sono anche una presenza più antica. Esseri con una profonda dignità, con una propria nobiltà, che gli altri non riconoscono loro ma che sanno di possedere. Perché ogni popolo reca con sé una propria cultura e una storia che si perde indietro nei secoli e questa storia è la sua ricchezza. E non è detto che gli umani siano i migliori, i “buoni”, solo perché sono la razza dominante. Ne “Il Settimo Plenilunio”, infatti, si rivelano non meno spietati dei propri antagonisti. Nel nostro romanzo la globalizzazione si presenta su due livelli: sul primo abbiamo quella metaforica, con vampiri, licantropi e umani; sul secondo abbiamo un vero mondo umano multiculturale, con personaggi che vengono dalla Cina, dal Medio Oriente e dal resto del mondo.
Questo, forse meno marcatamente, è anche evidente in storie come “Twilight”: i vampiri Cullen sono, in fondo, una famiglia di “immigrati”, che non si integra con i vicini, e i licantropi addirittura vivono in una riserva indiana! Una razza antica scacciata dalla propria terra. L’Uomo che vince sul Lupo e sulla Natura. Il Licantropo (come i Na’Vi di “Avatar"), simbolo di una natura violata.
  
Dracula di Bram StokerCi sono altri motivi che rendono interessanti e attuali, in un romanzo, questo tipo di figure?
Un’altra ragione forse è la loro natura violenta. Sono esseri che portano in sé questo germe. Esseri che anche quando si fingono “buoni” o cercano di essere più “umani”, come nelle storie della Meyer, si ritrovano a non dominare i propri sensi e a lasciarsi andare alle passioni.
Forse anche questa è una caratteristica del nostro tempo: viviamo in un mondo in cui la violenza, pur non mancando, non riesce a trovare canali naturali per esprimersi e viene repressa. L’uomo moderno è come un vampiro che vorrebbe azzannarti sul collo ma che si trattiene… almeno fino a quando cala la notte e le inibizioni vengono meno.
Parlare di vampiri e licantropi significa allora parlare di un mondo in cui l’uomo cerca di non essere il lupo di Hobbes, quello del plautino homo homini lupus, ma che in questo costantemente fallisce, ritrovando la propria natura selvaggia al primo plenilunio, alla prima minima sollecitazione.
Parlare di vampiri oggi significa parlare di uomini che si nutrono e arricchiscono a spese di altri, succhiandone le risorse. Significa parlare di un mondo ineguale in cui alcuni sono le vittime da sfruttare e altri sono i potenti che traggono ricchezze anche dalle sventure altrui. È allora letteratura da tempi di crisi economica, di recessione, di disoccupazione, di speculatori che accumulano grazie al mancato rispetto delle regole sociali e civili.
 
Credo, poi, che la forte carica di emotività che ciascuno cela in sé (allo stesso modo in cui il vampiro o il lupo mannaro celano la propria schizofrenia fisica) possa essere l’elemento che suscita la simpatia dei giovanissimi verso gli emuli di Dracula: l’adolescente sente un altro se stesso che gli cresce dentro, non capisce cosa sia, come sia e dove lo stia portando. Ha inconsciamente paura del sé adulto, lo vede come qualcosa di separato dal proprio io attuale, di mostruoso, e quindi si identifica nel vampiro o, meglio, nel licantropo: ora sono così, mi vedi così, ma dentro sono diverso, domani potrei essere un altro.
Questo è qualcosa che vale sempre, perché l’adolescenza è sempre esistita. Quello che al giorno d’oggi forse manca sono i processi d’iniziazione che un tempo sancivano il passaggio all’età adulta, quello che forse oggi manca è un supporto della società ai giovani, per accompagnarli nella loro muta, oppure, e credo sia qui il punto, mancano dei modelli adulti accettabili.
Il giovane un tempo sapeva cosa sarebbe diventato, perché vedeva i propri genitori, gli altri parenti e i loro amici e questi erano qualcosa di definito. Un figlio di contadini sarebbe stato un contadino e un figlio di professionisti probabilmente un professionista. Ma non solo. Non è solo la mancanza di certezza di un ruolo sociale a mancare ai giovani, è carente soprattutto il modello morale. L’adulto non esprime più principi morali e culturali certi e il giovane deve trovare o costruirsi i propri. E i modelli esterni alla famiglia e al circolo degli amici, i modelli della politica e persino della religione non sono più esempi di perfetta moralità, anzi.
Il giovane rimane dunque prigioniero della propria schizofrenia: mezzo bambino e mezzo adulto. Mezzo uomo e mezzo lupo o mezzo vampiro.
La paura di questo futuro, allora, striscia nella notte, con volto pallido e lunghi canini affilati e sanguinolenti.
 
Un’altra ragione del rinnovato successo di questo genere, credo sia da ricercare nella magia. In questo vampiri e licantropi sono imparentati con Harry Potter (i licantropi sono trai personaggi della saga, del resto, sebbene secondari), con il mondo di Narnia e con quello del Signore degli Anelli.
In questi anni in cui la scienza tutto spiega e la tecnologia somiglia sempre più alla magia, il desiderio di fantastico, di eccezionalità, si sfoga nella riscoperta di figure che la razionalità non spiega e non accetta. Sembra finito il tempo della fantascienza, capace ormai di raccontare con successo solo apocalissi, piuttosto che futuri di crescita e progresso tecnologico e sociale. La scienza non riserva più sorprese e meraviglie, questo può farlo solo il sovrannaturale.
Questa magia si esprime in superpoteri, nella gran velocità e forza, che rende questi esseri odiabili e invidiabili al contempo. Dei modelli negativi irraggiungibili, di cui il lettore sogna di poter imitare le doti e magari la stessa malvagità, vissuta come forza interiore, come capacità di affrontare un mondo che ci delude e irrita e contro il quale vorremmo poter schierare la nostra indifferente potenza. Il vampiro e il licantropo diventano dei supereroi, anche se meno patinati e buonisti di quelli del passato.
 
I vampiri poi hanno in sé un ulteriore componente che li rende sempre attuali, dal Carmilla - Le Fanufascino omosessuale di Carmilla a quello ambiguo di Dracula, fino al moderno bravo ragazzo alla Edward Cullen, il vampiro ha in sé una fortissima carica erotica, che gli deriva prima di tutto dal mistero, dal proprio essere anomalo e, poi, dalla violenza passionale con cui si rapporta agli umani.
Se poi analizziamo i romanzi che parlano di lupi mannari, ci accorgiamo che, spesso, sono romanzi essenziali, che ci parlano dell’amore nella sua forma più forte e antica: l’amore della Bella per la Bestia. In fondo, il senso di ogni storia d’amore dovrebbe essere questo. Forse è questa una delle ragioni delle storie sui licantropi, antiche e moderne.
La Bella s’innamora della Bestia e l’allontana dal suo essere selvaggio. L’uomo non è forse così: abitante delle selve, delle foreste, e dunque selvaggio? E compito della donna non è forse di addomesticarlo, di renderlo adatto alla vita di casa, alla domus, alla vita urbana e civile?
Il fascino femminile addomestica la bestia selvaggia che è in ogni uomo e che anela a vivere nei boschi e nella natura. Per amore il maschio si lascia incatenare e finisce per accettare come sua questa vita domestica.
Sarà questo un bene per l’Uomo e per l’Umanità? Questo forse potrebbe essere uno dei grandi interrogativi di questo Terzo Millennio: la civiltà domestica in cui viviamo sarà il modello anche per le generazioni venture?
Questo, io credo, può essere uno dei grandi quesiti che sono dietro una storia di licantropia. La risposta, nel passato, è stata quella che la Bella vince sulla Bestia. Il romanzo gotico nasce infatti da un’epoca di industrializzazione e forte urbanizzazione. Fiona e ShreckQuesto genere di storie servivano a incanalare pulsioni che portavano l’uomo a rifiutare il nuovo status, l’addomesticamento. E oggi? Forse nel XXI secolo queste stesse storie portano nella direzione opposta. Spesso è la Bella che accetta di diventare Bestia, come la principessa di Shreck che diventa, ironicamente, un’orchessa verde o la protagonista di Twilight, che mira a diventare vampiro, più che a “redimere” il suo mostruoso amato.
 
Dunque il romanzo notturno cessa di essere romanzo gotico, perché più non interessano le piccole paure che ci attendono nei vicoli deserti o in chiese abbandonate, i sepolcri violati, le fiere acquattate in campagne ormai abbandonate per città pullulanti e diviene romanzo del multiculturalismo e della globalizzazione, delle passioni e  delle violenze represse, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e, magari, sulla natura, dell’incapacità di convivere con gli altri e con sé stessi, con il diverso che è in ciascuno di noi, con l’emotività che celiamo dentro, con le nostre schizofrenie quotidiane, ma anche esprime il desiderio di tornare alla natura, a sentimenti liberi e “selvaggi”.
  

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Questo articolo è stato pubblicato anche su Vampiri – N. 5 di IF – Insolito & Fantastico

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"Bestiario stravagante" di Massimiliano Prandini
"Werewolf" di Francesca Angelinelli

CREATURE INQUIETANTI

Bestiario stravagante - Massimiliano PrandiniChe piacere quando si scopre un bel libro. Il piacere è doppio quando il libro è edito da una casa editrice minore e l’autore è poco conosciuto. Da un besteseller o da un classico mi aspetto, infatti, sempre il massimo ma a volte vengo deluso. Da un autore che vende le copie a decine e non a migliaia o milioni ci si aspetta forse meno, ma spesso i suoi libri sono degni di quelli più celebri.
Un esempio di bella sorpresa è stato per me “Bestiario stravagante” di Massimiliano Prandini, edito da Damstar.
Devo dire che il titolo mi aveva tratto un po’ in inganno. Mi aspettavo un libro che parlasse di animali buffi o al più mitologici o magari un “bestiario” di uomini stravaganti, di tipi strani, eccentrici, bizzarri (secondo il senso etimologico del termine).
Non è questo il caso. Forse un titolo più appropriato sarebbe stato “Creature inquietanti”. Protagonisti di questa raccolta di tredici racconti sono, infatti, vampiri, licantropi, zombie, alieni e altri esseri mostruosi.
Nulla di nuovo sotto il sole, dirà qualcuno, ma non è così. Il bravo Prandini si dimostra capace di muoversi con disinvoltura nei cliché di genere, creando delle storie che hanno una loro originalità.
Sarà che le storie con finale a sorpresa e paranormale mi stimolano sempre, ma questi racconti sono stati per me come delle ciliegie: uno tirava dietro l’altro e appena avevo finito di leggerne uno, mi chiedevo subito: “chissà cosa avrà inventato questo Prandini per il prossimo”.

Si comincia con un racconto apocalittico ambientato in uno scenario che mi ricorda “Il deserto dei Tartari” di Buzzati, con un fortilizio nel deserto da cui si attende un arrivo misterioso. Solo che qui, a differenza che nel romanzo di Buzzati, qualcuno arriva e il finale fa sorridere per la sua arguzia.
Il secondo racconto ha i toni di un vero horror, con equilibrati messaggi iniziali che preparano l’atmosfera e un agghiacciante mostro alieno degno del miglior horror.
Nel terzo, nell’ottavo e tredicesimo racconto, Prandini gioca con la realtà e l’illusione.
Nel quinto racconto gli intrighi amorosi di tre coppie mal mescolate si trasformano in un preparato finale da zombie.
Eccezionale la quinta prova, per come riesce a innovare il canone dei racconti sui licantropi e per la bella ambientazione.
Il sesto racconto mi fa quasi pensare a un prequel del nostro “Il Settimo Plenilunio” (romanzo collettivo illustrato di cui sono coautore e curatore) con la guerra economica dei vampiri e il progetto di realizzare un sangue alternativo.
Inquietante il cassonetto infernale della settima storia, che sembra quasi uscito dalla penna di Stephen King.
La nona, quasi una storia di fantasmi, ci parla della debolezza delle nostre percezioni.
Il decimo mostro che ci regala Prandini è finalmente un animale, un tenero cucciolo che si rivela essere l’emissario di un fantomatico e inquietante “Stato”, dai connotati leggendari e quasi infernali, creatura che, in base alle mie conoscenze, mi pare di totale invenzione dell’autore.
Davvero stravagante è l’undicesimo personaggio, che si cimenta in una buffa storia con un’agghiacciante sexy-doll futuristica.
Al dodicesimo capitolo affrontiamo l’ossessione e la follia umana negli affetti familiari.

Insomma 140 pagine da leggersi tutte d’un fiato, se ancora ce ne rimane dopo la lettura delle prime pagine, e un autore da tenere d’occhio.

Una curiosità: ho notato spesso i ringraziamenti finali nei bestseller, in cui vengono citate decine di nomi, facendo la considerazione che con un ampio staff, scrivere un buon libro sia più facile.
Anche Prandini, cosa insolita per un autore “poco noto”, fa i suoi ringraziamenti a ben una decina di persone e a un intero gruppo, quello del laboratorio di scrittura collettiva Xomegap, di cui è uno dei fondatori. Insomma, anche qui l’unione fa la forza, a quanto pare e si conferma che le esperienze di scrittura collettiva aiutano di sicuro la maturazione di ogni autore.

Firenze, 03/04/2011

LA MIA COLLABORAZIONE CON NICCOLÓ PIZZORNO

 La lupa assassina vista da NiccolòPizzornoQuando il 19 marzo 2007 mettemmo la parola fine alla stesura del romanzo “IL SETTIMO PLENILUNIO” scritto assieme a Simonetta Bumbi e Sergio Calamandrei, mi venne in mente che, trattandosi di un libro per ragazzi, popolato da vampiri e licantropi e con un’ambientazione fantascientifica, potesse essere molto adatto a essere illustrato.
Ci rivolgemmo allora al vasto e profondo web alla ricerca di qualcuno disponibile a darci una mano, dato che nessuno di noi era ed è un esperto disegnatore.
Già frequentavamo tutti e tre la community Splinder e fu lì che incontrai il blog di  Esharhamat. Illustrazione di Niccolò Pizzorno per IL STTIMO PLENILUNIONiccolò Pizzorno http://chinaccia.splinder.comed ebbi modo di apprezzare i suoi disegni.
Lo invitai così a collaborare al nostro progetto. Più o meno in quegli stessi giorni era maturata l’idea di trasformare il romanzo in una “gallery novel”. Volevamo cioè trovare vari artisti che contribuissero con la propria opera d’interpretazione grafica alla descrizione della storia della rossa licantropa Esharhamat, trasformandola in una sorta di galleria di illustrazioni, in un romanzo iperillustrato, ovvero in quello che qualche tempo dopo avrei definito, appunto, “gallery novel”, parafrasando il più comune “graphic novel”.
Niccolò Pizzorno aderì entusiasticamente, contribuendo con oltre cinquanta immagini, tra le più vivaci e le meglio rispondenti al testo. Assieme a lui il progetto ha visto riuniti, oltre ai tre autori, diciassette artisti molto diversi: pittori, illustratori e persino fotografi. Il volume, con quaranta pagine a colori, è stato felicemente pubblicato da Liberodiscrivere all’inizio del 2010.
 Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale - copertina Pizzorno 
Nel frattempo avevo in corso l’illustrazione del romanzo di fantascienza “JACOPO FLAMMER IL POPOLO DELLE AMIGDALE  ”. Essendo destinato a un pubblico ideale dagli otto anni in su, ritenevo, infatti, necessario presentarlo all’editore corredato da un certo numero di disegni. Collaborava già con me il bravo Ludwig Brunetti, ma vista la sua abilità, la sua velocità e il suo grande rispetto del testo illustrato, chiesi a Niccolò Pizzorno di affiancarlo nel lavoro.
Hanno prodotto così entrambi numerose tavole, diverse per stile, ma coerenti tra loro e con la storia narrata, rendendo il volume particolarmente ricco e piacevole.
Liberodiscrivere è stato così ben lieto di pubblicare anche questo libro alla fine del 2010 (anche la copertina è di Pizzorno).
 
Nel frattempo una delle migliori autrici di quella folta schiera di scrittori “poco noti” che gravitano attorno agli editori minori pur producendo opere degne della vetta delle classifiche letterarie, Erasmo Forntini - Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale - Niccolò Pizzorno Laura Costantini, mi chiese se conoscessi un illustratore per il suo romanzo “La lunga guerra”. Le suggerii Pizzorno, che apprezzò subito, adottandolo per il suo libro, con risultati, davvero invidiabili, che sono stati via via presentati su Facebook.
 
Ora Pizzorno è alle prese con il sequel del mio romanzo sui Guardiani dell’Ucronia: “JACOPO FLAMMER NELLA TERRA DEI SURICATI” e sono certo che il risultato sarà ancora migliore, perché questo ragazzo, nato nel 1983, continua a migliorare e a stupirmi 

Leggi anche:

§    Jacopo Flammer sta arrivando!

§ Jacopo Flammer: una nuova frontiera per la fantascienza.

§ Il Settimo Plenilunio è cominciato!

§ La mia collaborazione con Simonetta Bumbi 

§ La mia collaborazone con Sergio Calamandrei

§ La mia collaborazione con Andrea Didato
  autoritratto Niccolò Pizzorno 

 

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