“Domani il mondo cambierà” (Stations of the Tide – 1991) di Michael Swanwick è un romanzo di fantascienza ambientato su un mondo lontano dominato da maree ricorrenti a distanza di grandi periodi di tempo, ciò che fa sì che sulle terre emerse crescano animali, piante e civiltà, per essere poi regolarmente spazzate via. Idea affascinante che, pur parlando di mutamenti climatici con una propria stagionalità sembra volerci mettere in guardia da quelli catastrofici verso cui stiamo incoscientemente avvicinandoci.
La spersonalizzazione del protagonista, resa anche dal suo non avere un nome ed essere chiamato solo e sistematicamente Il Burocrate, ci richiama a suggestioni kafkiane. Se dovrebbe essere l’amore a contribuire alla sua umanizzazione, in realtà il romanzo ci parla soprattutto di sesso, per il quale certe pagine costituiscono un interessante manuale forse più istruttivo del Kamasutra.
L’arrivo degli umani su Miranda ha portato all’estinzione della specie autoctona degli Spettri, mentre la Terra è ormai luogo dominato dalle intelligenze artificiali e inabitabile. La tecnologia in queste pagine assume connotazioni quasi magiche con oggetti animati come la Valigetta del Burocrate, che sembra uscita dal disneyano “La Bella e la Bestia” o animali parlanti in un mix di fantasy e futurismo, con bevande e cibi ricreati via cavo. Non suona, dunque, così aliena l’affermazione: “Sia il teatro che la magia mirano a convincere un pubblico della veridicità di una cosa falsa.”
Michael Swanwick
Scontati i riferimenti al diluvio universale e al mito di Prometo, mentre si inserisce in modo un po’ strano una versione dark della fiaba “i vestiti nuovi dell’Imperatore”.
Un mondo acquatico incombente che forse potrebbe esser stato di ispirazione per China Miéville e il suo “La fine di tutte le cose” che ho appena letto.
Nel complesso un mix di fantascienza, fantasy ed erotismo che a tratti incuriosisce ma lascia spesso confusi e che non mi ha mai preso troppo. Il rischio è di dimenticarmi presto di averlo letto, equivoco che potrebbe anche nascere dalla duplicità di titoli usati come traduzione, essendo anche noto come “Stazioni delle maree”.
Sabato 11 e domenica 12 Dicembre 2021, dalle 10,00 alle 19,00 si svolgerà nella Sala dei Marmi del Parterre di Firenze (Piazza della Libertà 12) il “Mercato dell’Arte”.
Il GSF – Gruppo Scrittori Firenze sarà presente con un proprio banco e i libri di alcuni soci.
Io porterò questi (tutti scontati al prezzo indicatoqua sotto):
La bella schiava Aracne, stuprata senza diritto di ribellarsi, fugge dal violento mondo ucronico dominato da Sparta, che ha cancellato Atene e i suoi insegnamenti, alla ricerca della libertà, dell’amore e di un mondo migliore per sé e per il bambino che porta in grembo. Altrove la ricca e ribelle Nymphodora sogna incompresa città diverse.
Nel mondo violento e spietato dominato da Sparta, la giovane e bella schiava Aracne, con la sua padrona, amica e amante Nymphodora, fugge all’inseguimento di un sogno, della libertà e della vita per sé e per suo figlio, nato dall’ennesimo stupro da lei subito. Tra mille avventure scopriranno, a loro rischio e pericolo, letali segreti, tra cui uno che riguarda la sua stessa esistenza.
Il ragno tatuato sulla fronte di Aracne è un marchio il cui significato nasconde scomodi segreti, che porteranno nuovi guai alla giovane donna e ai suoi amici in fuga verso un mitico nord dove sperano di trovare un mondo diverso, ma dovranno prima affrontare nuove avventure, fronteggiare un’accoglienza piuttosto “gelida” e adattarsi a un modo nuovo di vivere.
Autori: Massimo Acciai Baggiani, Donato Altomare, Sergio Calamandrei, Linda Lercari, Carlo Menzinger di Preussenthal, Paolo Ninzatti, Pierfrancesco Prosperi
Genere: ucronia
7 autori, con storie ambientate in luoghi ed epoche diverse, reinterpretano a modo loro l’universo immaginario di “Via da Sparta”, in cui ventiquattro secoli di storia, hanno cambiato ogni aspetto, dalla società, all’economia, alla famiglia, al sesso, all’arte, alla scienza, alla tecnica, alla religione, agli usi e costumi, alla politica, all’alimentazione, all’urbanistica e architettura.
Narra di fragilità urbane e ambientali e di come Firenze, nel passato, abbia rischiato di scomparire e come, in futuro, potrebbe trovarsi a cessare di esistere. Contiene 46 illustrazioni degli studenti di Architettura di Firenze. Il racconto “Collasso domotico” è stato selezionato per “Mondi paralleli- Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019”, vincitrice del Premio Italia 2021.
Curatori: Carlo Menzinger di Preussenthal e Caterina Perrone
Genere: racconti storici
Omaggio del GSF ai settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. La “Gente di Dante” non è solo quella di Firenze del 1200 e 1300 o delle sue opere, siamo anche noi, che a lui ancora ci ispiriamo, scrittori appassionati e coinvolti non da un ricordo ma dalla presenza viva della sua figura e della sua storia. Volume diviso in “La suggestione della storia” e “L’incanto della fantasia”.
Prezzo: € 15,00
Vi aspettiamo! Se non potete venire, potete comunque acquistare i volumi sui principali store, seguendo i link.
Strana (weird) lettura quella del romanzo apocalittico del britannico China Miéville “La fine di tutte le cose” (“Kraken”, 2010). Tutto parte dalla già singolare sparizione di un calamaro gigante dal Natural
History Museum di Londra, ma questo è nulla rispetto a quanto si scatena nelle pagine successive. Il titolo originale “Kraken” allude al mitico mostro marino di cui parlavano tra 1600 e 1800 i marinai e i cui avvistamenti pare si possano ricondurre spesso a quelli di, appunto, calamari giganti o banchi pesci o meduse.
Anche in questo romanzo Miéville, come in “Un regno in ombra” (1998),mescola le ambientazioni della Londra contemporanea con elementi fantasy o fantascientifici e con insolite figure provenienti dai margini della società. Ecco quindi fan di Star Trek, ecco seguaci di strane sette che adorano calamari e altro, come la Confraternità della Piena Benedetta (che considera il diluvio universale una benedizione e aspetta il ritorno delle acque e l’avvento delle creature marine e che cerca di aumentare l’effetto serra per far alzare i mari), ecco animali-famigli (i servitori dei maghi) che appaiono prima in forma di scoiattolo e poi assumono le sembianze più strane da quella di angelo-mucca morta dagli stomaci luminescenti alla palla di pelo di cani e gatti e escrezioni corporee. “Aveva la forma plastica di una piccola mucca e lo adocchiava di traverso in modo da poter esibire un fianco fatto di vetro. Dentro c’erano i suoi quattro stomaci che – ricordò Billy – un tempo si illuminavano a uno a uno, e che ancora lo facevano ripetutamente, uno alla volta. Reticolo, rumine, omaso e abomaso, con la digestione che brillava in ciascuno di essi diretta verso le ghiandole lattee che ne facevano le solide fondamenta dell’economia di qualche paese del Commonwealth. Pensò che provenisse dalla sala della Nuova Zelanda.”
Ecco maghi che s’ispirano alla fantascienza, soprattutto a Star Trek, e praticano il teletrasporto (uccidendo e ricreando corpi-zombie). Parlando di kraken e calamari divini ecco inevitabile l’allusione al lovecraftiano Cthulhu. Ecco i Nazisti del Caos al soldo del Tatuaggio, un vero e proprio disegno che parla dalla schiena di un personaggio, come Voldermort dalla nuca del Professor Quirinus Raptor in “Harry Potter e la Pietra filosofale” (1997).
Il perfido Grisamentum, che parla attraverso il Tatuaggio e vive nell’inchiostro del kraken, ricorda in effetti proprio il malvagio mago Voldermort con la sua capacità di dividersi in Horcrux. Anche Grisamentum ha un punto debole: teme la candeggina, essendo fatto d’inchiostro!
“Uomini che si dispiegano e persone che sono generatori e inchiostro che usa un uomo come mezzo di trasporto.”
“Una delegazione di grassi coleotteri si spostò lungo i muri e sotto la pavimentazione da Plimco a un’officina di Islington. Erano portatori di inchiostro, piccole creature schiave, soggetti sperimentali infusi di poteri temporanei come elemento della stesura da parte di un sapiente di un esaustivo volume di una scuola di magia,l’Entomonimicon.” Non solo assonanza con il “Necronomicon” di Lovecraft.
“Se l’inchiostro era Grisamentum, forse lui era in ogni sua goccia, forse ciascuna possedeva tutti i suoi sensi e i suoi pensieri, e una piccola porzione del suo potere.”
Ecco il mare che spia gli abitanti di Londra attraverso le acque salmastre che si insinuano nelle fogne cittadine.
Ecco gli angeli e, soprattutto, gli angeli della memoria. Ecco negromanti e… Londramanti (“Sono la voce della città”). Ecco una città magica parallela, quasi come nei romanzi della sua concittadina Rowling e come nel suo “Un regno in ombra” (1998) il cui esercito di ratti si trasforma qui in uno di animali-famigli vivi, morti o non morti e le cui le fogne in cui questi si muovevano diventano le arterie della penetrazione del mare del divino kraken.
Non solo scompare, non si capisce come, un colossale calamaro, ma ritroviamo un cadavere rinchiuso in una bottiglia dove non si comprende come possa essere entrato. Da questo punto in poi le stranezze aumentano in crescendo, pur restando con i piedi ben piantati in una Londra concreta e riconoscibile.
L’autore parla di planergia, come la capacità di far entrare cose grandi in cose piccole, ma il termine mi parrebbe inventato. Mi viene piuttosto in mente la capacità dei polpi di infilarsi in aperture all’apparenza molto più piccole del loro diametro (capacità decisamente più marcata che non nei gatti, pur capaci di strisciare in spazi impensabili). Gli oggetti nel romanzo assumono capacità inconsuete e ospitano altri esseri. Gli origami prendono vita e, come la planergia, riescono a dare nuova forma alle cose.
“Quello che si cerca di fare con la planergia è inserire le cose in altri spazi, sapete? Cose vere, con bordi e superfici e tutto il resto. Con gli origami si ha ancora a che fare con tutta quell’area di superficie. Non si fanno tagli, sapete? Il punto è che il foglio si può anche riaprire. Capite cosa intendo?”
Ecco che si sviluppa uno strano pantheon di dei animali. “L’Architeuthis è la progenie del kraken. Gli dèi sono ovipari. Non solo i nostri, ma tutti gli dèi. C’è progenie di Dio ovunque, se sai dove guardare”. Veniamo proiettati in un politeismo panteistico che tutto pervade ma di cui i londinesi non si curano. “Svariati dèi di Londra, da tempo dormienti, erano stati risvegliati dal clamore e si stavano stiracchiando mentre cercavano di far valere la loro magnificenza e autorità. Non si erano ancora resi conto che a nessun londinese importava più un accidente di loro.”
Su tutto c’è il grande potere dell’inchiostro, quasi una metafora dell’immane potenziale creativo della scrittura, che rende ogni autore un piccolo dio capace di creare propri universi, come ama qui fare lo stesso Miéville, reiventando la sua Londra. L’esperienza di scrittura de “La fine di tutte le cose” deve essere stato un buon punto di partenza per la produzione di quell’opera visionaria, edita l’anno successivo, che è “Embassytown” (2011) che ci offre degli alieni che si possono definire tra i più originali mai ideati dalla fantascienza.
“La storia, una volta scritta, accelerava il suo corso, viaggiava alla velocità dell’inchiostro. E in tutti quei tediosi secoli antichi, prima che noi fossimo pronti, l’inchiostro era stato tenuto immagazzinato per noi in contenitori cefalopodi, inchiostro mobile, inchiostro che pescavamo e mangiavamo e lasciavamo che scorresse a sporcarci il mento.”
“Non abbiamo inventato l’inchiostro: esso ci stava aspettando, eoni prima della scrittura, nelle sacche del dio delle profondità marine.”
Leggendo non ci si può non chiedere se questo non sia un gran guazzabuglio o piuttosto un’opera geniale, magari un po’ troppo complessa per essere apprezzata da tutti. Credo che ogni lettore possa dare risposte contrastanti tra loro.
Ancor più difficile e attribuirgli un’etichetta. Quella di fantasy che leggo su wikipedia gli sta certo stretta. I riferimenti a Lovecraft, le ambientazioni oscure e certe scene farebbero pensare a un horror. Le tematiche e il titolo lo collocherebbero tra i romanzi apocalittici e distopici. L’ambientazione londinese ci parla di urban fantasy ma anche di mainstream. I riferimenti fantascientifici non mi pare siano sufficienti a inserirlo nel genere o quanto non nei filoni principali di hard, soft FS o space opera. Le indagini sulla scomparsa del calamaro e l’omicidio dell’uomo in bottiglia sono quelle del giallo e della detective story. L’attenzione alle tematiche ambientali ci fanno pensare alla climate fiction. I riferimenti a una moltitudine di sette e chiese al limite del surreale ci parlano di fantareligione. L’allusione ai Nazisti del Caos ci porta nella fantapolitica. Tutto l’insieme poi è decisamente weird, strano e credo che il new weird sia proprio il genere in cui meglio si colloca.
Mi pare in proposito citare che cosa dice wikipedia del genere:
“Secondo Jeff VanderMeer, le caratteristiche principali del new weird sono:
fantasy contaminato con elementi fantascientifici e horror, quindi il concatenarsi di magia e tecnologia all’interno di “mondi secondari”;
“abbandonarsi al bizzarro” al fine di provocare un forte senso del meraviglioso, quindi l’uso di creature e ambientazioni molto strane e originali;
rigorosissima cura per la verosimiglianza e la coerenza.
Ci sono inoltre delle caratteristiche comuni alla maggioranza delle opere new weird, ma che non sono obbligatorie per rientrare nel genere. Si tratta soprattutto di:
allegorie e tematiche socio-politiche, d’attualità e/o filosofiche;
atmosfere oscure, ciniche, pessimiste e senza nulla di consolatorio o evasivo.
Sempre secondo Vandermeer, il new weird sarebbe la naturale evoluzione del fantasy, che perde così le radici “tolkieniane” per ricercare nuove e originali soluzioni narrative. Non a caso molti autori (Miéville su tutti) hanno inteso il new weird come un movimento fantasy dichiaratamente anti-tolkieniano, mentre altri ancora semplicemente come science fantasy fatta bene.”
Qualche mese fa mi fu segnalato dai curatori Giorgio Sangiorgi e Luca Oleastri (con cui avevo già avuto occasione di collaborare, in particolare, in relazione al romanzo “Il Settimo Plenilunio”, di cui Oleastri realizzò la copertina e numerose delle 117 illustrazioni) un insolito bando per la creazione di racconti di fantascienza ispirati a una playlist scelta appositamente. Per ascoltarla usare questo QR Code:
Già l’idea di contaminare musica e scrittura creativa sarebbe suggestiva. I curatori, però, hanno fatto un ulteriore passo avanti verso la multimedialità, corredando ciascun brano di una splendida illustrazione realizzata prevalentemente dal medesimo Luca Oleastrie da Paola Giari(quella per “Cuore di Drone”). Dunque, la musica ispira la narrazione e questa l’immagine!
Ne è nata così un’antologia molto moderna e assai affascinante nella sua ricchezza di contenuti, che ha visto il coinvolgimento di numerosi autori, alcuni anche ben noti nel panorama del fantastico italiano.
Avendo avuto l’onore di esser stato scelto e inserito, indegnamente, tra loro con il mio racconto distopico post-apocalittico “Felpato”, ho avuto il grande piacere di leggerlo in anteprima e vorrei quindi lasciarvi le mie fugaci impressioni, oltre che sull’opera nel suo insieme, il cui grande merito è appunto quello di fare fantascienza italiana con un approccio multimediale, ma anche di dire qualcosa dei singoli racconti.
Il volume, per ora inedito, sarà pubblicato da Edizioni Scudo, spero entro questo scorcio di 2021.
Si comincia con un classico scontro con gli alieni ne “La battaglia dei tre capitani” del modenese Roberto Zocca, ispirato, come il mio “Felpato”, dal brano “Feldpato” dei Central Unit (Riccardo Lolli).
“Nuova corsa” di Alessandro Schümperlin, il fondatore di Steampunk Italia, ispirato dal brano “Mechanical atmosphere” del Duo(Luca Oleastri), porta agli estremi il riciclaggio dei rifiuti, con un traffico di corpi di esseri umani, cyborg e replicanti.
“Luce” di Simone Orlandi, ispirato dal brano “Crystals” di Giorgio Sangiorgi, ci porta, dopo l’esplorazione di una gigantesca astronave ci porta, ad assistere a un’insolita nascita.
“Odin” di Marco Milani (tra i fondatori del movimento Connettivista e della rivista NeXT, finalista per i premi Urania e Kipple), ispirato dal brano “Odin” di Giorgio Sangiorgi, mescola ispirazione musicale, influssi divini e fantascienza.
Le avventure sottomarine in batiscafo di “Descending, ascending” dell’ingegnere Carlo Alberto Bentivoglio, ispirato dal brano “Space graphite” del DUO(Luca Oleastri), ci porta a incontrare misteriose creature medusiformi.
In “Fino all’ultima nota” di Massimo Donda, ispirato dal brano “Piano ring” di Jagorart (Marco Besana), la musica, solo mezzo per distinguere tra uomini e macchine, sempre più simili, serve a combattere le virus-macchine, create per proteggerci dalle malattie ma la cui IA ha deciso che il peggior virus sono proprio gli umani e intendono distruggerli.
In “Protocollo CE-5” del medico Edoardo Rosati(autore di saggi medici, medical thriller e medical noir e titolare della Punto Zero Edizioni), ispirato dal brano “Space Graphite” del DUO(Luca Oleastri), l’autopsia descritta ci riporta all’hard science fiction degli incontri ravvicinati di terzo tipo con gli UFO.
“Dispnea” di Adriano Muzzi, ispirato dal brano “Hides Drama” di Ziege Unter Glas(Gabriele Lombardi) ci porta in atmosfere claustrofobiche e posta-apocalittiche con un malaugurato tentativo di fuga da una capsula medica nello spazio.
Il drammatico racconto “Gli anelli” del prolifico e poliedrico Massimo Acciai Baggiani, ispirato al brano “Piano rings” di Jagorart(Marco Besana) si sposta nella magia, con la sua pianista con dodici dita e anelli magici che la rendono insuperabile.
Illustrazione di Luca Oleastri per il racconto “Felpato” di Carlo Menzinger di Preussenthal (Soundscapes, Edizioni Scudo, 2021).
Unit (Riccardo Lolli), è diviso in due parti. Nella prima assistiamo alla marcia disperata di un immane golem tecnologico di feldspato in uno scenario post-apocalittico, nella seconda comprendiamo come e perché sia nato.
Ne “La ferrovia nella nebbia” del triestino Roberto Furlani(finalista in vari premi e fondatore della rivista telematica Continuum), ispirato dal brano “See you” dei Central Unit (Enrico Giuiani, Natale Nitti), abbiamo lo struggente addio all’amata di un uomo in partenza per un pianeta lontano.
“La sosta” dello spezzino Paolo Durando, ispirato al brano “Crystals” di Giorgio Sangiorgi, ci mostra il viaggio di un extraterrestre su un mondo alieno.
In “Danza” di Marco Bertoli(autore di numerosi romanzi), ispirato al brano “Piano Rings” di Jagorart (Marco Besana) per preservare un amore interspecie con una femmina aliena il protagonista viaggia attraverso il tempo.
Il concreto e vivace “Birra con cerianta” di Lorenzo Davia (finalista in vari premi e curatore d’antologia), ispirato al brano “See You” dei Central Unit (Enrico Giuliani, Natale Nitti), narra di una città circondata di cimiteri abitati da mostri e popolata da tombaroli che bevono birra con polpi urticanti vivi dentro, delle “cripte di Thanatolia dai mille tesori. E dai mille pericoli.”
“Il teatro meccanico del prof. Von Kempelen” di Nicola Lombardi(membro dell’Horror Writers Association e autore di romanzi del genere), ispirato dal brano “Piano rings” di Jagorart (Marco Besana), rovescia ironicamente i ruoli tra uomini e automi in un racconto a sorpresa.
L’intrigante “Contronominale” della triestina Maddalena Antonini(autrice per Tabula Fati e membro della World SF Italia), ispirato dal brano “Crystals” di Giorgio Sangiorgi, giocando con la logica della proposizione contronominale ci narra di una spedizione alla ricerca di vita nella Galassia ma che dopo la visita a numerosi mondi non riesce a trovarne, ingannandosi sulla sua forma, come scopre in un sogno lucido il capitano.
Ne “L’incubo del metallo” di Danilo Arona(autore esperto di science fiction, fantasy e mistery), ispirato dal brano “Mechanical atmosphere” del Duo (Luca Oleastri), i resti dell’Enola Gay, l’aereo che portò l’atomica su Hiroshima, continuano a generare incubi in chi dorme loro vicino.
“Esploratore” di Annarita Stella Petrino (autrice per Tabula Fati e membro della World SF Italia), ispirato dal brano “Personal Itaka” di Mono Tono (Claudio Bisonti), si rifà al suo romanzo “Quando Borg posò lo sguardo su Eve” (Tabula Fati), vincitore del Premio Vegetti, e ci parla dell’emotività dei cyborg, narrando della scomparsa dell’androide Borg 34, con un protagonista che ruba il nome al celebre John Carter di Burrough e un altro, McKarty, che sembra voler ricordare il grande autore distopico Cormac McCarthy.
“La più grande evasione della storia” di Rino Casazza(autore di numerosi romanzi, racconti e poesie), ispirato dal brano “Mechanical atmosphere” del Duo (Luca Oleastri), parla di un carcere lunare, raggiungibile tramite un warmhole monodirezionale anti-evasione e di una fuga che si risolve con un paradosso sullo spazio-tempo.
Angosciante l’atmosfera di “Effetto farfalla” di Angelo Marenzana(autore edito dalle principali case editrici italiane), ispirato dal brano “Chiaroscuri Flowers” di Jagorart (Marco Besana), in cui gli abitanti di un decadente condominio di lusso non riescono a resistere alla tentazione del suicidio.
In “Muto parlante” dell’appassionato di UFO Giuseppe Massari, ispirato dal brano “Piano rings” di Jagorart (Marco Besana), delle bombe aliene vengono disinnescate grazie alla visione di un vecchio film muto che cela un segreto.
“Aspettando Roland” di Mariano Rampini(vincitore di importanti premi nel fantastico), ispirato dal brano “Piano rings” di Jagorart (Marco Besana), come ben si comprende dal titolo, è ispirato all’eroe della stupenda saga della “Torre Nera” del grande maestro di narrativa Stephen King.
In “Loop” di Raffaele Formisano (vincitore di numerosi premi), ispirato al brano “Chiaroscuri flowers” di Jagorart (Marco Besana), il protagonista rimane intrappolato in un ciclo temporale chiuso in cui rivive sempre la stessa fase del suo viaggio in autostrada.
“Il segnale” dell’autore di biografie cinematografiche Roberto Frini, ispirato, come il mio, dal brano “Feldpato” dei Central Unit (Riccardo Lolli) ci parla di un pilota dal concreto potere di far piovere.
In “Ciò su cui è costruito il mondo” del genovese Lorenzo Gallus, ispirato dal brano “Crystals” di Giorgio Sangiorgi, che si apre con la simpatica dedica A Sara, che colora tutto di verde, una coppia a letto discute di fisica quantistica.
In “Osate! Osate! Osate!” del disegnatore genovese Gino Andrea Carosini, ispirato dal brano “Hides Drama” di Ziege Unter Glas (Gabriele Lombardi), un cortocircuito temporale proietta un kamikaze giapponese contro le torri gemelle di New York.
Nella distopia “Le onde di Non so” del bolognese Andrea Cavallini, ispirato dal brano “Chiaroscuri flowers” di Jagorart (Marco Besana), per produrre energia che alimenta il grande scudo di difesa, la gente è costretta a pedalare.
In “Mani di terra” di Gianpaolo Roselli, ispirato dal brano “Piano rings” di Jagorart (Marco Besana), una misteriosa radice a forma di mano cela strani poteri.
“I cristalli del mondo invisibile” di Antonella Radogna, ispirato dal brano “Crystals” di Giorgio Sangiorgi, introdotto dalla bella citazione L’uomo è infinitamente piccolo di fronte alla Natura, ma infinitamente grande se accetta di farne parte (Blaise Pascal), ci porta in un mondo gotico che assume toni fantasy con animali parlanti.
Ecco poi le indagini attraverso il tempo di “Schegge” di Andrea Andreoni, ispirato dal brano “Mechanical atmosphere” del Duo (Luca Oleastri).
Ne “Il ritorno degli Shogun Warriors…” di Davide Tarò(autore di animeucronia, membro del Museo del fantastico e della fantascienza di Torino), ispirato dal brano “Eureka” di Aldam Projet (Alfonso Dama, Michele Martone), in una Detroit in rovina dei giocattoli giapponesi hanno assunto la forma di grandi automi per la difesa urbana.
In “Così non è vita” dell’autore di fantasy e stempunk Maurizio Matassi, ispirato dal brano “Mechanical atmosphere” di Duo (Luca Oleastri), un neo-vampiro, deluso dalla sua nuova non-vita decide di risalire socialmente tra i non-vivi uccidendo una discendente del mitico cacciatore di vampiri Van Helsing e nipote di una prigioniera dei campi di concentramento nazisti.
In “Viridia” della biologa Tamara Vitacchio, ispirato dal brano “Piano rings” di Jagorart (Marco Besana), in una stazione di terraformazione che rischia la chiusura, una scienziata fa esperimenti su se stessa come una sorta di moderno Dottor Jeckyll.
In “Cuore di Drone” di Giacomo Federico Rubini, ispirato dal brano “Crystals” di Giorgio Sangiorgi, un drone esplora un pianeta appena terraformato.
Nell’affascinante “Porte” dello storico Bruno Vitiello(autore di svariati romanzi, racconti, saggi e articoli sia nel campo della science fiction che in quello del giallo storico, del thriller e del mystery, pubblicati in Italia e all’estero), ispirato dal brano “Personal Itaka” di Mono Tono (Claudio Bisonti), attraversando un tunnel labirintico il protagonista ritrova svariate versioni di sé, in una sorta di moderno “Canto di Natale” di Dickens ma che visivamente mi ricorda il finale di “2001, Odissea nello spazio”.
“La mia vita atroce, la serie tv” del curatore Luca Oleastri (prolifico illustratore recentemente premiato con il Carità, musicista, scrittore ed editore) ispirato dal brano “Vulcan’s Hammer” di Fabio Vinciguerra) ci parla del reboot della sere TV, ormai in declino dopo tante stagioni, “La mia vita atroce”.
Insomma, trentasei racconti quanto mai vari, dietro i quali, però, si sente sempre vibrare la musica e si scorgono innumerevoli visioni di futuro.
Quando ho cominciato a leggere “Assurdo universo” di Frederick Brown (Cincinnati, 29 ottobre 1906 – Tucson, 11 marzo 1972) mi sono reso conto subito che doveva trattarsi di fantascienza degli anni ’40 perché le conoscenze astronomiche del nostro sistema solare mi sono parse piuttosto primitive: era popolatissimo, con lunariani, venusiani, marziani e razze provenienti da altre stelle, come gli arturiani. Qualcosa, però non mi tornava perché anche per quegli anni lo scenario mi pareva troppo “fantastico”. Ebbene, il romanzo fu pubblicato davvero per la prima volta nel 1949 negli USA, ma sebbene avesse molte delle caratteristiche della FS di serie B di quegli anni, questo non era per ingenuità dell’autore, semmai l’opposto.
Il protagonista se ne sta comodamente seduto nel giardino del suo capo, quando un razzo spedito verso la luna cade a poca distanza da lui, catapultandolo in un universo parallelo, in cui i viaggi nel tempo sono una realtà sin dall’inizio del XX secolo e il sistema solare è tutto un fervore di movimenti tra i vari pianeti e satelliti con colonie umane un po’ ovunque e una feroce lotta contro i mostruosi arturiani. Per difendersi, la notte la Terra viene oscurata con un gas speciale, la totalnebbia che nasconde ogni luce, come durante i coprifuoco della Seconda Guerra Mondiale, che l’autore ben conosceva, facendo scatenare la delinquenza, in un’atmosfera cupa degna di un romanzo moderno.
Mi sento in dovere di spoilerare un po’, perché per valutare questo romanzo occorre sapere che, a lettura avanzata, si scopre che esistono infiniti universi paralleli in cui tutto è possibile e che per una strana alchimia psichica, il protagonista è stato proiettato in quello creato dalla fantasia di un adolescente appassionato di fantascienza! Questo spiega tutte le assurde trovate da fumetto, come gli abiti succinti delle donne, simili a quelli delle riviste di fantascienza.
Si tratta, tra l’altro, di un universo ucronico, poiché immagina che la realtà sia
Fredric William Brown
mutata alcuni decenni prima dell’incidente con il missile e quindi quello in cui finisce lo scrittore di fantascienza Keith Winton è, più che un universo parallelo, uno divergente. La visione degli infiniti universi possibili richiama quella degli infiniti percorsi alternativi del tempo della visione ucronica che ho utilizzato in alcuni miei romanzi e, in particolare, nella saga di Jacopo Flammer, pur ignorando questo romanzo.
La cosa che, in questo “Assurdo universo” mi è parsa però più assurda è che il protagonista, nel mondo reale da cui proveniva, si guadagnasse da vivere scrivendo racconti e per giunta di FS e che pensasse di poter campare allo stesso modo anche nel nuovo universo! Eppure, quella doveva essere la realtà americana e forse lo è ancora. Un mondo davvero diverso dal nostro!
In ogni caso, sebbene datato, è un romanzo che ho letto con grande piacere, trovandolo assai scorrevole, ricco di trovate e avventure molto coinvolgenti. Una scrittura senz’altro esperta ed efficace. In qualche modo la sua mi è parsa della hard SF con toni volutamente vintage, resi ora ancor più tali dallo scorrere del tempo e dalle scoperte astronomiche.
Un altro autore di cui mi riprometto di cercare qualche altro libro da leggere. Da ragazzo lessi la sua antologia “Cosmolinea B2” e forse altro, ma sono passati ormai molti anni e non ricordo molto di lui.
Del britannico China Miéville (Norwich 6/9/1972) avevo già letto il geniale capolavoro “Embassytown” (2011), con i suoi Ariekei dalla doppia mente e dalla lingua incredibile. Leggo ora la significativa e quanto mai originale rivisitazione della fiaba del Pifferaio Magico di Hamelin, quello che con la sua musica libera la città dai topi e quando i cittadini non lo vogliono pagare rapisce tutti i loro figli.
“Un regno in ombra” (“King Rat”, 1998), pur partendo da lì, non è per nulla una fiaba, ma piuttosto un urban fantasy cupo e inquietante. Con questo romanzo l’autore ha vinto il Premio Bram Stoker (per romanzi horror) nella categoria romanzo d’esordio. Non siamo più ai tempi del pifferaio, anche se questo è sopravvissuto ai secoli ma ai giorni d’oggi, in un’oscura Londra di fine del secolo scorso, fatta di cunicoli fognari. Tutto parte da un omicidio (o suicidio) per il quale viene sospettato di essere l’assassino il figlio adolescente della vittima, che fugge con l’aiuto di una sorta di barbone che si definisce Re Ratto nonché fratello di sua madre e che si rivela davvero governare su un esercito di autentici ratti. Sui quali anche il ragazzo scopre di avere un autentico potere di controllo.
Il Pifferaio, però, sopravvissuto per 700 anni, lo cerca perché lui, mezzo uomo e mezzo ratto, è il solo che (forse) non può sedurre con la sua musica e che può essere un pericolo per la sua esistenza. Il Re Ratto da secoli si vuole vendicare per lo sterminio del suo antico esercito di ratti.
Ne nasce una storia insolita e affascinante, vivida e cupa nel contempo.
China Miéville
Un autore di cui mi riprometto di leggere altro. Oltretutto anche la sua biografia è interessante: a 18 anni insegna inglese in Egitto e si interessa alla cultura araba, consegue poi un B.A. in antropologia sociale presso l’Università di Cambridge e un master e un PhD in relazioni internazionali presso la London School of Economics and Political Science con tesi che diventa un saggio riguardante l’estensione delle teorie del giurista sovietico Evgenij Bronislavovič Pašukanis all’ambito del diritto internazionale. Marxista dichiarato milita in organizzazioni politiche d’ispirazione trotskista e anti-capitalista, quali la International Socialist Organization, la International Socialist Network e il Socialist Workers Party. Diventa poi membro attivo del partito Left Unity.
Mi hanno chiesto di fare una piccola lezione a uno corso di scrittura creativa tenuto da Massimo Acciai Baggiani per conto del
GSF – Gruppo Scrittori Firenze sulla fantascienza.
Mi sto, dunque, chiedendo che cosa si potrebbe dire a chi vuole approcciarsi per la prima volta al genere.
Mi vengono in mente alcune considerazioni.
La prima è di carattere generale e vale per ogni tipo di scrittura.
Se volete scrivere, leggete. Nello specifico se volete fare letteratura di genere, leggete tutto quello che potete che sia stato scritto su quel tipo di libri. Se di solito leggete gialli, evitate di scrivere fantascienza e viceversa.
Certo, non è possibile leggere tutto quanto è stato pubblicato. I soli libri di fantascienza editi in Italia sono numerose migliaia.
Potrebbe allora essere utile una lista di letture consigliate. Impresa non da poco. Faccio parte della Fratellanza della Fantascienza che da anni legge e vota tutte le opere del genere cercando di stilare una classifica, sempre in evoluzione, senza limiti di tempo o nazionalità.
Oggi queste sono le opere che hanno ottenuto più punti dai confratelli:
Titolo
Autore
Anno
Serie
Punti
1984
Orwell George
1949
10.15
Hyperion
Simmons Dan
1989
Canti di Hyperion (1)
9.95
Fiori per Algernon
Keyes Daniel
1966
9.94
Fahrenheit 451
Bradbury Ray
1954
9.73
Dune
Herbert Frank
1965
Dune (1)
9.69
Prima Fondazione
Asimov Isaac
1951
Ciclo delle Fondazioni (3)
9.67
Seconda Fondazione
Asimov Isaac
1953
Ciclo delle Fondazioni (5)
9.67
Fondazione e Impero
Asimov Isaac
1952
Ciclo delle Fondazioni (4)
9.60
Io sono leggenda
Matheson Richard
1954
9.60
La caduta di Hyperion
Simmons Dan
1990
Canti di Hyperion (2)
9.55
Anni senza fine
Simak Clifford
1952
9.38
Il mondo nuovo
Huxley Aldous
1932
9.36
Ubik
Dick Philip K.
1969
9.34
La fine dell’Eternità
Asimov Isaac
1955
Romanzi Pre-Ciclo (1)
9.33
Solaris
Lem Stanislaw
1961
9.23
Cronache marziane
Bradbury Ray
1950
9.12
Il gioco di Ender
Card Orson Scott
1985
Ciclo di Ender (1)
9.10
Il sole nudo
Asimov Isaac
1956
Ciclo dei Robot (2)
9.10
Sono tutti libri che ho letto e che non posso che consigliare anche io. Credo sia un buon punto di partenza. Come vedete il nome di Asimov appare spesso e non si può prescinderne. Anche tutti gli altri nomi sono utili e importanti. Direi che scrivere fantascienza senza aver letto almeno tutti questi libri, ci farebbe partire con il piede sbagliato e senza renderci conto di cosa stiamo facendo. Ce ne sono, però, molti altri importanti. Una regola che vale sempre è che non possiamo pensare di scrivere avendo letto solo i classici, occorre leggere quello che si scrive oggi. Se non vogliamo essere un passo indietro, non possiamo fare a meno di capire che cosa il genere di cui scriviamo sta producendo ora. Scrivere oggi come gli autori dell’Ottocento ci renderebbe solo ridicoli e impubblicabili. Allo stesso modo non possiamo più scrivere FS come negli anni ’50.
Un bell’esempio di fantascienza fatta come dovrebbe essere (forse poco consigliata per un neofita) mi è capitato di leggerlo pochi giorni fa: “Eon” di Greg Bear. Non è recentissimo, essendo del 1985, ma è già un passo avanti rispetto all’età d’oro. C’è la fisica dello spazio-tempo ma anche mondi alternativi originali.
Altro buon esempio penso sia “Ultima genesi” (1987) di Octavia E. Butler, con alieni interessanti e un inizio claustrofobico.
Un esempio di fantascienza del 1950 che sa mescolare l’utopia dei viaggi a velocità prossime a quella della luce con sano scetticismo è “Ritorno al domani” di Hubbard.
Un bell’esempio di fantascienza recente di qualità è “I Figli del Tempo” (“Children of Time”, 2015) dello scrittore britannico Adrian Tchaikovsky.
Da non perdere, tra i più recenti, “Il problema dei tre corpi” (2008) di Cixin Liu (Yangquan, 1963) che innova la fantascienza classica.
Ci sono poi opere di fantascienza che non sono considerate tali ma non per questo sono meno pregevoli, si pensi, per esempio, a varie cose scritte da Stephen King, come “Le creature del buio”, “The stand”, “22/11/’63” o il ciclo della “Torre Nera”.
Superata la prima fase di lettura di un buon numero di opere, possiamo pensare di metterci a scrivere. Il primo quesito che mi porrei è che cosa sia davvero la fantascienza.
Ebbene, coloro che la considerano un genere di serie B, di solito non hanno capito per nulla che cosa sia. Purtroppo, il proliferare di film e romanzi, davvero di serie B, C o peggio ci offrono un’immagine della science fiction come di libri che parlano di astronavi, battaglie spaziali e omini verdi con le antenne. Certo, nella fantascienza c’è anche questo, ma ridurla a questo è come dire che i “Promessi sposi” sono solo una storia d’amore o la “Divina Commedia” una storia di diavoli e angeli.
Il termine fantascienza contiene in sé la parola scienza e questo non andrebbe mai dimenticato. Quando scriviamo fantascienza dobbiamo partire da un’ipotesi scientifica o pseudo-scientifica (non necessariamente originale, anche se qualche idea nuova sarebbe un grande pregio) e analizzarne le conseguenze. Si tratta, però, di narrativa, e occorre evitare l’errore più comune: scrivere un saggio, che è sempre una pessima cosa, sia quando si scrive fantascienza, sia quando si scrivono romanzi o racconti storici. Nel primo caso la scienza ci fornisce gli elementi per la nostra narrazione, nel secondo lo fa la storia, ma dobbiamo avere i soliti elementi di sempre: trama, personaggi, ambientazione e magari stile.
La cosiddetta fantascienza degli anni d’oro, quella degli anni dal 1930 alla fine degli anni ’50 e forse ’60, con “narrazioni lineari, eroi che risolvono problemi o affrontano minacce con uno stile tipico della space opera o dell’avventura tecnologica”[1], era prevalentemente ottimista, quasi utopistica, credendo nella possibilità di grandi e veloci sviluppi scientifici e tecnologici.
Più o meno consciamente, gli autori dell’epoca si ponevano l’obiettivo di favorire questo sviluppo e, in particolare, la conquista dello spazio, stimolando i lettori e l’opinione pubblica.
In seguito, apprendendo la difficoltà di portare davvero avanti questo sviluppo, soprattutto in campo astronautico, il genere distopico, peraltro, già esistente, ha cominciato ad avere maggior fortuna, occupandosi di dare l’allarme sia verso rischi sociologici, sia per quelli connessi all’uso delle tecnologie e, poi, sempre più, per i rischi ambientali.
Perché questo è importante? Perché non dobbiamo dimenticarci che spesso gli autori di fantascienza non si vogliono limitare a mostrarci un’avventura, ma si pongono un obiettivo di ammaestramento, educazione o civilizzazione.
Dunque, rispetto a quando dicevo che la fantascienza non è solo battaglie spaziali, dovrebbe allora cominciare a esser più chiara la
profondità sottostante. Abbiamo cioè imparato che dovrebbe avere dei presupposti scientifici o quasi tali, che cerca di dimostrare o che prende per buoni, in quanto già sostenuti da chi ne ha scritto prima. Abbiamo anche imparato che si pone un obiettivo di ammaestramento e indirizzo culturale e sociologico.
A sostegno del genere vorrei anche dire che tra tutte le forme di narrativa può essere quella in cui la creatività può dare il meglio di sé. Se l’arte è creatività, allora capirete come la fantascienza abbia anche una valenza artistica. In che senso?
La letteratura mainstream, quella non di genere, descrive il mondo per come lo conosciamo. Fa cioè un modestissimo sforzo creativo in merito all’ambientazione. La fantascienza, al suo meglio, invece è, può e dovrebbe essere creatrice di mondi, di universi, di ambienti. A volte crea anche personaggi su basi immaginarie quali il mainstream non potrebbe mai ideare. Pensate al tormento mentale dei robot asimoviani assoggettati a quelle tre/ quattro semplici ma fondamentali leggi. Pensate a certi alieni alle prese con il nostro o altri mondi, pensate alla ricchezza di espressioni che possiamo fornire a un personaggio che si muova in tempi o luoghi ignoti e non suoi. E pensate alla maggior possibilità di trame che la libertà di un genere fantastico offre.
Come può dunque un genere che offre tanto spazio alla creatività non essere artistico o addirittura essere considerato inferiore al mainstream di cui ha così tante maggiori possibilità?
Il problema semmai è negli autori. Alcune penne assai importanti non si sono prestate a scrivere fantascienza. Questo non vuol dire che tanti grandi non ne abbiano scritto, ma molte capacità non vi sono state impiegate.
A volte, insomma, i risultati possono essere stati inferiori al potenziale. Ma non credete che la fantascienza in questo abbia fallito. Le opere ottime nel genere si contano a centinaia.
L’altra cosa che in questa piccola lezione vorrei dire è che cosa la fantascienza non dovrebbe fare.
Innanzitutto, non dovrebbe essere la riproduzione di un videogioco: sparatorie senza senso, salti e corse. Deve avere ambientazioni, personaggi e trama solidi e ben costruiti come dovrebbe averli qualunque romanzo. Di più: dovendo cercare di essere originale e affrontando mondi, realtà e universi paralleli di fantasia, deve saperli far comprendere al lettore e renderli credibili. Uno sforzo che non è richiesto a chi descrive un mondo contemporaneo: creare universi immaginari credibili.
Dovrebbe cercare di non essere banale, sia ripetendo schemi, personaggi, ambientazioni già visti e rivisti, sia adattando la nostra realtà a contesti alieni in cui questa dovrebbe essere diversa.
Per esempio, se immaginate una civiltà aliena, non fate muovere questi extraterrestri come se fossero umani. Non c’è nulla che mi disturba di più degli alieni antropomorfi, nel fisico o nel comportamento. Lasciate stare “Star trek”: sono belle serie ma quelli non sono alieni! Gli alieni antropomorfi non sono credibili.
Usate la fantasia. Fate ragionare i vostri alieni in modi in cui voi NON ragionereste. Lo stesso vale per i viaggi nel tempo e i mondi futuri. Molte cose si dice non cambiano mai, ma tante altre quanto sono cambiate! E non è solo una questione di nuova tecnologia. Nuovi contesti comportano nuovi modi di pensare delle persone.
Scrivere fantascienza non è facile. Per nulla. Credo sia persino più difficile che scrivere narrativa storica o esotica. Ci si può appoggiare su strutture già create dai grandi che ci hanno preceduto. Sarebbe, però, un po’ barare, ma va bene se a queste aggiungiamo qualcosa di nostro.
Dall’esterno la fantascienza può sembrare tutta uguale e anzi la si confonde magari con il fantastico o addirittura il surreale.
La science fiction ha, però, al suo interno numerosi filoni. Su wikipedia trovo questi:
La fantascienza hard (dall’inglese hard science fiction), chiamata anche fantascienza tecnologica, è una categoria caratterizzata dall’enfasi per il dettaglio scientifico o tecnico, o per l’accuratezza scientifica. Le sue storie si focalizzano sulle scienze naturali e sullo sviluppo tecnologico. Il termine fu coniato verso la fine degli anni cinquanta per distinguere la fantascienza degli anni quaranta e cinquanta dal nascente filone caratterizzato dall’interesse per temi più marcatamente umanistici (fantascienza soft).
La FS soft si concentra sui sentimenti umani e si basa, invece che su fisica, chimica e biologia coma la hard, su filosofia, sociologia, politica e psicologia. Ne fanno parte la fantapolitica e la fantascienza sociologica.
La New Wave, attingendo alle tecniche del mainstream, si concentra ancor più sull’inner space e la violazione dei tabù mentali.
Utopia e distiopia sono generi opposti. La prima descrive una società ideale, in genere basata sulla giustizia, l’uguaglianza e un diffuso benessere. La seconda, invece, ci mette in guardia dalla degradazione della politica e dei modelli sociali, da un uso errato della scienza e della tecnica e descrive mondi alternativi negativi.
Le opere apocalittiche e post apocalittiche sono, per me, parte della distopia, e servono a metterci in guardia dal degrado del mondo e della civiltà, mostrandoci drammatici scenari futuri. Nate soprattutto attorno ai pericoli nucleari, trovano ora ampio materiale nei rischi ambientali.
La space opera è, per molti, sinonimo di fantascienza, anche grazie al successo di “Guerre stellari”. Si basa su grandi avventure (se non epopee) spaziali e molto romanticismo.
Dice wikipedia che “Le storie cyberpunk sono ambientate generalmente in un futuro prossimo, un mondo decadente e ipertecnologico fortemente distòpico, dominato da grandi multinazionali (zaibatsu). I protagonisti sono in genere hacker e disadattati, in costante fuga dalla cupa realtà, che trovano la loro ragion d’essere in un mondo virtuale parallelo, il cyberspazio, teatro delle loro battaglie.”
Sua evoluzione è il post-cyberpunk che esamina “gli effetti sociali causati dalla diffusione dei mezzi di comunicazione, dall’ingegneria genetica e/o dalla nanotecnologia”. Ha una visione più moderna del metaverso e del web rispetto al cyberpunk, ormai superato dall’evoluzione sociale e tecnologica.
L’ucronìa o storia alternativa (alternate history) tratta di un mondo la cui storia si è differenziata da quella comunemente conosciuta. È un’ucronìa la narrazione di quel che sarebbe potuto succedere se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente. Per me, sarebbe, a dir il vero un genere a sé, a metà strada tra fantascienza e romanzo storico.
Lo steampunk è uno specifico filone dell’ucronia che immagina una Londra vittoriana ucronica dominata da un’alternativa
tecnologia a vapore.
Il techno-thriller mescola FS con thriller e spionaggio. A volte alcune storie usano i canoni del giallo in ambientazioni FS.
Notevolissimi i potenziali dei viaggi nel tempo, che posso sfociare nella creazione di universi paralleli (o meglio divergenti) ucronici.
La xenofiction comprende storie ambientate tra specie o culture considerevolmente diverse da quella umana e offre le più ampie potenzialità immaginative, ma, per carenza di esempi concreti reali, rischia di sfociare nel fantastico.
Tutti questi filoni possono ibridarsi tra loro o con altri generi, come il giallo, il noir, il romance, il rosa, il mainstream, lo storico.
E ci sarebbero ancora molti altri filoni da poter considerare. Mi pare però chiaro già questi quale sia l’enorme potenziale narrativo della FS e come non abbia senso dire semplicemente amo o non amo la FS.
Per esempio, io non amo la space opera, con le sue astronavi che si spostano ovunque senza difficoltà e il cyberpunk che vorrebbe inventarsi mondi virtuali nel web o in altri spazi informatici ma che raramente ha prodotto opere interessanti. Anche la New Wave mi ha sempre convinto poco.
Credo, invece, nell’enorme potenziale dei viaggi nel tempo, dell’ucronia, della distopia, della Soft FS e della xenofiction. Non dobbiamo, però, mai dimenticarci i classici: il punto di partenza, cui ogni volta tornare per ricominciare, è l’hard SF.
[1] Roberts, The History of Science Fiction, p 195
I romanzi di Harry Potter erano pensati soprattutto per un target con l’età del protagonista, che cresceva anno dopo anno, volume dopo volume dagli undici iniziali. Sono, però, anche romanzi per adulti, che tutti dovrebbero leggere.
Dopo alcuni tentativi di scrittura per adulti e la sceneggiatura di opere connesse al mondo di Hogwarts, J. K. Rowling torna a scrivere, per bambini. Sì, bambini più che ragazzi, questa volta. L’età del target è qui, infatti, pre-scolare e “Il maialino di Natale” (Salani, 12/10/2021) si può certo definire una fiaba. Una splendida fiaba moderna che non potrà non affiancarsi a quelle eterne che da sempre raccontiamo ai nostri figli. Una fiaba di quelle davvero ben realizzate e che quindi piacciono non solo ai bambini ma anche ai genitori. Una fiaba piena di azione e personaggi e che sa davvero far emozionare.
I meccanismi narrativi sono un po’ quelli di Harry Potter. Anche il piccolo Jack ha problemi familiari con il divorzio dei genitori. Anche lui, nel suo piccolo, vive un processo di crescita. Anche lui affronta un grande e pericoloso nemico, il Perdente, ma anche piccoli avversari, sia fantastici, sia reali come l’amica divenuta sorellastra. Proprio con lei la Rowling ha modo di parlarci dell’evoluzione delle amicizie, altro tema importante nella saga. Sempre di amicizia parla il rapporto di Jack con i maialini Lino e Nat. Ovviamente c’è anche tanta magia e anche qui un mondo parallelo, quello delle cose perdute, piuttosto articolato, con città e isole.
Anche qui c’è la lotta tra il Bene e il Male e come si addice a una fiaba natalizia, tanti buoni sentimenti, persino personificati, ma mai stucchevoli.
Una buona penna resta tale in ogni occasione e migliori di quella della Rowlingè difficile trovarne.
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”