Archive for giugno 2022

LA VITA PUÒ ESSERE DIVERSA E LA MENTE HA POTERI INESPRESSI

Crociera nell’infinito” (1950 – The Voyage of the Space Beagle) è un romanzo di space opera del canadese E.A. Van Vogt il cui titolo originale s’ispira alla celebre opera di Charles Darwin e che riunisce quattro racconti pubblicati tra il 1939 e il 1950 e poi uniti per formare un romanzo unitario.

Indubbiamente le quattro parti riescono a essere autonome tra loro pur offendo nell’insieme un’opera coerente e amalgamata. La sensazione è di avere davanti una versione più intelligente dei viaggi dell’Enterprise di “Star Trek”. Più intelligente, in quanto qu gli alieni non sono umani con le orecchie a punta o la fronte butterata, ma vere creature immaginarie, diverse da noi, come è ben più probabile siano eventuali extra-terrestri.

Bisogna, anzi, dire, che tali personaggi si potrebbero bene inserire in un elenco di migliori alieni della fantascienza.

Il primo, Coeurl, sebbene dall’aspetto di felino munito di tentacoli, è creatura quasi eterna dotata di notevoli poteri mentali ESP. Non è il rappresentante di una specie intelligente ma il prodotto sperimentale di una di queste, ormai estinta, parrebbe per carestia dovuta a problemi ecologici. Coeurl si rivela intelligente, sebbene finga di non esserlo, e spietato.

L’incontro con i Riim, una specie discendente da uccelli non volatori, porta a involontarie interferenze mentali con i terrestri.

Ixtl è, addirittura, un essere proveniente da un altro universo, che esisteva prima del Big Bang e che sopravvive da eoni nel vuoto intergalattico, una delle figure più originali della fantascienza, anche se quando deposita le sue uova nei corpi degli astronauti, non si può non pensare al celebre “Alien” (1979) cinematografico di Ridley Scott, che immagino sia debitore di Van Vogt. In effetti, leggo che Van Vogt minacciò di fare causa alla produzione del film.

A. E. van Vogt, pseudonimo di Alfred Elton van Vogt (Gretna26 aprile 1912 – Los Angeles26 gennaio 2000)

Che dire poi, dell’Anabis, che si presenta sotto forma di polvere cosmica, ma capace di apprendere dalle vittime di cui si nutre, evolvendo sino a considerarsi quasi Dio?

Protagonista del romanzo è lo scienziato connettivista Grosvenor e l’intero romanzo esalta molto questa disciplina: la capacità di mettere a fattor comune le conoscenze derivanti da diverse discipline scientifiche per avere una visione comune. È solo grazie a Grosvernor e il suo metodo scientifico che l’equipaggio della Beagle riesce a comprendere questi insoliti alieni e a trovare il modo per affrontare le minacce che tutti rappresentano. Un po’ come dire che se sulla Beagle di Darwin abbiamo scoperto l’evoluzione, su quella di Grosvenor si scopre il potere del connettivismo. Il romanzo, peraltro, mostra proprio il grande potere dell’evoluzione, nel creare forme di vita da basi diverse.

Opera, insomma, giocata, guarda caso, proprio sui due grandi temi dell’ultimo romanzo da me pubblicato con Massimo Acciai “Psicosfera” (Tabula Fati, maggio 2022): il potere della mente e la possibilità che la Vita assuma forme molto diverse dalla nostra.

Non gli sono debitore per la stesura di “Psicosfera” non avendolo letto prima (né Acciai me ne ha parlato), ma sicuramente sono opere in sintonia, così come mi trovo perfettamente in linea con il connettivismo e la necessità di unificare le teorie scientifiche. In particolare, da profano, sostengo che la vita possa essere considerata una forma di compensazione dell’entropia e andrebbe studiata in termini fisici di termodinamica e non solo biologici.

Un’altra singolarità di questo romanzo è il sistema organizzativo adottato in cui le cariche vengono scelte democraticamente per elezione, a differenza di quanto di solito si vede sulle astronavi che sono comandate in base a rigide gerarchie militari.

Interessante anche la considerazione su come spesso le spedizioni interstellari falliscano per l’insorgere di dissidi interni.

Non posso quindi che apprezzare molto questo lavoro, pur con il limite della mancanza di una trama davvero unitaria. Come detto all’inizio, è considerata space opera (sottogenere della fantascienza che non mi entusiasma), ma le profonde riflessioni filosofiche sull’universo, la vita e la mente lo rendono degno della miglior speculative fiction.

P.S. Questo romanzo tratta due temi che saranno anche quelli dell’antologia dal titolo provvisorio “Dal profondo” (il potere della mente e forme di vita diverse), per la quale stiamo raccogliendo racconti e immagini. Il bando per partecipare è qui

IL 23 LUGLIO 2022 INCONTRO NAZIONALE DELLA WORLD SF ITALIA A PISTOIA E PREMIAZIONE DEL VEGETTI 2022

La mattina del 23 luglio 2022 alle ore 11,00 si terrà presso l’Hotel Milano, sito in Pistoia al viale Antonio Pacinotti, n°10 l’Assemblea Nazionale dell’associazione degli operatori del fantastico World SF Italia.

Nel pomeriggio ci saranno alcuni eventi aperti al pubblico presso

L’AUDITORIUM TERZANI DELLA BIBLIOTECA SAN GIORGIO,

VIA SANDRO PERTINI A PISTOIA:

Ore 15.30 

Saluti istituzionali

70 Anni di Fantascienza in Italia (1952-2022)

Introduzione e presentazione di Pier Luigi Gaspa

Interventi di:

Giovanni Mongini – critico cinematografico e scrittore

Adalberto Cersosimo – scrittore di fantascienza

Franco Piccinini – scrittore di fantascienza

Ore 16.30

Dove va la fantascienza italiana – storia e prospettive

Introduzione e presentazione di Pier Luigi Gaspa

Interventi di:

Donato Altomare – scrittore e presidente World Sf Italia

Adalberto Cersosimo – scrittore di fantascienza

Franco Piccinini  – scrittore di fantascienza

Ore 17.30

Cerimonia di premiazione

Premio Ernesto Vegetti 2022

Premi della critica per la fantascienza italiana della World Italia SF

Ore 18.30

Donato Altomare presenta il primo numero della Rivista della World sf Italia
interverranno il curatore Luca Ortino e gli editori Luca Oleastri e Giorgio Sangiorgi (Scudo edizioni)

PREMIO VEGETTI

Si ricorda che le opere finaliste del Premio Vegetti (con le relative giurie) sono:

Opere finaliste e giurie XI Ediz. 2022 Premio Ernesto Vegetti

Elenco delle opere finaliste (*) e delle giurie alla XI Ediz. del Premio Vegetti, anno 2022.

(*) Proclamazione disponibile anche sulla pagina Youtube della World SF Italia

Per la categoria Romanzo di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: V. Barbera, F. Giambalvo, S. Giuffrida

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Galassie perdute III-Privazione di Vittorio Piccirillo (Ed. Tabula Fati 2021)

L’isola di Heta – Fuoco Amico I di Sandra Moretti (Ed. Tabula Fati 2021)

TOBA di Bruno de Filippis (Lastaria Ed. 2021)

Per la categoria Saggio di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: Tea C. Blanc, M. Conese, L. Sorge

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Guida al cinema horror di M.Tetro, R.Azzara, R.Chiavini, S.Di Marino (Ed. Odoya 2021)

Philip K. Dick. Tossine metaboliche e complessi illusori prevalenti di S.Carducci, A. Fambrini (Mimesis Ed. 2021)

Science Fiction Theatre-La serie TV di Giovanni Mongini (Ed. Scudo 2021)

Per la categoria Antologia di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: T. Bologna, M. Serra, M. Settembre

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Contaminazioni a cura di Vittorio Piccirillo (Ed. Tabula Fati 2021)

Il fiore della quintessenza a cura di Sergio Mastrillo (Ali Ribelli Ed. 2021)

Soundscapes a cura di Luca Oleastri (Ed. Scudo 2021)

Per la categoria Racconto di Fantascienza

LA GIURIA

Presidente: Matteo Vegetti.

Giurati: P. Cartoceti, D. Longoni, C. Treanni

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Corpi paralleli di Giovanna Repetto (Urania Millemondi n. 90, Mondadori, 2021)

Effetti collaterali di Franco Piccinini (I miei compagni di viaggio, Ed. Scudo 2020)

Il Jam di Sergio Mastrillo (n.230, Rivista Delos Science Fiction, 2021)

La creatrice di tempi di Lukha B. Kremo (Urania Millemondi n. 90, Mondadori, 2021)

Le pietre di Marte di Carlo Menzinger (Dimensione Cosmica n.12, Ed. Tabula fati, 2020)

Letto 224 di Pierfrancesco Prosperi (Contaminazioni, Ed. Tabula fati, 2021)

Io ci sarò sia la mattina (all’Assemblea dei Soci), sia il pomeriggio alle conferenze e al Premio. Spero di incontrare molti voi e che facciate il tifo per le due antologie a cui ho partecipato “Contaminazioni” (con il racconto “Supposte ucroniche”) e “Soundscapes” (con il racconto “Fedpato”) e per il mio racconto solistaLe pietre di Marte”.

IL PIACERE DELL’UCRONIA

Ho appena finito di leggere, con grande piacere, il volume curato da Massimo Acciai Baggiani Architettura dell’ucronia” che porta il significativo sottotitolo“Invito alla lettura di Pierfrancesco Prosperi”, che è stato edito da Solfanelli a maggio 2022 nella preziosa collana Micromegas.

Il volume, presentato per la prima volta al Salone del Libro di Torino 2022, è una sorta di saggio antologico, come già era stato il precedente “Il sognatore divergente” (Porto Seguro, 2018) di Massimo Acciai Baggiani, nel senso che si compone di una breve Introduzione in cui il curatore parla del volume e del soggetto del testo: il prolifico scrittore prevalentemente di genere fantastico Pierfrancesco Prosperi. Fanno seguito poi una parte composta da alcune recensioni di Massimo Acciai Baggiani a opere di Prosperi, un’intervista di Acciai a questo grande autore ucronico con alle spalle quasi sessant’anni di pubblicazioni con editori grandi e piccoli, un terzetto di racconti, una quarta parte composta dei contributi di altri autori che scrivono di Prosperi e della sua opera e, infine una bibliografia completa e aggiornata dell’autore, che ne evidenzia la grande ricchezza.

Il piacere di questa lettura deriva, innanzitutto, dal conoscere io personalmente sia l’autore/ curatore del saggio, sia Prosperi, sia, in misura forse minore, molti degli autori che hanno dato il loro contributo (Donato Altomare, Carlo Bordoni, Adalberto Cersosimo, Gianfranco De Turris, io stesso ed Errico Passaro). L’impressione è quindi quasi di fare una chiacchierata tra amici. Sento le loro voci tra le pagine.

Se per me l’interesse è accresciuto dunque da questa conoscenza personale, credo che questo rimanga comunque alto per un qualsiasi altro lettore, sia per la grande e varia produzione letteraria di Prosperi la cui esplorazione mantiene sempre desta la curiosità e l’attenzione, sia per la qualità di tutti i testi che compongono il volume.

Se le singole recensioni credo di averle già lette prima in rete e riguardavano soprattutto opere prosperiane a me ben note, la mia curiosità è cresciuta leggendo la bella e ricca intervista dalla quale ho potuto scoprire aspetti di Prosperi che ancora non conoscevo e, persino, nuove e ulteriori comunanze d’interessi. Siamo, infatti, entrambi autori che hanno scritto molte ucronie (in merito ho avuto anche il piacere e un po’ la sorpresa di veder citato il mio nome svariate volte nell’opera e di questo ringrazio Acciai e Prosperi).

Come non ritrovarsi allora in affermazione di Prosperi come: “Ritengo che per scrivere in modo decente occorra non solo aver studiato (magari anche senza seguire corsi regolari e tradizionali) ma ancor di più aver letto moltissimo e continuare a leggere, per tutta la vita”. A me pare scontato, ma non lo è. Ci sono autori che, incredibilmente, non leggono!

Carlo Menzinger e Pierfrancesco Prosperi

Come non ritrovarsi quando Prosperi definisce l’ABC della fantascienza: Asimov, Bradbury e Clarke. Da questo ABC credo di essere partito anche io, così come condivido le basi italiane in Buzzati e Calvino. Basi queste per moltissime altre letture ovviamente, ma l’amore per la lettura è nato lì.

Bella, semplice e condivisibile anche la sua definizione di fantascienza: “Letteratura del possibile (come dal titolo della prima, mitica antologia di Solmi & Fruttero)”: A chi confonde i generi è anche bene ricordare, come fa lui, che “Il fantasy è impossibile per definizione, la sf ha una possibilità anche infinitesimale di verificarsi”.

Sui sottogeneri di ucronia ho già scritto in altre occasioni ma in quest’intervista Prosperi ne fa una interessante: “Ci sono due tipi di ucronia, quelle che non contemplano passaggi tra gli Universi paralleli, ovvero si limitano a descrivere una realtà alternativa non comunicante con la nostra (…) e quelle in cui gli Universi paralleli, benché paralleli si incontrano, perché qualcuno riesce a passare, magari involontariamente, dall’uno all’altro”. Su questo ci sarebbe molto da dire e qualcosa ne scrivo nel mio articolo, contenuto in questo volume “Il re dell’ucronia italiana” (come definisco il nostro Prosperi), osservazioni alle quali Prosperi risponde nel libro stesso.

Bella anche l’idea che l’automobile sia “Un’occasione di progresso sprecata”. Se volete sapere perché, leggete l’intervista.

E non vi trovate anche voi nella sua frase: “Sono stato in Francia (tre volte a Parigi a distanza di circa dieci anni, e ogni volta la trovavo diversa mentre le nostre città non cambiano mai)”. Ma perché siamo così refrattari al cambiamento? Perché appena abbiamo qualche novità urbanistica gridiamo allo scandalo, invece di rendere le nostre città qualcosa di vivo e progressivo?

Fulminante e di grande ispirazione la frase, una sorta di uovo di Colombo, “Israele, un Paese che non avrebbe dovuto esistere, uno Stato la cui stessa esistenza è fantascientifica”. Un’idea a cui non avevo pensato neppure quando scrissi il racconto ucronico “L’altra Gerusalemme” apparso su IF – Insolito & Fantastico n. 18, in cui, appunto, Israele non è mai esistita.

Ed eccoci ai racconti, tre perle. Nel primo, “Francesco è scomparso”, il protagonista vede sparire dalla sua vita il figlio, senza che nessuno ne ricordi più l’esistenza. Solo il primo passo verso altro, ancor più sorprendente.

Di espressa ispirazione borgesiana è “Il computer di Babele” in cui una sorta di nerd appassionato dal racconto di Borges sulla biblioteca infinita, in cui sono contenuti non solo tutti i libri scritti, ma tutte le loro varianti e tutti i libri possibili, anche se privi di senso, decide di ricostruirla a casa sua,

Ritornano a volte” porta in un’ambientazione ucronica che vede una Firenze islamizzata il ritorno del celebre Mostro di Firenze, l’assassino di coppiette, che ha dato fiato a tante ipotesi e ispirato vari testi, tra cui ricorderei una mia recente lettura “Nelle fauci del mostro”, curato da Andrea Gammanossi, un’interessante antologia noir.

La maggior parte dei contributi sono di autori che ricordano Prosperi da molti anni, sia come persona e amico, sia come autore tra i più prematuri, avendo pubblicato per la prima volta, come, è qui spesso ricordato a quattordici anni, nel 1959, il racconto “Lo stratega” sulla rivista “Oltre il Cielo”. Come scrive Carlo Bordoni, a vent’anni aveva già un racconto tradotto e pubblicato in Giappone.

Da queste pagine, oltre a quanto già detto traspare la sua attenzione per la storia, i temi sociali e politici oltre che per il fantastico, la fantascienza e l’ucronia.

Due parole sul titolo: “Architettura dell’ucronia”, che sottende alcuni temi. Innanzitutto, fa riferimento al mestiere di Prosperi, Piero, per gli amici che ne scrivono qui, l’architettura e in particolare l’urbanistica, come emerge anche da alcuni suoi racconti (non molti) che risentono della sua formazione professionale (penso per esempio a quello contenuto nell’antologia “Accadeva in Firenze Capitale”, del Gruppo Scrittori Firenze, con cui di recente Prosperi ha collaborato in più occasioni, sebbene aretino). L’altra parola centrale del titolo è “ucronia”, non per nulla intitolo il mio articolo “Il re dell’ucronia italiana”, dato che, sebbene abbia sceneggiato fumetti (da Topolino a Martin Mystere), scritto fantascienza, gialli, horror e gotico, il suo genere prevalente appare proprio l’allostoria, la storia alternativa, il narrare come la storia avrebbe potuto essere e non è stata.

Massimo Acciai Baggiani e Pierfrancesco Prosperi – Febbraio 2020

Per scrivere ucronie, occorre, in effetti, una sorta di progetto architettonico, immaginare diversi sviluppi della storia e in questa struttura scrivere la narrazione. Mestiere che Prosperi ben conosce e che pratica con impegno e grande costanza, dote fondamentale di un autore per restare sempre attivo e prolifico come lui per decenni, producendo oltre 140 racconti e più di 40 romanzi, che ha pubblicato, un po’ con tutti, perché, come conclude PassaroPropseri è nel catalogo dei grandi editori, ma è anche e soprattutto il fiore all’occhiello di tanti marchi minori disdegnati da scribi con la puzza sotto il naso. Questo è il suo segreto, questo il suo esempio”.

Un autore, aggiungerei, sempre disponibile, pronto a lanciarsi in nuovi progetti per il gusto e il piacere di scrivere, senza domandare chi ci sarà con lui nell’antologia, chi la pubblicherà, che vendite avrà. Come solo chi ama lo scrivere e i libri in loro stessi può fare, come solo chi è consapevole di sé e non ha nulla da dimostrare perché la sua stessa esistenza dice tutto.

Ringraziamo, infine, Massimo Acciai Baggiani per averci consentito con questo suo nuovo volume di conoscere meglio uno caposaldo della letteratura italiana contemporanea.

ADDIO ALLE BRACCIA AMATE

Copertina dell’edizione italiana del romanzo Addio alle armi di Ernest Hemingway, primo numero della collana Oscar Mondadori

Mi sto riconciliando con Ernest Hemingway, dopo i dissapori di gioventù. Quando lo lessi per la prima volta, molti anni fa, da ragazzo, non mi piacque o, forse, sarebbe più giusto dire, mi lasciò indifferente.

L’ho scoperto in tempi più recenti, apprezzando “Il vecchio e il mare”. Torno ora a leggerlo in una delle sue opere più importanti, “Addio alle armi” (1929 – “Farewell to Arms”, che si potrebbe anche tradurre come “Addio alle braccia” dell’amata). Si tratta, in sintesi, di un romanzo di amore e guerra ambientato durante il primo conflitto mondiale in Italia e vede come protagonista un ufficiale americano che collabora con gli italiani guidando un reparto medico ma che a seguito della disfatta di Caporetto diserta.

Leggendolo mi tornava sempre in mente il romanzo “Memories of a desert rat” (1996) scritto dal mio prozio Adrian Jucker. Questo per due motivi. Il primo è che entrambi scrivono di un anglosassone (americano Hemingway, inglese Jucker) che combatte in Italia (per Hemingway nella Prima Guerra Mondiale, per Jucker nella Seconda). Il secondo e più importante motivo è che in entrambi i libri ho avuto la sensazione come se la guerra fosse tutto sommato solo una parte marginale della vita di questi ufficiali al fronte, che, per l’appunto, continuavano a vivere, preoccupandosi di mangiare e bere bene, di incontrare donne, facendo amicizia e innamorandosi. Oggi tendiamo a dipingere le guerre come qualcosa di cupo e drammatico, ma sebbene Hemingway dichiari, persino nella prefazione, di essere contro la guerra, e sebbene il suo protagonista alla fine diserti, non mi ha fatto percepire in alcun modo il vero orrore del conflitto. Non per nulla in Europa ci si apprestava a combattere un’altra terribile guerra a pochi anni dalla fine della prima. Non era, io credo, ancora maturo nel mondo un autentico spirito anti-bellico, come abbiamo conosciuto nei decenni successivi al 1945. Spirito di cui mi pare ci stiamo ormai già dimenticando.

Per questo stesso secondo motivo, mi viene da pensare anche a “Guerra e Pace” (1869) di Lev Tolstoj: anche leggendo questo romanzo ho visto molta poca guerra, soprattutto nella prima parte! Penso allora a tanti film di guerra del secolo scorso e persino a certa fantascienza recente in cui non si fa altro che combattere o in cui si vede davvero molto più orrore che non in queste opere.

Il protagonista di “Addio alle armi”, Frederic Henry, dopo aver disertato ed essere fuggito ai carabinieri con un tuffo rocambolesco, fugge in Svizzera con la sua amata inglese, ma lì dovrà dire addio oltre che alle armi anche alle…. braccia di Catherine.

Lettura, oltre che importante, in ogni caso piacevole. Credo che proverò ad approfondire la mia conoscenza con questo americano, che mi era parso solo un tipo un po’ troppo amante della caccia, del bere e della bella vita, ma che, pare, abbia qualche cartuccia da sparare.

IL SURREALE WILD WEST SHOW LETTERARIO DI LANSDALE

Fuoco nella polvere” (2001) del grande e fantasioso Joe R. Lansdale (Gladewater, 28 ottobre 1951), è un romanzo spiazzante. Si comincia a leggero pensando di essere dalle parti di un western ma i dirigibili Zeppelin e gli aerei giapponesi in volo sconvolgono subito l’ambientazione. Si ritrova il celeberrimo Wild West Show di Buffalo Bill e si pensa allora di essere in una sorta di post-western. Solo che quel famoso istrione di William Frederick Cody, comunemente noto come Buffalo Bill, è stato decapitato ma la sua testa è ancora viva, come nella serie TV “Santa Clarita Diet”. Per giunta troviamo il Mostro di Frankestein e scopriamo che Cody vorrebbe avvalersi della scienza che ha portato alla sua creazione per riacquistare un corpo. Ok! Se non siete ancora abbastanza confusi, ecco che compare Latta. Latta? Sì, l’uomo di latta del “Mago di Oz” o meglio dai quattordici libri (più quelli di altri autori) che compongono la saga “I libri di Oz” (1900-1920) dello scrittore statunitense L. Frank Baum. Ci si ritrova poi su un’isola che pare proprio quella del classico della proto-fantascienza di H.G. Wells “L’isola del dottor Moreau” (1896) con i suoi animali trasformati in mezzi-uomini e le loro leggi contro lo spirito animale che è ancora in loro. Come non pensare peraltro anche a “La fattoria degli animali” (1945) di Orwell? Non vi basta? Che ci sia Toro Seduto, nulla di strano, visto che parliamo del Wild West Show, ma ecco comparire anche il capitano Nemo di “20.000 leghe sotto il mare” (1828-1905) di Jules Verne. Ecco che si scopre che Momo (alias il Dottor Moreau) in passato è stato Jack Lo Squartatore. Ecco che sull’isola arriva un non-morto zannuto come gli uomini-bestia di nome Vlad (Dracula).

Ed ecco gli esperimenti su teste di scimmie decapitate ma viventi. Ecco Latta e il Mostro di Frankestein che si innamorano e si raccontano le loro “vere” storie a vicenda, facendoci scoprire che il Dottor Frankestein ha lasciato alla sua Creatura un bel po’ di sensi di colpa.

Aggiungete a tutto questo lo stile inconfondibile di Lansdale, con le sue metafore estreme tipo “Era freddo come i testicoli di un maiale castrato in una tinozza di metallo, e nevicava.” Aggiungete sentenze lapidarie come “Quando la vita ti offre dei limoni, tu fatti una limonata” e comprenderete che si può entrare solo in due modi in romanzi come questo: accettando con meraviglia e gratitudine la sua assurdità surreale e la sua profonda ricchezza letteraria, oppure rifiutarlo con sufficienza, un’alzata di spalle e una smorfia di disgusto. A voi la scelta. Ma non fatela a caldo o potreste pentirvene.

Joe Richard Harold Lansdale, meglio conosciuto come Joe R. Lansdale (Gladewater28 ottobre 1951),

MATURANO I FRUTTI NEL GIARDINO DELL’ADOLESCENZA

Chi non ricorda l’anno della maturità? So di adulti che ancora si sognano il giorno dell’esame. Com’era affrontare questa prova alcuni decenni fa? Ce ne parla nel suo romanzo “Nel giardino di EmmaPaolo Dapporto. Il protagonista affronta questa prova “iniziatica” nel 1961. Io l’ho superata qualche anno dopo, ma la tensione, l’impegno, lo studio, l’attesa, le speranze erano le stesse di cui ci parla Dapporto. Sono nato a Roma e lì ho fatto la maturità, ma ora vivo a Firenze, nella stessa Rifredi del protagonista. Vi riconosco quindi i luoghi oltre alle emozioni. Anche la montagna pistoiese mi è ben nota e so di chi vi si rifugiava per studiare lontano da distrazioni e calure estive. Il giardino di Emma è uno di questi rifugi, dove grazie all’accoglienza familiare della titolare di un ristorante-alimentari-pensione, in quel di Frassignoni, presso Pracchia, il protagonista Paolo, assieme all’amico Guido cerca riparo. Troverà in quest’oasi nuove amicizie e nuovi amori.

Si tratta di racconto di chiaro sapore autobiografico, ma l’autore non indulge a tentazioni diaristiche, offrendoci un vero romanzo fatto di storie, di personaggi, di sensazioni ed emozioni.

Quello dei personaggi è un vero percorso verso la maturità, fatto non solo di studio ma proprio di incontri e di conoscenze umane, che sono quelle che davvero fanno crescere, di piccole grandi prove come il difficile percorso di montagna.

“La maturità di una persona era non farsi condizionare dagli esami, dai giudizi di altri, anche se professori”, scrive Dapporto. Come dargli torto.

Non mancano i riferimenti alle materie studiate, dalla chimica (con l’incontro nello strano laboratorio di montagna), che sarà poi la materia dell’autore, divenutone professore universitario, ai classici della letteratura italiana. I pochi versi dannunziani riportati mi hanno fatto venir voglia di riprendere in mano l’opera del vate.

Quante volte, già al liceo parlando con i professori, mi sono trovato a condividere l’affermazione di Paolo: “non capisco perché nei programmi della scuola non siano contemplati quei libri italiani che piacciono tanto e che vengono letti dalla gente, come Pinocchio, Cuore, I misteri della jungla nera…”. L’assurdità degli studi scolastici ma anche della critica letteraria sta, infatti, nell’ignorare i bestseller e i libri che la gente ama di più. Un autore come Salgari, letto e amato da tante generazioni di italiani non può e non deve essere ignorato perché ha plasmato le menti, la fantasia, i sogni e i cuori di un intero Paese. Il suo stile potrà non essere eccelso ma il suo contributo alla cultura popolare è certo maggiore di quello di opere meno note ma più studiate.

C’è poi il costume che cambia. L’Italia che si rinnova. Anche nel linguaggio. Ecco, quindi che la “mantenuta” che accompagna il compagno di tennis si rivela una persona degna come le altre, ecco che l’amore senile del nonno ancora scandalizza i figli ma non più i nipoti. Ecco le verità nascoste, i panni sporchi da lavare in famiglia, che cominciano a riemergere e a non sembrare più così negative.

Una lettura densa di ricordi, di emozioni, di riflessioni in cui tutti noi possiamo ritrovarci.

UN SUPER PUFFO MARZIANO IN TERRA STRANIERA

Che dire di un classico della fantascienza come “Straniero in terra straniera” (1961) di un grande nome del genere come Robert A. Heinlein (Butler, 7 luglio 1907 – Carmel-by-the-Sea, 8 maggio 1988) che descrive l’incontro con la civiltà terrestre (leggi “americana”) da parte di un giovane uomo figlio di una prima spedizione di colonizzazione su Marte, rimasta senza superstiti tranne lui, allevato dai marziani e quindi cresciuto secondo una diversa cultura?

Già da queste poche righe si comprende come il presupposto scientifico di un Marte abitato da creature senzienti ed evolute sia ormai superato. L’opera però trova un utile espediente per mostrare la nostra civiltà con occhi alieni pur senza ricorrere direttamente alla presenza di extraterrestri che, se troppo simili a noi, sarebbero parsi implausibili, mentre se troppo diversi avrebbero reso il raffronto con noi poco rilevante.

Il romanzo si inserisce quindi nel filone iniziato dai viaggi sulla Luna di Luciano, Cyarno de Bergerac, del Barone di Münchhausen e dei “I viaggi di Gulliver”: quello dello stupore per civiltà diverse.

Non “vediamo” mai i marziani, se non per via indiretta tramite quanto ne ha appreso Michael Valentine Smith, l’Uomo di Marte, o tramite quanto riferito. Sono comunque assai diversi da noi, con forti poteri mentali telepatici, telecinetici e non solo. Riescono persino a disgregare cose e persone spostandole in altre dimensioni (vi assicuro che ho letto questo libro dopo aver scritto “Psicosfera”!). In qualche modo questi poteri possono essere appresi perché anche Mike, l’Uomo di Marte, li sa usare. Molto diversa (e apprezzabile sebbene poco descritta) è anche l’organizzazione sessuale e sociale, con esseri che evolvono da uno stadio all’altro sino a quello degli Anziani, esseri onniscienti e dagli immensi poteri. Da notare come nello stadio giovanile i marziani siano di sesso femminile (ninfe), mentre da adulti siano tutti maschi e come la maggioranza della popolazione sia costituita da “spettri”, esseri che si sono disgregati/ staccati dal corpo (morti) ma vivono ancora.

Robert A. Heinlein

Anche la Terra in cui è ambientata la storia appare diversa, soprattutto dal punto di vista sociale. Appare importate una nuova religione dionisiaca, quella dei fosteriti, in cui il sesso ha un grande rilievo religioso.

Il romanzo è in gran parte una riflessione sulla fede, la divinità e le religioni. Lo stesso protagonista arriva a fondare una nuova religione panteistica in cui tutti sono Dio.

Rilevante è anche la riflessione sul sesso libero, sulle limitazioni imposte alle sessualità dalla società e dalla struttura familiare, sulla libertà di andare in giro nudi (magari tatuati) che sembra anticipare la rivoluzione culturale del 1968, anche se il romanzo appare, agli occhi moderni piuttosto casto (anche qui non posso non pensare a quanto scrivo nella saga di “Via da Sparta”).

I marziani, avendo una cultura del tutto diversa hanno anche una lingua molto differente. Questo però viene reso in maniera un po’ infantile con l’uso ripetuto molte volte del termine “groccare” (in inglese “grok”) che significa letteralmente “bere” e figurativamente “comprendere”, “amare” o “essere uno con” ma che viene usato con un’insistenza che fa pensare al “puffare” degli omini blu di Peyo.

Da notare anche le riflessioni sulla proprietà del pianeta: appartiene all’Uomo di Marte, visto che Mike è il solo uomo a esserci nato e vissuto? Sorprende che nessuno prenda in considerazione che possa essere di proprietà dei marziani. La mentalità coloniale nel 1961 pare ancora molto forte.

Ci sono anche brani dal sapore piuttosto reazionario, che contrastano con i messaggi di pace, amore e sesso libero, come questo:

“– Come stavo dicendo, – osservò, – una donna che non sa cucinare è pelle sprecata. Se non verrò servito a puntino vi baratterò tutte e tre per un cane e poi sparerò al cane. Cosa c’è di dolce, Miriam?

E che dire della nota “in che modo una maestra potrebbe tenere a bada un bambino che ne sa più di lei?” che fa pensare ai giorni d’oggi con le nuove generazioni con un’alfabetizzazione digitale a volte superiore a quella degli adulti.

Opera, insomma, in cui le riflessioni sociologiche, ora assai meno “rivoluzionarie” di allora prevalgono quasi sulla narrazione, l’avventura e le vicende del protagonista, facendone un lavoro interessante per comprendere quegli anni e la letteratura fantastica degli anni ’60, in parte ancora godibile, ma un po’ superato.

IL CUORE E LA STELLA VERDE DEGLI ESPERANTISTI

Leggo ora il romanzo in esperanto “La verda coro” (“Il cuore verde”) dell’ungherese Julio Baghy (pseudonimo di Gyula Baghy (Seghedino, 13 gennaio 1891 – Budapest, 18 marzo 1967), nella traduzione ancora inedita di Massimo Acciai Baggiani per la quale ho fatto da beta reader. L’autore è uno dei padri fondatori, con Zamenhof, dell’esperanto, questa lingua artificiale che quando ero ragazzo si sperava potesse un giorno divenire un veicolo di comunicazione internazionale. Sebbene i cultori nel mondo siano ancora assai numerosi, l’esperanto non è riuscito a soppiantare l’inglese, che è andato sostituendo il francese nelle relazioni internazionali e altre lingue paiono oggi avere maggiori chance di divenire strumenti di comunicazione globale.

Importante rimane però il messaggio di pace e solidarietà internazionale veicolato dai cultori dell’esperanto, che fortemente caratterizza anche questo romanzo che risale al 1937. Il verde cui allude il titolo è quello del simbolo degli esperantisti: la stella verde.

La narrazione riguarda l’incontro e l’amicizia in un campo di prigionia di persone provenienti da svariate nazioni, alcuni persino militari, che ritrovano in un corso di esperanto l’occasione per fare amicizia e scoprirsi tutti fratelli, tutti membri di un’umanità per la quale il colore della pelle, le ideologie politiche o religiose non sono un ostacolo, soprattutto quando una lingua comune e neutrale viene a mediare i loro rapporti e a consentire il dialogo.

Oltre al disagio della prigionia questo gruppo di “amici sconosciuti” dovrà affrontare anche l’orrore della guerra che strapperà via alcuni di loro, ma non lederà lo spirito di comunanza che li unisce.

I dialoghi e le ambientazioni sanno molto di “Europa dell’Est” anche se doveva ancora essere creata la cortina di ferro ed eretto il muro di Berlino. Il peso di due Guerre Mondiali, una non ancora dimenticata e

un’altra incipiente, si fa sentire amaramente.

Il testo originale, scritto soprattutto come opera di divulgazione dell’esperanto, si presenta assai semplice nel linguaggio e abbonda di ripetizioni di termini, proprio per renderlo più accessibile a chi approccia da poco la lingua. Massimo Acciai Baggiani, samideano[1] esperto ed appassionato di lingue artificiali, oltre che autore lui stesso, ne ha predisposto una traduzione che rispetta lo spirito dell’opera originale. Attendiamo quindi, grazie alla sua opera, di poter presto leggere anche in italiano questo classico dell’esperanto.


[1] Compagno esperantista, letteralmente “qualcuno che ha la stessa idea”.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: