SENZA… ESITAZIONE
È sempre un piacere scoprire un nuovo autore di talento nel grande mare di nuovi scrittori che popola il web.
Quando la lettura procede spedita e gradevole è già un bel risultato e se si riesce a chiudere il libro senza il rimpianto per averlo cominciato è sempre un bel risultato, segno che l’autore in qualche modo con le parole ci sa fare e che è capace di raccontare una storia che ci trascina e ci porta con sé.
Questo è senza dubbio il caso di “Senza ritorno”, il primo romanzo pubblicato da Stefano Cafaggi (Robin Edizioni), genovese classe 1970, trapiantato a Milano.
Il volume è stato inserito nella collana “I luoghi del delitto”, a testimoniare il genere cui dovrebbe appartenere: un giallo d’ambientazione. Pur essendo una lettura piacevole, per fortuna (dato che non amo molto il genere), mi pare che questa storia appartenga poco alla categoria.
Il luogo del delitto è Milano e ogni tanto la città compare
come sfondo alle vicende, ma credo che se l’ambientazione fosse stata in un’altra città, poco sarebbe cambiato. Quanto ad essere un giallo, anche qui ho qualche dubbio, dato che il delitto c’è ma l’omicida è, per il lettore, quasi certo fin dall’inizio, e, semplicemente, non si trova. A svolgere le indagini è il principale sospettato, che non somiglia certo a Sherlock Holmes e neppure al Tenente Colombo, ma è piuttosto un uomo allo sbando che in quest’indagine un po’ casuale ritrova il senso della propria vita, l’amicizia e, forse, persino l’amore, che gli era stato strappato tempo prima.
Più che di un giallo si tratta della storia di un uomo che sta ricostruendo la propria vita, grazie al forte stimolo del delitto in cui si è trovato incautamente e involontariamente invischiato.
A fargli compagnia ci sono un corpulento negro filosofo, un dongiovanni soprannominato Il Vampiro e un cane dalla lingua inquieta. Un simpatico gruppetto cui si contrappongo antagonisti altrettanto ben delineati. E la simpatia in queste pagine non manca, è questa a piegarci più volte al sorriso, a rendere più leggere queste 212 pagine.
Insomma, un libro da leggere, senza… esitazione.
STRANE ASSOCIAZIONI
Leggere il libro di poesie di Francesco Brunetti “Strane idee” (Edizioni Liberodiscrivere) subito dopo i racconti di Lovecraft (“Il Guardiano dei Sogni”), come è capitato a me, fa uno strano effetto. Sebbene siano scritture assai diverse l’una dall’altra, per un attimo mi è quasi parso di continuare a leggere lo stesso libro, non per nulla il sottotitolo di “Strane idee” è “sull’inizio e sulle cose del mondo”. Le prime pagine ci parlano infatti addirittura della creazione del mondo. Se Lovecraft ci descrive mondi antichissimi, fantasiosi e oscuri, quando Brunetti esordisce con le parole “Al principio era il buio e il buio non conosceva la luce e quando esplose la luce solo triliardi di fotoni ne furono testimoni” mi è parso davvero di essere ancora sospeso tra i Ghoul, i Ghast e gli Shantak degli universi di lovecraftiana invenzione.
Appare però subito evidente che il mondo di sogno creato da Brunetti sia cosa assai diversa, in cui la luce ha un suo ruolo anche se “Il buio e la luce non si conobbero fino a quando non nacque la prima ombra, figlia di un pensiero così denso da separare il buio dalla luce”.
Se la Bibbia c’insegna un certo ordine nella Creazione, Brunetti un poco l’ignora ed ecco che dal caos primevo emerge non un uomo, ma una donna, anzi una donna-bambina che “cantava, rideva e profumava facendo una strana mossa col fianco, la camicetta sbottonata sul davanti come per gioco”. È nato dunque un mondo in cui domina lo spirito femminino e
Francesco Brunetti ci trascina non trai cupi mostri infernali di Lovecraft ma in un arioso vorticare di versi e frasi, di luci e immagini, immagini che nascono dai versi ma anche immagini che nascono dall’esperta mano di Guido De Marchi (che è anche uno degli ottimi illustratori della galery novel “Il Settimo Plenilunio”, edita da Liberodiscrivere) i cui disegni accompagnano con maestria lo sviluppo del volume, descrivendo il nascere di questo universo, il femminile e il maschile che si avvicinano e scoprono assieme il mondo, un mondo in cui l’amore è importante e si esprime anche in “due occhi che non ci appartengono o che non ci appartengono più perché abbiamo dimenticato di nutrirli d’amore”.
Ma ecco che nel procedere con la lettura ritrovo passaggi che, inevitabilmente, mi riportano alla precedente lettura, anche se parlano di luoghi reali:
“Al porto fantastico di Valparaiso
scarichiamo una stiva
con datteri e sabbia dorata del Nilo,
piramidi e sfingi
e Zahi Hauass.
Vendiamo la storia su metri di stoffa
pregiata,
i conquistadores e il grande Atahualpa…”.
La poesia che ho amato di più è stato il bel ritratto di Lola “ballerina di flamenco, scuola di danza mai iniziata, cominciò prima la vita” con quella sua rabbiosa vitalità tradita.
Accoppiata efficace, dunque, questa di Brunetti e De Marchi, che già avevo gustato nel loro “L’ombra del verso”, sempre edita da Liberodiscrivere, una delle più vivaci case editrici italiane).
IL DIO DEI RACCONTI DI LITTERIO
Nel leggere la snella raccolta di racconti intitolata “Il Dio del jazz è nato in Alabama”, innanzitutto mi coglie un dubbio: l’autore si chiama Natalfrancesco Litterio, ma qual è il nome e quale il cognome? Si accettano ipotesi.
Dopo aver rinunciato a chiarire il quesito, mi sono lasciato trascinare dai nove racconti che compongono questo volumetto di 54 pagine edito da Runde Taarn, susseguendosi con allegra e fresca leggerezza, quasi al ritmo di qualche canzone, come suggerirebbe il titolo di uno di questi, ripreso come titolo del volume.
Parlare di ciascun racconto comporterebbe di scrivere un commento forse più lungo del libro stesso, ma vorrei lasciare qualche veloce pennellata per rendere l’idea di ciascuno, perché parlare di una silloge nel suo complesso rischia di farci rimanere sul generico.
Eccoli qua:
- Diario di un aspirante suicida: la storia e le riflessioni di un pazzo intelligente in manicomio.
- Eclissi: un racconto pungente sulla potenza dell’amore, che sfida anche la morte.
- Il Dio del Jazz è nato in Alabama: una storia densa e forte che ricorda la letteratura americana di un secolo fa, mostrandoci una delle facce del dolore. In effetti, il racconto migliore, per me.
- La lunga notte della maratona elettorale: le contraddizioni di questa nostra Italia “divisa a metà”.
- Le anime perse di Villa Borghese: un occhio attento (e particolare) su un piccolo spaccato di umanità.
- Per una lacrima: una strana, esile, favola sulle emozioni.
- Racconto d’inverno: un quadretto circolare, in cui tutto sembra cristallizzato.
- Storiella amorale: disquisizioni un po’ strambe e un po’ filosofiche di tre folletti dai nomi allusivi. Quello che mi ha convinto meno.
- La cattiva strada: la bella storia di un amore mancato.
Insomma, un’oretta di piacevole lettura. Aspettiamo ora l’autore alla prova con un romanzo, dove mi sembra che potrebbe dar buona prova di sé.