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ADDIO ALLE BRACCIA AMATE

Copertina dell’edizione italiana del romanzo Addio alle armi di Ernest Hemingway, primo numero della collana Oscar Mondadori

Mi sto riconciliando con Ernest Hemingway, dopo i dissapori di gioventù. Quando lo lessi per la prima volta, molti anni fa, da ragazzo, non mi piacque o, forse, sarebbe più giusto dire, mi lasciò indifferente.

L’ho scoperto in tempi più recenti, apprezzando “Il vecchio e il mare”. Torno ora a leggerlo in una delle sue opere più importanti, “Addio alle armi” (1929 – “Farewell to Arms”, che si potrebbe anche tradurre come “Addio alle braccia” dell’amata). Si tratta, in sintesi, di un romanzo di amore e guerra ambientato durante il primo conflitto mondiale in Italia e vede come protagonista un ufficiale americano che collabora con gli italiani guidando un reparto medico ma che a seguito della disfatta di Caporetto diserta.

Leggendolo mi tornava sempre in mente il romanzo “Memories of a desert rat” (1996) scritto dal mio prozio Adrian Jucker. Questo per due motivi. Il primo è che entrambi scrivono di un anglosassone (americano Hemingway, inglese Jucker) che combatte in Italia (per Hemingway nella Prima Guerra Mondiale, per Jucker nella Seconda). Il secondo e più importante motivo è che in entrambi i libri ho avuto la sensazione come se la guerra fosse tutto sommato solo una parte marginale della vita di questi ufficiali al fronte, che, per l’appunto, continuavano a vivere, preoccupandosi di mangiare e bere bene, di incontrare donne, facendo amicizia e innamorandosi. Oggi tendiamo a dipingere le guerre come qualcosa di cupo e drammatico, ma sebbene Hemingway dichiari, persino nella prefazione, di essere contro la guerra, e sebbene il suo protagonista alla fine diserti, non mi ha fatto percepire in alcun modo il vero orrore del conflitto. Non per nulla in Europa ci si apprestava a combattere un’altra terribile guerra a pochi anni dalla fine della prima. Non era, io credo, ancora maturo nel mondo un autentico spirito anti-bellico, come abbiamo conosciuto nei decenni successivi al 1945. Spirito di cui mi pare ci stiamo ormai già dimenticando.

Per questo stesso secondo motivo, mi viene da pensare anche a “Guerra e Pace” (1869) di Lev Tolstoj: anche leggendo questo romanzo ho visto molta poca guerra, soprattutto nella prima parte! Penso allora a tanti film di guerra del secolo scorso e persino a certa fantascienza recente in cui non si fa altro che combattere o in cui si vede davvero molto più orrore che non in queste opere.

Il protagonista di “Addio alle armi”, Frederic Henry, dopo aver disertato ed essere fuggito ai carabinieri con un tuffo rocambolesco, fugge in Svizzera con la sua amata inglese, ma lì dovrà dire addio oltre che alle armi anche alle…. braccia di Catherine.

Lettura, oltre che importante, in ogni caso piacevole. Credo che proverò ad approfondire la mia conoscenza con questo americano, che mi era parso solo un tipo un po’ troppo amante della caccia, del bere e della bella vita, ma che, pare, abbia qualche cartuccia da sparare.

TUTTO IL CALCIO, GIORNATA PER GIORNATA

Ed eccomi alla terza lettura di un libro di Michele Ventrone. Il primo fu la raccolta “Racconti di eroi di vita”. Il secondo, come questo di cui sto per scrivere, era invece una storia del calcio, della nostra nazionale: “Azzurro come il cielo”.

Con “Per lo scudetto sul petto”, questo giovane autore di Maddaloni ci racconta il campionato di calcio italiano dai suoi esordi a quello della passata stagione 2019-20, il “campionato del covid-19”.

Si tratta di un grande lavoro, frutto di notevole meticolosità nella ricostruzione storica.

Le prime cento pagine sono dedicate ai campionati del passato, cui l’autore dedica da mezza pagina a un paio di pagine per ciascun anno calcistico, in un lento crescendo di numero di righe man mano che ci sia avvicina al presente. La seconda parte, ancora più dettagliata e tutta per l’ultimo campionato concluso, raccontato giornata per giornata, per altre duecento pagine.

Complimentandomi per il grande impegno di Michele Ventrone nel realizzare quest’opera la consiglio, come la precedente, agli appassionati del calcio italiano, come manuale da tenere vicino, per rispolverare la memoria e lanciarsi, più documentati, in nuove appassionate discussioni con gli amici.

I LOVE SHOPPING CON OMICIDIO

In punta di sangue - Francesca Tofanari - Libro - Navicellai - | IBS

Ho appena finito di leggere il giallo al femminileIn punta di sangue” (Novembre 2019) della fiorentina Francesca Tofanari, di cui avevo già letto un altro volume, scritto assieme a Matteo Poggi e Loriano Stagi, assai diverso da questo: “Sassaiole e Capirotti”, una sorta di saggio storico o memoria del passato intorno al quartiere fiorentino di San Frediano.

“In punta di sangue” è invece una detective story che mescola “I Love shopping” con “Sex and the city”, tingendoli di italianità. Ci narra di un mistero, che partendo dal ritrovamento di una borsa di marca, porta a omicidi, lotte per la sopravvivenza di una compagnia di danza, con tutte le complicazioni sociali che girano all’interno di una simile comunità.

È anche la storia di un’amicizia tra donne, uno spaccato sociale su una piccola borghesia moderna, una riflessione leggera sulla vita contemporanea.

Una sorpresa rispetto alla precedente lettura.

Gli autori - Francesca Tofanari - Navicellai

LA FORTUNA ARRIDE ALLE BELLE INVESTIGATRICI

Fiamma e ombra - Emiliano Mecati - Alessio Seganti - - Libro - Solfanelli -  Pandora | IBS

Di Alessio Seganti ed Emiliano Mecati avevo già letto e apprezzato un romanzo di fantascienza dal titolo “Karma avverso” (Tabula Fati, 10/10/2018).

Alla coppia si è ora aggiunto Federico Marangoni per realizzare un’opera di genere assai diverso: un giallo storico, intitolato “Fiamma e ombra” (Solfanelli, Settembre 2020).

Eppure, i due romanzi hanno qualcosa in comune: una giovane, bella ed eroica protagonista e un’indagine. Anche questo personaggio, come la protagonista di “Karma avverso” pare essere particolarmente amata dalla Fortuna.

L’ambientazione è emiliana (il sottotitolo suona “Un intrigo bolognese”), nell’anno 1390 e si snoda attorno all’edificazione della grande cattedrale “popolare” di San Petronio, voluta dalla gente della città ma avversata dalla Chiesa di Roma.

La giovane Lucia Fiamma è una ragazza un po’ fuori dal suo tempo, figlia del professore di diritto Domenico Fiamma (che conduce l’indagine attorno a un misterioso incendio e a un furto), è quanto mai colta in varie discipline, atletica e spregiudicata e anche il padre appare di larghe vedute nel tollerare i suoi amori vedovili (Lucia ha perso in giovane età il marito) con il proprio studente provenzale Bertram, abile spadaccino. Il terzetto si destreggia tra intrighi e misteri, mettendo a repentaglio le loro stesse vite.

Un romanzo avvincente, intenso, ben scritto, che conferma la solidità narrativa di questa coppia di scrittori ora mutata in terzetto, con felice esito. L’esperienza storica di Marangoni ha certo contribuito positivamente al risultato.

Che altra sorpresa avremo da questi autori in futuro? Quale altra firma si aggiungerà alle loro e quale genere letterario vorranno esplorare? Visto i precedenti, non posso che attendere con curiosità le novità in arrivo.

Bologna Italy San Petronio from Asinelli.jpg

CHI STA UCCIDENDO I TASSISTI DI FIRENZE?

Fabrizio De Sanctis
Fabrizio De Sanctis (uno degli autori del GSF – Gruppo Scrittori Firenze)

Uno dopo l’altro i tassisti di Firenze vengono uccisi. Stessa arma, una Calibro 22, stesso giorno della settimana, il venerdì. A volte, però, il serial killer si prende delle libertà e ammazza anche una prostituta e un travestito e colpisce in altri giorni. La polizia indaga. Questa, in sintesi, la trama del romanzo di Fabrizio De SanctisUna vendetta quasi perfetta” (Libromania, 2017).

Perché l’ho letto? Perché in molti mi avevano detto quanto De Sanctis scriva bene e ne avevo avuto piena conferma leggendo dei suoi racconti. Solo che Fabrizio De Sanctis scrive soprattutto gialli e di dimensioni notevoli (questo con le sue oltre 300 pagine è uno dei più brevi) e io non amo i gialli! Se uno scrive bene, però, i suoi libri vanno letti lo stesso, anche se il genere non ci convince.

In effetti, “Una vendetta quasi perfetta” scorre proprio alla grande e si legge con piacere, grazie a uno

Una vendetta quasi perfetta di Fabrizio De Sanctis | Libri | DeA Planeta  Libri

sviluppo dell’indagine che rivela poco per volta, prima pare andare in una direzione per poi scoprire altre possibilità. Inoltre, il colpevole non appare solo all’ultimo, senza una ragione, come in opere meno riuscite di altri, e i personaggi hanno il loro spessore e il loro perché. Insomma, un bel libro, intenso, con dialoghi efficaci e realistici.

Considerate che se c’è una cosa che mi piace poco leggere, oltre ai gialli in genere, sono le detective story con poliziotti o carabinieri e qui. ci sono entrambi, eppure la buona scrittura di Fabrizio De Sanctis mi fa passare sopra questa mia allergia. Sarà, perché pur inserendo la storia in una precisa ambientazione fiorentina (di cui ritrovo luoghi e atmosfere), non indulge a creare macchiette o a toni strapaesani. Buon segno, no?

L’ITALIA DIVISA

Storia, memoria e ucronie: intervista a Michele Rocchetta | Tropismi
Michele Rocchetta (1967)

Con l’ucronia “L’ombra del Duce” (Edizioni Epoke, 2016) Michele Rocchetta immagina un’Italia uscita divisa dalla Seconda Guerra Mondiale tra una Repubblica dell’Alta Italia e un Regno del Sud Italia in mano ai Savoia. Una guerra conclusasi prima del tempo con la morte di Hitler e che non ha visto ancora le bombe atomiche, minaccia che però ora incombe sul mondo pacificato. Il Duce è ancora vivo, ma per poco, perché il nostro protagonista lo uccide nelle prime pagine, eppure la sua “ombra” continua ad allungarsi. In questa spy story ucronica l’alleanza tra Francia e Repubblica dell’Alta Italia è minata da un misterioso complotto e gli agenti dei servizi segreti delle due repubbliche stanno facendo delle brutte fini. L’Europa non ha tentato di unirsi con la CEE e le altre comunità e una nuova guerra sembra alle porte in un continente quanto mai diviso.

Nella vicenda compaiono personaggi allostorici come un John Kennedy militare che collabora con l’intelligence, un alternativo Salvatore Giuliano, un Mitterand a capo dei servizi segreti, Kissinger che si dà da fare nella gestione dei rapporti internazionali.

Come nel celeberrimo “La svastica sul sole” di Dick, Michele Rocchetta immagina un romanzo che descriva un mondo in cui la Seconda Guerra Mondiale abbia avuto un altro esito e a scriverlo mette nientemeno che il re della fantascienza: Isaac Asimov.

L’idea di un diverso svolgimento della Seconda Guerra Mondiale credo sia la più sfruttata dalla fantascienza sia internazionale che nazionale, con “Fatherland” di Harris, “Il complotto contro l’America” di Roth, il film “Iron Sky” di Vuorensola, l’immaginifica saga fantascientifica “Invasione” di Turtledove e il suo sequel “Colonizzazione”, i nostri “Nero italiano” di Stocco, “L’inattesa piega degli eventi” di Brizzi, “Il 9 maggio” di

L'ombra del duce: Amazon.it: Rocchetta, Michele: Libri

Prosperi, ma ogni autore immagina diversi sviluppi e nuove trame, perché, come l’ucronia insegna, la Storia non è una sola, le strade che avrebbe potuto imboccare sono infinite e molte quelle che potrà prendere in futuro. Il destino non esiste. Se anche non possiamo più mutare il passato, tocca a ciascuno di noi contribuire a costruire il futuro nel modo migliore possibile.

Anche “L’ombra del Duce” porta implicitamente con sé questi insegnamenti, ma va letto soprattutto come una bell’avventura di spionaggio in uno stimolante mondo alternativo, che avrebbe anche potuto essere il nostro.

ILLUSIONI D’AMOR SENILE

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Andrea Carraresi

Il commercialista” (Florence Art Edizioni, 2008) di Piero Andrea Carraresi (“padre d’arte” di Barbara Carraresi), ci parla di un professionista sessantenne, che insoddisfatto della propria esistenza, ricerca e trova l’amore attraverso una creola di notevole bellezza. Solo che questa storia sarà l’inizio di una serie di avventure e disavventure per il nostro commercialista Carlo Tiravanti (nome emblematico di chi ha portato avanti un’esistenza con poche vere soddisfazioni) nella fantomatica isola di Baku, governata dalla dittatura dell’altrettanto fantomatico Stroka.

La vicenda sebbene fantasiosa è piuttosto plausibile: un ricco italiano che casca in una truffa grazie al fascino di una bella donna. Gli sviluppi sono però più articolati di tante storie simili di cui si sente dire nella realtà, con il coinvolgimento della malavita organizzata internazionale.

Carlo lascia la moglie, spende molti soldi per la sua amata Dise e rischia di perdere anche l’affetto delle figlie. Nel Il commercialista di Piero Andrea Carraresifrattempo, anche il complicato rapporto di amicizia con un concorrente subisce gravi e letali sviluppi.

Da tutta la vicenda il protagonista uscirà forse più maturo, recuperando gli affetti familiari e rendendosi finalmente conto che quando gli anni passano, non basta l’illusione di un amore a riportare indietro il calendario.

Il romanzo è anche occasione per lanciare alcune frecciatine contro alcuni usi e situazioni politiche italiane, che portano i loro effetti persino nella lontana Baku.

Le peripezie del commercialista sono coinvolgenti e si seguono con interesse e curiosità. La scrittura è pulita e precisa e accompagna il lettore in una lettura piacevole e intrigante.

 

IL DUCE NON È MORTO

Risultato immagini per il 9 maggio Prosperi"Pierfrancesco Prosperi è lo scrittore italiano di fantascienza & affini di più lungo corso (insieme a Renato Pestriniero, che però è di una generazione precedente) e maggior produzione con all’attivo centinaia di racconti e dozzine di romanzi, uno dei rari autori inoltre in cui la quantità non va a detrimento  della qualità, difficile che si trovi una storia mediocre o con idee banali” scrive all’inizio della postfazione de “Il 9 Maggio” Gianfranco de Turris, uno che di fantascienza se ne intende e ne scrive da anni.

Prosperi non è solo uno dei maggiori autori di fantascienza italiani, è anche uno dei pochi autori importanti di ucronie (tra le più celebri “Garibaldi a Gettysburg”).

Il 9 Maggio” (pubblicato a ottobre 2019 da Homo Scrivens) è, appunto, un esempio di storia alternativa. Il sottotitolo è molto esplicativo “Cosa sarebbe successo se Hitler fosse morto a Firenze nel 1938?”. Prosperi sovrappone alla visita effettivamente effettuata dal Führer in alcune città italiane, tra cui Firenze, l’organizzazione di un immaginario attentato alla sua vita.

Agli eventi del 1938 si alternano altri di anni successivi, in particolare il 1969, in cui vediamo che l’attentato ha avuto successo, Mussolini si è salvato e Hitler è morto. Ne consegue che non abbiamo la Seconda Guerra Mondiale e il fascismo in Italia non è abbattuto. Mussolini, quindi, ne rimane il leader fino alla morte.

La mia visione della storia e dell’ucronia mi porta a pensare che ogni piccola variazione porti dietro effetti crescenti. Anche Prosperi afferma qualcosa del genere in questo stesso libro, ma il mondo che descrive è più simile al nostro di quanto forse lo avrei dipinto io, immaginando la morte del dittatore tedesco e l’assenza di una guerra devastante come la Seconda.

Risultato immagini per Pierfrancesco Prosperi"

Pierfrancesco Prosperi

Non avrei, insomma, immaginato che alcuni politici e giornalisti avrebbero seguito le medesime carriere e professioni. La scelta di Prosperi è, però, io credo, volutamente ironica. Ci mostra infatti Fanfani e Andreotti militare nel Partito Fascista e persino Bocca e Scalfari inneggiare ai meriti del Duce! Qui credo, insomma, che l’intento satirico e il voler mostrare quanto la nostra politica possa essere “voltagabbana” sia prevalso sul desiderio della plausibilità storica e non posso che apprezzare la scelta, che ci rende così un romanzo che non solo fa riflettere (come sempre dovrebbe fare l’ucronia, che ci mostra la fragilità della storia e le sue infinite possibilità), ma anche sorridere.

La trama, già di per sé articolata, con i diversi piani temporali, si presenta per nulla scontata, con un colpo di scena suggestivo.

La ricostruzione di un Italia fascista non è una novità, si pensi a “Nero italiano” di Giampiero Stocco o “L’inattesa piega degli eventi” di Enrico Brizzi e il periodo storico è quello più sfruttato dal genere allostorico (oltre che dallo stesso Prosperi, che ha di recente pubblicato, tra le altre cose, “Il Processo numero 13”), basti pensare al celeberrimo “La svastica sul sole” di Dick, a “Fatherland” di Harris o anche alle saghe “Invasione” e “Colonizzazione” di Turtledove, agli ironici film “Iron sky” e “I fascisti su Marte” di Corrado Guzzanti e Igor Skofic, a “Bastardi senza gloria” di Tarantino. Prosperi riesce, però a fare una ricostruzione originale e a imbastirci sopra una narrazione coinvolgente, con dei personaggi che si fanno ricordare.

Il mondo che ne vien fuori ha i soliti difetti del nostro e non è poi tanto peggio. Non è, insomma, occasione per immaginare una distopia, ma neppure un’utopia e in questo si sente che il distacco da quegli anni è ormai grande, rispetto a quando ne scriveva Dick (1962) ed era impellente mostrare la differenza tra il presente e il passato.

L’idea sembra essere che Mussolini, senza Hitler, avrebbe fatto assai meno danni di come è stato.

Hitler a Firenze – Fotomontaggio di Lapeira

GLI ABATI, UNA FAMIGLIA DIMENTICATA

GLI ABATI DI ANTONELLA BAUSIÈ passato parecchio tempo da quando ho acquistato “Gli Abati”, il saggio scritto da Antonella Bausi e pubblicato da Porto Seguro Editore e ancora non ero riuscito a leggerlo, sommerso come sempre da centinaia di letture.

Ho approfittato delle ultime vacanze per farlo ed è stata una piacevole e interessante scoperta.

Temo sia passato un po’ da quando ho letto l’ultimo saggio o romanzo storico sulla storia di Firenze. Credo che le ultime cose furono la biografia romanzata di Michelangelo di Irving Stone “Il tormento e l’estasi” e la telenovela “I Medici” di Matteo Strukul e il saggio “Ascesa e caduta di casa Medici” di Christopher Hibbert. Devo dire che “Gli Abati” mi ha forse interessato e coinvolto più di tutti e tre. Sarà perché Antonella Bausi è fiorentina e scrive della sua città con spirito toscano, senza gli scivoloni nella fantasia degli autori stranieri, sarà perché dei Medici e di Michelangelo ci pare ormai di sapere tutto e leggerne ci stupisce ormai poco, mentre della famiglia degli Abati sappiamo (o meglio “io” so) poco. Dunque, la lettura è stata tutta una piacevole scoperta. Si aggiunga a questo che lo scritto della Bausi, sebbene non realizzato da un addetto ai lavori, è un saggio e quindi poco indulge a ricostruzioni fantasiose che talora suonano artificiose.

Il sottotitolo è “La vera famiglia di Dante?” e certo serve a incuriosire il lettore. Pare, in effetti, che la madre del Sommo Poeta fosse proprio un Abati. Ma il volume, pur trattando l’argomento, non cerca tanto di dimostrare parentele dell’Alighieri con i più celebri membri del casato, quanto di far luce su una nobile e potente famiglia fiorentina, che essendosi schierata dalla parte sbagliata (i ghibellini) ha finito per essere discredita dai vincenti guelfi al punto che le tracce della sua storia hanno finito quasi per perdersi.

Antonella Bausi

Antonella Bausi

Il lavoro della Bausi è stato dunque di meticolosa ricostruzione e raccolta dei pochi documenti che ancora ne parlano e pur senza pretendere di farne una riabilitazione, ha rigorosamente cercato di ridare loro la dignità storica che si meritavano, per essere stata a lungo una delle famiglie più influenti di Firenze, ormai nota quasi solo per “Bocca degli Abati, il fellone di Montaperti, ricordato da Dante nel XXXII Canto dell’Inferno” al punto che la famiglia veniva definita nel suo insieme “una banda di infami”.

L’opera della Bausi è stata ardua anche perché “Le omonimie si riscontrano spesso e bisogna essere quanto mai prudenti nell’identificazione dei personaggi” e non mancano “numerose abbreviazioni dei nomi e dei titoli”, scritti talora con “grafia suscettibile di errori”, il tutto aggravato dalla “mancanza di censimenti ufficiali e di registri parrocchiali ben precisi” di quei tempi. Il fatto poi che molti membri della famiglia subirono l’esilio da Firenze nel 1303 ha contribuito a disperderne le tracce.

Erano anni intensi e affascinanti in cui era forte il “desiderio di sopraffazione che pervadeva l’animo dei fiorentini nei confronti dell’antica nobiltà di origine germanica. Ciò avveniva, perché rientrava nella politica espansionistica del Comune di Firenze” che cercava di rendersi “indipendente dall’Imperatore o dal Signore che lo rappresentava” e questo contribuisce a rendere la lettura interessante.

Perché Antonella Bausi affronta questa complessa impresa? Per una sorta di sfida con un amico, un moderno Abati, con cui era solita scherzare sul loro ruolo ai tempi della celebre battaglia di Montaperti. E già, parra strano a chi non è toscano, ma Fiorentini e Senesi ancora si bisticciano su una battaglia del 1260 e, talora, si chiedono da che parte fossero i loro antenati in quella contesa tra amici dell’imperatore e amici del papa, tra ghibellini e guelfi.

Leggendo, non ho potuto che interrogarmi su dove fossero i miei. Io non sono toscano, sebbene viva da un quarto di secolo a Firenze, ma qualcuno dei miei antenati fu certo parte di quello scontro ed era dal lato degli Abati, più ghibellino di loro, più filo-imperiale degli Uberti e degli altri ghibellini: Manfredi.

Ed ecco che questa lettura ancora una volta mi spinge a pensare che sia tempo che io scriva la storia di una famiglia che ha attraversato l’Europa per secoli: la mia. A dir il vero, ho cominciato, ma mi pare impresa improba e non so se arriverò mai in fondo. Certo se riuscirò a venirne a capo, un suo spazio nell’eventuale bibliografia potrà averlo anche “Gli Abati”.

Inferno: Girone dei Traditori: Dante e Bocca degli Abati. Divina Commedia. 1880

UNO STORICO FUORI DAL CORO

Quella strana coppia. L'ambiguo rapporto fra l'italiano Togliatti e il regime stalinistaHo conosciuto Mario Ragionieri durante uno dei Porto Seguro Show organizzati dalla nostra comune casa editrice in cui presentava il suo saggio “Quella strana coppia”, sottotitolo “L’ambiguo rapporto tra l’italiano Togliatti e il regime stalinista”.

Eravamo a fine 2017. Ricordo che l’editore Paolo Cammilli gli chiedeva “rivelaci la bomba dentro questo libro”, dato che se uno scrive un saggio del genere potresti aspettarti che contenga chissà quale rivelazione. Ragionieri, invece, proseguiva imperterrito a descrivere l’accurato lavoro sulle fonti da lui fatto, persino un po’ infastidito dalla domanda.

Acquistai il volume in un’occasione successiva, durante una presentazione presso l’Auditorium del Duomo, il 2 Dicembre 2017.

Ho impiegato un po’ prima di trovare il coraggio di leggerlo, spaventato dalla considerevole mole del tomo, con le sue 542 pagine.

Leggendolo ora in questo giugno 2019, sono piacevolmente colpito dalla grande serietà dell’autore che ha fatto un lavoro ampiamente documentato e quanto più possibile oggettivo, lascandosi andare solo di rado a considerazioni personali, a parte forse nelle conclusioni. Insomma, certo non un libro che vuole contenere qualche rivelazione “bomba” o fare uno scoop, ma un saggio accurato e meticoloso che cerca di ricostruire la figura de Il Migliore, anche detto Ercoli, ovvero il segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti e i suoi rapporti con Stalin e l’Unione Sovietica.

Dice Ragionieri (pag. 526): “L’intento che mi ero proposto in questo libro era quello di indagare sul tema a mio avviso ancora poco approfondito

Mario Ragionieri – Teatro del Duomo di Firenze – 2 Dicembre 2017 con in mano romanzo di Caterina Perrone

dell’intreccio tra stalinismo e PCI”.

Tra le rare valutazioni personali, evidenzio quando parlando delle considerazioni di Togliatti sul patto Ribbentrop – Molotov, Ragionieri sottolinea che:

lascia intendere che il nemico principale resta il nazismo, senza forse capire che i crimini commessi dai due regimi sono identici” (pag. 253).

Oppure quando scrive:

Questo è l’uomo nelle sue contraddizioni. Nasconderle, negarle e far finta di niente, renderlo un mito, considerarlo un padre della nostra Nazione, non serve a farlo apparire migliore (o, come era definito, il migliore).” (pag 188)

A parte queste e poche altre osservazioni, si stenta a capire la posizione di Ragionieri, che, con grande aplomb, si mantiene cronista distaccato e preciso, celando la propria posizione politica con dovuta professionalità.

Come si diceva solo nelle conclusioni appare più chiaro come Ragionieri la pensi su quelle vicende:

Per esempio si dice “profondamente convinto che il PCI ha seguito una via democratica perché era impossibile muoversi diversamente in Italia, ma conservando profondamente al suo interno una visione stalinista ben celata del pensiero” (pag. 525).

O più avanti (pag. 526) quando afferma “La liberazione dallo stalinismo non si può negare che ci sia stata, ma fino a quale punto e quale importanza ha avuto ed ha ancora l’eredità dello stalinismo in Italia sono domande che richiedono un ripensamento alla luce della documentazione a disposizione adesso e del profondo cambiamento dell’intero clima culturale dopo il crollo del regime sovietico e del mondo appoggiato su due poli”.

Ancor più si sbilancia a pagina 533: “l’eredità dello stalinismo rimane attiva e storicamente più pericolosa di quella nazista, perché nascondendosi dietro gli slogan di uguaglianza, libertà e fraternità, non ha fatto nascere quella istintiva repulsione che l’ideologia esclusiva della superiorità della razza ha provocato nella maggioranza della stessa presunta razza superiore”.

Il saggio non si limita a parlare di Togliatti, ma offre un ampio quadro sugli anni prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, su comunismo, nazismo e fascismo, sui rapporti internazionali tra i vari Paesi del mondo, su molti dei protagonisti di quel tempo, non poi così lontano, ma già tanto diverso dal nostro.

Chiude il volume un sorprendente documento del 1936, “L’appello del PCI ai fratelli in camicia nera”, firmato, tra gli altri, dallo stesso Togliatti, che vanta al suo interno perle come:

Popolo italiano!

Fascisti della vecchia guardia!

Giovani fascisti!

Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace e libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori, e vi diciamo:

lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma”.

Del resto Togliatti, come emerge da queste pagine, era personaggio da “compromessi storici” ante-litteram, ministro della Giustizia in un governo tripartito di democristiani, comunisti e socialisti, uomo che ricercava il consesso delle masse, oltre la loro precedente storia politica.

 

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