Ogni tanto rileggo qualche libro letto molti anni prima o addirittura durante l’infanzia, per vedere se mi restituisce sensazioni simili o per rinverdirne la memoria. È sempre una lettura nuova e diversa. Diverso è l’occhio e il modo di percepire le frasi. Di certo oggi mi interrogo sulla modalità di scrittura, aspetto che allora non mi interessava.
L’autore per eccellenza dei miei anni delle elementari fu Emilio Sàlgari (non costringetemi a chiamarlo Salgàri). Rileggo ora “Il corsaro nero” (1898), notando, come allora, la ricchezza delle sue descrizioni, sia dei dettagli (soprattutto fisici) dei personaggi, sia, in particolare dei luoghi, che descrive come se li avesse visitati (cosa che già da bambino sapevo non fosse vero).
La forza della narrativa di Salgari (Verona, 21 agosto 1862 – Torino, 25 aprile 1911), quella che te lo fa amare, io credo stia anche una questa ricchezza descrittiva che riguarda non solo immagini ma anche suoni e odori, navi, armi e piante, e che certo un moderno editor taccerebbe come digressioni o “spiegoni” che rallentano la trama. Rovistando trai ricordi d’infanzia, in effetti, credo che il mio sguardo a volte ci si attardasse ma altre volte vi scorresse veloce per precipitarsi verso le scene d’azione e i suoi dialoghi sanguigni. E anche in questi quante ripetizioni delle stesse idee! Eppure anche i grandi classici dell’antichità, da Omero in poi, erano scritti così. La ripetizione aiuta il lettore distratto, bambino o adulto che sia. È un difetto? Per un docente o un editor forse sì, ma per un lettore è un modo per calarsi con maggior facilità nella storia. Potenza narrativa, dunque è non difetto da autore di serie B. Una scrittura capace di raggiungere ogni cuore e ogni mente nella sua limpida immediatezza, ma che lo hanno condannato nel limbo della letteratura per l’infanzia.
Come autore apprezzo l’uso dei soprannomi per rendere facilmente ricordabili e identificabili i personaggi. Quanto è più facile memorizzare l’appellativo Corsaro Nero che non Emilio, conte di Roccabruna (o Roccanera), signore di Ventimiglia e di Valpenta.
Un “soprannome” non molto politicamente corretto è quello di Moko, sovente definito Negro, ma erano altri tempi e nessun intento di insulto si coglie in questo termine che oggi suona un po’ razzista verso il personaggio, che ha pari dignità rispetto al timoniere Morgan (personaggio storico reale) o agli altri compagni filibustieri come il biscaglino Carmaux o il tedesco Wan Stiller.
Certo tre fratelli che usano i colori per farsi identificare hanno scatenato l’ironia di certi fumetti che leggevo allora.
Un aspetto di questo romanzo che non ricordavo dalla lettura infantile è l’ambientazione storica. Mi sfuggiva, per esempio, che Emilio di Roccabruna, assieme ai suoi tre fratelli, avesse combattuto per il Ducato di Savoia durante la Guerra d’Olanda (1672-1678). Già! Siamo in anni, quando Salgari scrive, in cui il Paese è da poco unificato sotto la guida dei Savoia e questo pare quasi un tributo dovuto ai nostri reali.
Da qui si dipana tutta la trama: il malvagio duca fiammingo Wan Guld, uccide a tradimento il maggiore dei quattro fratelli di Ventimiglia. I tre superstiti cercheranno di vendicarlo. Moriranno però, per mano di Wan Guld, prima il Corsaro Verde e poi quello Rosso.
Il fratello superstite giura di uccidere l’assassino e tutta la sua parentela ma ha la sventura di innamorarsi proprio della figlia del nemico. Da qui nasce il grave conflitto interiore del Corsaro Nero. Sarà più forte l’odio o l’amore?
Altro aspetto affascinante, soprattutto per un bambino, io credo sia il ricorso a un linguaggio speciale, come quello marinaresco, ricco di termini che al mio orecchio di fanciullo suonavano quanto mai misteriosi ma che anche oggi hanno per me un significato vago. È lo stesso fascino di autori come Tolkien o la Rowling quando inventano i loro neologismi. Come ho sostenuto scrivendo i romanzi di Jacopo Flammer, non è indispensabile creare neologismi per avere lo stesso effetto fascinante: basta usare un gergo inconsueto.
Il romanzo è il primo di un ciclo, “I corsari delle Antille” composto di vari romanzi alcuni apocrifi, pubblicati dopo la morte:
- Il Corsaro Nero, 1898
- La regina dei Caraibi, 1901
- Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, 1905
- Il figlio del Corsaro Rosso, 1908
- Gli ultimi filibustieri, 1908.
E altri scritti da altri autori:
- Il Corsaro Rosso, 1941, di Americo Greco.
- Il Corsaro Verde, 1942, di Sandro Cassone.
- Le ultime imprese del Corsaro Nero, 1941, di Autore sconosciuto.
- La figlia del Corsaro Verde, 1941, di Renzo Chiarelli.