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LA VENDETTA DEL SIGNORE DI VENTIMIGLIA

Emilio Salgari

Ogni tanto rileggo qualche libro letto molti anni prima o addirittura durante l’infanzia, per vedere se mi restituisce sensazioni simili o per rinverdirne la memoria. È sempre una lettura nuova e diversa. Diverso è l’occhio e il modo di percepire le frasi. Di certo oggi mi interrogo sulla modalità di scrittura, aspetto che allora non mi interessava.

L’autore per eccellenza dei miei anni delle elementari fu Emilio Sàlgari (non costringetemi a chiamarlo Salgàri). Rileggo ora “Il corsaro nero” (1898), notando, come allora, la ricchezza delle sue descrizioni, sia dei dettagli (soprattutto fisici) dei personaggi, sia, in particolare dei luoghi, che descrive come se li avesse visitati (cosa che già da bambino sapevo non fosse vero).

La forza della narrativa di Salgari (Verona, 21 agosto 1862 – Torino, 25 aprile 1911), quella che te lo fa amare, io credo stia anche una questa ricchezza descrittiva che riguarda non solo immagini ma anche suoni e odori, navi, armi e piante, e che certo un moderno editor taccerebbe come digressioni o “spiegoni” che rallentano la trama. Rovistando trai ricordi d’infanzia, in effetti, credo che il mio sguardo a volte ci si attardasse ma altre volte vi scorresse veloce per precipitarsi verso le scene d’azione e i suoi dialoghi sanguigni. E anche in questi quante ripetizioni delle stesse idee! Eppure anche i grandi classici dell’antichità, da Omero in poi, erano scritti così. La ripetizione aiuta il lettore distratto, bambino o adulto che sia. È un difetto? Per un docente o un editor forse sì, ma per un lettore è un modo per calarsi con maggior facilità nella storia. Potenza narrativa, dunque è non difetto da autore di serie B. Una scrittura capace di raggiungere ogni cuore e ogni mente nella sua limpida immediatezza, ma che lo hanno condannato nel limbo della letteratura per l’infanzia.

Come autore apprezzo l’uso dei soprannomi per rendere facilmente ricordabili e identificabili i personaggi. Quanto è più facile memorizzare l’appellativo Corsaro Nero che non  Emilio, conte di Roccabruna (o Roccanera), signore di Ventimiglia e di Valpenta.

Un “soprannome” non molto politicamente corretto è quello di Moko, sovente definito Negro, ma erano altri tempi e nessun intento di insulto si coglie in questo termine che oggi suona un po’ razzista verso il personaggio, che ha pari dignità rispetto al timoniere Morgan (personaggio storico reale) o agli altri compagni filibustieri come il biscaglino Carmaux o il tedesco Wan Stiller.

Certo tre fratelli che usano i colori per farsi identificare hanno scatenato l’ironia di certi fumetti che leggevo allora.

Un aspetto di questo romanzo che non ricordavo dalla lettura infantile è l’ambientazione storica. Mi sfuggiva, per esempio, che Emilio di Roccabruna, assieme ai suoi tre fratelli, avesse combattuto per il Ducato di Savoia durante la Guerra d’Olanda (1672-1678). Già! Siamo in anni, quando Salgari scrive, in cui il Paese è da poco unificato sotto la guida dei Savoia e questo pare quasi un tributo dovuto ai nostri reali.

Da qui si dipana tutta la trama: il malvagio duca fiammingo Wan Guld, uccide a tradimento il maggiore dei quattro fratelli di Ventimiglia. I tre superstiti cercheranno di vendicarlo. Moriranno però, per mano di Wan Guld, prima il Corsaro Verde e poi quello Rosso.

Il fratello superstite giura di uccidere l’assassino e tutta la sua parentela ma ha la sventura di innamorarsi proprio della figlia del nemico. Da qui nasce il grave conflitto interiore del Corsaro Nero. Sarà più forte l’odio o l’amore?

Altro aspetto affascinante, soprattutto per un bambino, io credo sia il ricorso a un linguaggio speciale, come quello marinaresco, ricco di termini che al mio orecchio di fanciullo suonavano quanto mai misteriosi ma che anche oggi hanno per me un significato vago. È lo stesso fascino di autori come Tolkien o la Rowling quando inventano i loro neologismi. Come ho sostenuto scrivendo i romanzi di Jacopo Flammer, non è indispensabile creare neologismi per avere lo stesso effetto fascinante: basta usare un gergo inconsueto.

Il romanzo è il primo di un ciclo, “I corsari delle Antille” composto di vari romanzi alcuni apocrifi, pubblicati dopo la morte:

  • Il Corsaro Nero, 1898
  • La regina dei Caraibi, 1901
  • Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, 1905
  • Il figlio del Corsaro Rosso, 1908
  • Gli ultimi filibustieri, 1908.

E altri scritti da altri autori:

  • Il Corsaro Rosso, 1941, di Americo Greco.
  • Il Corsaro Verde, 1942, di Sandro Cassone.
  • Le ultime imprese del Corsaro Nero, 1941, di Autore sconosciuto.
  • La figlia del Corsaro Verde, 1941, di Renzo Chiarelli.

COMPUTER FELINI CHE GIOCANO CON L’UNIVERSO

Charles L. Harness

“Astronave senza tempo” (Firebird, 1981) di Charles L. Harness (Colorado City, 29 dicembre 1915 – North Newton, 20 settembre 2005)è un romanzo davvero originale.

Intanto, i protagonisti non sono umani ma una razza felina, come si intuisce sin dalle prime pagine ma se ne ha conferma solo alla fine, facendo venire in mente “Il pianeta delle scimmie”, ma, soprattutto, Harness immagina una civiltà in grado di preoccuparsi non solo delle sorti non di un pianeta o di una galassia ma addirittura dell’intero universo. Per certi aspetti si potrebbe definire un romanzo di fanta-teologia, per la presenza del Dio Bifronte, Control, formato da due supercomputer telepatici posti agli estremi dell’Universo, Largo e Czandra, capaci di condizionare non solo le decisioni degli esseri che popolano le galassie, ma il moto di queste e scegliere se lasciare che l’universo si espanda all’infinito o collida in un Big Crunch. Non è chiaro perché un computer debba ambire a vivere in eterno e controllare l’universo, ma questo è uno dei presupposti della storia. Per sopravvivere, Controllo gioca/ giocano con la fisica, la massa degli ammassi stellari, i buchi neri e lo spazio-tempo. In un universo in espansione potrà vivere in eterno mentre in uno che si contragga no.

Abbiamo persino un’inusuale scontro frontale tra due astronavi che viaggiano entrambe a velocità

prossime a quelle della luce, con fantasiose conseguenze fisiche, oltre a viaggi nel tempo grazie ad astronavi super-veloci e attraversamento di buchi neri.

La storia si rivela un loop temporale che cela in sé la soluzione di alcuni misteri. Se la coppia di supercomputer è una sorta di divinità, i suoi avversari non potevano che chiamarsi Diavoliti.

Forse alcuni presupposti fisici della storia possono apparire implausibili, ma hanno una loro razionalità e talora la fantascienza sconfina verso il fantasy e la favola come nel caso del misterioso filtro d’amore multifunzione.

UCCIDERE DIO

Ted Reynolds

Ted Reynolds (nato in Wisconsin nel 1938) è soprattutto un autore di racconti. A parte un romanzo breve, il suo solo romanzo è “Scontro finale”.

Nel giorno di Natale 2022 ho terminato la lettura di questa storia che narra di un’astronave in missione per uccidere Dio.

Romanzo, dunque, di fantareligione, che approfitta della narrazione di una tipica avventura spaziale verso destinazioni ignote per una critica alla religione e alla fede e una riflessione su Dio e il sovrannaturale. Opera che lascia comunque, inevitabilmente un finale aperto, soprattutto sulla natura del divino, su cosa siano il Bene e il Male e sull’arroganza (hybris avrebbero detto i Greci) dell’uomo che pretende di confrontarsi da pari con Dio, sia pure esso solo una possibile entità aliena.

Il romanzo è innanzitutto un viaggio, non solo attraverso lo spazio ma anche nella mente umana. Qual è il potere di Dio? Dove si ferma la nostra autodeterminazione? Che limiti ha il libero arbitrio? Dio è un’entità in grado di manipolare i nostri cervelli al punto di farci credere alla sua stessa divinità e onnipotenza? E come si può combattere un essere in grado di apparire onnipotente?

Insomma, uno di quei romanzi ricchi di interrogativi che fanno della fantascienza un genere letterario di grande profondità e che meriterebbe forse più di altri la definizione di speculative fiction.

Peccato non sia il capolavoro che con simili premesse avrebbe potuto essere, ma è certo opera che merita una lettura.

NOIOSI SUPEREROI INDUISTI

Roger Zelazny

Signore della luce” (1967) di Roger Zelazny (Euclid, 13 maggio 1937 – Santa Fe, 14 giugno 1995) pare sia un romanzo con un certo numero di fan che lo adorano. Il romanzo, del resto, ha vinto premi importanti come l’Hugo e la candidatura al Nebula. Lo definirei sicuramente un buon esempio di fantareligione ma non un buon romanzo, nella misura in cui mi ha annoiato discretamente e non mi ha preso per nulla, cose sufficienti a farmi dire che un romanzo non funziona.

L’idea di base è buona: un pianeta lontano in cui alcuni esseri (direi umani) si fanno passare per dei della religione induista (ma non manca Siddharta) e combattono tra loro. In particolare, ho trovato noiosi proprio questi duelli e i personaggi forse sono troppo numerosi per affezionarsi a qualcuno o anche solo per odiarlo adeguatamente. Forse poco caratterizzati, sebbene a volte paiano stereotipati come dei supereroi.

In un certo senso lo potremmo quasi considerare un fantasy orientale, un East Fantasy.

Peccato, perché Zelazny ha scritto anche “Io, immortale” che mi farebbe molto pensare al romanzo che ho appena finito di

scrivere e quindi sarei tentato di leggere, ma che con questo precedente non oso affrontare.

SOPRAVVIVERE NEL DESERTO

La città e il deserto” di Alan Barclay è uno di quei libri forse privo di troppi pregi ma che si legge con molto piacere. Sarà che le storie di sopravvivenza in situazioni estreme le trovo sempre affascinanti.

Immaginate un pianeta lontano, colonizzato ma poi abbandonato a se stesso: una sola città umana circondata dal deserto e da una civiltà aliena primitiva, impossibilitata a evolvere maggiormente per le scarse risorse che quel mondo offre loro.

Quale punizione per delinquenti e ribelli più semplice che l’esilio nel deserto? Quando però gli esiliati riescono a organizzarsi e a superare i pericoli di un ambiente ostile, alleandosi con gli alieni indigeni e creando macchine per attraversare i grandi spazi vuoti con quel poco (niente metalli) che il mondo offre, vi ho già raccontato l’essenziale di questa bella e godibilissima avventura. Non sarà una pietra miliare della letteratura ma è un romanzo da leggere e consigliare.

Buona lettura!

NOVE PENNE PER L’UCRAINA

Strani anni questi con cui è iniziato il decennio. Prima bloccati in casa per la pandemia, con l’economia in crisi per assenza di turismo, riduzione dei consumi, imprese chiuse, poi una guerra in Europa che sembra quasi sia la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ma purtroppo non è per nulla così, persino in Ucraina già si era combattuto, ma anche in Bosnia, Kosovo, Cecenia e questo evitando di considerare atti bellici i numerosi attentati di varia matrice. La differenza sono le parti in causa e chi le sostiene, che sommano agli orrori di chi la guerra la subisce con morti, feriti e devastazioni gli effetti inusitati sulle tasche degli italiani e degli altri europei, che si apprestano a patire un gelido inverno russo con bollette di energia e gas e spese per riscaldamento alle stelle.

Ho appena finito di leggere lo splendido saggio “Il declino della violenza” di Pinker che, giustamente, sostiene che questa si sia ridotta enormemente in tutte le sue manifestazioni, anche quella bellica. Tra le tante cose, però, notava (il volume fu pubblicato nel 2011) che la cosiddetta Lunga Pace in Europa non sarebbe potuta durare ancora a lungo (statisticamente e storicamente parlando) e che il momento in cui le guerre iniziano e quello in cui finiscono non sono prevedibili, ma anche se la tendenza verso la pace è sempre più forte, questo non c’avrebbe esonerato da un nuovo importante conflitto europeo. Tra le possibili aree di crisi accennava ai rapporti tra la Federazione Russa e gli stati dell’ex-URSS.

Ebbene, eccoci qua, nel mezzo di questa invasione russa dell’Ucraina i cui sviluppi ed esiti restano ancora misteriosi. La Russia, ossessionata dall’idea dell’accerchiamento NATO e dell’avanzata di questa e dell’Unione Europea su quelli che un tempo furono suoi territori, volenterosa di riportare sotto l’ala di Mosca zone popolate da numerosi russi, ha sferrato un attacco che, si presume, immaginasse veloce, ma la comunità internazionale ha reagito come non aveva fatto nel caso di altre sue azioni in Georgia, Cecenia e nella stessa Ucraina, creando una drammatica situazione di stallo da cui appare difficile uscire.

In questo clima uno dei più importanti autori di genere ucronico e fantascientifico italiani, Pierfrancesco Prosperi, dopo aver scritto un racconto ispirato a queste vicende, ha pensato bene di chiamare a sé alcuni amici perché dessero ciascuno il proprio contributo narrativo.

Realizza così il volume “SLAVA UKRAÏNI!” con l’esemplificativo sottotitolo “9 Penne contro l’Orco”: “Poi mi è venuta l’idea di allargare il tiro, coinvolgendo altre penne, fantascientifiche e no, in un’Ùantologia partita col titolo provvisorio PENNE CONTRO L’ORCO, tanto per essere chiari, e poi diventata SLAVA UKRAÏNI!, dal grido di battaglia novecentesco che in italiano suona “Gloria all’Ucraina!”. Sarebbe stata, chiaramente, un’antologia di parte; non che non si potessero criticare gli ucraini, per carità, ma doveva essere ben chiaro chi era l’aggressore e chi l’aggredito” scrive lo stesso Prosperi nella sua introduzione.

Gli autori sono Massimo Acciai Baggiani, Renato Campinoti, Mauro Caneschi, Alberto Costantini, Alberto Henriet, Carlo Menzinger di Preussenthal, Thomas M. Pitt, Pierfrancesco Prosperi ed Erica Tabacco. L’editore è Tabula Fati. Acciai, Campinoti, Menzinger e Prosperi sono tutti membri dell’associazione culturale Gruppo Scrittori Firenze e già hanno collaborato tra loro in altri progetti.

Apre l’antologia Alberto Costantini con il suo “Nata il 24 febbraio” che ci mostra un “futuro allucinato e distopico” attraverso il diario di una ragazza nata il giorno in cui è iniziata la guerra e che ora vive in un’Italia e in un Europa soggiogate e in perenne stato di guerra.

Ho avuto l’onore di essere uno degli autori di questa raccolta e il mio “Ucronie ucraine” è il secondo della serie. Amo spesso usare allitterazioni nei miei titoli e questa volta ci stava proprio bene dato che vi si racconta di uno scienziato ucraino, fervente patriota, che, nel 2222 cerca di liberare la sua patria dal bisecolare dominio russo con strampalati e sempre più sfortunati viaggi nel tempo che creano universi ucronici distopici fino a un ironico e surreale finale.

“Cuore di ghiaccio”, la “cinica e beffarda cronaca di Mauro Caneschi, intrisa di echi dickiani” (come scrive Prosperi) ci porta in un’estensione del conflitto che vede i russi avanzare in territorio polacco, in una strategia volta a “indurre i paesi alleati dell’Ucraina ad accogliere ondate gigantesche di profughi che ne piegavano la logistica e le risorse”, mentre “L’Ucraina era una distesa di macerie”.

A proposito del racconto del curatore, “Il mio processo come criminale di guerra”, lascerei la parola allo stesso Prosperi che così ne parla nell’introduzione “Ribaltando la situazione, ho immaginato che gli americani, occupata inopinatamente Mosca in un prossimo futuro grazie al solito virus, sottopongano a processo il Presidente e il governo russo per i crimini di guerra commessi durante l’invasione del confinante paese di Ukronia, ottenendo dalla difesa di questi personaggi risposte e argomentazioni surreali e non troppo dissimili da quelle usate nei mesi scorsi dalle fonti ufficiali moscovite”.

Il conflitto immaginato è quanto mai duro con “una serie di incendi di origine chiaramente dolosa” che “ha devastato il principale istituto di ricerca sulle armi biologiche ad Aralsk, scatenando un virus che in pochi giorni ha sterminato tra i dieci e i quindici milioni di persone tra bambini e adulti” e sebbene si svolga nel Paese immaginario di Ukronia, i riferimenti alla storia attuale sono evidenti. Quando il conflitto pare volgere a favore degli americani, tutto cambia a sorpresa.

Ne “La guerra di Aleksej” di Alberto Henriet, il conflitto si mescola con il sadismo di chi la combatte in prima persona. Come scrive l’autore, “Aleksej ha trentadue, ed è russo. Fa parte di un gruppo paramilitare di estrema destra di San Pietroburgo, il Rusich. Combatte come volontario nell’operazione militare speciale, lanciata da Putin in Ucraina il 24 febbraio 2022. È un ufficiale al comando di giovani soldati totalmente inesperti”. “Aleksej il lupo del Rusich, è un gran figlio di puttana. Non è un militare, ma una bestia sadica. Continua ad andare in quel fottuto capanno. Per torturare Viktor, il soldato gay di Kiev.”

Uno dei suoi militari dice “Col mio blindato, a volte Aleksej mi costringe a schiacciare auto di civili ucraini, uccidendoli senza una ragione militare apparente. Il loro unico torto è di trovarsi sulla mia traiettoria.”

In “Una cinica decisione” di Thomas M. Pitt gli alleati dell’Ucraina si interrogano su come sbloccare una situazione che pare ormai senza vie d’uscita.

La sola autrice donna del volume, Erica Tabacco, giustamente, dedica il proprio “Bersaglio numero 2” a un’immaginaria eroica First Lady ucraina, vittima di un drammatico attentato.

Massimo Acciai Baggiani nel suo “Osservatore”, che vede protagonista una bambina, fa intervenire nel conflitto un utopistico alieno, lanciando una speranza di pace.

Ecco poi, a chiudere il libro, un insolito Renato Campinoti in veste fantascientifica, che immagina in “Il passato non è mai morto” gli sviluppi del conflitto nel 2024 e i nuovi assetti politici del pianeta.

Insomma, un’immagine spesso drammatica e dura dei possibili sviluppi futuri di questo conflitto devastante, con racconti scritti con impegno, partecipazione ma non privi di ironia, perché anche nelle tragedie è lecito sorridere o fare della satira e questo non abbassa il tono di un messaggio politico forte di condanna di un conflitto che questo XXI secolo e quest’Europa (che pareva aver ormai imparato la lezione dopo due conflitti mondiali), non avrebbero mai dovuto vedere.

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LA NASCITA DEI MONDI DIVERGENTI DI DE FILIPPIS

Leggendo “Toba” (Lastaria Edizioni, 2021) di Bruno De Filippis (1953) avevo scoperto molti punti in comune tra la sua opera e le mie, in particolare l’idea ucronica di universi divergenti, in cui l’evoluzione e la storia umana abbiano preso corsi diversi. In “Toba” si parla di Terra 1, Terra 2, Terra 3 e Terra 4 per definire i mondi in cui si sono sviluppate alcune di queste linee temporali/ universi divergenti.

Incuriosito, sono dunque risalito alle origini della scrittura di De Filippis leggendo il suo primo romanzo “Cheronea” (Lastaria Edizioni, 2018) vi ritrovo non solo la medesima attenzione per gli eventi geologici (vulcani in “Toba”, terremoti in “Cheronea”) ma soprattutto il primo di questi mondi divergenti, Terra 2, un ambiente più evoluto e con diverse forme organizzative soprattutto per quanto concerne la famiglia e i matrimoni. In particolare, per esempio, immagina famiglie che definisce, coppia, doppia coppia, poker e tris a seconda di come siano combinate. In questo dimostra assai più fantasia, per esempio di Lois McMaster Bujold nel suo “Barrayar” e mi fa pensare alle differenze da me immaginate in “Via da Sparta”, anche se non si spinge alle fantasie di “Middlesex” di Jeffrey Eugenides o a immaginare i mutanti trisessuati di “Una favolosa tenebra informe” di Delany. Non posso poi non pensare  alla riflessione sul sesso libero, sulle limitazioni imposte alle sessualità dalla società e dalla struttura familiare, sulla libertà di andare in giro nudi (magari tatuati) che sembra anticipare la rivoluzione culturale del 1968, presente in “Straniero in terra straniera” di Robert Heinlein o ricordare, per le sessualità aliene, il mitico “Neanche gli Dei” di Isaac Asimov o “Il ritorno di Ender” di Orson Scott Card. Lo stesso Robert Heinlein, peraltro, descrivendo in “Lazzarus Long, l’immortale” un mondo futuro, cerca di mostrare soprattutto la differente morale di una società in cui il sesso sia libero (“La seconda nozione in ordine di assurdità è che l’accoppiamento sia peccaminoso in se stesso”), con famiglie allargate e serene, una nudità disinibita, liberi incesti, che molto mi fa pensare a questo “Cheronea”. Vorrei infine ricordare, in tema fantasessualità, “La mano sinistra delle tenebre” di Ursula Le Guin con la sua idea di un popolo in cui tutti sono nel corso della propria vita sia maschi che femmine, divenendo l’uno o l’altro solo in certi periodi.

Come mai De Filippis e altri autori si interrogano su formule familiari alternative? Io credo, che il calo

Bruno De Filippis

della natalità che porta a coppie con un solo figlio e a volte senza neppure quello, stia mettendo in crisi il concetto di matrimonio come istituzione. È bene interrogarsi su alternative. La morte della famiglia patriarcale, con tanti figli, fratelli, zii e cugini che, talora vivevano persino sotto lo stesso tetto o comunque a distanze ravvicinate è ormai morta. Non abbiamo più il supporto di vere famiglie estese. Spesso i pochi componenti delle famiglie moderne cambiano città o addirittura nazione, in una diaspora che crea solitudini e abbandoni. Le doppie coppie, i poker e le altre combinazioni suggerite dal gioco delle carte possono aiutarci a ritrovare una nuova dimensione solidaristica per la famiglia.

Non solo di questo parla “Cheronea”. Terra 2 è divisa in due diverse culture, dell’Est e dell’Ovest, diverse tra loro, soprattutto politicamente. Non mancano forme religiose alternative come una sorta di culto dell’evoluzione e dell’amore universale.

Ci sono persino strani mutanti, i cosiddetti animali doppi (gatto-topo, zanzara-ragno e così via) e persone prive di naso e orecchie, per effetto delle radiazioni.

Come in “Via da Sparta” con i Riti della Catarsi vengono uccise le persone di più di 55 anni, così in “Cheronea” per chi supera gli 80 o 81 anni (a seconda se viva all’Est o all’Ovest) l’eutanasia è la sola strada.

Tanti temi su cui riflettere!

Infine, un’ultima suggestione mi viene dal fiume che rappresenta una spaccatura dello spazio tempo, che mi ha richiamato alla mente “Il fiume della vita” di Philip Josè Farmer (con un misterioso fiume lungo cui sono disseminati uomini di ogni etnia ed epoca) ma anche “Il tempo è come un fiume” di Franco Piccinini.

Cheronea”, che può considerarsi un’ucronia con il suo punto di divergenza ai tempi dell’imperatore Commodo è, insomma, un romanzo intrigante, ricco di suggestioni e spunti di riflessione, che mi spinge ora a leggere anche il secondo romanzo di De Filippis!

AVANTI E INDIETRO NEL TEMPO

In “Tahu-Nui-A-Rangi. Il grande incendio del cielo” di Raffaele Formisano (Edizioni Mea, 2021) in un futuro non troppo lontano (2077) dominato dalle multinazionali, un gruppo di cyborg (biodroidi, ex-uomini) indaga su strani meteoriti di origine marziana, tra viaggi nel tempo (che ci portano nell’antico egizio, ad assistere ai viaggi al polo di Amudsen e in molte altre epoche), una pandemia di Morbo Egiziano che ricorda il nostro covid-19, e segreti familiari.

Molte sono le storie che si intrecciano a formare una trama fitta e articolata, che cela misteri che riguardano le origini della nostra civiltà. Un’occasione per riflettere sul futuro, i limiti, gli sviluppi e la morale della tecnologia, soprattutto quando ci rende meno umani.

Una storia che solletica la nostra paura dell’ignoto e ci spinge a porci domande sull’eticità delle scelte della nostra civiltà.

Il romanzo, nella produzione di questo autore, fa seguito ad altre due opere di carattere fantascientifico, “Il paradosso di Schrödinger” (2016) e “Progresso” (2018), ma come si legge in postfazione è in realtà il primo da lui scritto.

Ho condiviso con Formisano la partecipazione alla bella antologia multimediale “Soundscapes” (Edizioni Scudo, 2021) che contiene il suo racconto “Loop”, ispirato al brano “Chiaroscuri flowers” di Jagorart (Marco Besana), in cui il protagonista rimane intrappolato in un ciclo temporale chiuso in cui rivive sempre la stessa fase del suo viaggio in autostrada. Di nuovo, dunque, un interesse dell’autore per le anomalie temporali.

In realtà di Formisano avrei letto anche “Vitreo”, un romanzo collettivo firmato da Joshua Di Bello, dietro cui si cela il collettivo letterario Gruppo Nove, di cui Formisano è membro.

Raffaele Formisano

UN FANTASMA STORICO FUGGITO DALL’INFERNO DANTESCO

Il mistero di Branca Doria – Alessandra Casati

Nel IX cerchio dell’Inferno di Dante, in un grande lago ghiacciato i traditori degli ospiti scontano la loro pena, immersi nel ghiaccio, le loro lacrime gelano, impedendo ad altre lacrime di fluire e causando loro immensa sofferenza. Tra questi troviamo il nobile genovese, Brancaleone Doria, detto Branca. A lui Alessandra Casati dedica un intero romanzo “Il mistero di Branca Doria” (Porto Seguro, 2017), che lo vede protagonista. L’espediente narrativo è fantastico, in chiave quasi dantesca. L’autore si rivolge in seconda persona a un nostro contemporaneo che s’imbatte nel fantasma di Branca Doria. Lungi dal fuggirne via, intavola una discussione e il genovese gli

Alessandra Casati

racconta così la sua intera vita. Vita di scontri, battaglie, intrighi politici, violenza, ma anche di un uomo che difende e protegge una famiglia che, anno dopo anno, si accresce.

Il romanzo, molto ben documentato, ci rende un Branca Doria quanto mai vivido, una trama ricca di avventure ed eventi, che rendono la lettura piacevole.

La copertina realizzata dall’editore si nota per l’originalità in quanto non riporta alcun testo, a parte il nome della casa editrice, né il titolo, né il nome dell’autrice.

PSICOSFERA: un romanzo e un progetto di antologia cui aderire

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