Quando ho iniziato a leggere “Da animali a Dei” (2014) dello storico israeliano Yuval Noah Harari (Kiryat Ata,Israele 24/02/1976) non pensavo che questo saggio potesse aiutarmi ad approfondire il tema di cui ho parlato nel mio recente articolo “Sopravvivremo alla Sesta Estinzione di Massa?”
Il volume, invece, presenta alcuni capitoli assai importanti per comprendere che l’umanità non ha cominciato a danneggiare in modo grave l’intero pianeta solo negli ultimi 200 o 500 anni per effetto della rivoluzione industriale e dell’incremento demografico. Da questo saggio emerge con evidenza come persino gli antichi coltivatori-raccoglitori di epoca pre-agricola, vissuti cioè tra 70.000 e 15.000 anni fa, sono stati in grado di provocare l’estinzione di un grandissimo numero di specie, in particolare gli animali terrestri di grossa taglia, che furono sterminati in maniera quasi totale soprattutto nei continenti in cui l’homo sapiens si trasferì in modo pressoché improvviso, ovvero l’Australia e, ancor più, le due Americhe. Se in Africa ed Eurasia gli animali avevano imparato a temere, poco per volta, gli uomini man mano che questi miglioravano le proprie tecniche di caccia, nei continenti “nuovi” l’arrivo di questa scimmia dall’aria fragile non impensierì i grandi abitanti di quelle zone, che sottovalutarono il pericolo, lasciandosi avvicinare e uccidere con facilità dai cacciatori. L’abitudine a bruciare boschi e giungle per creare radure in cui fosse facile scorgere i predatori e cacciare piccoli animali, contribuì sin da allora a devastare interi eco-sistemi.
Un’altra osservazione interessante di questo libro è nel fatto che a estinguersi, presumibilmente per causa nostra, non furono solo altri “animali”, ma persino i nostri “fratelli” delle altre specie di homo. L’homo sapiens non è, infatti, l’evoluzione diretta dell’uomo di Neanderthal, dell’homo abilis, dell’homo erectus e di molte altre specie di homo ma ne è una sorta di “fratello” allo stesso modo in cui non discendiamo dagli scimpanzé attuali ma da un antenato comune. Il sapiens è divenuto una specie concorrente delle altre e come tale ha contribuito alla loro estinzione, vuoi predando e raccogliendo cibo negli stessi territori, facendo morire di fame i membri delle altre specie, vuoi, magari, compiendo autentici genocidi. Insomma, l’homo sapiens, ancor prima di diventare un essere tecnologico ha contribuito all’estinzione di un enorme numero di specie animali, compresi i suoi “fratelli” della famiglia biologica homo e a distruggere gli habitat di
molte altre specie animali e vegetali.
Altra osservazione affascinante di questo saggio è l’importanza della capacità di raccontare storie nel successo della nostra specie.
“È relativamente facile concordare sul fatto che solo l’Homo sapiens può parlare di cose che non esistono veramente, e di mettersi in testa cose impossibili appena sveglio. Non riuscireste mai a convincere una scimmietta a darvi una banana promettendole che nel paradiso delle scimmiette, dopo morta, avrà tutte le banane che vorrà.”
La capacità di inventare storie è stata la base della creazione di grandi gruppi organizzati:
“Ma la finzione ci ha consentito non solo di immaginare le cose, ma di farlo collettivamente. Possiamo intessere miti condivisi come quelli della storia biblica della creazione, quelli del Tempo del Sogno elaborati dagli aborigeni australiani e quelli nazionalisti degli stati moderni. Questi miti conferiscono ai Sapiens la capacità senza precedenti di cooperare tra grandi numeri di individui.”

Yuval Noah Harari (in ebraico: יובל נח הררי?; Kiryat Ata, 24 febbraio 1976) è uno storico, saggista e professore universitario israeliano. Nel 2012 è stato membro della Giovane Accademia israeliana delle scienze, insegna all’Università Ebraica di Gerusalemme ed è noto soprattutto per aver pubblicato nel 2014 il best seller Sapiens: A Brief History of Humankind.
“Come ha fatto l’Homo sapiens ad attraversare questa soglia critica, arrivando a fondare città con decine di migliaia di abitanti e poi imperi che governavano centinaia di milioni di persone? Il segreto sta probabilmente nella comparsa della finzione. Grandi numeri di estranei riescono a cooperare con successo attraverso la credenza in miti comuni.”
Questa nostra capacità di immaginare e rendere reali le cose, ci ha anche permesso di inventare categorie giuridiche e considerare quindi reali cose che non esistono nella realtà. Per esempio: “La Peugeot appartiene a un particolare genere di finzioni giuridiche chiamate “società a responsabilità limitata”. “Il concetto che sta dietro queste società è tra le più ingegnose invenzioni dell’umanità.”
“Gran parte della storia gira intorno a questa domanda: come si fa a convincere milioni di persone a credere a storie tanto particolari circa gli dèi, le nazioni o le società a responsabilità limitata?”
Questa capacità di immaginare e credere nell’immaginario ha permesso al sapiens di creare le religioni e le ideologie. Tra le ideologie ci sono anche il capitalismo e il consumismo.
Harari, poi, sfata il mito che con l’avvento dell’agricoltura le condizioni di vita dell’umanità siano migliorate rispetto a quando eravamo solo cacciatori-raccoglitori: “Il tipo di vita del cacciatore-raccoglitore differiva notevolmente da una regione all’altra e da stagione a stagione, ma nel complesso pare che questi Sapiens abbiano potuto godere un’esistenza più confortevole e gratificante di quella vissuta dalla maggior parte dei contadini, pastori, operai e impiegati che sono venuti dopo di loro.”

Hammurabi (il suo codice è citato come uno dei primi sistemi sociali creati dell’homo sapines)
Con l’agricoltura peggiora la dieta, meno varia, e peggiora la qualità del tempo: “Mentre nelle attuali società opulente una persona lavora in media quaranta-quarantacinque ore la settimana e nei paesi in via di sviluppo lavora tra le sessanta e le ottanta ore la settimana, i cacciatori-raccoglitori esistenti oggi negli habitat più inospitali – come il deserto del Kalahari – lavorano in media tra le trentacinque e le quarantacinque ore settimanali. Si occupano della caccia solo un giorno su tre, e la raccolta comporta giornalmente un lavoro fra le tre e le sei ore.”
“La Rivoluzione agricola è stata la più grande impostura della storia.
Chi ne fu responsabile? Né re né preti né mercanti. I colpevoli furono una manciata di specie vegetali, compreso il frumento, il riso e le patate. Furono queste piante a domesticare l’Homo sapiens, non viceversa. Si pensi per un momento alla Rivoluzione agricola dal punto di vista del frumento. Diecimila anni fa il frumento era un’erba selvaggia, confinata in una zona piuttosto limitata del Medio Oriente. Improvvisamente, nel giro di qualche millennio, esso cresceva in tutto il mondo. Secondo i princìpi evoluzionistici basilari di sopravvivenza e di riproduzione, il frumento è diventato una delle piante di maggior successo nella storia della Terra. In regioni quali le grandi pianure del Nord America, dove diecimila anni fa non cresceva un solo gambo di questa pianta, oggi si può camminare per centinaia e centinaia di chilometri senza imbattersi in alcuna altra pianta. A livello mondiale, le piantagioni di frumento coprono circa 2,25 milioni di chilometri quadrati della superficie terrestre, quasi dieci volte l’estensione della Gran Bretagna. Come fu che quest’erba diventò, da insignificante, a ubiqua?
Il frumento ci riuscì manipolando l’Homo sapiens a proprio vantaggio. Questa scimmia, diecimila anni fa, stava vivendo una vita tutto sommato confortevole, cacciando e raccogliendo; ma poi cominciò a investire sempre più impegno a coltivare il frumento. Nel giro di un paio di millenni, in numerose parti del mondo, gli umani, dall’alba al tramonto, ormai facevano poco altro a parte prendersi cura delle piante di frumento.”
Se furono le piante ad addomesticare l’uomo e non viceversa, analogo discorso può valere per animali come mucche, pecore e galline, con la differenza, che per il frumento la simbiosi con l’uomo ha portato solo vantaggi riproduttivi e ben pochi svantaggi (almeno fino a a quando non si dimostrerà che anche le piante hanno dei sentimenti e soffrono come gli animali).
Per gli animali “domestici”, il discorso è un po’ diverso, perché, se è vero che ci hanno “addomesticato”, al punto che oggi ci sono molte più mucche, pecore e galline di quante ci sarebbero probabilmente state in natura senza il nostro aiuto. Questi animali, però, sono stati introdotti nella produzione industriale e, se i loro geni (malati) ora si riproducono più facilmente (e questo è un successo evolutivo), peraltro, come anche Harari evidenzia, la qualità della loro vita ha subito un declino drammatico. In merito si potrebbe approfondire leggendo l’interessante saggio “Se niente importa” di Jonathan Safran Foer. Caso ancora diverso quello degli animali da compagnia, che oggi sono serviti e riveriti.
Altre interessanti citazioni sulle origini della nostra specie sono:
“Nell’Homo sapiens il cervello vale circa il 2-3 per cento del peso corporeo totale, ma consuma il 25 per cento dell’energia del corpo quando questo è in stato di riposo. Facendo il confronto, i cervelli delle altre scimmie richiedono solo l’8 per cento dell’energia in stato di riposo. Gli umani arcaici pagarono in due modi il fatto di avere cervelli grandi. In primo luogo, spesero più tempo alla ricerca di cibo. Secondariamente, atrofizzarono i loro muscoli.”
“Il fatto di poter vedere più dall’alto e di usare mani industriose, l’umanità lo pagò con mal di schiena e colli rigidi. Alle donne costò anche di più. L’andatura eretta richiedeva fianchi più stretti, venendo a così restringere il canale vaginale – e ciò mentre le teste dei bambini diventavano sempre più grosse. Per le femmine degli umani, la morte per parto diventò un pericolo enorme.”
“Addomesticando il fuoco, gli umani acquisirono il controllo di una forza totalmente gestibile e potenzialmente illimitata.”
“I gruppi vaganti dei Sapiens raccontatori di storie costituirono la forza più importante e più distruttiva che il regno animale avesse mai prodotto.”
“Tutto ruotava intorno al fatto di raccontare storie e di convincere gli altri a crederci.”
“Da animali a Dei” non si occupa solo della preistoria.
I suoi capitoli sono:
Parte prima. La Rivoluzione cognitiva
- Un animale di nessuna importanza
- L’albero della conoscenza
- Una giornata nella vita di Adamo ed Eva
- L’inondazione
Parte seconda. La Rivoluzione agricola
- La più grande impostura della storia

- Costruire piramidi
- Memoria sovraccarica
- Non c’è giustizia nella storia
Parte terza. L’unificazione dell’umanità
- La freccia della storia
- L’odore del denaro
- Visioni imperiali
- La legge della religione
- Il segreto del successo
Parte quarta. La Rivoluzione scientifica
- La scoperta dell’ignoranza
- Il matrimonio tra Scienza e Impero
- Il credo capitalista
- Le ruote dell’industria
- Una rivoluzione permanente
- E vissero felici e contenti
- La fine dell’Homo Sapiens
Postfazione. L’animale che diventò un dio
Nella terza e quarta parte del saggio (e in parte anche nella seconda) Harari tratta il periodo “storico” della nostra specie, anche se piuttosto che usare la scoperta della scrittura come spartiacque, preferisce parlare di rivoluzione cognitiva, facendo partire tutto da lì e ridimensionando il ruolo della scrittura (che, del resto, di questi tempi sembra stare per morire e cui l’umanità e la Storia potrebbero riuscire a sopravvivere).
Se la parte iniziale mi è parsa la più interessante e densa, anche le altre offrono affascinanti temi di riflessione, come l’idea che le tre forze unificanti dell’umanità siano: denaro, imperi e religioni e come la tendenza generale dell’umanità, grazie all’azione di queste forze, sia verso l’unificazione delle culture.
A qualcuno potrebbe sembrare semplicistico descrivere in poche centinaia di pagine la storia dell’umanità da 70.000 anni fa, quando i soli strumenti che sapevamo usare erano pietre e bastoni, a oggi, ma “Da animali a dèi” non ha la pretesa di descrivere tutti gli eventi di tutte le culture che si sono succedute in questi millenni sulla Terra. Quella che fa è un’analisi della nostra evoluzione-storia, con uno sguardo diverso. Come Jared Damond in “Armi, acciaio e malattie” analizzava il prevalere degli euro-asiatici sugli altri popoli con lo sguardo di un ornitologo, riuscendo a cogliere aspetti generali che agli storici attenti ai dettagli di norma sfuggono, così questo saggio di Harari riesce a portarci a riflettere sulle tendenze generali della nostra storia e sulle pulsioni che la muovono.
Nella parte finale, per esempio, lo storico s’interroga su come sia cambiata la felicità dell’uomo dall’antichità a oggi, cercando, innanzitutto, di capire che cosa s’intenda con “felicità”, come sia misurabile e come sia un concetto tipico del nostro tempo.
“Gli ultimi cinquecento anni hanno assistito a una serie sbalorditiva di rivoluzioni. La terra è stata unificata in un’unica sfera ecologica e storica. L’economia si è sviluppata in misura esponenziale, e l’umanità oggi gode di un tipo di ricchezza un tempo riservato solo alle fiabe. La scienza e la Rivoluzione industriale hanno conferito all’umanità poteri sovrumani e un’energia praticamente illimitata. L’ordine sociale si è trasformato
completamente, così come la politica, la vita quotidiana e la psicologia umana.
Ma siamo più felici?”
Oggi abbiamo un livello di sopportazione del dolore e della sofferenza assai più basso che nel passato e una percezione della violenza che ci circonda assai maggiore. Questo ci inganna facendoci credere di vivere in un tempo violento, ma come questo testo dimostra (e molti altri studi con esso), stiamo vivendo nell’epoca meno violenta e più pacifica che l’umanità abbia mai attraversato.
“Ciò che nessuno può negare è che la violenza internazionale è scesa a un minimo storico.”
Tra le varie ragioni che hanno contribuito a rendere le guerre degli eventi eccezionali e non più abituali, Harari elenca “Primo fra tutti, il prezzo della guerra è salito drasticamente. A Robert Oppenheimer e ai suoi colleghi artefici della bomba atomica avrebbe dovuto essere stato attributo il Nobel per la pace, avendo reso inutile questo premio dopo di loro.”.
“In secondo luogo, mentre il prezzo della guerra s’impennava i profitti della guerra declinavano. Nel corso di gran parte della storia le nazioni potevano arricchirsi depredando o annettendo territori nemici. Il grosso della ricchezza consisteva di campi coltivati, bestiame, schiavi e oro, per cui era facile far bottino di queste cose. Oggi la ricchezza consiste principalmente di capitale umano, di know-how tecnico e di complesse strutture socioeconomiche quali le banche. Di conseguenza è difficile portare via questi beni o incorporarli nel proprio territorio.”
“Mentre la guerra diventava meno proficua, la pace diventò più lucrativa che mai.”

cyborg
“Ultimo ma non da meno, nella cultura politica globale ha avuto luogo uno spostamento tettonico. Nella storia, numerose élite – come i condottieri Hun, i nobili vichinghi e i sacerdoti aztechi – consideravano la guerra un bene positivo. Altri la vedevano come un male, ancorché inevitabile, da ricondurre possibilmente a proprio vantaggio. La nostra è la prima epoca nella storia in cui il mondo è dominato da un’élite amante della pace”.
Infine, Harari lancia, infine, uno sguardo verso il futuro, immaginando dove potrebbero portarci lo sviluppo della biotecnologia e della genetica:
“i Sapiens, malgrado gli sforzi e conquiste da essi compiuti, non sono capaci di liberarsi dai loro limiti biologici. All’alba del ventunesimo secolo, questo sembra non essere più vero: l’Homo Sapiens sta valicando i propri limiti. Egli comincia ora a spezzare le leggi della selezione naturale, sostituendole con quelle della progettazione intelligente.”
“Oggi il sistema di selezione naturale, vecchio di quattro miliardi di anni, sta affrontando una sfida completamente differente. Nei laboratori di tutto il mondo gli scienziati stanno progettando esseri viventi.”
“Al momento in cui scrivo, la sostituzione della selezione naturale da parte della progettazione intelligente potrebbe avvenire in uno di questi tre modi: attraverso la bioingegneria, la cyberingegneria (i cyborg sono esseri che combinano parti organiche con parti non organiche) e l’ingegneria della vita inorganica.”
“La nostra capacità di programmare non soltanto il mondo che ci circonda, ma soprattutto il mondo dentro i nostri corpi e le nostre menti, sta sviluppandosi a velocità vertiginosa.”

cyborg
In sintesi questo libro ci dice che “Settantamila anni fa l’Homo sapiens era ancora un animale insignificante che si faceva i fatti suoi in un angolo dell’Africa. Nei successivi millenni si trasformò nel signore dell’intero pianeta e nel terrore dell’ecosistema. Oggi è sul punto di diventare un dio, pronto ad acquisire non solo l’eterna giovinezza ma anche le capacità divine di creare e di distruggere.”
Il volume si conclude con un’angosciante interrogativo su cui tutti dovremmo riflettere (e agire) “Può esserci qualcosa di più pericoloso di una massa di dèi insoddisfatti e irresponsabili che non sanno neppure ciò che vogliono?” Questi dèi insoddisfatti siamo noi.
Credo che un primo passo per trovare la soluzione a questo problema, che ha fatto sì che l’homo sapiens (unica specie, per quanto ne sappiamo, a essere arrivata a tale grado di distruttività) stia mettendo a repentaglio l’esistenza di tutte le altre specie viventi e, presumibilmente, anche la propria, sia proprio leggere libri come questo, che ci aiutano a vedere il mondo in modo diverso.

La serie TV “Vikyng”
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