Archive for aprile 2014

LA PERCEZIONE DEL TEMPO

Bambini nel tempo” di Ian McEwan è un romanzo con un grande potenziale. Innanzitutto nel titolo: quante storie eccezionali si potrebbero scrivere con un titolo così! Poi nell’incipit (che anticipa la trama principale): un padre, scrittore di romanzi per bambini, perde la figlia in un supermercato. Forse è stata rapita. La cerca invano per lungo tempo. La sua vita familiare è sconvolta. I rapporti con la moglie precipitano. Bene. Da qui si potrebbe andare in molte direzioni. Io avrei immaginato che, trattandosi di uno scrittore, il protagonista avrebbe fatto lavorare la fantasia. Avrei immaginato che la bambina nella sua memoria cambiasse o che restasse sempre uguale nonostante lo scorrere del tempo, che comunque diventasse cosa diversa da quella che stava diventando veramente. Ma Stephen Lewis (forse non è un caso che il cognome del protagonista ricordi quello del celeberrimo autore fantasy) si limita ad andarsene in giro per Londra cercandola per tre anni. Sua moglie si ritira in meditazione. Si separano. Insomma, reazioni abbastanza normali e poco romanzesche.

McEwan approfitta di questa trama, per inserirci i ricordi dell’infanzia di Stephen, ma non ci offre nessuna allucinata mescolanza dell’infanzia di padre e figlia. Peccato! Ci mostra anche il grande amico di Stephen, affermato politico vicino al Primo Ministro, che regredisce all’infanzia e, in una ricerca di semplicità, costruisce una casa sull’albero, dove fa ascendere anche il povero Stephen, in uno dei brani meglio riusciti del romanzo. C’è insomma una riflessione sul bambino che è sempre presente in noi e che vuole ritornare, ma la vicenda mi pare poco legata a quella principale.

Il protagonista, grazie al suo successo come autore di romanzi per ragazzi, entra in una commissione ministeriale per l’educazione dell’infanzia, e qui siamo nel campo di una blanda satira del governo tatcheriano, con un’Inghilterra in cui l’accattonaggio è regolamentato e altre piccole varianti, che rendono la storia quasi una lieve distopia, senza osare spingersi a immaginare mondi orwelliani. Peccato? Forse sarebbe stato eccessivo farlo.

A un certo punto Stephen è vittima di un incidente automobilistico, grazie al quale percepisce una dilatazione del tempo quale non aveva mai sperimentato prima. Anche questa potrebbe essere un’interessante occasione per mostraci come il tempo non sia uguale per tutti. Dopo una simile presa di coscienza mi sarei aspettato di scoprire come il tempo sia andato avanti per la piccola Kate, la figlia dispersa di Stephen, di quanto sia stato diverso per lei rispetto al padre. Del resto è noto quanto sia diverso il suo scorrere durante l’infanzia. A un certo punto Stephen crede di averla ritrovata. La piccola non lo riconosce. È passato troppo tempo, penso. È la diversa percezione del tempo che fa sì che per Stephen la piccola sia ancora sua figlia, mentre per la bambina Stephen non è più il padre. Però, McEwan ci fa capire che Stephen si è solo sbagliato. Quella è un’altra bambina. Peccato!

Ian McEwan

Alla fine la coppia, che si era brevemente rappacificata mesi prima, ha un nuovo figlio, che torna a unirli. Stephen capisce che continuerà ad amare nel nuovo figlio la bambina perduta. McEwan però non ci mostra cosa comporta questo, perché con la nascita il romanzo si chiude. Peccato!

C’è anche una complessa esposizione della moglie dell’amico di Stepehen sul tempo in fisica. Anche quest’idea, mi pare, non ha molto seguito nella trama successiva, né aiuta a spiegare nulla di quanto avvenuto prima.

Insomma, come dicevo all’inizio tanti bellissimi spunti, che personalmente avrei sviluppato in tanti altri modi. Insomma, un romanzo molto stimolante, che fa riflettere, che fa venire una voglia matta di scrivere. Di riscriverlo. Un buon romanzo, insomma, ma non quello che avrei voluto leggere, eppure, a volte, i romanzi sono buoni proprio per questo, perché non sono come li vorremmo, perché ci stimolano a creare noi qualcosa di più adatto ai nostri gusti. Purché siano scritti bene e questo, in fondo, lo è, anche se ci sono un po’ troppe divagazioni dalla trama principale.

P.S. Di McEwan, tempo fa, ho letto anche Solar e rileggendo ora il mio commento di allora, noto le stesse conclusioni: belle idee, ma senza il coraggio di portarle fino alle loro estreme conseguenze!

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Evelyn Storm – Un’illustratrice di JACOPO FLAMMER NELLA TERRA DEI SURICATI

Evelyn Storm ha frequentato un corso triennale di illustrazione alla Scuola del Fumetto.

Ha realizzato copertine per i diari di Facebook e una per il libro “My Dream” di Fabio Emanuele. Un suo disegno è stato pubblicato sul libro di Gregorio Antonuzzo, “I demoni di Eukora – Il mezz’orco” e sta prendendo parte al progetto per il libro “Fino alla fine” di Rossana Roxie Lozzio.

Tra i concorsi vinti: “The Leprechaun – Made me draw it”,  “Gli acquarelli della vita” di Peg Fly,  “La Scelta del diario” della pagina “Clan Dell’Arte” di Facebook (con altri 2 disegnatori) e “Jappo no Gang”.

A gennaio 2013 ha realizzato un disegno su Ortuz che spaventa Jacopo ed Elisa per “Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati“, secondo volume ancora inedito al momento della serie “I Guardiani dell’Ucronia”.

http://www.gothicrose.it/

 

Questo è il disegno che ha fatto Evelyn Storm per  JACOPO FLAMMER NELLA TERRA DEI SURICATI:

 

Questo è il tredicesimo (e ultimo) post in cui parlo dei tredici illustratori di JACOPO FLAMMER NELLA TERRA DEI SURICATI. Chiamo questo tipo di lavoro “gallery novel” perché è un romanzo illustrato da numerosi disegnatori ed è quindi quasi una galleria di disegni sotto forma di libro.

Il primo post era dedicato a Fabio Balboni, il secondo a Raffaella Bertolini, il terzo a Camilla Bianchi, il quarto a Liliana Capraro, il quinto a Cinzia Damonte, il sesto a Guido De Marchi, il settimo a Giuseppe Di Bernardo, l’ottavo a DivaZ, il nono aRoberta Losito, il decimo ad Alessio Luna Pilia e l’undicesimo a Antonio Morgia, il dodicesimo a Niccolò Pizzorno.

Con questi articoli intendo ringraziare tutti gli illustratori, per aver contribuito a rendere questo volume davvero speciale.

IL NUOVO LEGGO TOUCH LUX 2 DI IBS

Dopo aver utilizzato (abbondantemente) e apprezzato la prima versione dell’e-reader Leggo della IBS, volendone ricomprare un altro, mi è parso che nulla potesse esser meglio che acquistarne la nuova release. Il primo Leggo era a mio giudizio, infatti, unico tra tutti i lettori per la capacità di leggere ogni sorta di formato (epub, mobi, pdf, doc, rtf…) e, soprattutto, in quanto disponeva di un’applicazione di cui la gran parte dei lettori sono sprovvisti, il TTS, ovvero Text-To-Speech, cioè un software in grado di riconoscere ogni tipo di testo (nei molteplici formati segnalati), trasformandolo in voce.

Questo mi ha permesso di ampliare notevolmente i miei tempi di lettura, non essendo costretto, per farlo, a usare gli occhi. Con il TTS posso ascoltare i libri (senza dovermi procurare un audio-libro, considerato che non di tutti gli e-book ne esiste una versione). Posso dunque leggere mentre guido, cammino, cucino o svolgo altre attività poco impegnative.

Ho dunque acquistato il Leggo Touch Lux 2.

I miglioramenti rispetto alla versione precedente sono evidenti e s’intuiscono dal nome stesso: ha la possibilità di illuminare lo schermo, che è touch. Inoltre ha un numero di pollici inferiore e questo lo rende assai più comodo da infilare in tasca, senza rendere meno agevole la lettura. Anche la prima versione era touch, ma occorreva usare la pennetta in dotazione, però, era dotato di alcuni pratici tasti che rendevano del tutto evitabile il ricorso alla (scarsa) sensibilità dello schermo.

Se la prima versione aveva numerose parole pronunciate dal TTS con accento sbagliato, qui il solo errore che ho notato per ora è il verbo “fosse” che viene letto “fesse”.

Consente anche la navigazione in internet in zone coperte da wi-fi.

Alcune cose però mi sembrano peggiorate. Personalmente preferivo la gestione mediante i pochi tasti (ora ne rimangono 4 più quello di accensione, ma non sono sufficienti per gestire l’e-reader) che quella con touch. La voce del TTS è più espressiva, ma non c’è più il microfono interno, quindi per attivarlo occorre inserire le cuffie. Lo usavo alla guida, accendendolo con veloci passaggi, ora invece, con il Touch Lux, devo fermarmi per infilare gli auricolari!

Il nuovo Leggo Touch Lux 2 di IBS

Non mi pare di aver commesso errori, eppure ho dovuto eseguire più volte la procedura di registrazione!

Quando mi è arrivato a casa, per giunta, il mio lettore aveva due difetti: caricava lentamente i libri e quando ne leggevo uno cambiava in continuazione pagina senza che io facessi nulla!

Ho contattato l’assistenza che mi ha consigliato di risolvere il primo problema aggiornando il software sul sito della IBS e il secondo problema cambiando il tempo di refresh della pagina.

La seconda soluzione si è rivelata inutile, ma l’aggiornamento del software ha risolto entrambi i problemi.

Che cosa vorrei su una nuova versione?

Un tasto solo per attivare il TTS e magari un lettore delle dimensioni di un cellulare, tanto lo uso soprattutto con il TTS e lo schermo mi serve solo per scegliere i titoli. L’ideale, anzi, sarebbe un cellulare con TTS!

Il vecchio Leggo di IBS

BUONA PASQUA!

 

Come augurio di buona Pasqua vorrei regalarvi dei libri.

Li trovate qui

RAGAZZINI, SABBIA, CAVALLETTE E RAPINATORI

Di Joe R. Lansdale avevo già letto i due romanzi di fantascienza gotica, surreale, ironica e violenta “Drive-in 1” e “Drive-in 2”, riuniti nel volume “La notte del Drive-in”.

Cielo di sabbia” è storia del tutto diversa, cosa che dimostra la validità di questo autore, capace di essere creativo e interessante anche con due approcci del tutto differenti.

Cielo di sabbia” comincia come una bella distopia. Abbiamo un’America devastata in cui la sabbia fa da padrona e s’infila ovunque. Sembra fantascienza, ma era l’America degli anni ’30. Il romanzo si apre con un rapido susseguirsi di morti, che lasciano il giovanissimo protagonista da solo con altri due ragazzini ad affrontare le insidie di un mondo del tutto ostile. Come se non bastasse la sabbia a render loro difficile la vita, si imbattono ben presto in un gruppetto di rapinatori di banca.

La storia si snoda intensa e veloce, ma ben presto la loro fuga li porta in un mondo assai più normale, o quantomeno “meno strano”, non essendoci più la sabbia a soffocarli o le cavallette ad assalirli e i ragazzini dovranno vedersela solo con “normali delinquenti”. Ammetto di aver preferito la prima parte e di aver desiderato che l’avventura continuasse in quelle terre desolate, ma la storia prosegue comunque bene.

Nel complesso, a parte la premessa distopica di una parte d’America soffocata dalla sabbia, non abbiamo nessuna delle assurde fantasie dei Drive-in, con i loro mostri preistorici e gotici, ma una bella avventura, una storia di amicizie giovanili, un romanzo on-the-road. In comune con la coppia di romanzi del Drive-In ha la descrizione di un’America in cui basta poco per far poco per far emergere l’anima violenta, che si cela sotto una patina di civiltà piuttosto leggera. I cowboy hanno sempre la pistola, anche quando non la vediamo.

Di sicuro è una nuova stelletta che appongo accanto al nome di Joe R. Lansdale, che se con le prime letture mi aveva solo incuriosito, ora mi fa sospettare che debba essere un autore da approfondire.

Joe R. Lansdale

Bello anche il titolo.

IO SONO UN GATTO FILOSOFO

Io sono un gatto” di Natsume Sōseki è uno dei primi romanzi giapponesi di impostazione occidentale e tra i più ricchi di riferimenti non solo alla cultura locale ma anche a quella europea, inglese in particolare, essendo il padrone del gatto e vero protagonista della storia proprio un insegnante di tale lingua. Fu scritto nel 1905 ma è approdato in Italia oltre un secolo dopo, nel 2006, grazie all’Editore Neri Pozza e da allora sta riscuotendo un discreto e meritato successo postumo.

Si tratta di un’opera di delicata ironia nei confronti della piccola borghesia nipponica all’inizio del XX secolo, qualcosa che sarebbe eccessivo definire satira e che, nonostante, il titolo non è certo una metafora tipo “La fattoria degli animali” di Orwell.

La voce narrante e il punto di vista sono quelli di un gatto e questo dona al romanzo la dovuta delicatezza e la possibilità di mostrare con occhio esterno ma molto ravvicinato le debolezze non solo dei piccoli intellettuali giapponesi ma dell’umanità intera.

Il gatto è estremamente acuto, attento e intelligente e arriva persino a leggere i pensieri del padrone, ma chiaramente quello che interessa a Natsume Sōseki non è certo fare un’analisi del comportamento felino, ma avvalersi di questo particolare punto di vista per sbeffeggiare i suoi simili e per mostrare il proprio concetto di morale e la propria visione filosofica, cui dedica dei piccoli trattati che si inseriscono più volte nella narrazione.

Natsume Sōseki

Se il gatto riesce subito simpatico e vorremmo quasi che la storia proseguisse un po’ come ne “La collina dei conigli” di Adams o nella “Storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” di Sepulveda, con gli animali a fare da veri protagonisti, questo però non interessa all’autore, assai più interessato a descriverci il suo padrone e il piccolo mondo antico che gli ruota attorno. A volte, sebbene sia sempre lui a parlarci, viene quindi da chiedersi: ma dov’è finito il nostro caro gatto?

Alcune parti poi sono un po’ lente, specie quando si vuole mostrare la prolissità e l’indecisione di certi personaggi, ma nel complesso, per quanto già un po’ datata, risulta una lettura piacevole e di sicuro molto interessante per un occidentale che voglia capire qualcosa dell’estremo oriente, di cui davvero sappiamo troppo poco e, certo, un autore “occidentalizzante” come Natsume Sōseki può essere un buon tramite tra noi e loro.

 

 

Bri interpreta Micetta, la gatta tricolore amica del protagonista

Bri interpreta Micetta, la gatta tricolore amica del protagonista

LA BAMBINA DEI SOGNI – 5 – MIA MOGLIE

La bambina dei sogni - Carlo Menzinger di Preussenthal5 – MIA MOGLIE

 

Carter aveva dimenticato

che la vita è soltanto una teoria d’immagini nella mente:

che non c’è differenza

tra quelle nate da esperienze reali e quelle generate dai sogni più intimi,

e che non c’è motivo di ritenere le prime più importanti delle seconde.

(Il Guardiano dei sogni – La chiave d’argento – Howard Phillips Lovecraft) 

 

Quando raccontai a mia moglie della mia visita alla bambina, mi sorprese dicendo:

– Sabato vengo con te a conoscerla.

Ammutolii per qualche secondo. Ultimamente Giovanna mi stupiva. Stentavo a prevederne le reazioni. Ero certo che si sarebbe messa per traverso. Avrei voluto chiederle cosa pensasse, quali fossero le sue intenzioni, se volesse solo conoscerla o se stesse pensando a qualcosa di più, ma non sapevo da che parte cominciare. Fu lei a rompere il silenzio.

– Voglio proprio vedere chi è che ti ha fatto innamorare! – scherzò e tutto finì lì. Per il momento. Devo confessare che, a quelle parole, non mi passò per la mente il volto di Elena, ma quello di Maria. Forse fu per quello che,  temendo di scoprirmi, le risposi con una smorfia che voleva vagamente somigliare a un sorriso.

 

Con l’idea di scacciare dalla mente la bella assistente sociale, feci uno dei miei classici approcci maldestri per cercare di convincere Giovanna a fare l’amore e lei mi scacciò annoiata e, dopo poco, si addormentò come un sasso, russando leggermente. Cercai di addormentarmi anch’io pensando a Elena e… a Maria. Beh, sì, anche a lei, in effetti.

Ero già mezzo addormentato, quando la porta della camera s’aprì. Pensai fosse Laura. A volte nostra figlia si svegliava e veniva nel lettone a cercare conforto: un’abitudine che proprio non riuscivamo a farle perdere. Giovanna continuò a dormire. Era buio, ma riuscivo a scorgere la figura che avanzava nella stanza.

Era troppo grande per essere Laura. Un ladro? Il suo modo di muoversi non mi faceva in alcun modo pensare a un malintenzionato. Era una donna. Sensuale. Si avvicinò al letto. Si spogliò e anche se non riuscivo a vederla bene per l’oscurità, mi parve lo facesse in modo particolarmente erotico, sentii il fruscio dei vestiti afflosciarsi in terra, quindi s’infilò sotto il lenzuolo. Il suo corpo setoso scivolò lungo il mio. Era Maria. Mi baciò a lungo, mentre con le mani mi esplorava silenziosa, ma decisa e io la ghermivo incredulo. Giovanna continuava a dormire nell’altra metà del letto. Il ritmo regolare del suo respiro lo confermava. Ero inebriato dall’assurda incoscienza della situazione quando la porta si aprì di nuovo. Questa volta la figura che stava entrando era molto più minuta. Pensai che, ora, potesse essere proprio Laura. La cosa sarebbe stata… drammatica. La bambina avrebbe visto Maria, avrebbe svegliato la madre e le conseguenze sarebbero state facilmente immaginabili. Come potevo trovarmi in una situazione così assurda? Come aveva fatto Maria a entrare in casa? Non mi pareva sapesse neppure il mio indirizzo.

Non era, però, Laura. Era Elena. Elena! La bambina dell’orfanotrofio. Il sangue mi si ghiacciò nelle vene. La piccina rimase ferma. Non parlò neppure e non svegliò Giovanna.

Maria scomparve nel nulla e svegliandomi trovai solo mia moglie nella stanza. Anche Elena era scomparsa, sebbene la sua consistenza mi fosse sembrata più concreta di quella di Maria. L’orfana stava diventando la mia censura onirica personale.

Stentai a riaddormentarmi e quando ci riuscii feci subito un altro strano sogno.

Questa volta mi parve di assistere a un film che narrasse un’altra vita, che parlasse di gente sconosciuta.

 

Vidi una giovane donna, una ragazza mora e minuta seduta in una stazione ferroviaria. Aveva più o meno l’età e l’aspetto di una studentessa universitaria. Era seduta lontano dai binari, come se il suo treno non fosse ancora prossimo a partire. Con movimenti incerti trafficava nella borsa alla ricerca di qualcosa. Ne estrasse un fazzoletto e si asciugò il viso. Solo allora mi resi conto che doveva aver pianto. Forse stava ancora un po’ piangendo. Non la vedevo bene. C’era come una strana foschia.

Un uomo in piedi, poco lontano da lei, la guardò. Sembrava aver notato il gesto. Le si avvicinò e le rivolse la parola sfrontatamente:

–  Un sogno infranto rivela al suo interno un sogno più bello – affermò provocante.

La ragazza alzò gli occhi lucidi su di lui. Avrebbe potuto non guardarlo e non rispondergli, ma fece entrambe le cose:

–  Cosa ne sapete voi dei sogni?

–  Molte cose. Io sono il re dei sogni.

La ragazza sorrise a quella vanteria grottesca ed esagerata.

–  Certo – lo derise – come ho fatto a non riconoscervi! Voi siete certamente il nobile Oberon.

–  Se voi lo desiderate, lo sarò e non solo per una notte d’estate – rispose lui galante, con un lieve ghigno, e poi, dopo un attimo di silenzio, aggiunse – ma dovrete guadagnarvi questo privilegio venendo con me a bere un caffè – le porse il braccio.

La ragazza si alzò, raccolse la borsa e con l’altra mano s’appoggiò a lui che l’accompagnò al bar poco distante. Poi il sogno si fece confuso e non ricordo altro.

Risvegliandomi mi chiesi perché li avessi sognati e chi fossero quei due, ma dato che non avevo una risposta, finii per non pensarci più.

 

Solo il giorno dopo mia moglie e io tornammo a parlare di Elena. Era venerdì mattina. Giovanna beveva il suo chai-latte al tavolo di cucina. Lo avevo acquistato nel mio ultimo viaggio a Londra. A Giovanna piaceva molto. Io mi stavo preparando per uscire e andare al lavoro

–  L’ho sognata, Paolo – mi fulminò mia moglie con la tazza in mano.

–  Chi? – chiesi io, sebbene sospettassi la risposta.

–  La tua bambina.

–  Ci stiamo facendo suggestionare tutti… – mormorai, facendo mezzo passo indietro, in un vano tentativo di fuga mentale.

–  Non era un sogno normale. Era… era così vera… Non saprei descriverla. Non saprei dirti neanche se avesse i capelli biondi o neri. La sentivo, lì, nel sogno, eppure era come se ne fosse fuori, come se fosse… vera. Eppure era lì. Stranissimo. Pareva…

–  …reale – mormorai con un fil di voce.

–  Sì, ecco: reale. Eppure sembrava anche chiaramente parte del sogno. In quel momento stavo sognando altro, non ricordo più cosa. E lei è apparsa. Pareva che… pilotasse il sogno, che fosse lei a decidere cosa dovevo sognare.

–  Ti ha spaventato?

–  Un po’… ma non era un incubo, anzi. Era tutto così strano, però. Mi stupisce non essermi svegliata di soprassalto. Era come se lei non volesse che mi svegliassi ed era come se volesse avvertirmi di qualcosa. Qualcosa che riguardava te. Non ho capito.

 

Rimasi ad ascoltarla esterrefatto, senza sapere cosa dire. Sentivo che mia moglie stava esprimendo le stesse sensazioni che avevamo provato sia io, sia probabilmente nostra figlia.

Aveva ragione, quella bambina sembrava pilotare i sogni.

Cercai di cancellare la sensazione che Elena le avesse voluto riferire del mio sogno erotico con Maria, ma non riuscivo a liberarmi dal pensiero.

Andai al lavoro, ma trascorsi tutta la giornata in stato d’agitazione. Ero distratto. Non vedevo l’ora che fosse il giorno dopo, sabato, per andare a trovare la piccola. Tutto sembrava andare a rilento. Il computer stentava a passare da una pagina all’altra e non si connetteva, i clienti si attardavano in chiacchiere inutili, i colleghi non facevano che sottopormi problematiche inesistenti o che non mi riguardavano.

Poi, finalmente, la giornata finì e scesi in strada. Le zaffate di polveri sottili, particolato, idrocarburi incombusti e ossidi d’azoto mi parvero aria fresca di montagna in confronto a quella dell’ufficio, satura di stress e mobbing. Ero finalmente fuori.

La sera, prima di andare a dormire, distraendo Giovanna dal cinquanta pollici davanti al divano del salotto, le riparlai brevemente di Elena, giusto per organizzare la visita. Non capivo fino a che punto mia moglie s’interessasse davvero alla bambina e quanto lo facesse per me, per assecondarmi o per non so quale altro motivo.

Decidemmo di andare solo noi due. Senza coinvolgere Laura. Non volevamo farle venire strane fantasie. Nostra figlia ci sembrava già troppo coinvolta in una storia da cui persino noi adulti, io in particolare, ci stavamo facendo prendere in modo eccessivo pur senza capire quali fossero le nostre intenzioni e che futuro potesse avere la cosa.

 

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Niccolò Pizzorno – un illustratore di JACOPO FLAMMER NELLA TERRA DEI SURICATI

Niccolò Pizzorno nasce a Genova il 4 dicembre 1983. Vive a Tiglieto un paese dell’entroterra ligure fino al 1995, poi si trasferisce a Genova, dove  segue gli studi artistici: Liceo Artistico N. Barabino, Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova e, infine, la Scuola Chiavarese del fumetto.

Si occupa principalmente di illustrazione e grafica ma anche di tecniche calcografiche: acquaforte, aquatinta, puntasecca.

È stato l’artista presente con il maggior numero di disegni nel progetto editoriale per la gallery novelIl Settimo Plenilunio” e ha illustrato, assieme a Ludwig Brunetti il romanzo “Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale”, realizzandone anche la copertina. È sua anche quella di “Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati”.

Lo trovate su facebook qui:

http://www.facebook.com/niccolo.pizzorno

Questo è il dodicesimo post in cui parlo dei tredici illustratori di JACOPO FLAMMER NELLA TERRA DEI SURICATI. Chiamo questo tipo di lavoro “gallery novel” perché è un romanzo illustrato da numerosi disegnatori ed è quindi quasi una galleria di disegni sotto forma di libro.

Il primo post era dedicato a Fabio Balboni, il secondo a Raffaella Bertolini, il terzo a Camilla Bianchi, il quarto a Liliana Capraro, il quinto a Cinzia Damonte, il sesto a Guido De Marchi, il settimo a Giuseppe Di Bernardo, l’ottavo a DivaZ, il nono aRoberta Losito, il decimo ad Alessio Luna Pilia e l’undicesimo a Antonio Morgia. Il prossimo e ultimo posta sarà dedicato a Evelyn Storm.

Con questi articoli intendo ringraziare tutti gli illustratori, per aver contribuito a rendere questo volume davvero speciale.

Niccolò Pizzorno ha realizzato per questo libro i seguenti disegni:

Jacopo Flammer con due suricati, osservato da Gruhum.

Govinia, la sede dei Guardiani dell’Ucronia, dove tutti i passati e futuri possibili si incontrano.
I suricati osservano Jacopo Flammer.
 
Suricato con gli occhiali di Jacopo Flammer.

 

L’AMORE ADOLESCENZIALE NEL WEST UCRONICO

Temo purtroppo che in una splendida serie di otto romanzi (senza contare gli innumerevoli spin-off) ce ne debba essere almeno uno più debole degli altri, anche se a scriverli è un maestro come Stephen King. Spero solo che il seguito della serie torni ai livelli dei primi romanzi.

Sto leggendo, infatti, la saga de “La Torre nera” e dopo un primo volume (“L’Ultimo Cavaliere”) che mi aveva incuriosito ma non appassionato, sono stato trascinato con entusiasmo dal fascino del secondo (“La chiamata dei tre”), che non ha esaurito il suo effetto neanche durante la lettura del terzo romanzo (“Terre desolate”) (a parte il finale monco).

Arrivo così a leggere di slancio anche il quarto racconto del ciclo (“La sfera del buio”), che comincia dove il terzo volume ci aveva brutalmente abbandonati, sul folle treno amante degli indovinelli, ci trascina in un’America ucronica di cui vorremmo sapere di più, ma che dobbiamo abbandonare subito per essere risucchiati indietro nel tempo all’infanzia dell’Ultimo Cavaliere Roland, per poi tornare nel finale nel Kansas ucronico, incontrare  il fantasma del Mago di Oz e riprendere, infine, il sentiero del vettore.

Ho trovato deludente “La sfera del buio” rispetto ai precedenti episodi soprattutto per la mancanza di unitarietà, come si capisce dall’abbozzo di trama che ho appena tratteggiato, ma anche per essere stato illuso di scoprire un Kansas ucronico e ritrovarmi invece in un western non meno ucronico ma dalle tinte un po’ troppo western per i mei gusti e che occupa quasi interamente le 1.026 pagine della mia edizione.

Il libro, per carità, è ben scritto e nonostante la forse eccessiva lunghezza si legge con un certo piacere, ma il western mi appassiona assai meno delle riflessioni sulla mente umana e la schizofrenia dei precedenti volumi. È vero che l’ambientazione del racconto di Roland è particolare, mescolando elementi tecnologici e magici con i classici ingredienti del western (pistoleri, cowboy, cavalli, mandrie, pistole), ma forse lo stesso King, che pure pare amare molto questo ciclo, deve essersi reso conto che se la suspance è il suo pane quotidiano, le storie d’amore non lo sono (come scrive nella post-fazione). Eppure non ci risparmia la passione adolescenziale del quattordicenne Roland con la coetanea Susan, facendole assumere un ruolo centrale nel romanzo. Altra cosa che mi ha lasciato perplesso è che questo lunghissimo prequel inserito all’interno della trama principale dovrebbe essere, per come ci viene presentato, un racconto di Roland ai suoi nuovi compagni, ma è scritto in terza persona anziché in prima e con un punto di vista solo occasionalmente accentrato sul narratore, come se fosse un romanzo inserito in quello principale e non un racconto, per quanto lungo, di eventi passati.

Rimane comunque affascinante, anche se secondo me poco sviluppata, l’idea ucronica di un futuro che dovrebbe essere piuttosto lontano ma in cui si sia tornati agli usi e ai costumi (intesi sia come comportamenti che come abiti) della conquista del ovest americano. La componente magica non tocca qui le profondità lovecraftiane cui King ci ha abituato con altre storie (persino di questo ciclo) e la sua superficialità sfiora a volte l’ingenuità, mentre il richiamo alla fiaba del Mago di Oz, più che una citazione sembra un’espediente per inventarsi qualcosa. Gli elementi tecnologici, poi, sono poco spiegabili: come è possibile che in un futuro così lontano da aver generato millenni prima cyborg come l’orso affrontato dagli amici di Roland in precedenza o il tecnologicissimo treno assassino Blaine il Mono, possa avere ancora residui ottocenteschi come le pistole di Roland o cisterne e pozzi petroliferi con marche nostre contemporanee? Basta a spiegarlo il concetto, più volte ripetuto, che in queste storie il tempo è impazzito e scorre in modo particolare?

Temo purtroppo che in una splendida serie di otto romanzi (senza contare gli innumerevoli spin-off) ce ne debba essere almeno uno più debole degli altri, anche se a scriverli è un maestro come Stephen King. Spero solo che il seguito della serie torni ai livelli dei primi romanzi.

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Leggi anche:

– Il western fantasy di King – L’ultimo Cavaliere (La Torre Nera) – Stephen King

– La chiamata del libro – La chiamata dei tre (La Torre Nera) – Stephen King

La chimata del quarto: la schizofrenia e il suo opposto – Terre desolate (La Torre Nera) – Stephen King

– La bambina che sconfisse la natura – La bambina che amava Tom Gordon – Stephen King

– King for President of Ucronia – 22/11/’63 – Stephen King

– IT: un mostro lovecraftiano emerso da arcani abissi spazio-temporali – IT – Stephen King

– The Second King – Le notti di Salem – Stephen King

– Tutto è kinghiano – Tutto è fatidico – Stephen King

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