Alba Gaetana Avarello, autrice del GSF Gruppo Scrittori Firenze ha dedicato a Francesco Burlamacchi (Lucca, 27 settembre 1498 – Milano, 14 febbraio 1548), il politico toscano, il suo romanzo-saggio “Francesco Burlamacchi” (Angelo Pontercorboli Editore, 2020) che porta l’esplicativo sottotitolo “L’avversione a ogni forma di tirannia”.
L’opera è scritta in forma romanzata ma è chiaramente frutto di attenti e dettagliati studi, che traspaiono in ogni pagina, dove l’intento informativo e descrittivo spesso prevarica quello narrativo, in un volume di assai gradevole e interessante lettura per la scoperta di un personaggio piuttosto noto ai toscani, ma meno ad altri, contemporaneo dei Medici, cui, da gonfaloniere delle Repubblica di Lucca, cercò di avversare il potere dilagante sulla Toscana, vedendoli più come tiranni che come i mecenati dipinti dalla storiografia fiorentina. Fu però l’imperatore asburgico Carlo V, sotto la cui protezione era la stessa Lucca, per impedire il conflitto a farlo decapitare.
Corredano il volume un glossario e un interessante bibliografia.
Parterre, Firenze, 17/12/2022 Carlo Menzinger presenta Alba Avarello che parla del suo “Francesco Burlamacchi”
Parterre, Firenze, 17/12/2022 Alba Avarello presenta il suo “Francesco Burlamacchi”.
Nell’intento di documentarmi sulle apocalissi, scrivendo le due raccolte di racconti “Apocalissi fiorentine” (2018) e “Quel che resta di Firenze” (2023) (poi entrambe pubblicate con Tabula fati) e i due romanzi inediti “La felicità affogata” (che ha da poco ricevuto a Pavia il primo premio ad ex-aequo World Sf Italia) e “L’Eterno e la Stella Vagante”, tempo fa avevo acquistato al Pisa Book Festival 2019 “L’apocalisse nell’Islam” (2011) di Jean-Pierre Filiu.
Il volume, per quanto interessante, però si presenta un po’ troppo specialistico per le mie finalità. Il concetto stesso di Apocalisse, che nella cristianità ha un testo principale di riferimento nell’Apocalisse di Giovanni oltre ad alcune apocalissi gnostiche, nell’Islam vede un proliferare di testi e versioni diverse, che le differenti dottrine accettano in vario modo. Un mondo dunque articolato e complesso, che vede il fiorire di nuove “apocalissi anche in epoche recenti”. Molto è legato “all’avvento del Mahdi, discendente di Maometto, che affronterebbe i miscredenti alla testa degli eserciti dell’Islam”. Mahdi visto spesso come Signore del Tempo.
Quello che non pensavo di trovare in questo volume è l’analisi di quel fenomeno che nella letteratura mussulmana degli ultimi 25 anni (dalla data del volume) si è occupato di apocalissi ricercando “i segni dell’Ora nell’interpretazione numerologica o nelle apparizioni di UFO”.
Poco mi interessava inoltre leggere di tante diverse teorie dell’apocalisse, come quella, per citarne una, di Bahira.
Più interessante la parte storica, ma da occidentale devo confessare di essermi un po’ perso tra le varie diatribe tra sunniti, sciiti e altri.
Interessante comprendere la visione di un Occidente e, in particolare, di un’America visti come malati, eretici, se non demoniaci.
Peraltro, si ritrovano molte figure, come Gesù, l’Anticristo, Mosè, gli arcangeli Gabriele, Michele e tanti altri, e simbologie cristiane.
Se per i cristiani l’anno Mille fu considerato quello dell’avverarsi dell’apocalisse, per i mussulmani le date sono variate innumerevoli volte nei tempi e a seconda delle correnti religiose.
In sostanza un volume comunque interessante, ma magari da leggersi dopo aver letto (o meglio studiato) un po’ di storia della religione islamica.
Dopo “Tempo di seconda mano”, torno a leggere un libro della giornalista bielorussa premio nobel Svetlana Aleksievič (Stanislav, 31 maggio 1948).
Già con tale lettura avevo manifestato la mia perplessità a considerare letteratura la sua opera. Semmai mi pare degna di un premio per il giornalismo. Lo conferma l’interessante saggio “Ragazzi di zinco” (1991), un volume corale in cui l’autrice dà voce agli afgancy, i ragazzi russi che la guerra in Afghanistan tra il 1979 e il 1989 ha trasformato in assassini e vittime. “Ragazzi di zinco” perché di un milione di ragazzi e ragazze partiti per sostenere la “grande causa internazionalista e patriottica”; almeno quattordicimila di loro furono rimpatriati chiusi nelle casse di zinco e sepolti di nascosto.
Svetlana Aleksievič dà voce a loro e alle loro madri (e i padri dove sono?) per raccontare l’orrore di un’altra guerra, fatta di violenza, stupri e prevaricazioni anche fuori dai campi di battaglia, in cui le donne combattenti erano considerate soprattutto puttane.
Un libro di voci, come scrive l’autrice. Si passa così da un racconto all’altro, con sempre nuove voci narranti. Fatti veri? L’autrice fu processata per calunnia, antipatriottismo e diffamazione. Alcune delle sue voci testimoniarono a favore, altre contro.
Certo l’Afghanistan non fu come il Vietnam per gli Americani, ma non mancano dei parallelismi. Svetlana Aleksievič scrive negli anni di Gorbacev, ma la Perestrojka aveva ancora da fare del lavoro. La guerra afgana era ancora un segreto di Stato, di cui ai reduci non era permesso parlare. Un errore politico di cui furono costretti a vergognarsi. I combattenti russi in Afganisthan, come quelli americani in Vietnam non ebbero l’onore di essere considerati eroi.
Eppure le guerre sbagliate pare non impediscano ai Paesi di farne ancora.
Forse una trentina d’anni fa lessi un saggio (di cui non ricordo né titolo né autore) che trovai molto illuminante su come l’epoca moderna sia notevolmente meno violenta di quelle antiche, anche se la percezione comune sembra immaginare l’opposto.
Questa discrepanza tra realtà e percezione credo derivi dal fatto che anche una piccola dose di violenza appare come disturbante e quindi ci lascia insoddisfatti come se fosse assai maggiore di quanto è. I media poi ce la mostrano, amplificata, come se fosse onnipresente.
Leggo ora un saggio più recente e molto più elaborato che riprende la medesima idea: “Il declino della violenza” (“The Better Angels of Our Nature: Why Violence Has Declined”, 2011) di Steven Pinker, un saggio di ben 898 pagine nell’edizione italiana (Mondadori). Un libro impegnativo per dimensioni ma accessibile a tutti per contenuti e che tutti dovrebbero leggere per capire chi siamo, come siamo e perché.
Come lo stesso Pinker nota nelle sue conclusioni, infatti, il declino della violenza è il fenomeno storico più importante della Storia, ma anche il meno conosciuto e studiato. Occorre porre fine a questa situazione perché si porta dietro equivoci deleteri nella descrizione del mondo contemporaneo, che, come faccio notare spesso, tutto sommato, pur con i suoi difetti, sembra essere proprio uno dei migliori mondi possibili che si possano immaginare, ma rischia di non restarlo a lungo se non lo proteggiamo adeguatamente.
Secondo, enorme, pregio di questo libro è che sa esaminare la Storia con uno sguardo scientifico, facendo ricorso a statistica, demografia, psicologia e persino psichiatria.
Credo, infatti, che lo studio della Storia sia ancora, spesso, a livelli primitivi e molta strada debba essere fatta ancora per trasformarla in una Scienza. Anche l’uso dell’ucronia, con lo studio dei mondi alternativi possibili sarebbe uno strumento di cui ogni storico dovrebbe dotarsi nelle sue analisi. La Storia è, poi, molto poco scientifica nello studiare i propri numeri.
Non a caso Steven Arthur Pinker (Montréal, 18 settembre 1954), un canadese naturalizzato statunitense, è uno scienziato cognitivo, professore di psicologia all’Università di Harvard e non uno storico. Non per nulla un altro dei migliori autori di saggi storici per me è Jared Diamond (autore, per esempio, di “Armi, acciaio e malattie” e “Collasso”). Jared Mason Diamond (Boston, 10 settembre 1937) è un biologo, fisiologo, ornitologo, antropologo e geografo statunitense.
Steven Arthur Pinker
Solo grazie a veri scienziati si riesce a dare un approccio moderno e scientifico alla Storia.
“Il declino della violenza” sostiene che questa nel mondo è diminuita sia nel lungo che nel breve periodo e in tutti i suoi aspetti (guerra, genocidio, stupro, bullismo, omicidio, trattamento di bambini, donne, minoranze, razzismo…).
L’autore affronta l’argomento sotto diversi punti di vista, tutti estremamente documentati, sia con dati statistici, sia con riferimenti alla letteratura precedente. Non solo analizza le tendenze storiche, ma ne cerca le motivazioni sia nel succedersi degli eventi, sia a livello psicologico e psichiatrico.
Come scrive wikipedia “Sottolinea il ruolo dei monopoli di stato-nazione sulla forza, del commercio (facendo in modo che “altre persone diventino più preziose vive che morte”), di maggiore alfabetizzazione e comunicazione (promotrice dell’empatia), nonché un aumento di un orientamento razionale alla risoluzione dei problemi come possibili cause di questa diminuzione della violenza. Egli osserva che, paradossalmente, la nostra impressione di violenza non ha seguito questo declino, forse a causa di una maggiore comunicazione, e che un ulteriore declino non è inevitabile, ma è subordinato alle forze che sfruttano le nostre migliori motivazioni come l’empatia e l’aumento della ragione.”
Innumerevoli sono stati per me gli spunti di riflessione. Vorrei ricordarne solo alcuni (per quanto abbastanza numerosi):
Leggendo la Bibbia avevo già evidenziato la quantità di violenza che vi è presente. Pinker esamina questo e altri testi antichi, che dipingono un mondo in cui la violenza era decisamente più diffusa e accettata.
La violenza non è un prodotto della civiltà: Anche i primi ritrovamenti di corpi umani evidenziano morti per violenza. L’uomo è un grande genocida fin dalla preistoria, come ci insegnano opere come “Da animali a dèi” di Harari e “La sesta estinzione” di Kolbert.
Nell’analizzare il cristianesimo ne emerge la grande ipocrisia tra la predicazione dell’amore fraterno e la pratica della violenza contro chi non professa la fede (crociate, inquisizione, streghe, cavalleria composta da gentiluomini assassini…).
Anche la letteratura successiva abbonda di violenza, basti pensare alle tragedie di Shakespeare e alle fiabe dei fratelli Grimm.
Interessante lo studio degli antichi galatei che, nell’indicare come ci si dovesse comportare, mettevano in evidenza i comportamenti antisociali dell’epoca in cui furono scritti. Si pensi all’introduzione delle posate in Europa al posto dei coltelli da guerra e caccia e alla loro totale eliminazione dalle tavole cinesi.
Come nell’evoluzione si passa dai microrganismi monocellulari a organismi complessi così nelle società umane si passa da nuclei più piccoli e meno organizzati ad altri che lo sono maggiormente. Questo, sia a livello evolutivo, sia a livello sociale, porta a una riduzione del conflitto tra le singole parti, che ora collaborano tra loro per un bene comune. La crescita della dimensione degli Stati fa diminuire la frequenza dei conflitti.
Nell’analizzare le differenze geografiche della diffusione della violenza, nota come alcuni Stati nordamericani abbiamo tassi di violenza tra i più alti del mondo. Analizza quindi come negli Stati Uniti del sud vi sia maggior tolleranza verso la violenza se serve a tutelare se stessi, e come vi sia più forte la cultura dell’onore. Alcuni sostengono che nel sud emigrarono gli scozzesi allevatori mentre nel nord maggiormente agricoltori. Gli allevatori sono più a rischio di essere derubati perché gli animali possono essere portati via la terra no e questo li rende più violenti. Questo però non sembrerebbe vero. Sembrerebbe invece che vi arrivarono popolazioni provenienti da zone montane e più impervie in cui il senso dell’onore era più importante essendo lo stato meno presente. Nell’ovest invece prevalse la cultura di cowboy (allevatori).
Il boom di natalità degli anni sessanta portò a un enorme impennata di violenza: difficile gestire questi nuovi barbari da educare. La tv rese la violenza una conoscenza comune degli adolescenti che si potevano ispirare a comportamenti che le generazioni precedenti non avevano conosciuto. I baby boomer rappresentavano un popolo interconnesso grazie a TV e radio. Le élite si sentirono logorate dalla informalizzazione dei rapporti (si veda la progressiva abolizione dell’uso del Lei).
Non c’è correlazione tra economia (come maggior ricchezza o povertà) e violenza in particolare omicidi. Casomai la povertà accresce i danni alla proprietà, se cresce la disoccupazione.
Un ambiente ordinato fa ridurre la criminalità.
La morale stabilisce i propri principi come frutto della ponderazione di costi e benefici.
Le guerre di religione, l’inquisizione, la lotta contro gli eretici hanno fatto molti più morti (in proporzione alla popolazione del tempo) delle guerre mondiali. Dare importanza all’anima al posto della vita porta a far perdere valore alla vita stessa e quindi fa aumentare gli omicidi. La morale può essere grave fonte di istigazione alla violenza. Pinker descrive poi le atrocità delle torture.
La diffusione della pulizia ha reso gli esseri umani meno ripugnanti e quindi meno soggetti a essere oggetto di violenza da parte di altri che li consideravano come non umani.
Il miglioramento dell’economia (ricchezza) ha portato in modo maltusiano a un incremento della popolazione e quindi a una ricchezza pro capite invariata fino alla rivoluzione industriale.
Nel 1700 la diffusione dei testi scritti e della lettura favorirono l’empatia e la rivoluzione umanitaria.
Raffrontando i morti nelle principali guerre della storia umana con la popolazione vivente in ciascuna epoca, si scopre come le guerre del ventesimo secolo in rapporto al numero di abitanti del mondo fossero confrontabili con quelle di molti altri conflitti dei secoli passati. Le morti per eventi singoli possono sommarsi raggiungendo numeri molto maggiori delle grandi guerre. Si pensi alle morti per incidenti automobilistici che nello stesso arco di tempo della Seconda Guerra Mondiale portano altrettante vittime. “delle 21 cose peggiori (a nostra conoscenza) che gli esseri umani hanno fatto gli uni agli altri, quattordici si situano in secoli anteriori al XX”. Di grandissimo interesse la tabella nel Capitolo V che riparametra i morti dei principali conflitti sull’entità della popolazione del tempo. “Il peggiore massacro di tutti i tempi fu provocato dalla rivolta e guerra civile di An Lushan che, scoppiata in Cina sotto la dinastia Tang, durò otto anni e, secondo i censimenti, comportò la perdita di due terzi dei sudditi dell’impero, un sesto della popolazione mondiale del tempo”. I suoi 36 milioni di morti, se parametrati alla popolazione mondiale del XX secolo, sarebbero stati ben 429 milioni, contro i 55 milioni della Seconda Guerra Mondiale. Si era negli anni tra il 755 e il 763 d.C.
Le guerre iniziano in modo casuale e finiscono in modo casuale. Non conta la durata del periodo di pace o di guerra precedente. Difficile quindi predire quanto dureranno o quanto dureranno i periodi di pace.
Dalle statistiche sulla pace emerge che dopo la Seconda Guerra Mondiale nei Paesi sviluppati tutti gli indici sulla violenza sono pari a zero. Questo non esclude, come abbiamo ben visto in questi mesi, che il processo possa arrestarsi. Il calcolo delle probabilità diceva nel 2011 come fosse pressoché inevitabile lo scoppio di una nuova guerra in Europa. La lunga pace nucleare sembra essere un’eccezione nella Storia. Già dal 1989 gli studiosi sostenevano che la lunga pace stava per finire.
Pare che non sia la minaccia nucleare a impedire la guerra ma la volontà di evitare una guerra convenzionale.
Gli Americani hanno un’esperienza della guerra molto ridotta rispetto agli Europei, che le hanno affrontate per secoli, forse per questo accettano la diffusione delle armi tra i cittadini e hanno una maggior volontà di combattere.
Guardando le statistiche, le democrazie fanno meno guerre degli stati illiberali.
Le grandi potenze sono diventate più interessate a far finire in fretta i conflitti scatenati dai loro alleati che non ha farli vincere.
Nei Paesi in via di sviluppo la morte per fame e malattie durante i periodi di guerra si sta riducendo. Questo sembra effetto dell’assistenza umanitaria fornita dalle altre nazioni a livello sanitario.
Nel XX secolo i genocidi hanno causato più morti delle guerre. Il disgusto spesso è alla base del genocidio e l’ideologia lo sostiene. Ideologie utopiche ricercano la perfezione e portano al genocidio per eliminare chi non risponde ai canoni. Gli utopisti si sentono molto buoni ma non si rendono conto che la loro ideologia portata all’estremo può diventare razzista e generare genocidi. I genocidi sono stati molto meno studiati delle guerre dagli storici. Primi esempi di genocidi furono gli stermini delle altre specie di Homo. A leggere la Bibbia uno dei primi grandi genocidi fu… Dio.
In alcune specie, pensiamo ai leoni per esempio, quando ci sono più maschi adulti sono i maschi che lasciano il gruppo. Nei primati (scimpanzè e uomini in particolare) invece semmai sono le femmine che si allontanano, mentre i maschi rimangono nello stesso gruppo familiare e questo crea forme di solidarietà che poi degenerano, per meccanismi di conservazione genetica, in una maggior propensione a sacrificarsi per i propri parenti e quindi anche una propensione alla guerra. Molti terroristi suicidi sono affetti da questa forma di sacrificio per la famiglia. A volte i terroristi suicidi sono scapoli giovani con numerosi fratelli, che beneficeranno di eventuali guadagni offerti dalle cellule terroristiche e per collocare poi il resto della famiglia in modo migliore nella società.
Terrorismo nel lungo periodo si estingue, degenerando in violenza estrema che non trova più supporto nella società civile.
Nell’analizzare il rischio di guerra provocata da paesi islamici e lo stato della democrazia di questi, emerge dai dati una forte diffusione del pacifismo islamico.
Nell’evidenziare l’importanza della cultura nel ridurre la violenza, cita Voltaire “Coloro che possono farvi credere assurdità, possono farvi commettere atrocità”.
Un altro assurdo luogo comune è che i bambini siano innocenti e la violenza si impari. Già la psicoanalisi ci ha mostrato come questo sia del tutto falso. I dati di Pinker mostrano come l’età in cui siamo più violenti è fino ai due anni: i bambini non imparano la violenza, imparano a non praticarla.
Come diceva Platone e ripeteva Freud, i buoni sognano di compiere violenza, ma i cattivi la fanno.
Nella psicologia della violenza, il colpevole ha sempre una motivazione.
Pinker passa poi a esaminare quali parti del cervello si attivino in casi di violenza vendetta e simili, quali sostanze o comportamenti rendano più violenti: l’ossitocina rende più empatici, la lettura di opere di narrativa espande l’empatia, fondamentale lo sviluppo dell’autocontrollo, le tendenze aggressive possono essere ereditabili, il calo della violenza è stato troppo veloce per essere giustificato a livello genetico biologico, il senso morale genera violenza.
La tolleranza e le regole di mercato allontanano la violenza come soluzione ai conflitti. Le sanzioni economiche come nuova forma di guerra (lo vediamo anche ora in Ucraina).
Studi sulla gravità delle guerre intraprese dagli USA mostrano come sia collegata con l’intelligenza (Q.I.) dei loro presidenti.
L’irrazionalità genera violenza.
Il Quoziente di intelligenza medio della popolazione (americana) da un secolo a questa parte è aumentato enormemente. Un cittadino medio del 1910 oggi avrebbe un quoziente intorno a un 70. Nei test sui Q.I. risultano migliorati i risultati soprattutto su somiglianze e matrici.
Capacità di immaginare mondi ipotetici ci rende più intelligenti, comprensivi e meno violenti. In ambito letterario sottolineerei l’importanza della diffusione di ucronia e fantascienza per aprire le menti.
La scuola prima insegnava a imparare a memoria ora insegna a comprendere. È cresciuta l’intelligenza astratta.
La stupidità morale favorisce il razzismo.
I liberali hanno un Quoziente di intelligenza superiore a quello dei conservatori, ma le persone più intelligenti pensano in modo economico, hanno una visione commerciale dei rapporti umani e questo le porta a una minore violenza. L’educazione prepara alla democrazia. La politica per slogan ne ha abbassato il livello di razionalità portando al ritorno di alcuni episodi bellici.
Insomma, come già scritto, un libro ricchissimo di spunti, che si possono anche non condividere ma da cui partire per comprendere meglio il nostro mondo e migliorare il nostro modo di ragionare. Anche perché una cosa che questo saggio non dice è che se la violenza contro la nostra stessa specie è diminuita, quella contro il nostro mondo sta aumentando vertiginosamente e rischiamo di distruggerlo: non è forse una violenza peggiore che poi si ritorcerà contro tutti noi, che, anzi, già si sta ritorcendo?
Sono solito recensire, ormai da vari anni, tutto quello che leggo. Non ho, però, sinora lasciato neppure un commento di “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” di Chiara Sardelli. La ragione si può forse intuire dal titolo: non è facile parlare di un libro che parla di un proprio libro. Pur avendo avuto il piacere di leggere il volume in anteprima, tempo fa, è uscito solo in questo mese di maggio 2022, dunque prima sarebbe stato prematuro parlarne.
Che cosa dirne allora? Innanzitutto, che fa sempre effetto quando esce un proprio libro, ma ne fa molto di più quando esce un libro che parla di noi. Non pensate? Dovrei cominciare forse ad abituarmi, ma ancora non mi sono del tutto ripreso dal colpo di vedere gran parte della mia produzione recensita, nel 2018, da Massimo Acciai Baggiani nel suo voluminoso saggio “Il sognatore divergente”, edito da Porto Seguro.
“Suggestioni fiorentine” di Chiara Sardelli è stato invece pubblicato da Solfanelli, nella prestigiosa collana Micromegas (negli stessi giorni in questa collana è uscito anche il saggio curato da Massimo Acciai Baggiani “Architettura dell’ucronia” dedicato a Pierfrancesco Prosperi, cui ho contribuito con un articolo).
Ho trovato il saggio davvero accurato e pregevole. “Apocalissi fiorentine” è un volume che gioca con la Storia mescolandola con la fantasia, per lanciare un messaggio ecologista: il mondo è a rischio, ma non pensiate che deforestazione, inquinamento, perdita di biodiversità, surriscaldamento e pandemie siano problemi lontani. Riguardano tutti noi. Possono riguardare anche le nostre stesse città. La mia stessa città, Firenze. “Apocalissi fiorentine” racconta storie che mostrano momenti di crisi della città, passati e futuri, reali e immaginari, per dirci che nulla è scontato e che tutto potrebbe essere andato o andare in futuro in modo diverso. La recente pandemia dovrebbe averci insegnato come il nostro modo di vivere possa essere facilmente stravolto.
Con “Suggestioni fiorentine”, lasciando un po’ tra le righe queste considerazioni, Chiara Sardelli esplora soprattutto i luoghi iconici e gli episodi storici che compaiono in ciascun racconto. C’è poi una parte in cui mi intervista. L’introduzione è di Massimo Acciai Baggiani, la postfazione di Sergio Calamandrei.
Il volume è stato appena presentato al Salone del Libro di Torino (20 e 21 Maggio 2022).
Di seguito i link ai due eventi principali del Salone:
Ne parleremo ancora alla Biblioteca Buonarroti di Firenze il 7 Giugno 2022, ore 17,30, in Viale Guidoni, 188. Ingresso libero. Vi aspettiamo.
In conclusione, vorrei ringraziare Chiara Sardelli per avermi onorato con la lettura del mio volume e per averne saputo trarne un’analisi tanto accurata e ricca di riferimenti storici e culturali, che dimostrano la sua grande cultura e la ricchezza delle sue letture.
Ringrazio anche Acciai e Calamandrei per aver partecipato al volume e per aver sempre fortemente sostenuto le mie opere. Non può, poi, mancare un ringraziamento per l’editore che ha sostenuto questo progetto.
Salone del Libro di Torino – Stand B52 Tabula Fati e Solfanelli – 20 Maggio 2022 – Chiara Sardelli, Massimo Acciai Baggiani, Carlo Menger e Sergio Calamandrei
La mia antologia di racconti “Apocalissi fiorentine” mi sta dando delle buone soddisfazioni. Con questo libro ho voluto raccontare momenti di crisi della storia della città, passati e futuri, per mostrare la fragilità del nostro mondo applicata a un contesto urbano. Spero si possa, comunque, considerare anche un libro divertente e piacevole. Lo arricchiscono le immagini realizzate dagli studenti della facoltà di architettura di Firenze.
Tra tutti quelli editi in Italia nel 2019, il racconto “Collasso domotico”, presente in questo volume, è stato scelto per l’antologia “Mondi paralleli” (Delos Digital) curata da Carmine Treanni e che riunisce, come recita il sottotitolo “Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019”. “Apocalissi fiorentine” è entrata in finale per il Premio Vegetti 2021 e l’antologia “Mondi Paralleli” ha vinto addirittura il Premio Italia!
Dopo che Massimo Acciai Baggiani mi aveva dedicato il volume “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018), che analizza la mia produzione letteraria fino al 2018, sono stato dunque ora onorato da questo secondo saggio sulle mie opere.
Vorrei dunque ringraziare Chiara Sardelli e Massimo Acciai Baggiani per questo grande impegno, Carmine Treanni per aver selezionato il racconto, le giurie dei Premi Vegetti e Italia per il loro apprezzamento, i tre editori per aver pubblicato e sostenuto queste opere.
Quanto c’è da imparare sulla mente umana! Ancora oggi appare come una macchina biologica complessa e misteriosa. Quanti possono essere i modi in cui il pensiero può essere organizzato e quanti i modi per definire una mente “intelligente”.
Avevo già letto, anni fa, l’affascinante testo di neurologia di Oliver Sacks (Londra, 9 luglio 1933 – New York, 30 agosto 2015) “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” che mi aveva fornito tante suggestioni. Leggo ora dello stesso autore il non meno stimolante “Un antropologo su Marte”.
Come nell’altro volume, anche qui sono raccontati, con grande capacità comunicativa, alcuni casi umani molto concreti, con tanto di nome del paziente esaminato, quasi dei veri racconti, non meno interessanti di storie inventate, tanto sono singolari e diverse dal nostro vissuto quotidiano.
Il Dottor Sacks, infatti, crede che i pazienti vadano conosciuti nella loro vita di tutti i giorni e quindi non si limita mai a vederli a studio o in ambulatorio ma vive e viaggia persino con loro.
Ecco il caso del pittore che, a seguito di un incidente, è affetto da acromatopsia e riesce a percepire le lunghezze d’onda ma non i colori. Vede ora il mondo come sfumature di grigio e non riesce più a godersi neppure la musica, che percepiva in modo cromatico. In realtà questa patologia porta a non vedere neppure il grigio. Noi, abituati alla distinzione tra foto e TV in bianco e nero e a colori possiamo immaginare in tal modo la loro visione, ma questa è pura assenza di colore, grigio compreso. Parlare di grigio è qui come parlare di tenebra per un cieco o di silenzio per un sordo.
Alcune alterazioni della vista presentano vantaggi evolutivi. Per esempio, gli effetti da daltonismo, durante la Seconda Guerra Mondiale erano usati sui bombardieri per la loro capacità di distinguere i dettagli.
Ecco l’Hare Krishna che per un tumore al cervello subisce una lesione al lobo frontale, si inebetisce e viene considerato un “beato” dai suoi compagni. Perde la memoria recente e ricorda solo gli anni ’60 e vive come se non fossero mai finiti. Ha perso la percezione temporale, percui non riesce a immaginare che persone viste anni prima possano essere le stesse che vede ora. Per lui guardare la televisione significava ascoltarla. Non guarda lo schermo e non riesce a concepire di farlo.
Assai interessante anche la Sindrome di Tourette, che oltre ai vari tic, comporta spesso forme di ossessione. Questo tipo di malati nel medioevo veniva considerati posseduti, perché non avevano il controllo dei propri corpi e delle proprie azioni, come se qualcuno li manovrasse dall’interno.
Anche questa è una “malattia” che potrebbe considerarsi un percorso evolutivo alternativo. Alcuni tourettici, per esempio, sono molto veloci a sparare. Mi vengono in mente certi western in cui il pistolero, oltre che velocissimo con la sua arma, era ossessionato dal non dare le spalle a nessuno, per esempio sedendo in un saloon, tipica ossessione tourettiana. I pistoleri sono allora un po’ tourettici?
Oliver Sacks
Ecco il caso della persona che operata riacquista la vista ma non riesce subito a capire che cosa vede perché la sua mente non associa le forme alle cose. Vede colori indistinti e solo quando il chirurgo gli parla comprende che quello che ha davanti è un viso. Talora le persone che riacquistano la vista continuano a comportarsi come se fossero ancora cieche e faticano a riconoscere gli oggetti, che prima riconoscevano toccando. La differenza nella percezione tra un cieco e un vedente è che per il primo è temporale e per il secondo spaziale. Il cieco misura gli spazi con il tempo necessario a percorrerli.
Noi, che non siamo affetti da alcuna patologia, percepiamo il mondo per effetto della combinazione di quanto percepiamo con tutti i sensi. Immagino quanto potrebbe essere sconvolgente acquisire all’improvviso un nuovo senso, soprattutto se non lo abbiamo mai neanche immaginato.
Ecco Franco, il pittore italo-americano, che ossessionato dalla perdita del paese natale Pontito in Toscana, continua a vederlo in tutte le angolazioni e tutti i dettagli e lo riproduce in centinaia di quadri. Arriva a confondere il passato con il presente e a vedere il suo paese come sovrapposto alla realtà che sta vivendo, in reminiscenze epilettiche. Joyce e Proust appaiono analogamente ossessionati dal passato e dai luoghi dell’infanzia. Nasce la considerazione che non esiste la memoria, ma solo l’atto del ricordare, diverso per ciascuno. In una mente “sana”, ricordare è sempre un ricostruire il passato, mai una riproduzione. Sono patologiche le forme di memoria “perfette”, tipo “registrazione”.
Altrettanto interessante è la patologia del paziente che non riesce a percepire i movimenti e vede le cose e le persone attorno a sé come in fotogrammi staccati, sorprendendosi, per esempio, dell’apparizione improvvisa di una persona in una stanza, anche se questa, ovviamente c’è entrata poco per volta. Sono dovute a questa patologia alcune visioni e apparizioni?
Interessante poi quanto riportato in una nota:
“9) Nel 1877, Gladstone, in un saggio intitolato On the Colour Sense of Homer, parla dell’uso omerico di espressioni come “il mare colore del vino”. Si trattava solo di una convenzione poetica, oppure Omero, e con lui i Greci, vedevano il mare in modo diverso da noi?” Omero si riferiva a un mare al tramonto o davvero la percezione dei colori può essersi evoluta in pochi secoli?
Che dire poi delle persone vissute sempre nella giungla, incapaci di percepire le distanze di oggetti lontani, come montagne, quando portati in spazi aperti o del bambino che chiede alla mamma di darle dei pupazzetti confondendo per tali delle persone in cima a un palazzo distante o a quello che vedendo uno scarabeo su una finestra lo immagina come enorme nel prato lontano.
Errori di percezione che possono aver generato tante leggende del passato.
Esamina quindi alcuni casi di bambini savant o enfant prodige affetti dalla “sindrome dell’idiota sapiente”. Persone, non solo bambini, dalle grandi abilità ma con forti deficit emotivi. Ecco il piccolo autistico Tom capace di riprodurre ogni brano musicale senza aver studiato musica. Ne esegue persino uno con una mano, uno con l’altra e un terzo a voce. Ecco i “calcolatori umani” capaci di elaborazioni matematiche complesse ma senza essere consapevoli del metodo di calcolo usato. Ecco Steven, bambino con sindrome di Asperger, capace di dipingere con grandissimo dettaglio cose viste per pochi attimi.
Sorprendente è come i savant riescano a svolgere queste loro complesse attività senza prestarvi particolare attenzione, facendo cioè in contemporanea altre cose, come se una parte della loro mente lavorasse per conto proprio. Asperger riuscì a comprendere come gli autistici abbiano potenziali che possono essere espressi, imparando a non vederli come ritardati. Ci sono persone affette dalla sindrome che riescono, potenziando le proprie capacità, a superare i deficit della percezione emotiva, come nel caso, raccontato nel capitolo che dà il titolo al volume, della donna autistica diventata manager nel settore dell’allevamento. Pare che possano farlo quando non rifiutano la patologia ma vivono in armonia con essa, sviluppandone il potenziale.
Tutte queste malattie possono presentare alcune delle loro caratteristiche in individui considerati “sani” e, forse, contribuiscono all’eccezionalità di alcuni di loro, permettendo a tali individui di emergere in qualche modo. Persino la creatività potrebbe esserne influenzata, anche se, per esempio, l’incapacità di essere soggettivi ed empatici nelle persone con sindrome di Asperger, ne rende assai difficile il suo emergere.
Alla fine di questa istruttiva lettura mi viene da chiedermi se davvero queste “malattie” non siano piuttosto diversi percorsi evolutivi, per ora fallimentari, ma che, magari debitamente indirizzati, potrebbero portare verso un uomo nuovo.
Davvero il nostro modo di ragionare e percepire le cose è il solo possibile? Ora che ci occupiamo di intelligenze artificiali non potremmo esplorare queste “deviazioni” della mente per fare delle IA migliori di noi?
I Pooh, chi erano costoro? Nella locandina per la presentazione del saggio “La poesia dei Pooh” (Giulio Perrone Editore, 2021) l’autore Massimo Acciai Baggiani scrive “Dedicato a voi Poohlovers”. Beh, io non sono mai stato un Poohlover e non avevo neppure mai sentito questo termine che forse è un’invenzione di Acciai. Ovviamente so e sapevo chi fossero i Pooh. Non mi si attaglia la parafrasi della canzone degli Stadio “Chiedi chi erano i Pooh”, perché, più o meno, ho sempre saputo della loro esistenza, avevo un’idea delle loro facce e avevo certo sentito varie loro canzoni, ma questo gruppo musicale non è mai rientrato nel mio ristretto panorama musicale. Devo, però, dire che oggi non ascolto quasi più musica pop e anche da ragazzo mi limitavo, saltuariamente, al rock e ai cantautori. Per me i Pooh rientravano nel contesto sanremese e li ho sempre abbinati ai Ricchi e Poveri.
“La poesia dei Pooh” mi ha fatto scoprire, tardivamente, che questo gruppo aveva dei testi ricchi di riferimenti letterari e al tempo da loro vissuto. Una poetica che tocca con capacità le tematiche dell’amore, dell’amicizia, ma anche della politica e del sociale.
Massimo Acciai Baggiani, autore poliedrico e multiforme che spazia dalla narrativa alla saggistica alla poesia, ci presenta la poetica soprattutto dei due principali parolieri del gruppo Valerio Negrini e Stefano D’Orazio, mettendola spesso in relazione con opere di altri artisti dell’epoca e con opere letterarie le più varie. Acciai ripercorre in questo volume uscito or ora nella collana “L’Erudita” di Giulio Perrone Editore tutti i testi di questi autori, contestualizzandoli nella loro biografia e aggiungendovi considerazioni personali che rendono più viva la narrazione.
Precede il suo lavoro la prefazione di Fabrizio Di Marco, fondatore di Brennero ’66, una tribute band del gruppo, e lo conclude in appendice un racconto dello stesso Acciai, ispirato ai Pooh.
La prima parte è dedicata a Valerio Negrini (Bologna, 4 maggio 1946 – Trento, 3 gennaio 2013), la seconda a Stefano D’Orazio (Roma, 12 settembre 1948 – Roma, 6 novembre 2020).
D’Orazio, come ricorda anche Acciai, è stato una delle recenti vittime della pandemia di covid-19.
Per chi come me è poco informato su di loro riporto qui quanto ne scrive wikipedia:
“I Pooh sono stati un gruppo musicale italiano formatosi nel 1966 a Bologna e scioltosi il 30 dicembre 2016 a Casalecchio di Reno.
La composizione del gruppo ha subìto diversi cambiamenti nel corso dei suoi cinquant’anni di storia, ma la formazione rimasta stabile per 36 anni, dal 1973 al 2009, e con la quale il gruppo conobbe i suoi maggiori successi (tra i quali la vittoria al 40º festival di Sanremo), fu quella composta da Roby Facchinetti (tastiera), Dodi Battaglia (chitarra), Red Canzian (basso) e Stefano D’Orazio (batteria e, occasionalmente, flauto): la voce principale fu quella di Facchinetti, autore di molti brani del gruppo in coppia con il paroliere Valerio Negrini, ma anche gli altri tre membri del gruppo, cui contribuirono con numerose proprie composizioni, erano voci soliste nei brani di propria creazione. I quattro Pooh di tale periodo furono insigniti dal presidente italiano Cossiga dell’onorificenza di cavalieri.
Altro noto membro dei Pooh è il bassista Riccardo Fogli, che nel 1973, dopo l’album Alessandra, intraprese una carriera da solista, partecipando poi alla tournée d’addio alle scene del gruppo nel 2016.
Nel corso della carriera il gruppo ha venduto più di 100 milioni di dischi, record per un complesso italiano.”
Dal 22 al 23 Ottobre, a Castelnuovo Berardenga, presso il Teatro Alfieri, saranno proclamati i vincitori del Premio Vegetti della World SF Italia per il 2020 (premiazione sospesa a causa del covid-19) e 2021.
Tra le opere finaliste per il 2021 ci saranno, invece l’antologia “Apocalissi fiorentine” (Tabula Fati) di Carlo Menzinger di Preussenthal e l’antologia collettiva “Sparta ovunque” (Tabula Fati).
“Apocalissi fiorentine”, un’antologia di racconti di genere fantastico che descrivono momenti di crisi della città di Firenze, passati e futuri, per mettere in guardia sulla fragilità della Storia e del nostro mondo. Sono narrazioni che vanno dall’ucronia al surreale, alla fantascienza.
“Sparta ovunque” è, invece, una sorta di fan-fiction in cui sette autori (Massimo Acciai Baggiani, Donato Altomare, Sergio Calamandrei, Linda Lercari, Carlo Menzinger di Preussenthal, Paolo Ninzatti e Pierfrancesco Prosperi) ambientano sette racconti nell’universo ucronico della saga di romanzi di Carlo Menzinger di Preussenthal “Via da Sparta”, in cui la città greca ha annientato Atene e la sua cultura consegnandoci un mondo contemporaneo del tutto diverso.
Il saggio “Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone”, sottotitolo “Storie francesi da Piombino a Parigi” di Roberto Mosi è una vivida guida dei luoghi napoleonici in Toscana, da Piombino, all’Elba, a Lucca, a Massa e a Carrara e soprattutto di quelli dello Stato di Piombino affidato alla sorella Elisa e al marito e poi del Principato di Lucca, retto dalla coppia.
Furono pochi gli anni dell’ascesa e caduta di Napoleone, una decina quelli del Principato di Lucca della sorella, ma anni importanti per il rinnovamento della regione.
L’Imperatore dava grande importanza alle città, impegnandosi a rinnovarle, ma anche alle vie di comunicazione, che, sull’esempio dell’Impero Romano, sono alla base del consolidamento di un impero.
Anche l’arte subì un notevole impulso, divenendo terreno fertile per artisti come David e Canova.
Importanti le risorse minerarie della Toscana, dai marmi di Carrrara al Ferro di Piombino e dell’Elba, tanto determinante in tempo di guerra.
Il saggio ci conduce a scoprire la vita del tempo, la moda, il modo di mangiare, le feste, la quotidianità di questa famiglia assurta da una piccola nobiltà a un impero di portata europea. Difficili, però, sono le veloci ascese, come insegna non solo la storia dell’imperatore corso (ma di origini toscane, essendo la famiglia di San Miniato), ma anche quella di Alessandro Magno, Carlo Magno o persino, nella sua negatività, Adolf Hitler. Gli imperi possono nascere in breve ma più in fretta crescono, più in fretta crollano, privi della connessione con i poteri preesistenti, che primo o poi si riorganizzano. Eppure, anche queste meteore sanno lasciare segni duraturi nella memoria del mondo.
Questo volume di Mosi, ci aiuta a ricostruire quelli del passaggio toscano di questo grande e della sua famiglia.
Roberto Mosi davanti al Museo Casa di Dante il 13 Settembre 2021 per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte dell’Alighieri.
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”