Dell’autrice ungherese Ágota Kristóf (Csikvánd, 30 ottobre 1935 – Neuchâtel, 27 luglio 2011]) avevo molto apprezzato “La trilogia della città di K.” (1986-91), opera visionaria e inquietante sulla Verità e la Menzogna. Ho poi letto il romanzo edipico “Ieri” (1995). Scaricando quindi sullo smartphone “L’analfabeta” (2004), non avendo chiaro neanche le dimensioni del file, immaginavo di iniziare la lettura di un nuovo romanzo. “L’analfabeta”, invece, è un racconto autobiografico di poche pagine, in cui l’autrice racconta soprattutto il suo rapporto con i libri, da lettrice assai precoce (4 anni), narratrice sin da bambina, fino ai primi approcci editoriali, le rappresentazioni teatrali e la svolta con le rappresentazioni radiofoniche dei suoi racconti che le diedero il successo.
Nel racconto c’è, però, anche, in parallelo, la narrazione della vita di una profuga.
Fuggita dall’Ungheria da giovane, attraversando avventurosamente i confini, si è ritrovata in Austria, Svizzera e in Francia, di nuovo “analfabeta”, incapace di comprendere tedesco e francese. Dopo il rifiuto in età scolastica di apprendere davvero il russo (ma anche gli insegnanti ungheresi non la incoraggiavano), si trova così a imparare dal nulla il francese, sino a dominare la lingua e diventare una scrittrice affermata proprio usandola. Storia di una profuga e di una migrante, in anni in cui questi attraversavano l’Europa piuttosto che giungere da altri continenti.
“Miraggi di silicio” (1994) di Massimo Pietroselli (Roma, 6 ottobre 1964) è un romanzo di fantascienza vincitore del Premio Urania. Per certi aspetti potremmo definirlo opera di anticipazione. Certo è stato scritto negli anni ’90 e non nel 1800, quando la strada dell’informatica era già ben delineata (nel 1990 persino la mia tesi di laurea era sull’intelligenza artificiale) ma la sua visione di un mondo in cui reale e virtuale si mescolano sembra sempre più somigliare al nostro futuro. Trovo che un’altra idea anticipatrice sia quella di immaginare una diffusione del telelavoro (oggi diremmo smart working) che allora poteva sembrare fantascienza ma che oggi, per effetto del covid-19, è divenuta brutalmente e rapidamente la realtà.
Interessante la considerazione che fa derivare da questo assunto: il ricorso massivo al telelavoro svuota di senso le città. Erano cresciute con l’industrializzazione, svuotando le campagne, per consentire a masse di persone sempre più grandi di essere vicine alle fabbriche e agli uffici. In un contesto di smart working, di consegne a domicilio (B2C), home entertainment, non abbiamo più bisogno delle città, ed ecco che queste si svuotano a favore di quelli che Pietroselli chiama Borghi. Sarà il nostro futuro? Salvo qualche probabile apocalisse che interrompa il processo, mi pare che la via oggi più di allora paia proprio questa.
Il romanzo si colloca quindi, anticipandole, dalle parti della saga cinematografica di “Matrix” (1999) Andy e Larry
Massimo Pietroselli
Wachowski (ma senza gli effetti speciali delle battaglie a tempo rallentato/ accelerato) o anche di “Ready Player One” il film di Steven Spielberg del 2018, che riprende il romanzo “Player One” (2010) di Ernst Cline.
Se vogliamo trovargli dei precedenti, possiamo pensare a un altro film, “Tron” di Steven Lisberger, del 1982. Qui, però siamo in un videogame o al romanzo “Il gioco di Ender” di Orson Scott Card, del 1985, in cui il protagonista crede di partecipare a un addestramento in ambiente virtuale ma in realtà combatte veramente.
Diciamo che è proprio questo il tema di “Miraggi di silicio”: quando il virtuale somiglia troppo al reale (o viceversa) non riusciamo più a distinguerli. Viviamo una vita credendola reale (come in Matrix) ma siamo solo “addormentati”, fisicamente in “Matrix”, mentalmente in “Miraggi di silicio”. Ed ecco quindi i virus (informatici) che mescolano le carte. Non posso non pensare a quelli che in “Matrix” diverranno in “deja-vu”. La confusione tra reale e artificiale fa anche pensare a “Blade Runner” (1982) e alla difficoltà di riconoscere i replicanti (film tratto dal racconto di Dick “Do Androids Dream of Electric Sheep?”) o ai cloni della serie TV “Orphan Black” (2013-17): tra tante ragazze uguali, qual è l’originale?
Opera, questa di Pietroselli, anticipatrice dunque del presente, del futuro ma anche di altre opere letterarie e cinematografiche. Un plauso anche alla giuria del Premio Urania per averlo percepito già nel 1994.
“C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” (2001) del colombiano Efraim Medina Reyes (Cartagena de Indias, 29 giugno 1967) potrebbe forse essere definito un romanzo rock, non per nulla il sottotitolo suona “Musica dei Sex Pistols e dei Nirvana”, ma il termine romanzo non si adatta più di tanto al volumetto (173 pagine).
Dei testi rock o, più in generale, delle canzoni ha la destrutturazione. Questo libro è, infatti, quasi privo di trama, incentrato sul protagonista e la sua visione della vita. Ambientato nel 1992, in sostanza si limita a descriverci che cosa Rep pensa del mondo e i suoi sono un po’ pensieri rock. Ci spara una raffica di aforismi, con qualche metafora, qualche episodio, spesso di sesso in qualcosa che potremmo magari definire flusso di coscienza se non fosse invece troppo razionale e pensato per esser tale, con non pochi riferimenti letterari, magari in negativo.
Tutti questi aforismi in fila fanno a volte pensare a un Oscar Wilde, con un simile gusto per cercare di stupire con il paradosso e l’anticonformismo. Alcuni sono persino con una loro saggezza e alcuni hanno una loro bellezza.
Il risultato è un libro (difficile definirlo romanzo), nonostante tutto quanto sopra, piuttosto leggibile e persino piacevole nella sua ruvida saggezza rovesciata.
Una buona fonte di citazioni, per chi abbia la pazienza di annotarsi quelle più sulle proprie corde.
Pare che Richard K. Morgan nello scrivere il suo romanzo “Bay City” (“Altered Carbon”, 2002) si sia ispirato all’hard boiled, ai film francesi e giapponesi, a William Gibson e a Blade Runner. Passi per “Blade Runner” che rimane anche per me un cult (anche se mi sono addormentato guardando il sequel), ma le detective story, compreso l’hard boiled mi annoiano alquanto. Ci sono ottimi film francesi e giapponesi ma mi pare difficile accomunarli in tutto unico. Certo, rispetto a quelli americani o inglesi il rischio che siano noiosi è più alto. Quanto a Gibson e al Cyberpunk, se l’idea di fondo su cui si basa la sua scrittura mi affascina, nulla di quanto letto sinora mi ha davvero preso. Non dovrei, dunque, stupirmi se ho fatto una gran fatica a leggere “Bay City”, trovando alquanto noiose e confusionarie queste indagini.
Per carità, anche qui, l’idea iniziale, di un mondo in cui non si muoia mai, ma le menti vengono immagazzinate digitalmente e poi trasferite in nuovi corpi (“custodie”) è molto buona anche se non del tutto originale e poteva essere ottimo spunto, ma sulla fantascienza prevale ahimè il giallo e tutte queste indagini su presunti suicidi, omicidi, traffico di stupefacenti, gangster spaziali
Richard K. Morgan
non mi interessa per nulla in un contesto mainstream, mentre l’idea delle personalità che cambiano continuamente aspetto serve solo a incasinare le indagini, senza rendere più divertente la trama o particolarmente fantascientifica. Oltretutto il fatto che superi le 500 pagine non aiuta davvero, rendendo il tutto piuttosto ripetitivo. Comunque, forse il problema non è il libro, ma io, dato che non è proprio il mio genere e, come mi capita di rado, ho fatto fatica a concentrarmi nella lettura. Ho dunque deciso di abbandonarlo, anche se mancano solo poche pagine al finale, che non mi importa per nulla sapere quale sarà.
Ora che sto scrivendo queste righe vado a leggerne qualcosa in rete e scopro che il titolo originale è “Altered Carbon”, lo stesso di una serie TV di cui ho visto solo la prima puntata, senza poi osare andare avanti (anche questa cosa assai rara per me, che di solito finisco almeno la stagione). Mi ripromettevo di riprenderla un giorno, ma ora non penso più di farlo, sapendo da quale fonte proviene.
Per la cronaca il romanzo è stato vincitore del Premio Philip K. Dick nel 2003.
“Diversi mondi” (Tabula Fati, 2018) è il secondo volume della saga “L’isola di Heta”, ideata da Sandra Moretti. Del primo volume, che si chiama come la saga stessa, ho già parlato, raccontando come il desiderio di creare realtà parallele alternative abbia spinto Sandra Moretti a immaginare una semplice isola, collegata al nostro mondo, in cui tutto è molto simile a quanto c’è sulla Terra, ma con un’altra società, un’altra organizzazione e altre regole. Potrebbe davvero essere solo una isola sperduta nell’oceano. Persino la lingua è la nostra. Non è, insomma, un vasto pianeta variegato, ma una realtà più simile a una città con i suoi quartieri. Degli esperimenti su Heta hanno portato a una sorta di corto-circuito con la Terra e la protagonista Thea, poiché sua madre era in viaggio tra i due mondi quando l’aspettava, ha il potere di spostarsi da una realtà all’altra.
Heta è governata dal Sistema cui si oppongono i Ribelli e, Thea, che nulla sapeva di Heta, si ritrova al centro di lotte di potere e rivolte. Assistiamo a imprigionamenti e fughe, con un sapore forse più fantasy che fantascientifico, mentre scopriamo sempre più questo mondo, in un’avventura che non si conclude con questo romanzo, perché altri già sono stati pubblicati. Il prossimo volume è intitolato “Fuoco amico”.
Tra pochi giorni a Milano ci sarà la nuova edizione di Stranimondi, il festival del fantastico. Durante l’ultima edizione avevo acquistato, tra le altre cose, il romanzo Eternal War – L’esercito dei santi” (Acheron Books, 2015) scritto dal giovane Livio Gambarini. Sinora non avevo ancora trovato il tempo di leggerlo. Ora che l’antologia “Gente di Dante”, che sto curando per il GSF – Gruppo Scrittori Firenze, è prossima alla pubblicazione con Tabula Fati, mi è parso il momento opportuno per leggere un romanzo che, per tema, ben avrebbe potuto figurare (se fosse stato un racconto) in tale volume. Si parla, infatti della famiglia fiorentina dei Cavalcanti e, in particolare, del poeta Guido Cavalcanti, contemporaneo dell’Alighieri. Anche l’autore della “Divina Commedia” compare alla fine del volume, che si chiude con la celebre battaglia di Campaldino, cui partecipò.
Questo libro (come gli altri tre della saga) non è, però, un semplice romanzo storico.
Alle vicende dei Cavalcanti e delle altre famiglie del tempo (peccato qualche refuso nei loro nomi), che si svolgono nella Materia, si alternano quelle immaginarie degli Spiriti, dei Genius loci, delle anime dei morti e degli Ancestrarchi, che si muovono nel parallelo mondo dello Spirito. Sono esseri che combattono tra loro per proteggere e aiutare le famiglie di cui sono come angeli custodi. Sono esseri spirituali, ma che nel loro mondo hanno corpi e sembianze umane ben precise e che possono star male, guarire, guadagnare potere (Virtù) e persino soccombere.
Guido Cavalcanti è figura centrale per lo spirito protettore dei Cavalcanti, Kabal, che molto ha investito su di lui. A differenza di altri, infatti, sia lui, sia Dante Alighieri, hanno due anime e gli Spiriti credono siano destinati a grandi cose.
Lettura interessante e suggestiva, che, dopo la recente immersione nel tempo dantesco (di cui quest’anno ricorrono i 700 anni dalla morte), ho potuto meglio apprezzare che se lo avessi letto appena acquistato.
Ottima miscela un autore come Paolo Ciampi e uno dei grandi miti europei, quello di Re Artù, di Merlino, dei cavalieri
della Tavola Rotonda e della ricerca del Sacro Graal. Ne è nato un volume dal titolo “In compagnia di Re Artù” (sottotitolo “In viaggio per Galles e Cornovaglia con leggende e cavalieri”), edito da Mursia nel 2019.
Paolo Ciampi è autore che ho letto in più occasioni e che ho portato nel GSF Gruppo Scrittori Firenze, per il quale attualmente riveste il ruolo di Presidente del premio letterario “La Città sul Ponte”.
Giornalista, è narratore di luoghi e di viaggi. Lo conobbi anni fa per un libro sul grande esploratore Odoardo Beccari che ispirò Emilio Salgari “Gli occhi di Salgari”, cui seguirono molte altre appassionanti letture, tutte caratterizzate da uno sguardo poetico sulle cose, da una grande cultura, da una stimolante capacità di citare altri autori e di collegare storie, eventi e personaggi.
Questo volume non è da meno. Libro di viaggio “dove la storia incontra la leggenda”. Ne esco con una lunga lista di autori o titoli che vorrei ora leggere o rileggere, come Dylan Thomas, Thomas Malory (“Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri”), Thomas Hardy, Bruce Chatwin (“Sulla collina nera”), Goffredo di Monmouth (“Storia dei re di Britannia”), T.S. Eliot (“La terra desolata”) e Mark Twain con la sua grande ucronia “Un americano alla Corte di Re Artù” (il viaggio nel passato di un “cittadino di un paese dal passato corto, ma convinto di incarnare l’idea stessa di futuro”, opera fondamentale della mia infanzia letteraria). Perché King Arthur è personaggio leggendario la cui storia, quella vera, è fatta più che altro di ipotesi e supposizioni. È quasi più un personaggio letterario che uno storico, per quanto sono numerose le opere scritte, girate, musicate su di lui e il suo mondo magico e cavalleresco, su Lancillotto e Ginevra, su Percival- Parsifal, su Galvano-Gawain-San Galgano, su Uther Pendragon, su Merlino-Myrddin, su Mordred il traditore-usurpatore, su Giuseppe di Arimatea e il Santo Graal, su luoghi come l’isola di Avalon (l’isola delle mele, l’isola di vetro), il regno di Logres, la Cambria (antico nome del Galles), i monti Brecon Beacons dove furono radunati i Cavalieri della Tavola Rotonda, le isole Scilly dove si rifugiarono. E vorrei ricordarmi qui anche del gigante pluriomicida che giace a Yr Wyddfa, ucciso da Artù, o il suo conterraneo Idris (altro mitico gigante), o di Madoc-Madog, il gallese che si narra sia giunto con cento uomini in America al tempo delle Crociate, prima dei vichinghi e di Colombo.
Vorrei qui appuntare decine di citazioni prese da questo libro, a partire da quelle introduttive, sia di opere d’altri sia di riflessioni dello stesso autore.
Mi limito ad alcune, con il proposito di farne buon uso in futuro:
Paolo Ciampi
“Create miti su voi stessi, anche gli dèi hanno cominciato così” di Stanilslaw Jerzy Lec.
“I miti a cui si crede tendono a diventare veri” di George Orwell.
“Il silenzio di quell’uomo è meraviglioso da ascoltare” di Thomas Hardy.
“Can you tell me where my country lies?” di Peter Gabriel, quello dei Genesis.
“Chi disprezza l’altrui credo abbassa il proprio credendo di esaltarlo” di Ashoka, un potente re indiano.
“Nel deserto nudo, sotto un cielo indifferente” di Lawrence d’Arabia.
“Time and tide wait no men”, scritto su una panchina gallese.
“If nothing goes right, go left”, su una mattonella in vendita in un negozio di Hay-on-Wye, la “capitale mondiale del libro”, una cittadina che ha deciso di accumulare ovunque libri su libri.
Ecco, poi, lo sguardo attento di Ciampi verso la natura che gli fa paragonare la campagna toscana a quella inglese “un altro miracolo che non è solo della natura e non è solo dell’uomo, ma della natura e dell’uomo insieme, attraverso secoli e secoli di lavoro sapiente.
Viva la mia campagna e viva la campagna britannica”.
Eccolo che citando San David, presunto nipote di Re Artù, e il suo “fate le piccole che avete visto fare e sentito dire da me”, osserva “Fate le piccole cose: mi piace. Perfino la traversata a piedi di un continente comincia dal primo passo”, vera filosofia del fare.
Eccolo, parlando di miti e di fiabe, citare il grande John Ronald Reuel Tolkien sostenendo (quanto hanno ragione entrambi!) che “le fiabe sono cosa seria, da adulti. Non sottovalutate mai elfi, orchi, anelli magici” (scrive Ciampi).
Eccolo quindi concludere nelle ultime pagine che “Artù è vero, che le sue storie sono vere, lo sono perché sono dentro i libri, continueranno a esserlo finchè ci saranno i libri” e anche, in fondo, che “Artù oggi sia ancora l’attesa del buon governo e della buona politica” di cui avremmo tutti un gran bisogno.
Un libro “In compagnia di Re Artù” da cercare, leggere e conservare, come tutte le buone letture e magari da tenere in valigia per un viaggio in Galles e Cornovaglia, fuori dai soliti itinerari e con un filo conduttore che dia un senso al viaggiare.
Il volume “Frequenze indipendenti” (Liberodiscrivere, agosto 2020) di Maddalena Leali porta il sottotitolo leopardiano
“Zibaldone” e la stessa autrice nelle pagine introduttive ci spiega il motivo della scelta di fare un libro che fosse una mescolanza di cose diverse, racconti, poesie, riflessioni, fiabe. Opera, a mio modo di vedere, quanto mai ardita, perché già non è facile mantenere l’attenzione del lettore su un testo uniforme, ma farlo passando non solo da un argomento all’altro ma addirittura da una forma di scrittura a un’altra appare quanto mai arduo, anche perché si rischia di scontentare sempre qualcuno, ora chi predilige i racconti, ora chi preferisce la poesia.
Maddalena Leali è però una “penna” ben allenata, che scrive con capacità e maestria e riesce a ben condire quest’insalata o macedonia letteraria, amalgamando tra loro le parti, donandoci persino sensazioni d’agrodolce.
Personalmente prediligo nell’ordine le grandi saghe, i romanzi articolati e quindi i racconti, dunque mi sono ritrovato meglio nella narrativa dove spiccano racconti di una certa intensità e sensibilità, capaci di emozionare e persino indignare, dalla storia della bambina dislessica, alla storia calviniana sul re che non può lasciare il trono, ai giochi attorno alla creazione (che compare anche nei versi), alla vicenda della coppia di zoppi (che degenera in non-sense), alla fine dei due gemelli circensi, agli amori omosessuali, allo sfortunato bambino detto Pig, a Gioele/Joel, all’uomo grigio che si depila e corre
Maddalena Leali
nudo.
A volte si fa fatica a distinguere il racconto dalla riflessione come quelle sul michelangiolesco “Leda e il cigno”, sul “maestro del lupo”, sul valore delle parole e delle cose, sulla solidarietà verso Maria e Meneghino, sulle disgrazie ospedaliere (“incallita canaglia figlio di puttana che hai succhiato lo stipendio di un mese al padre operaio di quel bambino per una visita di dieci minuti e sai che nel tuo ospedale il protocollo per la sterilizzazione delle sale operatorie non viene mai rispettato scrupolosamente”), sulla partigiana Nina.
Questo non vuol dire che i versi siano di poco conto. Anche qui non manca l’intensità, specie nel quartetto di haiku, intensi per definizione. Suggestivo, per esempio, quel “presepe così grande / che ci posso camminare” o il volo dell’ultimo gabbiano o “il tormento / di non morire/ mai.”
E non manca persino la fiaba finale.
Molti poi sono i riferimenti letterari e culturali, da Sanguinetti, a Pasolini, a Zanzotto, citati esplicitamente, ad altri da ricercare.
Da una raccolta di racconti intitolata “Mini etologia della fauna maschile” mi sarei aspettato una serie di storie
riguardo i difficili rapporti tra i due sessi, con un punto di vista femminile, tanto più che l’autrice, Eleonora Falchi, è una donna.
Mi sfuggiva la seconda parte del titolo “e altre storie”, scritta in piccolo.
In effetti, il suddetto tema è l’argomento di uno solo dei racconti presenti. Il volume, che mi parrebbe auto-pubblicato nel 2018 da quest’autrice del GSF Gruppo Scrittori FIrenze, è suddiviso in cinque parti:
La famiglia;
L’amore;
Fiabe;
Fantascienza;
Punti di vista.
Vi compaiono, dunque, storie assai diverse, che spesso sembrano (o sono presentate come) ricordi dell’autrice, altre volte sono piuttosto sue analisi e riflessioni sulla vita, la gente e le cose.
Anche la parte denominata “Fantascienza” appare piuttosto come uno sguardo perplesso sul progresso tecnologico ormai in atto.
Ci sono anche storie come, il surreale “Colleziono per lo più occhi
Eleonora Falchi
chiari”, che pare quasi il profilo di un serial killer, anche se poi il protagonista si rivela piuttosto innocuo nonostante le sue considerazioni appaiono piuttosto inconsuete, dal fisico “la inondo di saliva”, al filosofico “Le ho scritto che per ora ho apprezzato molto il suo cervello”, al sociologico “è bello baciarla e intervallare con argomenti culturali”. Per fortuna della malcapitata “l’istinto le fa percepire che qualcosa non va”! Già!
Personaggio inquietante, questo, che ben si inserisce nel bestiario maschile del racconto che dà il titolo alla raccolta.
E che dire di quell’altro tipo che incontriamo ne “Lo scaffale dei libri”? Approccia la sua bella con frasi di estrema coerenza come “Per te ci sarò sempre, ma… la verità è che mi stanca sentirti tutti i giorni. Sì, ti voglio vedere, ma… adesso non so quando. Ti amo, ma… diciamocelo, sei un ‘extra’ nella mia vita”.
Non voglio svelare altro, ma penso che avrete capito che, sebbene il fallimento dei rapporti di coppia non sia qui l’unico tema, conserva comunque uno spazio di tutto rispetto.
Davvero, l’universo maschile può apparire così visto da una donna?
Per quanto io sia sempre più convinto dell’incolmabile superiorità della letteratura fantastica su quella mainstream, a
volte anche i romanzi che parlano di vita quotidiana riescono a sorprenderci piacevolmente e a darci importanti emozioni.
È questo, io credo, per esempio, il caso de “Il giorno in cui ho smesso di avere paura” di Andrea Improta, valente autore del GSF Gruppo Scrittori Firenze.
Si tratta di un romanzo dalla trama ben costruita, che si disvela con i giusti ritmi, presentando un protagonista e dei personaggi secondari ben costruiti e intensi.
Volendo banalizzare si potrebbe dire che questi sono un poeta in crisi, il suo editore cocainomane, i suoi amici nordafricano e sudamericano, le sue donne del passato e una prostituta matura di cui s’innamora, ma leggendo queste pagine non si pensa a loro come a questi stereotipi, perché si percepiscono con lo spessore di persone vere, per le quali ogni etichetta sarebbe superflua.
Brillante è anche l’idea di fondo. Il protagonista va alla ricerca della sua ex che ha lasciato dietro di sé solo un enigmatico e promettente messaggio “Tanto tu mi troverai”, prima di sparire nel nulla. Questa si chiama Laura e tutto gira attorno alla sua assenza (un po’ come nel mio “Ansia assassina”). Mi sono, dunque, venute più volte alla mente le parole della canzone di Nek:
“Laura non c’è, è andata via
Laura non è più cosa mia
E te che sei qua e mi chiedi perché
L’amo se niente più mi dà
Mi manca da spezzare il fiato
Fa male e non lo sa
Che non mi è mai passata
Laura non c’è, capisco che
È stupido cercarla in te
Io sto da schifo credi e non lo vorrei
Stare con te pensando a lei
Stasera voglio stare acceso
Andiamocene di là
A forza di pensare ho fuso.”
Chissà se anche Andrea Improta ci pensava scrivendo.
“Sembri sempre in cerca di qualcosa, come se volessi telecomandare la tua vita. E io ho paura che non troverai mai niente. Sei troppo preso a cercare, per riuscire anche ad ascoltare”. Dice Sofia, la sua amica puttana, al protagonista Sal e, in effetti, questa ricerca della Laura perduta è più una ricerca di se stessi e il romanzo, senza pesare, si trasforma in ricostruzione psicologica. Mentre la vita esteriore di Sal va sempre più a pezzi con la morte del suo migliore amico, l’arresto per omicidio dell’odiato amico editore, con la paura per la morte di Sofia, con l’impossibilità di trovare Laura o ricostruire una storia con Barbara, la sua vita interiore, come d’incanto si ricompone e Sal ritrova un equilibrio nel momento più inaspettato.
E noi, leggendo, scopriamo un autore da ricordare e magari da leggere ancora.
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”