Archive for Maggio 2021

L’AMORE NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO AMERICANI

Sappiamo tutti che la Storia la scrivono i vincitori, in particolare la Storia di guerra. Colpisce sempre, però, quando

Jamie Ford
Jamie Ford

capita di affrontarla da un altro punto di vista. Da decenni ormai gli indiani non sono più i cattivi nei western, ma altri cambi di prospettiva faticano a realizzarsi. La Seconda Guerra Mondiale forse c’era ancora troppo vicina perché qualcuno ne rovesciasse le prospettive.

Non parlo certo di pretestuosi negazionismi, ma del portare in evidenza colpe nascoste dei vincitori. L’orrore dei campi di sterminio nazisti, per esempio, non dovrebbe farci dimenticare che c’erano campi di concentramento anche nella “libera” America, in cui furono deportate intere famiglie di cittadini americani, colpevoli solo di essere di origine giapponese: uomini, donne, vecchi e bambini.

Il gusto proibito dello zenzero” di Jamie Ford (Eureka, California, 9/7/1968) non è un romanzo di denuncia e non è stato scritto da un giapponese, ma una storia d’amore alla Romeo e Giulietta, dove gli amanti non sono divisi dalle divergenze familiari ma da quelle dei popoli d’origine. Henry e Keiko sono, infatti, entrambi dei dodicenni americani, ma d’origine cinese lui, d’origine giapponese lei.

La Seconda Guerra Mondiale, che da noi tendiamo a vedere come un conflitto europeo esteso ad altre parti del mondo, nel romanzo appare come un prolungamento della guerra cino-nipponica. Quasi non si parla di tedeschi, inglesi, francesi e russi.

La narrazione ci mostra anche un diverso aspetto del razzismo americano, diverso da quello verso gli afro-americani: quello contro gli orientali.

Ecco quindi questa bella amicizia tra due ragazzini di dodici-tredici anni e un musicista jazz di colore adulto. Ecco una storia con la musica in sottofondo, che ci mostra in modo nuovo uno spaccato della provincia americana (Seattle) in due periodi, gli anni quaranta e ottanta del secolo scorso.

Mentre leggevo la mente mi correva spesso a un altro bel romanzo, “Venivamo tutte per mare” di Julie Otsuka, che ci narra come, a bordo di una stessa nave, siano arrivate in America tante ragazze giapponesi per sposarsi con un marito conosciuto per corrispondenza, che in America hanno vissuto e che allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale sono diventate il nemico, sono state rinchiuse in ghetti e lager o scacciate, perdendo tutto quello che avevano creato con

Il gusto proibito dello zenzero - Jamie Ford - copertina

anni di vita e lavoro.

Anche la giovane protagonista de “Il gusto proibito dello zenzero”, che neppure conosce il giapponese, finirà in uno di questi lager assieme alla famiglia e poi sarà allontanata. La giovane storia d’amore si spezzerà, come il metaforico disco a 78 giri, che appare nel romanzo, e le loro vite prenderanno strade diverse, pur restando i loro cuori uniti.

Il romanzo neppure accenna al forse ancora più grande orrore delle due atomiche sganciate su un Paese ormai sconfitto e si mantiene distaccato, senza denunciare o accusare, ma mostrando semplicemente l’ingiustizia e il razzismo nelle loro manifestazioni materiali.

Per chi volesse approfondire la Storia del conflitto da punti di vista diversi, suggerirei, per i coinvolgimenti americani nella gestione dei campi nazisti l’ucronico (ma tutt’altro che insensato) “Processo n.13” di Pierfrancesco Prosperi e,  sulla scelta di bombardare la popolazione civile tedesca, la  “Storia naturale della distruzione” di Winfried G. Sebald.

A proposito dell’autore, nell’intervista che chiude il volume, spiega di essere cinese ma che suo nonno adottò il cognome Ford per sembrare più americano e che la storia, per quanto inventate a alcuni collegamenti con ricordi familiari.

La traduzione italiana del titolo (“Hotel on the Corner of Bitter and Sweet”) è suggestiva e mi ha indotto alla lettura anche per la mia passione per lo zenzero, che, in realtà, vi compare ben poco, a parte un punto in cui si dice che viene utilizzato nella preparazione del gin, cosa che mi pare piuttosto strana. Semmai si usa per aromatizzarlo, non come ingrediente base.

LE SORPRESE DELL’ARCHEOLOGIA LUNARE

James P. Hogan su Amazon.it: libri ed eBook Kindle di James P. Hogan
Jaems Patrick Hogan (Londra27 giugno 1941 – 12 luglio 2010) è stato un autore di fantascienza britannico.

La strutturazione della trama de “Lo scheletro impossibile” è davvero notevole. Questo romanzo di James Patrick Hogan, scritto nel 1977, è il primo di cinque episodi della serie chiamata “Ciclo dei giganti”. Partendo dalla scoperta sulla Luna del cadavere di un astronauta umano vecchio di 50.000 anni, Hogan ci trascina in una serie di indagini e speculazioni successive che fanno mutare le ipotesi per la soluzione di questo mistero delineando e subito dopo smontando una serie di scenari alternativi. La conclusione è perfettamente logica ed equilibrata, partendo dai presupposti fantasiosi del ritrovamento iniziale e di quelli successivi. Trovo solo assurdo che si riesca a decifrare così bene una lingua sconosciuta, senza alcuna assonanza con lingue note e senza alcuna “stele di Rosetta”.

Il romanzo risente solo (ma non troppo) del tipico difetto dell’hard fiction: spiega con troppi dettagli tecnico scientifici ogni cosa. Per il resto, si presenta non solo ben costruito, con una sorta di struttura da giallo ma sfruttata per un mistero decisamente molto più appassionante dello scoprire chi abbia assassinato la vittima di turno. Qui si ragiona sulle origini dell’umanità e lo si fa con grande fantasia e intelligenza. Mi dispiace non svelare il finale, che davvero merita di essere raccontato per il suo grande equilibrio narrativo ma non sarebbe giusto verso chi, purtroppo per lui,

Lo scheletro impossibile di James P. Hogan

questa storia ancora non avesse letto.

Segnalo, con il proposito di letture future, il ciclo completo:

  1. Lo scheletro impossibile (Inherit The Stars, maggio 1977, ISBN 0-345-30107-2), trad. di Beata della Frattina, Urania n. 739, 1978.
  2. Chi c’era prima di noi (The Gentle Giants of Ganymede, maggio 1978, ISBN 0-345-29048-8), trad. di Beata della Frattina, Urania n. 765, 1978.
  3. La stella dei giganti (Giants’ Star, luglio 1981, ISBN 0-3452-8771-1), trad. di Beata della Frattina, Urania n. 931, 1982.
  4. Entoverse, ottobre 1991, ISBN 1-85723-002-7Urania Jumbo n. 1, trad. di Marcello Iatosti, gennaio 2018.
  5. Missione su Minerva (Mission to Minerva, gennaio 2005, ISBN 0-7434-9902-6), Urania Jumbo n. 4, trad. di Marcello Iatosti, novembre 2018.

DUE STUDENTI SCROCCONI IN GIRO PER IL SUDAMERICA

Un libro per pensare – Ernesto Guevara-Latinoamericana – OUT OF TIME

Latinoamericana” racconta il viaggio dell’autore all’età di 23-24 anni (compie gli anni nel corso della narrazione) nel 1951-52, assieme a un amico, argentino come lui. Partono in moto (a volte il volume si trova con il sottotitolo, un po’ ingannatore, “Un diario per un viaggio in motocicletta”) da Cordoba per girare il Sudamerica. Ben presto la moto li abbandona e proseguono scroccando passaggi, pasti e alloggi.

Insomma, un diario come tanti di due ragazzi partiti per una tipica avventura di scoperta giovanile.

Quello che rende particolare questo volumetto, però, è il nome del suo autore: Ernesto “Che” Guevara.

Ebbene costui, immagino lo sappiano tutti, è uno dei miti della sinistra internazionale, al punto che con la sua faccia barbuta sono state stampate numerose magliette e infiniti poster. Più che un uomo è stato un simbolo.

Merito di questo libro? Non credo, anche se può aver contribuito a darne un’immagine avventurosa e contro le regole.

Come si legge sul sito della Feltrinelli “Ernesto Guevara de la Serna, più noto come Che Guevara o semplicemente Che, nato in Argentina nel 1928 e morto in Bolivia nel 1967, è stato allergologo, viaggiatore, teorico del marxismo, e uno dei protagonisti centrali della rivoluzione cubana. Conquistata L’Avana, proseguì la lotta in Congo e tentò di accendere la guerriglia in Bolivia, dove trovò la morte.”

Eppure, in questo libricino che ho appena finito di leggere non c’è proprio nulla di politico, né di rivoluzionario (a meno che scroccare pasti e letti sia definibile come tale).

Nell’attraversare il continente non fa alcuna osservazione sociologica, salvo al massimo considerazioni del tipo che tutti i sudamericani si somigliano e dovrebbero far parte di una sola nazione. Annotazione che si può certo trovare in libri di autori per nulla politicizzati. Da medico collabora con alcuni lebbrosari, ma le sue descrizioni sono ben poca cosa, anche solo a raffrontarle con libri come “La città della gioia” di Lapierre. Più che altro lo colpisce l’amichevolezza e

Che Guevara | Pop art, Che guevara, Ritratti
Ernesto Che Guevara

gratitudine dei malati.

Assistendo per la prima volta in vita sua a una corrida, pur evidenziando la lunga agonia di un toro ucciso malamente, nessuna parola di indignazione verso simili spettacoli barbarici esce dalla sua penna, se non la considerazione che la corrida non lo aveva per nulla entusiasmato.

Forse l’aspetto sociologico-storico più interessante che emerge a leggerlo a tanti decenni di distanza è la cronaca, involontaria, della fragilità dei mezzi di trasporto utilizzati: perennemente guasti. Immagine che ci dà una buona misura di come da allora sia progredita la meccanica.

Insomma, siamo più che dalle parti di “On the road” di Jack Kerouac che non del “Capitale” di Karl Marx. Non per nulla, fu scritto proprio nel 1951 (ma pubblicato nel 1957). “Latinoamericana” fu pubblicato postumo a Cuba nel 1992.

Si scopre anche perché lo chiamassero “Che”: è un modo di rivolgersi alle persone argentino, traducibile forse con il nostro “Ehi” o “Ehi, tu”. Guevara lo usava così spesso, da far sì che divenne il suo soprannome.

Insomma, un ragazzo come tanti in viaggio, un diario piacevole e scritto in modo accattivante, ma privo sia di avventure significative, sia di uno sguardo speciale quale ci si potrebbe aspettare da un simile mito della politica. Probabilmente era ancora troppo giovane.

UN’ORFANA ANAFFETTIVA E LA FLORIGRAFIA

Ci sono lingue che nascono per l’uso, adattandosi generazione dopo generazione, mutando da lingue più antiche,

Vanessa Diffenbaugh – Mare di Libri
Vanessa Diffenbaugh

ibridandosi con altre. Così sono quasi tutte. Ce ne sono poi altre inventate da qualcuno o da un gruppo di persone per vari motivi. Si pensi all’esperanto o al volapük, ma anche a quelle create per esigenze narrative come il klingon.

In merito lessi tempo fa l’interessante saggio curato da Massimo Acciai Baggiani e Francesco Felici “Ghimìle Ghimilàma”, cui rimanderei per chi volesse saperne di più.

Il linguaggio segreto dei fiori” di Vanessa Diffenbaugh (San Francisco, 1978) fa riferimento alla più scomoda, inusuale, incompleta e folle di questa lingue inventate: il linguaggio dei fiori o florigrafia.

Chi non sa che rose rosse vogliono dire “amore” o “passione”? Ebbene, c’è chi ha scritto dei dizionari per attribuire a ogni fiore o pianta un analogo significato. Il linguaggio è un codice espressivo di antica origine orientale che attribuiva una connotazione sentimentale ai fiori che assurgevano così a emblemi dei moti del cuore ed ebbe particolare

Il linguaggio segreto dei fiori - Vanessa Diffenbaugh - copertina

successo durante il romanticismo. I giapponesi lo chiamano hanakotoba.

La protagonista de “Il linguaggio segreto dei fiori” è una ragazzina orfana piuttosto misantropa e anaffettiva, che non si relaziona con facilità ma che scopre attraverso i fiori un modo per comunicare. Difficile, però, è per lei trovare chi comprenda il suo linguaggio.

L’idea è buona e probabilmente alla base del successo del romanzo ma forse non sfruttata a pieno. Assumono, invece, centralità lo sviluppo dei difficili rapporti con le persone che la circondano, innanzitutto la madre adottiva, di cui seguiamo l’evoluzione verso l’età adulta. Il volume è anche corredato da un dizionario di florigrafia, ma perde l’occasione e l’opportunità di immaginare un dialogo veramente costretto dai limiti di questo linguaggio, così povero di termini e per il quale le parole non vanno cercate in testa ma dal fioraio, semmai bastasse. Il linguaggio dei fiori resta per Victoria solo una forma espressiva alternativa, non l’unica. Se lo fosse stata, anche il romanzo avrebbe assunto davvero una sua maggior originalità, senza diluire l’idea principale in comuni vicende affettive.

L’ALIENAZIONE DEI VIAGGI SPAZIALI

Joe Haldeman - Wikipedia
Joe William Haldeman (Oklahoma City9 giugno 1943) è un autore di fantascienza statunitense.

Guerra eterna”, il romanzo scritto da Joe Haldeman tra il 1971 e il 1974, vincitore dell’Hugo e del Nebula nel 1976, è considerato come una metafora della Guerra del Vietnam e certo lo era e forse lo è ancora.

Io l’ho letto più che altro come un buon esempio di space opera, la categoria della fantascienza che meno amo, in quanto costruita su viaggi spaziali, astronavi, armi e battaglie stellari. Per me la fantascienza è ben altro, innanzitutto speculazione sulle infinite possibilità dell’uomo, del tempo, dello spazio, dell’evoluzione e delle civiltà.

Guerra eterna”, però, è buona space opera, anche si in modo diverso da un classico come “Guerre stellari”, per la sua indagine sugli effetti dei viaggi nel tempo.

Siamo quindi, ben lontani da “Star Trek”, dove i mondi si raggiungono in un batter di ciglia, senza effetti collaterali.

In “Guerra eterna” ogni viaggio, che conduce a una battaglia con i poco definiti tauriani, comporta uno scostamento temporale dalla storia terrestre, per i ben noti effetti della relatività qualora si viaggi a velocità prossime a quella della luce.

Il protagonista in 1200 anni di guerre, non solo sopravvive, ma rimane giovane, semplicemente perché a forza di viaggiare ad altissime velocità, il suo tempo personale non è trascorso.

Ne deriva l’effetto “reduce” (evidenziato da chi legge questo romanzo in chiave “Vietnam”) e l’alienazione di chi trova

Guerra eterna

ogni volta il mondo nuovo e mutato.

Certo Haldeman non si sforza troppo nell’immaginare i nemici alieni, né l’evoluzione del mondo.

Con il primo salto temporale il protagonista si ritrova in anni a noi vicini, ma dal sapore utopico della fantascienza classica, con viaggi spaziali come realtà quotidiana, poi arriva in epoche in cui muta soprattutto la sessualità, con l’abolizione dell’eterossesualità prima e con la clonazione poi.

C’è la critica tipica degli anni in cui fu scritto contro il militarismo e l’insensatezza della guerra, ma i problemi del mondo d’oggi sono ben altri e l’interesse per simili temi non è più quello degli anni della Guerra Fredda.

Insomma, un romanzo discreto ma non direi uno dei capolavori della fantascienza.

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