Ricordo che quando ero bambino, non penso di aver avuto più di otto anni, il padre di un mio amico (una persona piuttosto diversa dai miei genitori a dir il vero) ci diceva qualcosa tipo: «Dovete imparare a diventare dei bulli. Dovete essere tosti, così le pupe vi correranno dietro».
Fu, credo una delle prime volte che sentii la parola “bullo” o quanto meno la prima in cui la vidi inserita in un contesto “morale”.
Durante la mia infanzia i bulli erano più che altro quelli del film “Bulli e pupe” con Marlon Brando e Frank Sinatra, “Bulli e pupe. Storia sentimentale degli anni cinquanta” di Steve Della Casa e Chiara Ronchini, “Giggi il bullo” con Alvaro Vitali ma ancor più “Poveri ma belli” di Dino Risi, anche se non ricordo se lì si usasse il termine.
Insomma, il bullo non era certo un modello di uomo o ragazzo da imitare, soprattutto per il mio tipo di formazione, ma era solo e soprattutto un ragazzo di borgata o periferia, sbruffone e cialtrone, non tanto un violento o un prevaricatore. Credo di averlo considerato spesso quasi un sinonimo di trasteverino, l’abitante di uno dei quartieri “antichi” di Roma.
Probabilmente la prima volta che ho usato il termine “bullismo” associandolo a un fenomeno di violenza e prevaricazione tra i giovani è stato quando ero ormai padre.
Questo non vuol dire che quando ero giovane questo fenomeno non esistesse. C’era eccome, ma i ragazzi imparavano a cavarsela da soli e, soprattutto, se non ci riuscivano, nessuno correva ad aiutarli.
Quando mi è stato chiesto di scrivere un racconto fantasy sul bullismo ho pensato di parlare del clima di violenza che si respirava ai tempi in cui ero al liceo, in particolare il 1977-78: gli anni di piombo. La rivoluzione culturale pacifista del 1968 si era ormai trasformata in un periodo di terrorismo e lotta armata, di estreme destre ed estreme sinistre che facevano a gara a chi creasse un maggior clima di terrore.
In tempi di prevalenza della Democrazia Cristiana, con all’opposizione un diffuso Partito Comunista, mi trovai in un anomalo liceo in cui il Movimento Sociale aveva quasi la metà dei consensi (e molti facevano parte di movimenti come Terza posizione). I fascisti spadroneggiavano ma il loro comportamento, a scuola, era proprio quello dei “bulli”: minacce, pizzi, bande semi-organizzate, picchettaggi. La politica spesso era solo un pretesto, anche se molti di loro gravitavano attorno a quello che sarebbe dovuto diventare il mio professore di filosofia se non fosse stato arrestato prima di diventarlo in quanto accusato di essere il mandante di alcuni omicidi, tra cui quelli dei magistrati Vittorio Occorsio e Mario Amato, nonché della strage di Bologna, per cui venne successivamente assolto. Venne poi condannato per associazione sovversiva e banda armata. Molti dei suoi alunni erano i nostri bulli alcuni dei quali arrestati per terrorismo. Insomma, non proprio gente facile da affrontare. E non venitemi a dire che oggi il bullismo è peggiorato…
Nel mio racconto “La banda degli sfigati” ho immaginato un liceo popolato da giganti, nani, elfi, orchi e altre creature magiche, che si scontrano con le stesse dinamiche. Gli anni di piombo, sono diventati qui gli anni di ferro.
Trovo interessante come il termine bullismo solo in pochi decenni abbia finito per rappresentare situazioni e persone ben diverse.
Il racconto fa parte di un’antologia “Non ti temo più”, edita a settembre 2022 da Tabula Fati e curata da Paola De Giorgi. Il sottotitolo è “Storie di bullismo e Cyberbullismo”. Già, perché quello che ai miei tempi mancava era il bullismo on-line e oggi si deve parlare anche di quello.
Il volume mi ha colpito per la prevalenza di voci femminili, su un fenomeno che, nella mia ignoranza, configuravo soprattutto maschile, perché derivato da quel mondo di cui scrivevo sopra, ma non c’è dubbio che anche delle ragazze possono essere malvagie e crudeli verso altre ragazze o che il fenomeno possa avvenire anche tra sessi diversi. Ai miei tempi i comparti erano maggiormente separati. Alle elementari ero in una classe di soli maschi, tanto per dire. Le autrici sono, dunque, undici, i racconti di autori maschi solo sei (due scrivono in coppia). Quattro delle cinque prefazioni sono scritte donne. Non ho verificato quanti personaggi maschili e quanti femminili ci siano, ma l’impressione è stata di una prevalenza di queste ultime figure, mentre mi sarei aspettato quanto meno rapporti invertiti.
Credo che questo sia un segnale di come il bullismo si stia trasformando. Non più semplice connotazione sociale tipicamente maschile, ma fenomeno di disagio diffuso in cui le donne sono diventate protagoniste. Si potrebbe forse parlare di “pupismo”, dato che la connotazione credo possa essere diversa a seconda del sesso degli attori. Le ragazze “pupizzano” in modo differente, più psicologico, credo, da come i maschi bullizzano, con maggiore fisicità. Se per i maschi le vittime del bullismo sono soprattutto ragazzi che non seguono le regole del gruppo dei bulli (che possono anche essere ben diverse dalle regole della società nel suo insieme), che hanno comportamenti difformi dalla “norma”, per le femmine credo che l’aspetto esteriore sia una causa scatenante più forte: magrezza, obesità, bruttezza in generale. Non per nulla nel volume, con il suo sguardo femminile, si parla di bodyshaming e persino di grassofobia.
Nelle storie femminili mi pare prevalga l’intervento risolutore esterno, mentre questo è meno presente in quelle maschili.
Il volume si caratterizza per una certa diffusione di elementi fantastici o magici.
Nel racconto di Loredana Pietrafesa che apre il volume abbiamo una bambina perseguitata da due gemelle che troverà nella voce fantasma del nonno morto (che le manda messaggi in rima su aeroplanini di carta) la forza per superare la situazione, grazie anche all’intervento degli adulti e alla magia del nonno-fantasma che farà confessare le gemelle.
Surreale il racconto di Chiara Onniboni in cui un bambino mangia tutte le merendine dei compagni per non farli ricattare dai bulli. Di nuovo a essere risolutivo è l’intervento delle “autorità adulte”.
Nella storia di Marco De Franchi un padre bullo si ritrova con un figlio bullizzato. La soluzione arriva ancora dall’esterno.
Melania Fusconi ci regala una vittima magica, la cui capacità di mutare forma diventa la propria tortura personale e la causa del bullismo contro di lui. L’aiuto è ancora esterno e magico.
Nella storia di Carla Dolazza la protagonista, isolata dai coetanei, cerca l’amicizia nel portiere dello stabile (come non pensare a “L’eleganza del riccio” della Burberry o a “Il giorno prima della felicità” di Erri De Luca), che si rivela peggiore dei suoi compagni. Di nuovo abbiamo un intervento salvifico esterno.
Nel racconto di Alessandra Zenarola la causa del bullismo non è la bruttezza, ma il suo opposto, la bellezza. Qui sarà l’amicizia di un coetaneo a salvarla. Non occorre l’intervento di alcuna autorità. Sarà forse perché il bullismo contro una bella somiglia più all’invidia, mentre di solito è motivato dal disprezzo. Su questo però credo occorra fare una riflessione maggiore. Il bullo, credo, può essere spinto alla violenza proprio dal fatto di sentirsi “inferiore” nel contesto sociale in cui vive. Non credo sia tanto l’invidia verso la sua vittima a spingerlo ma piuttosto una sorta di invidia sociale verso il contesto in cui vive e in cui non riesce a eccellere a portarlo a dimostrare sui più deboli la propria fragile superiorità.
Analogamente la protagonista “Supplì” di Nicoletta Romanelli non doveva essere così “nerd” o brutta, se a salvare anche lei è l’amore di un ragazzo.
A salvare il protagonista di Andrea Gualchierotti è lui stesso, grazie a un sogno. Qui la causa del bullismo è solo una sua cicatrice. Come si diceva, però, per i maschi i problemi fisici sono facilmente superabili, soprattutto quando, come in questo caso non sono troppo marcati. Gli stessi difetti fisici posso essere causa di bullismo come non esserlo per nulla.
Il bullo di Errico Passaro insegue la propria vittima anche dopo essere morto, ma questa riesce a trovare in se stesso il modo per superare il problema.
Enrico & Vittorio Rulli decidono di usare il punto di vista del bullo, in una storia in cui la vittima di ragazzo è una ragazza, che lui prende in giro dicendole di amarla. Con pentimento postumo.
Un ragazzo magro ai limiti dell’anoressia nella narrazione di Donato Altomare riesce a ottenere il rispetto di chi lo bullizzava salvandoli in una situazione difficile. Risolve dunque da sé il problema in modo costruttivo e positivo, trasformando sapientemente il contesto e riuscendo a guadagnarsi la stima dei suoi avversari. Certo la sfortuna dell’incidente è stata per lui una discreta fortuna. Anche nel mio racconto uso il medesimo meccanismo, pur in un contesto diverso: la vittima vince aiutando i bulli e cambiandoli. Che è poi la mia esperienza personale in merito e quella che sento come più reale.
Nel racconto di Fiorella Borin l’essere bullizzati entrambi farà scoccare qualcosa tra un ragazzo e una ragazza.
Come nel racconto di Alessandra Zenarola, la vittima è una ragazza bella, che qui fa riemergere nell’insegnante i propri, simili, trascorsi giovanili.
Il racconto dai toni fantascientifici di Paola Giorgi ci mostra un futuro di una società divisa tra bulli (Alfa) e vittime (Omega). Purtroppo, non mancano al mondo ideologie che potrebbero portare in tale direzione.
La protagonista della vicenda narrata dalla curatrice Paola De Giorgi si presenta come una delle vittime più mature quando scopre che non c’è “nessuno a cui chiedere. Nessuno a cui rivolgersi in cerca d’aiuto” e quindi l’importante è che “Non devi arrenderti mai”.
Roberta Zimei immagina di intervistare un bullo pentito anni dopo che ha provocato involontariamente la morte della sua vittima.
Un argomento che il volume non tratta (del resto non è un saggio ma solo una raccolta di racconti) è il bullismo tra adulti. Devo dire che anche questo esiste e, anche se si dovrebbe presumere che un adulto siam meglio attrezzato per difendersi, ho visto persone prevaricarne altre sfruttando magari solo una posizione gerarchica superiore, non limitandosi a sfruttare la propria vittima, ma mettendola alla berlina davanti ai colleghi.
Insomma, un fenomeno a 360 gradi, che riguarda ogni fascia d’età e ogni sesso.
Il volume ha ricevuto il sostegno e la sponsorizzazione di molte associazioni. A fine volume si leggono i loghi della Commissione Pari Opportunità della Città di Porcia, dell’ADAO, Associazione Disturbi Alimentari e Obesità del Friuli, di Consult@noi, Associazione Nazionale Disturbi Alimentari e molti altri.
Una lettura importante per conoscerci meglio e riflettere sul nostro mondo, i rapporti interpersonali e il mondo giovanile.