“Rosa nel tempo” (Solfanelli, 2022) di Rosanna Mutinelli è un romanzo che parte piano per riempirsi man mano di sorprese.
Dalla lettura delle prime pagine mi ero fatto l’idea quasi che si trattasse di qualche diario personale, con questa restauratrice affetta da astigmatismo e miopia, che le fanno vedere tutto come in sogno finché non si decide ad acquistare un paio di occhiali.
Ma ecco che, in un crescendo inarrestabile, il romanzo si arricchisce e prende forma. Che sia opera colta, con dietro numerose letture, si può intuire già dalla ricca presenza di citazioni di ogni genere.
Ecco che il lavoro della protagonista Rosa Di Maggio la porta a un misterioso edificio con un’ancor più oscura iscrizione da decifrare. Ecco altri messaggi cifrati. Ecco che l’edificio svela segreti inattesi, camere occultate e tesori inaspettati. Ecco che si comincia a parlare niente meno che della setta esoterica dei Rosa-Croce, leggendario ordine segreto mistico, cabalistico – cristiano, menzionato storicamente per la prima volta nel XVII secolo in Germania, sebbene l’accostamento della rosa alla croce sia già presente nel Rosarium philosophorum, opera del XIII secolo.
Come individuare un rosacroce? Impossibile: chi dichiara di esserlo non lo è, chi dice di non esserlo potrebbe esserlo, perché l’ordine vieta di dichiarare l’appartenenza.
Ecco parentele nuove e inattese che si rivelano. Ecco un destino iscritto nel sangue che fa pensare a un fantasy. Ecco tracce di alchimisti che cercano di mutare il piombo in oro, di trovare la pietra filosofale, di ottenere la vita eterna. Ecco una stanza nascosta che rivela un’antica macchina del tempo con testi che ne parlano e fotografie dalla cronologia sospetta quasi si fosse in un romanzo di fantascienza. Ecco un dipinto che ne cela un altro.
Non si parla solo di storia ma anche di matematica, come studio della relazione tra gli oggetti.
Non vi basta?
“Rosa nel tempo” è stato per me una piacevole sorpresa da parte di un’autrice che non conoscevo e che spero di incontrare di persona al prossimo Salone del libro di Torino, dove saremo entrambi allo stand del Gruppo Editoriale Tabula fati – Solfanelli.
“Astronave senza tempo” (Firebird, 1981) di Charles L. Harness (Colorado City, 29 dicembre 1915 – North Newton, 20 settembre 2005)è un romanzo davvero originale.
Intanto, i protagonisti non sono umani ma una razza felina, come si intuisce sin dalle prime pagine ma se ne ha conferma solo alla fine, facendo venire in mente “Il pianeta delle scimmie”, ma, soprattutto, Harness immagina una civiltà in grado di preoccuparsi non solo delle sorti non di un pianeta o di una galassia ma addirittura dell’intero universo. Per certi aspetti si potrebbe definire un romanzo di fanta-teologia, per la presenza del Dio Bifronte, Control, formato da due supercomputer telepatici posti agli estremi dell’Universo, Largo e Czandra, capaci di condizionare non solo le decisioni degli esseri che popolano le galassie, ma il moto di queste e scegliere se lasciare che l’universo si espanda all’infinito o collida in un Big Crunch. Non è chiaro perché un computer debba ambire a vivere in eterno e controllare l’universo, ma questo è uno dei presupposti della storia. Per sopravvivere, Controllo gioca/ giocano con la fisica, la massa degli ammassi stellari, i buchi neri e lo spazio-tempo. In un universo in espansione potrà vivere in eterno mentre in uno che si contragga no.
Abbiamo persino un’inusuale scontro frontale tra due astronavi che viaggiano entrambe a velocità
prossime a quelle della luce, con fantasiose conseguenze fisiche, oltre a viaggi nel tempo grazie ad astronavi super-veloci e attraversamento di buchi neri.
La storia si rivela un loop temporale che cela in sé la soluzione di alcuni misteri. Se la coppia di supercomputer è una sorta di divinità, i suoi avversari non potevano che chiamarsi Diavoliti.
Forse alcuni presupposti fisici della storia possono apparire implausibili, ma hanno una loro razionalità e talora la fantascienza sconfina verso il fantasy e la favola come nel caso del misterioso filtro d’amore multifunzione.
In “Tahu-Nui-A-Rangi. Il grande incendio del cielo” di Raffaele Formisano (Edizioni Mea, 2021) in un futuro non troppo lontano (2077) dominato dalle multinazionali, un gruppo di cyborg (biodroidi, ex-uomini) indaga su strani meteoriti di origine marziana, tra viaggi nel tempo (che ci portano nell’antico egizio, ad assistere ai viaggi al polo di Amudsen e in molte altre epoche), una pandemia di Morbo Egiziano che ricorda il nostro covid-19, e segreti familiari.
Molte sono le storie che si intrecciano a formare una trama fitta e articolata, che cela misteri che riguardano le origini della nostra civiltà. Un’occasione per riflettere sul futuro, i limiti, gli sviluppi e la morale della tecnologia, soprattutto quando ci rende meno umani.
Una storia che solletica la nostra paura dell’ignoto e ci spinge a porci domande sull’eticità delle scelte della nostra civiltà.
Il romanzo, nella produzione di questo autore, fa seguito ad altre due opere di carattere fantascientifico, “Il paradosso di Schrödinger” (2016) e “Progresso” (2018), ma come si legge in postfazione è in realtà il primo da lui scritto.
Ho condiviso con Formisano la partecipazione alla bella antologia multimediale “Soundscapes” (Edizioni Scudo, 2021) che contiene il suo racconto “Loop”, ispirato al brano “Chiaroscuri flowers” di Jagorart (Marco Besana), in cui il protagonista rimane intrappolato in un ciclo temporale chiuso in cui rivive sempre la stessa fase del suo viaggio in autostrada. Di nuovo, dunque, un interesse dell’autore per le anomalie temporali.
In realtà di Formisano avrei letto anche “Vitreo”, un romanzo collettivo firmato da Joshua Di Bello, dietro cui si cela il collettivo letterario Gruppo Nove, di cui Formisano è membro.
In occasione dell’assemblea annuale della World SF Italia, l’associazione nazionale degli operatori del fantastico tenutasi a Pistoia il 23 luglio 2022, ho incontrato Bruno De Filippis con cui, sebbene si faccia entrambi parte di questa associazione, non ricordo di aver mai parlato prima. L’occasione è stata il Premio Vegetti, tenutosi durante il raduno pistoiese, in cui De Filippis ha vinto il premio più ambito, quello per il miglior romanzo di fantascienza con il suo “Toba” (Lastaria Edizioni, 2021), opera che ci parla di mondi paralleli e viaggi nel tempo.
Ho colto subito l’occasione per leggerlo, restando colpito dalla moltitudine di temi in comune con varie mie opere.
Quelle che lui chiama Terra 2, Terra 3, Terra 4 e così via, altro non sono, infatti, che gli universi divergenti del mio ciclo su “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia”: mondi ucronici nati da una divergenza temporale, mondi in cui la storia ha preso un diverso corso.
Il protagonista Claudio non solo si sposta tra questi universi divergenti, ma viaggia anche nel tempo con la mente, ritrovandosi nel corpo di altre persone, come gli Antichi di Lovecraft. La cosa strana è che quanto lo fa il suo corpo si mescola con quello dell’ospite. In particolare, si ritrova in una preistoria di 75.000 anni fa (Jacopo Flammer invece arriva ben 750.000 anni indietro) e si trova a combattere con una tigre dai denti a sciabola, in un’epoca in cui l’uomo non aveva ancora completatol’estinzione dei grandi mammiferi.
I suoi viaggi nel tempo creano mondi ucronici come con l’attentato alla vita del Presidente Truman, poco prima che questi impedisse a McArthur di usare la bomba H, creando così l’universo divergente detto Terra 51.
Se di solito nelle storie sui viaggi nel tempo gli autori si preoccupano dei paradossi temporali e di rimettere a posto il tempo alterato, “Toba” e i miei romanzi hanno in comune la medesima visione: i viaggi nel tempo creano universi divergenti, ma non mutano quello di provenienza del viaggiatore, che continua a esistere.
Al centro della trama c’è una grande catastrofe, che si ripete nelle varie epoche: l’eruzione del vulcano Toba, cui, forse, nel passato l’umanità è riuscita a sopravvivere per un pelo senza estinguersi ma che potrebbe ripetere la sua azione apocalittica.
Nei suoi mondi paralleli, De Filippis immagina delle realtà che mi hanno ricordato quella della mia saga “Via da Sparta”, soprattutto per le case che si estendono sottoterra e per la critica del sistema matrimoniale monogamico (i matrimoni sono a scadenza ma possono essere prorogati e “qualcuno ha formulato, di vietare per legge la quarta proroga della stessa unione. Patrick pensa che sia utile, per evitare quella che è stata definita la “sindrome di Stoccolma” dei matrimoni, vale a dire la situazione nella quale uno dei due, succube dell’altro, accetti un prolungamento che in realtà non vuole”). Se in “Via da Sparta” si immagina una struttura politica molto diversa dalle attuali, anche in “Toba” troviamo un sistema meritocratico per l’elezione dei politici, con delle pagelle per le loro varie capacità.
Un’altra visione che condivido è espressa da De Filippis con questa frase “Noi cambiamo. Le cellule della pelle si rigenerano continuamente. Anche le ossa si dissolvono e si ricostruiscono a ciclo continuo, tanto che, dopo sette anni, non è rimasto neppure un frammento della struttura che avevamo prima. I ricordi scompaiono, le sensazioni si volatilizzano, le esperienze ci modellano continuamente: come possiamo pensare di essere la stessa persona di dieci anni fa o di un anno fa o anche di qualche minuto prima?” ricca di implicazioni narrative oltre che scientifiche.
Come finisce questo romanzo? In un libro con tanti mondi paralleli (meglio sarebbe dire divergenti) come potremmo avere un solo finale? Bruno De Filippis ce ne offre ben tre e conclude affermando, da buon ucronico alla “Slidding Door”: “Noi umani vogliamo sempre tutto ed il contrario di tutto e, scelta una strada, non facciamo che chiederci cosa sarebbe successo se avessimo preso l’altra.”
Grande per me è la suggestione del tempo. Non a caso scrivo ucronie, ma risento anche del fascino dei viaggi nel tempo e di storie come quella di Benjamin Button che invecchiava alla rovescia. “Cronorifugio” (2021) del bulgaro Georgi Gospodinov (Yambol, 7 gennaio 1968) affronta il tema in modo diverso da tutte queste opere. Immagina un personaggio dall’improbabile nome di Garibaldi Agostino (per l’amore dei genitori verso l’eroe dei due mondi e il santo filosofo), detto però più semplicemente Gaustin che, assieme al narratore, realizza un’abitazione in cui in ogni piano la gente possa rifugiarsi per vivere nell’epoca del passato che preferisce. Non periodi lontanissimi, soprattutto i decenni del passato XX secolo. Vi trovano rifugio in particolare vecchi e malati che hanno perso la memoria e che a contatto con le cose della loro gioventù sembrano riacquistare una nuova giovinezza.
In qualche modo la cosa si sviluppa sino al punto che tutte le nazioni del mondo decidono di indire dei referendum per far tornare il proprio Paese all’epoca più votata. Questo crea non poca confusione, sia nelle popolazioni che si ritrovano a regredire in epoche non poi così rosee come immagina la maggioranza dei votanti, sia per le difficoltà nel muoversi oltre frontiera, dato che questo comporta anche salti temporali. Una sorta di satire si legge nelle scelte delle nazioni delle varie epoche. Gli italiani “salvano” gli anni ’60, essendo i soli ad averli scelti. La Svizzera sceglie la neutralità, restando la sola
GEORGI GOSPODINOV
nazione europea a non lasciare il proprio tempo. La Bulgaria (Paese dell’autore) si ritrova nel Patto di Varsavia.
Opera moderna e recentissima ma che per le sue atmosfere sembra quasi un libro russo di fine Ottocento. Se non fosse per i fatti recenti citati, all’inizio della lettura avevo pensato quasi potesse trattarsi di un’opera di un secolo fa. L’originalità del modo di trattare il tempo rende però questo libro quanto mai originale e degno di nota.
Superati gli anni della cosiddetta fantascienza classica, due erano per me le saghe più affascinanti per complessità, originalità e fantasia creativa: il ciclo della “Torre Nera” (1982-2012) di Stephen King e “I Canti di Hyperion” (1989-1997) di Dan Simmons. Ora che ho completato la lettura del terzo volume della saga di Liu Cixin, penso che a questi cicli si possa più che degnamente accostare la trilogia dei “Tre corpi”, composta da “Il problema dei tre corpi” (2017), “La materia del cosmo” (2108) e “Nella quarta dimensione” (2018), tre romanzi autoconclusivi pur strettamente collegati tra loro e in logica successione cronologica. Poiché ogni volume pare concludere la storia, non escluderei che il ciclo possa continuare.
Questi tre romanzi contengono al loro interno talmente tante idee che se ne sarebbero potute trarne decine di romanzi. Sono al contempo un ritorno alla fantascienza classica, in quanto pongono di nuovo speculazioni scientifiche al loro centro, ma anche innovativi per i temi trattati e il diverso approccio.
Liu Cixin (Yangquan, 1963) gioca soprattutto con la fisica, come si può capire dai titoli, in una girandola di trovate che si succedono senza posa l’una dopo l’altra.
Se nel primo volume è centrale il complesso sviluppo di una civiltà su un mondo con tre soli (Alpha Centauri), con enormi e imprevedibili variazioni climatiche, nel secondo mi pare abbia un particolare peso il concetto che non abbiamo mai incontrato alieni perché ogni civiltà teme le altre e se ne sta nascosta: appena si fa scoprire viene distrutta.
Il terzo romanzo “Nella quarta dimensione” ci parla di universi a quattro, due e dieci dimensioni e alla possibilità di passare dall’uno all’altro e di usare queste trasformazioni dimensionali come armi micidiali.
Dire che i tre romanzi parlano di questo, però sarebbe fare loro un grosso torto, perché sono molto di più.
Se i riferimenti storici de “Il problema dei tre corpi” sono ben più recenti, “Nella quarta dimensione” comincia a Costantinopoli nel 1453, durante la caduta dell’Impero Bizantino, con Costantino XI Paleologo, una Maga e una coppa d’oro.
La scena si sposta però ben presto nel futuro, esplorando secoli sempre più distanti.
Si riprende, infatti, presto là dove ci aveva lasciato “La materia del cosmo”, con i tentativi dell’umanità di
Liu Cixin
difendersi dall’aggressione dei trisolariani con il potere affidato agli Asceti Impenetrabili e con la repressione dei tentativi di “Escapismo” (abbandonare la Terra). Troviamo quindi un’umanità il cui sviluppo scientifico e tecnologico è vincolato e bloccato dal potere trisolariano, che impedisce loro di sviluppare viaggi spaziali con strumenti migliori dei primitivi razzi chimici. Gli umani sono controllati dai trisolariani mediante i sofoni (intelligenze artificiali subatomiche create mediante il dispiegamento di un protone multidimensionale su due dimensioni e il suo successivo “rimpacchettamento”) che conoscono ogni loro iniziativa e dunque i terrestri non possono sfruttare alcun effetto sorpresa per combatterli.
Il primo tentativo degli umani per contrastare i trisolariani, la cui tecnologia pare molto superiore, è un’ingegnosa sonda che usa la propulsione di varie bombe nucleari fatte deflagrare lungo il suo percorso. Ne raccoglie l’energia con un’immensa vela solare. Suo scopo è portare un cervello umano (un uomo intero peserebbe troppo) su Alpha Centauri per creare una trappola ai Trisolariani. Umani e trisolariani, infatti, pur essendo in guerra tra loro, non si sono mai incontrati “fisicamente”. Il tentativo apre la porta per interessanti considerazioni su crioconservazione e viaggi spaziali, per i quali l’autore offre sviluppi innovativi.
Il cervello che sarà spedito nello spazio è quello di Tianming, che avevamo già conosciuto per aver regalato una stella alla protagonista Cheng Xin. Stella che avrà un suo ruolo nel romanzo.
Questo progetto, detto “Risalita” sarà solo il primo dei fallimenti dell’umanità in questo romanzo e andrà ad aggiungersi ai precedenti della saga. Un’ idea che caratterizza questo romanzo è quella di futuro regressivo, proprio il contrario dell’ottimismo utopistico della fantascienza classica. Non solo l’intera trilogia è un progressivo decadere attraverso apocalissi successive sempre più gravi, ma Liu Cixin sembra volerci dire che prende questo suo pessimismo cosmico dalla Storia, in cui le dinastie cinesi sono andate decadendo nel loro succedersi. Una visione della Storia che definirei Postmoderna ma quanto mai attuale e quanto mai in sintonia con mie opere come “Apocalissi fiorentine” e l’ancora inedito “Quel che resta di Firenze”.
Ecco poi il fallimento della nave “L’età del Bronzo” fuggita nello spazio profondo, il cui equipaggio sopravvive grazie al cannibalismo e i cui superstiti sono condannati per questo al loro ritorno.
Ecco poi un’era di decadenza, in cui l’umanità diviene effemminata, difendendosi dalla guerra grazie alla minaccia della Deterrenza (una sorta di Guerra Fredda che i recenti eventi fanno sembrare non più così remota), restando in stallo, in quanto minacciano di rivelare l’uno l’esistenza dell’altro mondo ad altre razze: si è ormai appreso che appena un mondo mostra di essere abitato da esseri intelligenti è distrutto da qualche altra civiltà, che teme di subire analoga sorte. La protagonista Cheng Xin, che attraversa le ere grazie alla crioconservazione nota come non ci siano più uomini veri. Non è la sola a farsi ibernare. La insegue attraverso il tempo, per ucciderla, Thomas Wade. Fallisce e Cheng Xin diviene Tiranno della Spada, colei cioè che può decidere la distruzione della Terra, per non farla cadere in mani aliene. Decide di non esercitare il suo potere condannando l’umanità a un’ancora peggiore decadenza. L’umanità riceve dai trisolariani moltissime nuove conoscenze scientifiche, ma molte si rivelano un inganno e portano i terrestri a seguire studi senza uscita. In cambio i trisolariani ricevono il modello sociale, le arti e la cultura del nostro mondo. Sarà l’accesso a bolle quadridimensionali a permettere all’umanità di sconfiggere i trisolariani le cui armi principali, le “gocce” si avvalgono di analoghi principi “dimensionali”. Il pericolo però ora viene da altri nemici alieni, che distruggono Trsisolaris, la cui posizione è stata rivelata dalla Terra. Essendo il nostro mondo molto vicino è solo questione di tempo prima che altri alieni ci scoprano e distruggano.
Occorre trovare un modo per dimostrare alla galassia che i terrestri sono inoffensivi. Tra le trovate più sorprendenti c’è il tentativo di ridurre la velocità della luce per renderci invisibili.
Ricompare Tianming, cui i trisolariani hanno ridato un corpo, che rivela a Cheng Xin come difendersi mediante tre fiabe in cui cela quanto ha appreso dai trisolariani, che, sebbene, il loro mondo sia stato distrutto mantengono il controllo sulla Terra mediante i sofoni. Va detto che anche queste fiabe, di fatto un’unica storia, hanno la loro autonoma capacità narrativa.
Parte un piano per nascondere grandi astronavi dietro i giganti gassosi del Sistema Solare, in modo da proteggerle dalla deflagrazione quando gli alieni disintegreranno il Sole. Peccato che l’arma usata contro la Terra non sarà la stessa che ha distrutto Alpha Centauri, cogliendo di sorpresa i terrestri. Si torna, infatti, a parlare di universi a più dimensioni e della possibilità di trasformare uno a tre dimensioni in uno a quattro o due dimensioni. Questo si rivela essere un’arma più potente di quelle sinora note.
Mentre il Sistema Solare si appiattisce in due dimensioni, si cerca un modo per preservare almeno la memoria dell’umanità. Ecco poi popoli alieni che cercano di far annichilire l’universo per tornare a un nuovo Big Bang e ricreare uno spazio multidimensionale.
Ecco la protagonista che sopravvive in una sorta cubo (Universo 647) che segue strane regole dimensionali, dal quale può tornare sul mondo della stella che gli ha donato il suo amico Tiamming.
In un modo o nell’altro, dunque Cheng Xin attraversa tutte le ere inventata Liu Cixin: Era Comune (fino alla scoperta della civiltà trisolariana), Era della Crisi, Era della Deterrenza, Era Post Deterrenza, Era della Trasmissione, Era del Bunker, Era Galattica.
Le basi “scientifiche” di questo volume sono dunque soprattutto legate ai concetti di universi con diversi numeri di dimensioni, ma non mancano altre trovate come la sonda che viaggia con esplosioni nucleari o le comunicazioni mediante onde gravitazionali. Una delle prime riflessioni che questo romanzo induce a fare è su come la Vita influisca sulla morfologia e la geologia dei pianeti.
Il tema degli universi con diverse dimensioni fa pensare a “Flatlandia” (1884) di Edwin Abbott Abbott ma anche a “Le cosmicomiche” (1963) e “Ti con zero” (1967) di Italo Calvino o al più recente “Stormachine” (2018) di Franci Conforti.
Quello che rende dunque affascinante questa trilogia non è solo la ricchezza e varietà di situazioni descritte, ma anche l’intelligenza e abbondanza di riflessioni su tematiche scientifiche, che aprono nuovi orizzonti narrativi per la fantascienza.
Lafayette Ronald Hubbard, generalmente noto con il nome di L. Ron Hubbard (Tilden, 13 marzo 1911 – Creston, 24 gennaio 1986) è stato considerato uno degli uomini più influenti del mondo, grazie al pensiero da lui sviluppato a partire dal suo saggio “Dianetics: la forza del pensiero sul corpo” che lo ha portato alla fondazione dell’associazione Scientology, ma soprattutto detiene un primato nella pubblicazione di testi: 1.084.
Hubbard è anche uno degli autori di fantascienza degli anni d’oro. Il suo “Ritorno al domani” (“To the Stars” o anche “Return to Tomorrow”) è stato pubblicato nel 1950. Come lui stesso scrive in prefazione, l’obiettivo degli autori in quel periodo era soprattutto quello di convincere i lettori e l’opinione pubblica in generale dell’importanza e opportunità di sviluppare l’esplorazione spaziale. Il problema degli editori di SF dell’epoca era, invece, che molti di questi scrittori erano scienziati, assai più attenti alla descrizione degli aspetti tecnici e scientifici che illustravano che non alla costruzione della trama e, soprattutto, dei personaggi. Quando a Hubbard fu chiesto di scrivere sceince fiction non era un genere che trattava ma vi apportò
L. Ron. Hubbard
tutta la sua esperienza e capacità di autore mainstream, riuscendo così, con questo romanzo, a creare una storia umanamente credibile, che vede al centro il dramma di uomini sbalzati avanti nel tempo per effetto della nota legge in base alla quale più ci si avvicina alla velocità della luce, più all’interno dell’astronave il tempo rallenta rispetto all’ambiente esterno. Chi partiva per lo spazio, tornando trovava un mondo mutato.
In mezzo alle dominanti utopie che circolavano in materia, Hubbard, tra i primi, riesce a fare un’opera che mescola il grande sogno della conquista dello spazio con la distopia dell’adattamento degli astronauti ad ambienti trasformati, alla perdita di punti di riferimento e affetti. Immagina quindi grandi navi interstellari trasformate in navi pirata, che rapiscono uomini per farne la propria ciurma, trafficano con ricchezze incommensurabili prese in mondi lontani ma ovunque vadano sono fuori tempo e fuori luogo, dei reietti.
Insomma, fantascienza classica ma di grande modernità. E poco c’entra qui Scientologiy, tranquilli.
Come si legge nell’interessante introduzione firmata da Adalberto Cersosimo, il romanzo di Piccinini, che parla di una squadra speciale di poliziotti che lottano contro i paradossi derivanti dai viaggi nel tempo, ha vari precedenti illustri, innanzitutto “La legione del tempo” (1938) di Jack Williamson e “La pattuglia del tempo” (1955) di Poul Anderson. In entrambi, come ne “Il tempo è come un fiume”, ritroviamo delle organizzazioni impegnate a intervenire nei momenti critici della storia per ristabilire la linea temporale originaria. Di recente ho letto un altro romanzo basato sulla stessa idea: “I riparatori del tempo” (Porto Seguro Editore, 2019) di Federica Milella.
A queste opere si aggiungono altre in cui i protagonisti, sebbene non strutturati in una vera e propria organizzazione, lottano comunque per ristabilire l’ordine degli eventi alterato da un viaggio nel tempo, quale “Due volte nel tempo” (1940) di Manly Wade Wellmann, che spiega l’esistenza di Leonardo da Vinci con un paradosso temporale, o la celeberrima serie di film “Ritorno al futuro”.
L’idea di un’organizzazione che controlli il tempo, ma non per ristabilire quello originale, bensì per avere un futuro migliore la troviamo invece ne “La fine dell’eternità” di Isaac Asimov.
Come in parte si capisce dal titolo, per Piccinini “Il tempo è come un fiume”, ma non nel senso che segue un unico percorso dalla montagna al mare, bensì, come in effetti fanno i fiumi, il suo corso a volte può incontrare un ostacolo e l’acqua può muoversi un po’ a destra, un po’ a sinistra di una roccia. Se la roccia è grande, il fiume potrebbe addirittura dividersi. Magari prima o poi le due metà confluiranno in un nuovo fiume, ma potrebbero anche restare separati. La Polizia Temporale del romanzo di Piccinini cerca di evitare che il fiume si divida.
Questa visione somiglia solo in parte con la mia idea di universi divergenti, sulla cui base ho scritto varie ucronie e, in particolare, la serie di romanzi di “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia”. In questi romanzi definisco il tempo non come un fiume ma come un frattale, una serie di linee che si dividono e uniscono infinite volte. Supero il concetto stesso di paradosso, immaginando che ogni scelta, ogni azione diversa porti alla creazione di un universo divergente, che coesiste con gli altri. Il compito dei miei Guardiani dell’Ucronia è così quello di evitare le “invasioni” da un universo all’altro, non che il tempo muti percorso, cosa non rilevante, dato che tutte le storie possibili coesistono lungo diverse linee del frattale. In ogni caso, entrambi non vediamo (narrativamente parlando) il tempo come una retta, ma come una serie di linee divergenti e convergenti e questo mi pare singolare nel panorama delle storie sui viaggi nel tempo.
Un’altra similitudine di questo romanzo con le mie opere è che anche Piccinini usa il termine ucronia, che non mi risulta sia, invece, utilizzato nel resto della narrativa su i viaggi nel tempo e parla, come me, di universi divergenti e non dei più comuni mondi paralleli.
“«Viene da un universo parallelo?»
«Mmm. Noi ricercatori preferiamo parlare di linee temporali divergenti: è più preciso…»” (pag. 175).
Anche la sua visione dell’ucronia, almeno in teoria (in pratica direi che io sono più drastico) mi pare simile alla mia nei suoi effetti dirompenti, se Piccinini crede in quanto scrive a pagina 168:
“Come recitava un vecchio proverbio americano: mancò un chiodo e si perse il ferro, mancò il ferro e si perse il cavallo, mancò il cavallo e si perse il messaggio, mancò il messaggio e si perse la guerra”.
Altra peculiarità di questo romanzo è che è ambientato soprattutto a MiTo, la grande area metropolitana che, nel 2151, immagina unificare Milano e Torino. Credo che questo faccia riferimento a un’idea urbanistica degli anni ’80 o ’90, per un progetto che chiamava l’area proprio MiTo. Anche in qualcosa che ho scritto io se ne parla.
Da apprezzare c’è quindi lo sforzo di fare fantascienza ambientata in Italia (come ho provato a fare anche io con l’antologia distopica “Apocalissi fiorentine” e altri racconti). Non dico che ogni autore dovrebbe ambientare le sue storie nel proprio Paese, ma se non siamo noi italiani a scrivere storie in Italia, dobbiamo attendere che lo facciano altri, che assai meno bene conoscono la nostra nazione, con risultati da brochure turistica?
Se i riferimenti ai grandi autori dei viaggi nel tempo sono evidenti, è altrettanto chiaro che Piccininiè uno che la fantascienza la conosce e la ama.
Sebbene sia in Italia, questa MiTo a volte mi ricorda “Abissi d’Acciaio” (1953) e gli altri romanzi del ciclo dei robot di Isaac Asimov, e un omaggio al grande autore russo-americano, mi paiono anche le Tre Leggi della Cronotica, che appaiono all’inizio del volume e ricordano, ovviamente le Tre Leggi della Robotica asimoviane, così come il suo investigatore mi fa pensare a Elijah Baley, anche se lui, a volte, si sente più simile all’agente 007 (pag. 218).
Un altro autore citato, mi pare Arthur C. Clarke (“Le fontane del paradiso”, 1979) con i suoi ascensori spaziali (pag. 133), mentre gli specchi solari con cui sono illuminate le strade all’ombra di alti grattacieli, mi ricordano i pozzi di luce del mio “Via da Sparta”.
Italiana questa MiTo, sì, ma quanto mai multietnica e multiculturale, con potenti mafie internazionali che s’incontrano e scontrano, in primis, quella cinese. E il mistero da risolvere, legato a paradossi temporali, riguarda una potente figura, apparentemente morta in modo naturale, creando grandi squilibri tra queste comunità.
In conclusione, una storia in puro stile fantascientifico, che gli amanti del genere di sicuro apprezzeranno, sia per i numerosi riferimenti culturali, sia per l’originalità e la vivacità della trama, che coinvolge sempre e trascina fino alla fine.
Di sicuro non sono molte le storie di fantascienza ambientate nel passato e molte di queste riguardano viaggi nel tempo. Ben più rari sono gli incontri con alieni. Quando avvengono siamo più dalle parti dell’ucronia, come nel notevole ciclo “Invasione” di Harry Turtledove e nel suo seguito “Colonizzazione”, in cui un’invasione aliena interrompe la Seconda Guerra Mondiale.
L’arrivo di alieni nell’antichità mi pare ancor più raro, anche perché la fantascienza tende a occuparsi molto di più del futuro che del passato e quando lo fa, è per spiegare magari le origini di una civiltà o dell’intera evoluzione umana come in “2001 Odissea nello spazio” le cui prime scene sono addirittura nella preistoria e mostrano l’incontro dei nostri antenati scimmieschi con una civiltà extraterrestre superiore.
Dunque, il racconto lungo di Vittorio Piccirillo “Legio accipitris” (Edizioni Tabula Fati) ha il pregio dell’originalità in questo campo. Se si è ispirato a dei modelli, credo sia piuttosto alle storie su presunti incontri nell’antichità con visitatori di altri mondi, come raccontato in vari libri da Peter Kolosimo, portando a testimonianze varie raffigurazioni del passato, le cosiddette “teorie degli antichi astronauti”.
Piccirillo immagina infatti l’incontro di un gruppo di legionari romani con carri volanti e creature provenienti da un’altra dimensione. I romani si interrogano se siano dei o demoni. Noi ci chiediamo piuttosto se siano alieni antropomorfi alla Star Trek o una donna e dei robot venuti da un lontano futuro.
Parlandone con l’autore, prima di leggere il libro, mi ero fatto l’idea che fossero extraterrestri, ma dato che stento a credere che possano essercene di antropomorfi, propenderei per la seconda ipotesi.
Vittorio Piccirillo
“Legio accipitris” (“La legione del Falco”) ha un’altra peculiarità che lo rende speciale nel panorama della fantascienza: ha il testo a fronte in latino!
Non posso allora non pensare agli Asterix tradotti in tante lingue, tra cui, per l’appunto anche il latino, ma, di nuovo, nell’ambito della fantascienza questa è una vera rarità, che rende, a mio avviso, il volume consigliabile per quei docenti che volessero avvicinare alla lingua dei romani i propri studenti con un testo semplice e lineare, su un argomento che penso possa attirarli di più di un’orazione ciceroniana. Rispetto alle traduzioni liceali, il racconto ha il pregio di descrivere vicende avventurose e concrete.
Per esempio l’incipit suon “Severus legatus constitit et signum dedit. Iulius tribunus atque Decio centurio, qui iuxta eum procedebant, constituerunt una com legione quae stricto agmine sequebatur” e subito ci cala nel movimento dei militari, con termine diretti e immediati.
La narrazione è stata fatta da Piccirillo in italiano e poi tradotta in latino da Giancarlo Giuliani. La presenza del testo a fronte permette di passare con facilità dalla lettura di alcune frasi in latino, al proseguimento della storia in italiano.
Prima di leggerlo chiesi a Piccirillo se la sua fosse un’ucronia e mi disse che certo non lo è. In effetti, per esserlo questo incontro avrebbe dovuto portare con sé il mutamento della Storia e del mondo come lo conosciamo, ma i visitatori ripartono senza più tornare e i romani decidono di tenere per sé la vicenda: “«Enimvero, quae acciderunt fere incredibilia sunt,» annuit legatus. «Talia ut trahant sed etiam dubium moveant in quibus non adfuerint.»”.
La casa editrice Porto Seguro continua con le sue pubblicazioni a farmi scoprire autori toscani interessanti. È questo il caso dell’esordiente empolese Federica Milella, il cui romanzo “Riparatori del tempo” si presenta assai vicino ai miei gusti di amante della fantascienza ossessionato dalle molteplici possibilità delle pieghe temporali.
“Riparatori del tempo” racchiude una serie di episodi, quasi una raccolta di racconti, di alcuni personaggi che, guidati da un’Entità aliena viaggiano avanti e indietro nel tempo per rimettere a posto la vita delle persone, più che la storia, come spesso avviene in opere di questo genere, come, per esempio, nella serie TV “Timeless” o con i miei Guardiani dell’Ucronia (“Jacopo Flammer e il popolo delle amigdale”, Ed. Liberodiscrivere e “Jacopo Flammer nella terra dei suricati”, Ed. Lulu).
Affascinante e intrigante è la possibilità di rimettere a posto il tempo anche se più rari sono, in altre opere, i casi di squadre impegnate sistematicamente in quest’attività. Più spesso sono alcune persone che si ritrovano per caso a rimettere a posto i pezzi di un tempo che fa le bizze come nella serie TV tedesca “Dark” o in “Fringe”, per non parlare dei film di “Ritorno al futuro” espressamente citati dalla Milella, in cui Marty McFly cerca di rimettere a posto la vita della sua stessa famiglia. Anche un altro autore di Porto Seguro, Marcovalerio Bianchi nel suo “Le cinque vite di Simone Bosco” esplora le possibili “Sliding Dors” (come nel celebre film) del tempo sulla vita di una persona.
I viaggi nel tempo dellaMilella hanno limiti precisi: “torno indietro nel tempo di dieci anni esatti: stesso giorno, stessa ora, stesso posto. Rimango nel passato per otto ore, esaurito il tempo è il bracciale stesso a riportarmi nel presente – anche lì sono trascorse otto ore – nel posto esatto in cui mi trovavo nel passato”.
Federica Milella (Empoli 1978)
Fanno da filo conduttore a tutti questi salti una serie di omicidi di qualche misterioso serial killer.
Il volume è introdotto da una prefazione di Massimo Acciai Baggiani (autore, tra le altre cose della mia biografia letteraria “Il sognatore divergente”, che, non a caso, cita la mia idea di “universo divergente” per spiegare la possibilità dei viaggi nel tempo: in breve, ogni scelta crea un diverso percorso temporale, tutte queste diramazioni coesistono come infinite variazioni nate da ognuno degli infiniti attimi. Ogni sviluppo diventa possibile.
Se nei miei romanzi, dunque, riparare il tempo non è poi un problema, dato che comunque esistono tempi alternativi (i Guardiani dell’Ucronia difendono, però, gli universi temporali da invasioni “aliene”), per la Milella, invece, in questo romanzo, appare come il problema principale, come se ogni tempo lasciato fosse un tempo perduto.
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”