“Signore della luce” (1967) di Roger Zelazny (Euclid, 13 maggio 1937 – Santa Fe, 14 giugno 1995) pare sia un romanzo con un certo numero di fan che lo adorano. Il romanzo, del resto, ha vinto premi importanti come l’Hugo e la candidatura al Nebula. Lo definirei sicuramente un buon esempio di fantareligione ma non un buon romanzo, nella misura in cui mi ha annoiato discretamente e non mi ha preso per nulla, cose sufficienti a farmi dire che un romanzo non funziona.
L’idea di base è buona: un pianeta lontano in cui alcuni esseri (direi umani) si fanno passare per dei della religione induista (ma non manca Siddharta) e combattono tra loro. In particolare, ho trovato noiosi proprio questi duelli e i personaggi forse sono troppo numerosi per affezionarsi a qualcuno o anche solo per odiarlo adeguatamente. Forse poco caratterizzati, sebbene a volte paiano stereotipati come dei supereroi.
In un certo senso lo potremmo quasi considerare un fantasy orientale, un East Fantasy.
Peccato, perché Zelazny ha scritto anche “Io, immortale” che mi farebbe molto pensare al romanzo che ho appena finito di
scrivere e quindi sarei tentato di leggere, ma che con questo precedente non oso affrontare.
Avevo già letto, forse vent’anni fa, “Doppio sogno” (1925) di Arthur Schnitzler (Vienna, 15 maggio 1862 – Vienna, 21 ottobre 1931). Almeno tre sono i film che ha ispirato. Ricordo però particolarmente bene “Eyes wide shut”, l’ultimo capolavoro di Stanley Kubrick, con Tom Cruise e Nicole Kidman al loro meglio. Gli altri due film sono “Il cavaliere, la morte e il diavolo” di Beppe Cino e “Ad un passo dall’aurora” di Mario Bianchi. Trovandolo nel volume “I magnifici 7 capolavori della letteratura tedesca” l’ho riletto.
Si tratta di un magnifico gioco di coppia tra realtà (mascherata) e sogno. La vita d
i un marito e di una moglie viene sconvolta dalla partecipazione a una sorta di orgia satanica in maschera e da strani sogni in vario modo collegati. La realtà appare finzione e il sogno una sua prosecuzione in un gioco freudiano che lo stesso fondatore delle psicoanalisi potrebbe aver apprezzato, visto i buoni rapporti con l’autore. Il sogno e la recita rituale appaiono forme di liberazione dello spirito, della coscienza e della sessualità dalle rigide regole convenzionali del matrimonio borghese dell’Austria e dell’Europa di un secolo fa.
“La città e il deserto” di Alan Barclay è uno di quei libri forse privo di troppi pregi ma che si legge con molto piacere. Sarà che le storie di sopravvivenza in situazioni estreme le trovo sempre affascinanti.
Immaginate un pianeta lontano, colonizzato ma poi abbandonato a se stesso: una sola città umana circondata dal deserto e da una civiltà aliena primitiva, impossibilitata a evolvere maggiormente per le scarse risorse che quel mondo offre loro.
Quale punizione per delinquenti e ribelli più semplice che l’esilio nel deserto? Quando però gli esiliati riescono a organizzarsi e a superare i pericoli di un ambiente ostile, alleandosi con gli alieni indigeni e creando macchine per attraversare i grandi spazi vuoti con quel poco (niente metalli) che il mondo offre, vi ho già raccontato l’essenziale di questa bella e godibilissima avventura. Non sarà una pietra miliare della letteratura ma è un romanzo da leggere e consigliare.
“La novella degli scacchi” (Schachnovelle, 1941) di Stefan Zweig (Vienna, 28 novembre 1881 – Petrópolis, 22 febbraio 1942) è un travolgente ed epico scontro, svolto su una scacchiera come campo di battaglia tra due giganti di autismo intellettuale.
Un giovane contadino, un po’ tardo e ben poco dotato per lo studio, si scopre un imbattibile campione di scacchi arrivando a vincere il titolo mondiale.
Il suo sfidante casuale è l’esatto opposto: un uomo che ha trascorso una lunga prigionia a causa del nazismo, in totale isolamento, solo con un manuale di scacchi. In tale solitudine, dopo aver imparato a memoria tutte le partite del manuale si sfidava in surreali scontri contro se stesso, senza scacchiera, divenendo abilissimo, ma anche ammalandosi al punto che, tornato libero il medico gli proibirà gli scacchi che sono ormai per lui come una droga anche se quelle partite schizofreniche forse lo hanno salvato da pazzia peggiore.
Il suo coinvolgimento in un’inattesa partita con questo campione mondiale rozzo e ignorante è
Stefan Zweig
l’occasione per vedere il confronto tra due intelligenze enormi ma limitate a un campo quanto mai specifico eppure incredibilmente diverse. Puro istinto calcolatore il campione contadino, pura logica folle l’ex-prigioniero.
Il risultato è uno scontro epico che nulla ha a invidiare a quello tra Ettore e Achille o altri grandi duelli epici, in un breve romanzo di inusitata intensità.
Stefan Zweig è stato uno scrittore, drammaturgo, giornalista, biografo, storico e poeta austriaco naturalizzato britannico.
“I dolori del giovane Werther” sembrano poca cosa in confronto a “I turbamenti del giovane Törless” (1906) di Robert Musil, quarto romanzo della raccolta “I magnifici 7 capolavori della letteratura tedesca”.
Se la celeberrima opera di Goethe ha al suo centro i dolori esistenziali di un giovane innamorato non corrisposto, l’intensa e vivida opera di Musil ci trasporta in un mondo di perversione, violenza, bullismo ante-litteram, sopraffazione, ricatto, seduzione e disillusione che fanno impallidire le delusioni di un cuore infranto.
L’ambientazione è quella dura e fredda di un collegio maschile, in cui il bullismo è così normale che non necessita neppure di essere definito tale, giacché a quel tempo non si considerava neppure un problema. Non a caso a essere punita non sarà la classe che alla fine, spinta dai bulli predominanti, finirà per torturare il povero Basil, ma sarà proprio lui che con la sua abiezione aveva provocato la violenza degli altri contro di lui a venir allontanato dalla scuola in quanto inadatto. Oggi si sarebbe detto che era solo un ragazzo debole, vittima dei soprusi dei più forti, ma i tempi, come detto, erano diversi.
Inquietante è il mescolarsi di bullismo con pedofilia-omosessualità e concupiscenza in un gioco inebriante e perverso in cui i
carnefici sono anche sedotti.
Non c’è solo questo nel romanzo. Interessante la riflessione di Törless sull’infinito, la matematica, i numeri immaginari che raffronta con la propria situazione di non innamorato-carnefice-sedotto, la filosofia (singolare il sogno con Kant), i pensieri morti e i pensieri vivi.
Si tratta dell’opera di esordio di Robert Musil (Klagenfurt, 6 novembre 1880 – Ginevra, 15 aprile 1942), scrittore e drammaturgo austriaco, la cui opera principale è il romanzo (incompiuto) Der Mann ohne Eigenschaften (L’uomo senza qualità), che lessi da ragazzino restandone molto colpito e che ora avrei voglia di rileggere.
Ho letto in anteprima il volume “La prima volta a… Firenze” (Novembre 2022) curato da Giacomo Cialdi per Edizioni della Sera, con il sottotitolo “Diario intimo della città toscana”. Opera antologica di narrativa, che, per l’argomento trattato, si rivela in buona parte libro di memorie e ricordi, nonostante la creatività e l’inventiva degli autori coinvolti abbia saputo rigenerare tali reminiscenze in racconti in cui talora la fantasia ha modo di spaziare oltre la realtà.
La prima volta a Firenze. Diario intimo della città toscana
Apre il volume la prefazione dello scrittore e giornalista del quotidiano locale “La Nazione” Stefano Cecchi che ci parla di come le prime volte di ciascuno restino indelebili nei nostri animi ma che “Sapere che comunque tutte quelle volte, probabilmente le più belle, le abbiamo vissute con intorno la cornice magnifica e struggente di Firenze, incendia e rende orgoglioso ancora di più il cuore.”
I racconti sono ordinati alfabeticamente per autore. Dunque, come sovente gli accade in tali casi, apre la serie Massimo Acciai Baggiani, prolifico autore di racconti, poesie ma anche di saggi e romanzi, di cui ho scritto spesso, dedicandogli persino la biografia letteraria “Il narratore di Rifredi” (Lulu, 2018, Porto Seguro, 2019). Il suo “La villa abbandonata” pur riportando alcuni episodi reali della vita dell’autore e luoghi altrettanto esistenti di Firenze, immagina come voce narrante quella di un trapassato che narra “La prima volta che… sono morto a Firenze”. Con Massimo Acciai ho di recente pubblicato il romanzo “Psicosfera” e stiamo curando un progetto di antologia fantascientifica.
Segue Elena Andreini, giornalista e autrice di opere a carattere locale. Con il suo “Il gol di Daria” ci racconta la magica esperienza infantile della prima partita di calcio.
Il racconto di Luca Anichini, autore che ho avuto in squadra per l’antologia “Gente di Dante” (Tabula Fati, 2021) e che ha condiviso con me anche l’esperienza di “Fiorentini per sempre” (Edizioni della Sera, 2020), “Il Ponte Vecchio e il profumo dell’amore”, ci porta indietro agli anni della Seconda Guerra Mondiale e dell’arrivo degli Alleati a Firenze, facendoci vedere la storia con gli occhi di un giovane militare maori.
Anche Milena Beltrandi è autrice che ben conosco. Come me, Acciai, Anichini, Campinoti, Lunghini, Prosperi e Tofanari (tutti presenti in questo volume) fa parte del Gruppo Scrittori Firenze (GSF). Come loro ha partecipato all’antologia curata da Caterina Perrone e me “Gente di Dante”.
Il suo “Luna di miele singolare” vede una coppia di novelli sposi fiorentini scegliere proprio la loro stessa città per il viaggio di nozze, guardando Firenze per la prima volta con lo sguardo esterno e meravigliato del turista.
Con “Paura e amare riflessioni” Renato Campinoti affronta gli anni di piombo a Firenze, proprio il periodo cui ho dedicato un mio racconto sulla violenza politica che si viveva allora – appena pubblicato nel volume “Non ti temo più” (Tabula Fati, 2022). Erano anni di intensa partecipazione politica ma che stava perdendo la connotazione pacifica e pacifista del 1968. Anche Campinoti è autore che ben conosco, oltre che per le comuni esperienze antologiche (“Gente di Dante” e “Accadeva in Firenze Capitale”), per aver io scritto l’introduzione alla silloge da lui scritta con Massimo Acciai “Racconti ai tempi de del coronavirus”, per la lettura del suoi giallo “Non mollare Caterina” e per la comune esperienza del Consiglio Direttivo del GSF.
Il promotore culturale Stefano Carloni ci mostra, come già Elena Andreini, il primo incontro con la squadra calcistica locale, riportandoci, come Campinoti agli anni ’70, ma qui l’università non è la facoltà di architettura, ma quella sorta di Università del calcio che era allora il Bar Marisa.
Con il giornalista e scrittore Giacomo Cialdi, curatore di questa antologia, avevo condiviso la bella esperienza di “Fiorentini per sempre”. Nel suo “Ricordi” il protagonista si aggira per Firenze osservandone i monumenti. Quando emerge dalla sua tasca una foto del 1988 scattata in Piazza della Signoria, il racconto prende una svolta a sorpresa.
Ne “La Luna senza tacchi” della poetessa Elena Falci, suggestionata dal nostro satellite, la protagonista si trova a ballare scalza un valzer popolare e a riscoprire il brivido dell’amore.
Gabriele Fredianelli ci parla di calcio, Fiorentina, la celebre Libreria Marzocco, libri in genere e libri sul calcio in “Tra Borges, Batigol e Gianni Brera” in un racconto d’amore tra un ragazzo e un libro.
Nel racconto del mio due volte collega (di banca e di scrittura) e semi-omonimo Carlo Legaluppi in “Lungarno degli Acciauoli”, il protagonista, pur avendo girato il mondo, non era mai stato prima a Firenze. Ci si reca per una missione da killer professionale con una vittima designata assai particolare. Di Legaluppi ricordo il thriller “La ottava croce celtica”.
Luca Lunghini ci fa tornare al 1991, alla Guerra del Golfo, che con lo sguardo di oggi pare poca cosa rispetto a quella in Ucraina. “E se cambiassimo il mondo” ci parla di Firenze e di una manifestazione pacifista. Per il protagonista “in prima Liceo” era “il periodo delle prime sigarette, delle prime birre il fine settimana, delle prime cotte, delle prime ore di lavoro per avere una maggiore indipendenza e dei primi amori”. Con lui ho condiviso la presenza in altre due antologie, “Gente di Dante” e “Fiorentini per sempre”.
Filippo Luti (come di recente già Sergio Calamandrei, non ricordo bene dove) ci ricorda che Firenze vide gli albori del ciclismo nel tempo in cui fu Capitale d’Italia.
“Avvinto a te” del sottoscritto Carlo Menzinger di Preussenthal è forse il racconto più autobiografico che io abbia mai scritto (nella prima parte), mentre lo sviluppo finale è di totale fantasia. Questo potrà non sembrare evidente, dato che il protagonista si confronta non con una persona reale ma con una personificazione della città di Firenze e delle sue sorelle Siena, Livorno, Lucca, Pisa… in un’insolita storia d’amore ossessivo tra una città e un uomo.
Pierfrancesco Prosperi è un altro autore cui mi sento particolarmente legato, sia per il suo essere, come me, autore di ucronia e fantascienza, sia per la sua appartenenza al Gruppo Scrittori Firenze, sia per aver condiviso con me numerose antologie come “Sparta ovunque”, “Gente di Dante”, “Accadeva in Firenze Capitale” e altre in arrivo come quella da lui stesso curata sull’Ucraina e una sul centro storico di Firenze. Massimo Acciai Baggiani ha poi curato la sua biografia nel volume “Architettura dell’ucronia”, cui ho avuto l’onore di partecipare con un saggio. Troppo lungo elencare tutti i suoi libri che ho letto. Ho detto forse troppo di quello che Prosperi è per me, tralasciando di dire che cos’è per il mondo: un autore pluripremiato, pubblicato dalle maggiori case editrici con decine di libri, sceneggiatore di fumetti importanti come Topolino e Martin Mystere. Il suo “Un ricordo incancellabile” racconta di un’esperienza come angelo del fango durante l’alluvione del 1966, per il recupero dei libri danneggiati.
Sabrina Caterina Rossello nel suo “Lui e lei” ci racconta del dono di una penna che trasformerà una pasticcera topolina in
scrittrice.
Davide Savorelli, già autore del romanzo storico “I giorni prima”, ci porta gustare un Negroni al celebre caffè letterario Giubbe Rosse.
Con “Nel DNA e dietro la curva” il personaggio di Enzo Susini “riflette sugli anni che si sono susseguiti e che, arrivati a questo giorno, tornano a una ritualità nota” mentre “la sua testa vaga costantemente a cercare appigli del passato a cui aggrapparsi”.
Francesca Tofanari che mi aveva stupito per essere sia autrice di un giallo al femminile “In punta di sangue”, sia un saggio di ricostruzione di tradizioni locali come “Sassaiole e Capirotti”, sia per aver realizzato un racconto ironico per l’antologia “Gente di Dante”, in “Quando la città ti toglie i punti di riferimento” ci mostra una Firenze in movimento, che cambia e muta al punto da non sembrare quasi più se stessa. Racconto che parla anche del primo incontro con una stazione ferroviaria.
Insomma, un gran bel libro, che riunisce tanti amici con molte cose in comune ma soprattutto una: Firenze, una città con tanta storia, tante storie e tanti ricordi. Grazie a Giacomo Cialdi e alle Edizioni della Sera per averci permesso di raccontarne alcune.
Credo che il cognomeRoth debba essere piuttosto diffuso se lo portano ben tre scrittori: Philip, Victoria e Joseph (Brody, 2 settembre 1894 – Parigi, 27 maggio 1939).
Il primo, più volte candidato al premio Nobel, ha scritto opere importanti come “Complotto contro l’America” e “Pastorale americana”, la seconda la trilogia per young adult che inizia con “Divergent”, il terzo autore di quel gioiellino che è “La leggenda del Santo Bevitore” (Die Legende vom heiligen Trinker, postumo 1939), da cui è stratto l’omonimo splendido film di Ermanno Olmi, una delle migliori interpretazioni del Rutger Hauer di “Blade Runner”.
Leggo ora, nel volume “I magnifici sette capolavori della letteratura tedesca” (E-Newton Classici – I Mammut) il suo “La marcia di Radetzky” (1938).
Opera intensa che racconta la fine dell’Impero Austroungarico tramite la decadenza di una famiglia di baroni, i von Trotta, vedendo come protagonista il sottotenente Joseph, nipote dello “Eroe di Solferino”. La figura del nonno eroe incombe sulla vita di Joseph, facendolo sentire sempre inadeguato. La vita militare pare a suo padre, il Capitano Distrettuale, la sola immaginabile per lui ma Joseph fatica a riconoscercisi.
I von Trotta, come spesso accadeva agli austriaci, erano in realtà sloveni, di una zona assai prossima all’Ucraina, ma non per questo non erano estremamente fedeli e devoti all’Imperatore Francesco Giuseppe, che deve la vita al loro capostipite, slavata durante la battaglia di Solferino (24 giugno 1859). Il destino, dice uno di loro, ha reso una famiglia di contadini sloveni dei funzionari austriaci. Per i von Trotta come per gli altri piccoli nobili, l’origine geografica non conta più davanti all’essere cittadini austriaci, in una terra in cui persino il sole è definito “asburgico”.
Singolare per noi italiani è leggere di questa fondamentale vittoria, con cui l’Italia conquistò la Lombardia, della guerra d’indipendenza italiana, dalla parte avversa.
A incombere sul povero Joseph non è solo il ricordo dell’eroismo del nonno, la pressione paterna ma anche l’incombente ritratto del nonno.
La dedizione all’imperatore del padre lo porta, in uno strano processo mimetico, quasi a confondersi con Francesco Giuseppe stesso. Quando, anziani, si incontreranno, sarà per entrambi come l’incontro di due fratelli o un guardarsi allo specchio. Nonostante che l’imperatore sempre confonda tra loro le tre generazioni di von Trotta.
Notevole è l’immagine di questo imperatore che comprende le menzogne ma è al di sopra di esse per smentirle e che volutamente finge di non capire per dare agli altri il piacere di spiegargli le cose.
“La marcia di Radetzky” si presenta come un affresco sulla vita della piccola nobiltà militare asburgica, con i loro inevitabili e ineluttabili duelli d’onore, con la loro frivola vita sociale, con il loro rispetto per l’imperatore ma anche con il nascente spirito indipendentista.
Joseph Roth (Brody, 2 settembre 1894 – Parigi, 27 maggio 1939)
Il disgregarsi dell’impero, di cui la battaglia di Solferino segna l’inizio, trovo il suo epilogo nel fatale attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 di cui furono vittime l’erede al trono dell’impero, Francesco Ferdinando, e sua moglie Sofia. Atto che sarà casus belli per dare inizio alla prima guerra mondiale.
E la storia dei von Trotta è tutta lì, tra queste due date del 1859 e del 1914. Ironico e simbolico sarà che la morte dell’ultimo von Trotta avverrà dopo che ha rinunciato all’esercito, senza impugnare nessun’arma ma solo due secchi d’acqua.
Un’attenzione particolare l’ho prestata nel cercare richiami alla storia familiare, essendo anche i Menzinger Von Preisental (ora di Preussenthal) anch’essi funzionari e baroni dell’Impero Austro-ungarico, anche se lo lasciarono per l’Italia assai prima, a metà del 1700.
Un’annotazione, infine, sul titolo, che non fa riferimento a soldati in marcia ma a “La marcia di Radetzky” (Radetzky-Marsch), una marcia militare, opera di Johann Strauss padre, composta in onore del maresciallo Josef Radetzky per celebrare la riconquista austriaca di Milano dopo i moti rivoluzionari in Italia del 1848.
Strani anni questi con cui è iniziato il decennio. Prima bloccati in casa per la pandemia, con l’economia in crisi per assenza di turismo, riduzione dei consumi, imprese chiuse, poi una guerra in Europa che sembra quasi sia la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ma purtroppo non è per nulla così, persino in Ucraina già si era combattuto, ma anche in Bosnia, Kosovo, Cecenia e questo evitando di considerare atti bellici i numerosi attentati di varia matrice. La differenza sono le parti in causa e chi le sostiene, che sommano agli orrori di chi la guerra la subisce con morti, feriti e devastazioni gli effetti inusitati sulle tasche degli italiani e degli altri europei, che si apprestano a patire un gelido inverno russo con bollette di energia e gas e spese per riscaldamento alle stelle.
Ho appena finito di leggere lo splendido saggio “Il declino della violenza” di Pinker che, giustamente, sostiene che questa si sia ridotta enormemente in tutte le sue manifestazioni, anche quella bellica. Tra le tante cose, però, notava (il volume fu pubblicato nel 2011) che la cosiddetta Lunga Pace in Europa non sarebbe potuta durare ancora a lungo (statisticamente e storicamente parlando) e che il momento in cui le guerre iniziano e quello in cui finiscono non sono prevedibili, ma anche se la tendenza verso la pace è sempre più forte, questo non c’avrebbe esonerato da un nuovo importante conflitto europeo. Tra le possibili aree di crisi accennava ai rapporti tra la Federazione Russa e gli stati dell’ex-URSS.
Ebbene, eccoci qua, nel mezzo di questa invasione russa dell’Ucraina i cui sviluppi ed esiti restano ancora misteriosi. La Russia, ossessionata dall’idea dell’accerchiamento NATO e dell’avanzata di questa e dell’Unione Europea su quelli che un tempo furono suoi territori, volenterosa di riportare sotto l’ala di Mosca zone popolate da numerosi russi, ha sferrato un attacco che, si presume, immaginasse veloce, ma la comunità internazionale ha reagito come non aveva fatto nel caso di altre sue azioni in Georgia, Cecenia e nella stessa Ucraina, creando una drammatica situazione di stallo da cui appare difficile uscire.
In questo clima uno dei più importanti autori di genere ucronico e fantascientifico italiani, Pierfrancesco Prosperi, dopo aver scritto un racconto ispirato a queste vicende, ha pensato bene di chiamare a sé alcuni amici perché dessero ciascuno il proprio contributo narrativo.
Realizza così il volume “SLAVA UKRAÏNI!” con l’esemplificativo sottotitolo “9 Penne contro l’Orco”: “Poi mi è venuta l’idea di allargare il tiro, coinvolgendo altre penne, fantascientifiche e no, in un’Ùantologia partita col titolo provvisorio PENNE CONTRO L’ORCO, tanto per essere chiari, e poi diventata SLAVA UKRAÏNI!, dal grido di battaglia novecentesco che in italiano suona “Gloria all’Ucraina!”. Sarebbe stata, chiaramente, un’antologia di parte; non che non si potessero criticare gli ucraini, per carità, ma doveva essere ben chiaro chi era l’aggressore e chi l’aggredito” scrive lo stesso Prosperi nella sua introduzione.
Gli autori sono Massimo Acciai Baggiani, Renato Campinoti, Mauro Caneschi, Alberto Costantini, Alberto Henriet, Carlo Menzinger di Preussenthal, Thomas M. Pitt, Pierfrancesco Prosperi ed Erica Tabacco. L’editore è Tabula Fati. Acciai, Campinoti, Menzinger e Prosperi sono tutti membri dell’associazione culturale Gruppo Scrittori Firenze e già hanno collaborato tra loro in altri progetti.
Apre l’antologia Alberto Costantini con il suo “Nata il 24 febbraio” che ci mostra un “futuro allucinato e distopico” attraverso il diario di una ragazza nata il giorno in cui è iniziata la guerra e che ora vive in un’Italia e in un Europa soggiogate e in perenne stato di guerra.
Ho avuto l’onore di essere uno degli autori di questa raccolta e il mio “Ucronie ucraine” è il secondo della serie. Amo spesso usare allitterazioni nei miei titoli e questa volta ci stava proprio bene dato che vi si racconta di uno scienziato ucraino, fervente patriota, che, nel 2222 cerca di liberare la sua patria dal bisecolare dominio russo con strampalati e sempre più sfortunati viaggi nel tempo che creano universi ucronici distopici fino a un ironico e surreale finale.
“Cuore di ghiaccio”, la “cinica e beffarda cronaca di Mauro Caneschi, intrisa di echi dickiani” (come scrive Prosperi) ci porta in un’estensione del conflitto che vede i russi avanzare in territorio polacco, in una strategia volta a “indurre i paesi alleati dell’Ucraina ad accogliere ondate gigantesche di profughi che ne piegavano la logistica e le risorse”, mentre “L’Ucraina era una distesa di macerie”.
A proposito del racconto del curatore, “Il mio processo come criminale di guerra”, lascerei la parola allo stesso Prosperi che così ne parla nell’introduzione “Ribaltando la situazione, ho immaginato che gli americani, occupata inopinatamente Mosca in un prossimo futuro grazie al solito virus, sottopongano a processo il Presidente e il governo russo per i crimini di guerra commessi durante l’invasione del confinante paese di Ukronia, ottenendo dalla difesa di questi personaggi risposte e argomentazioni surreali e non troppo dissimili da quelle usate nei mesi scorsi dalle fonti ufficiali moscovite”.
Il conflitto immaginato è quanto mai duro con “una serie di incendi di origine chiaramente dolosa” che “ha devastato il principale istituto di ricerca sulle armi biologiche ad Aralsk, scatenando un virus che in pochi giorni ha sterminato tra i dieci e i quindici milioni di persone tra bambini e adulti” e sebbene si svolga nel Paese immaginario di Ukronia, i riferimenti alla storia attuale sono evidenti. Quando il conflitto pare volgere a favore degli americani, tutto cambia a sorpresa.
Ne “La guerra di Aleksej” di Alberto Henriet, il conflitto si mescola con il sadismo di chi la combatte in prima persona. Come scrive l’autore, “Aleksej ha trentadue, ed è russo. Fa parte di un gruppo paramilitare di estrema destra di San Pietroburgo, il Rusich. Combatte come volontario nell’operazione militare speciale, lanciata da Putin in Ucraina il 24 febbraio 2022. È un ufficiale al comando di giovani soldati totalmente inesperti”. “Aleksej il lupo del Rusich, è un gran figlio di puttana. Non è un militare, ma una bestia sadica. Continua ad andare in quel fottuto capanno. Per torturare Viktor, il soldato gay di Kiev.”
Uno dei suoi militari dice “Col mio blindato, a volte Aleksej mi costringe a schiacciare auto di civili ucraini, uccidendoli senza una ragione militare apparente. Il loro unico torto è di trovarsi sulla mia traiettoria.”
In “Una cinica decisione” di Thomas M. Pitt gli alleati dell’Ucraina si interrogano su come sbloccare una situazione che pare ormai senza vie d’uscita.
La sola autrice donna del volume, Erica Tabacco, giustamente, dedica il proprio “Bersaglio numero 2” a un’immaginaria eroica First Lady ucraina, vittima di un drammatico attentato.
Massimo Acciai Baggiani nel suo “Osservatore”, che vede protagonista una bambina, fa intervenire nel conflitto un utopistico alieno, lanciando una speranza di pace.
Ecco poi, a chiudere il libro, un insolito Renato Campinoti in veste fantascientifica, che immagina in “Il passato non è mai morto” gli sviluppi del conflitto nel 2024 e i nuovi assetti politici del pianeta.
Insomma, un’immagine spesso drammatica e dura dei possibili sviluppi futuri di questo conflitto devastante, con racconti scritti con impegno, partecipazione ma non privi di ironia, perché anche nelle tragedie è lecito sorridere o fare della satira e questo non abbassa il tono di un messaggio politico forte di condanna di un conflitto che questo XXI secolo e quest’Europa (che pareva aver ormai imparato la lezione dopo due conflitti mondiali), non avrebbero mai dovuto vedere.
Seconda opera presente nel volume “I magnifici sette capolavori della letteratura tedesca” (E-Newton Classici – I Mammut) è “Gli elisir del diavolo”, un romanzo di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (E. T. A. Hoffmann – Königsberg, 24 gennaio 1776 – Berlino, 25 giugno 1822) pubblicato nel 1815.
Vi narra la propria vita peccaminosa un certo Franz, ridenominato Frate Medardus. Vesti religiose assunte a seguito di un esortazione/ profezia fatta da un pellegrino alla madre: solo così le colpe del padre di lui si sarebbero potute espiare.
Tra le reliquie del convento c’è una cassetta appartenuta a Sant’Antonio in cui è custodito del vino ricevuto direttamente da Satana. Bevanda che il demonio usava per ammaliare gli umani e condurli dalla sua parte.
Frate Medardus non resiste alla tentazione e ne beve. Questo lo trasformerà. Quando una donna in confessionale gli dichiara il proprio amore, Franz-Medardus se ne innamora e la confonde con Santa Rosalia, che prega perché sciolga i suoi voti.
Scoperto dal priore viene scacciato e mandato a Roma. Lungo la via vede un uomo che dorme vicino a un burrone. Per aiutarlo lo fa precipitare. Viene poi scambiato per costui, il cui nome è Vicktorin.
Comincia quindi un complicato gioco di doppi: Euphémie lo scambia per il suo amato Vicktorin (che si sarebbe dovuto travestire da frate), Medardus scopre in Aurélie l’amata che indentificava con Santa Rosalia, Hermogen considera Medardus un assassino e lo vuole affrontare, mentre Euphémie e Medardus vorrebbero uccidere Aurélie. Euphémie chiede a Medardus di uccidere il proprio marito, il barone, facendolo precipitare dalla rupe in cui è caduto il vero Vicktorin. Medardus non vuole ed Euphémie prova ad avvelenarlo, ma Medardus scambia i bicchieri. Hermogen sorprende Medardus in camera di Aurélie e lo affronta, venendo da lui ucciso. Medardus fugge via.
Vestiti panni civili, in città sente raccontare come opera del diavolo dell’uccisione di Vicktorin e della propria sostituzione al
E. T. A. Hoffmann
medesimo. Trova un ritratto di Aurélie, il cui pittore lo accusa di essere il diavolo.
Fugge di nuovo e si rifugia in una casa nei boschi dove la notte compare un frate che gli ruba del vino di Satana. Quel frate è lui stesso, che ha cambiato vita per via dell’elisir del diavolo.
Fa amicizia con il principe padrone di quei boschi e scopre il ritratto di suo padre, identico a lui, e che ha ucciso il fratello del principe. Apprende anche che Vicktorin è il suo fratellastro (per questo si somigliano tanto).
Con la trama siamo solo a metà, ma penso di averne reso la complessità e la ricchezza di colpi di scena, che mi hanno fatto pensare a una sorta di telenovela.
Affascinante e rilevante è qui il tema del doppio e del sosia, che tanto peso ha nelle commedie sin dalle loro origini, anche se qui pare asservito a una narrazione tragica, con caratterizzazioni da romanzo gotico-paranormale. Come in certe commedie, basta un cambio d’abito o di taglio di capelli (singolare la figura del barbiere che interpreta le personalità e adatta di conseguenza i propri tagli) a camuffare una persona o confonderla con un’altra, cosa ben lontana dalla verità come notavo già da bambino guardando i telefilm con Zorro: come facevano a non capire che era proprio Don Diego? Riconosciamo, infatti, una persona da molti aspetti, il portamento, la voce, la conformazione del corpo e l’abito o i capelli sono proprio l’ultima cosa che conta, perché sappiamo che sempre mutano.
Per il tema del sosia penso a opere come la commedia di Plauto “Anfitrione” (dal nome di uno dei personaggi deriva il termine)
del 206 a.C., la sua “Menecmi”, “Il sosia” (1846) di Dostojevski o “Il principe e il povero” (1881) di Mark Twain.
Quanto al doppio, vista anche qui la presenza del quadro del padre-sosia ma anche del doppio frate, non si può non pensare a “Il ritratto di Dorian Gray” (1891) di Oscar Wilde. E che dire de “Il Visconte dimezzato” (1952) di Italo Calvino il cui protagonista non penso si chiami a caso Medardo?
E, infine, il tema del doppio trova un certo sviluppo anche in “Psicosfera”, che ho scritto con Massimo Acciai Baggiani.
In sostanza, dunque, opera forse troppo articolata, con troppi colpi di scena, un po’ ingenua, ma credo proprio per questo intensa e abbordabile per tutti, purché si sia disposti a concentrarsi un po’ a seguire l’intrico delle avventure e dei personaggi. Lavoro che comunque, come abbiamo visto si inserisce in un preciso solco letterario, con i suoi modelli, divenendo esso stesso base e modello per ulteriore letterartura.
“I dolori del giovane Werther” (1774) di Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832), una delle più celebri storie d’amore non corrisposto, ha visto nel corso dei decenni (ormai secoli) accrescersi un gran mucchio di critica letteraria, dunque questa mia lettura è in tal senso certo inutile e nulla di nuovo penso potrà aggiungere. Come di consueto, però, vorrei riportare qui alcune note di lettura. Innanzitutto, il notevole contenuto autobiografico che mi pare trasparirvi, tanto forte mi pare l’immedesimazione dell’autore con il proprio personaggio. Soprattutto nella prima parte. La sensazione che ho avuto è stata quasi quella di leggere un romanzo di genere fantastico (ucronia o fantascienza, fate voi) nel senso che partendo da un assunto reale, si sviluppa poi per vie del tutto immaginarie. L’assunto qui mi pare sia la vita dello stesso Goethe.
Come nelle più grandi opere che trattano dell’amore (ripensavo leggendo allo “Amleto” di Shakespeare), questo assume tutta la sua tragicità quando è messo a confronto con la morte. Qui, anzi, amore e morte paiono quanto mai correlati. L’amore è rivelato grazie alla morte.
La morte, poi, appare quasi un rito, per la meticolosità quasi burocratica con cui è preparata.
Un’affermazione che merita una riflessione è la seguente:
“L’arte è come l’amore: un giovane innamorato si dedica interamente a una ragazza, passa tutte le ore della giornata con lei, a lei dedica ogni sua energia e i suoi averi, per dimostrarle che le appartiene completamente. A un certo punto si intromette un filisteo, un uomo che riveste una carica importante, e gli dice: «Mio caro signore, amare è umano, ma lei deve amare virilmente! Distribuisca le sue ore, ne dedichi alcune al lavoro e altre libere alla sua ragazza! Faccia un calcolo di ciò che possiede, provveda prima ai suoi bisogni; non le proibisco di farle qualche dono col rimanente, ma non tanto spesso; a esempio per il suo onomastico e compleanno ecc.». Se il giovane segue questo consiglio diverrà certamente un uomo utile e consiglierei a un qualsiasi principe di dargli un impiego; ma per il suo amore è finita e, se è artista, anche per la sua arte.”
Non sempre gli scrittori pensano quello che scrivono nei romanzi. Nulla di più sbagliato sarebbe credere che quanto afferma un
personaggio sia un’affermazione dell’autore. Il periodo che ho qui riportato, però, mi ha un po’ irritato per la sua assoluta falsità. “Per il suo amore è finita e, se è artista, anche per la sua arte”? Che assurdità! Come se l’arte e l’amore non possano convivere con una vita ordinata e sana. Al contrario. È solo grazie a essa che il vero artista può creare con serenità e libertà e che l’amore si fortifica ed evolve. Certo, se, invece, come in questo romanzo si viaggia verso un epilogo tragico, o addirittura verso il suicidio, il ragionamento funziona. Conclusione? Goethe, già con questa frase stava preparando il suo personaggio alla propria tragica morte. Suggerimento per gli autori: a volte occorre affermare assurdità se queste aiutano a entrare nella mentalità folle, malata o deviata del proprio personaggio. Può non essere facile e il lettore potrebbe fraintendere il pensiero e l’intenzione di chi scrive. Ma non dimentichiamo che questa è un’opera epistolare, dunque la voce narrante non può che essere terza rispetto al pensiero di Goethe.
Importante nel romanzo è anche il tema della pazzia e, in particolare, della pazzia d’amore. Ricercando il termine “pazzo” nel volume, vedo che compare innumerevoli volte.
Una frase che rende l’idea del conetto penso possa essere questa:
“Guai a colui che assistendo a simile tragedia può dire: “Che pazza! Se avesse aspettato, se avesse lasciato trascorrere il tempo, la sua disperazione si sarebbe placata, qualcuno sarebbe giunto per consolarla!”. È proprio la stessa cosa che dire: “Che pazzo, è morto di febbre! Se avesse pazientato finché le forze gli fossero tornate, la linfa vitale risanata, il tumulto del suo sangue calmato, oggi sarebbe ancora in vita, e tutto sarebbe andato per il meglio!”.
Lettura tratta dal volume “I magnifici sette capolavori della letteratura tedesca” (E-Newton Classici – I Mammut).
Nato a Roma il 3 Gennaio 1964, dove si laurea in Economia e Commercio, vive a Firenze, dove lavora nel project finance.Con la moglie Antonella, ha una figlia, Federica.
Pubblica con Liberodiscrivere Il Colombo divergente (2001), Giovanna e l’Angelo (2007), Ansia assassina (2007), Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (2010), il romanzo collettivo illustrato Il Settimo Plenilunio (2010), la raccolta di testi a quattro mani Parole nel Web (Liberodiscrivere, 2007) e cura l’antologia collettiva Ucronie per il Terzo Millennio (2007).
Sperimenta le tecniche del web-editing e del copyleft per il secondo volume della serie I Guardiani dell’Ucronia (Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati (2013) e per La Bambina dei Sogni (più edizioni tra il 2012 e il 2013). Il Settimo Plenilunio e Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati sono romanzi illustrati da numerosi artisti (c.d. gallery novel). Con Porto Seguro Editore pubblica in tre volumi Via da Sparta: Il sogno del ragno (2017), Il regno del ragno (2018), La figlia del ragno (2019), nonché il saggio Il narratore di Rifredi (2019).
Tabula Fati nel 2019 pubblica la sua raccolta di racconti Apocalissi fiorentine, opera finalista al Premio Vegetti 2021, il cui racconto Collasso domotico è stato scelto per il volume Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (edito da Delos e vincitore del Premio Italia); e nel 2020 la fan-fiction di sette autori Sparta ovunque (Tabula Fati), finalista al Premio Vegetti, ispirata ai romanzi della saga Via da Sparta.
Cura con Caterina Perrone l’antologia Gente di Dante (Tabula Fati, 2021).
Pubblica con Massimo Acciai Baggiani il romanzo di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022)
Ha inoltre pubblicato vari racconti, poesie, articoli, recensioni e altro in antologie, riviste e siti internet
Su di lui sono stati scritti i saggi “Il sognatore divergente” (Porto Seguro Editore, 2018) di Massimo Acciai Baggiani e “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli.
PSICOSFERA - Non siamo soli sulla Terra. Non lo siamo mai stati.
Apocalissi Fiorentine – Gruppo Editoriale Tabula Fati
GENTE DI DANTE - antologia del Gruppo Scrittori Firenze curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone
Sparta ovunque – 7 racconti di 7 autori ambientati nel mondo di “Via da Sparta”
Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza indipendente italiana 2019
La figlia del ragno (Via da Sparta) Porto Seguro Editore
Il sognatore divergente – La produzione letteraria di Carlo Menzinger di Preussenthal tra ucronia, fantascienza e horror – di Massimo Acciai Baggiani – Porto Seguro Editore
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER (Solfanelli Editore, 2022) di Chiara Sardelli
SUGGESTIONI FIORENTINE NELLA NARRATIVA DI CARLO MENZINGER - Chiara Sardelli ricerca i riferimenti storici, geografici e culturali fiorentini nell'antologia "Apocalissi fiorentine"
Il regno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
Il sogno del ragno (Via da Sparta) – Porto Seguro Editore
La Bambina dei Sogni – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Il Colombo divergente – Edizioni Liberodiscrivere
Giovanna e l’angelo – Edizioni Liberodiscrivere
Ansia assassina – Edizioni Liberodiscrivere
Jacopo Flammer nella Terra dei Suricati – Edizioni Lulu ed ebook gratuito
Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale – Edizioni Liberodiscrivere
Il narratore di Rifredi – Porto Seguro Editore
Il Settimo Plenilunio – Edizioni Liberodiscrivere
Parole nel Web – Edizioni Liberodiscrivere
Ucronie per il Terzo Millennio – Edizioni Liberodiscrivere
Il Terzultimo Pianeta – Ed. Lulu ed E-book gratuito
Schiavi part-time – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Spada di inchiostro – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Sangue blues – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Rossi di sangue sono dell’uomo l’alba e il tramonto – Ed. Lulu ed ebook gratuito
Carlo Menzinger è membro del GSF -Gruppo Scrittori Firenze
Carlo Menzinger, membro del Consiglio Direttivo del GSF dal 2019, ne ha curati con Barbara Carraresi gli incontri letterari, gestisce il blog e dal 2022 coordina il Premio Letterario La Città sul Ponte. Nel 2021 ha curato, con Caterina Perrone, per il GSF l'antologia "Gente di Dante".
Carlo Menzinger è membro dell’associazione degli autori di fantascienza “World SF Italia”