Leggere un libro o vedere il film che ne è stato tratto è quasi sempre un’esperienza molto diversa. Vidi per la prima volta “2001 odissea nello spazio” poco dopo la sua uscita in Italia, dunque quando ero ancora bambino e fu il film che più mi ha impressionato in tutta la mia vita. Certo le emozioni di un bambino sono molto diverse da quelle di un adulto, ma ancora mi porto dentro certe immagini di quel film, visto quando avevo forse sei o otto anni. Incredibilmente a impressionarmi tanto fu la sua velocità: la velocità con cui si passava dalla scena con gli uomini primitivi agli scenari spaziali, ma, soprattutto, la velocità con cui passava il tempo per il protagonista una volta raggiunto il monolite su Saturno. Non ricordavo, dal film, che fosse in realtà su uno dei suoi satelliti, Giapeto. L’invecchiamento del protagonista rimase a lungo il mio incubo prediletto.
Ho scritto che “incredibilmente” del film mi impressionò la velocità, perché rivedendolo anni fa, da adulto, ne notai l’incredibile lentezza!
Il cinema nel frattempo era cambiato molto! I ritmi dei film degli anni ’60, oggi ci paiono terribilmente lenti, anche di un film come questo, che segnò un grande passo avanti verso il cinema moderno, con i suoi effetti speciali.
Oggi ho finito di rileggere il romanzo scritto dall’inventore britannico Sir Arthur Clarke e pubblicato nel 1968. Si tratta di un’opera nata assieme al film, di cui Clarke curava la sceneggiatura per il regista Stanley Kubrick, ispirandosi al proprio racconto “La sentinella”. Un romanzo nato in tal modo dovrebbe allora essere molto simile al film, ma i due mezzi sono così diversi che le due storie differiscono non poco, nonostante la trama comune. Diverse sono le emozioni che generano.
Sono vari anni che ho visto il film, per cui la memoria potrebbe ingannarmi, ma non ricordo che nel film venisse spiegato come nel libro il modo in cui il monolite interagiva con i così detti uomini-scimmia, facendo esperimenti con loro, fino a portarli a scoprire come manipolare gli oggetti.

Arthur Clarke
Anche l’attraversamento del monolite sul satellite di Saturno fu reso da Kubrick grazie a effetti visivi all’epoca di grande impatto mentre nel romanzo vi è una maggior speculazione “filosofica”, se così si può dire. In sostanza il film è più indeterminato e lascia maggior spazio alle ipotesi. Questo se vogliamo è quasi strano, perché di solito si dice che è il romanzo a lasciar più spazio all’immaginazione, dato che tocca al lettore tradurre le parole in immagini. Questa presumo sia la grandezza di registi come Kubrick, che fanno del cinema “letteratura”.
Una cosa che film e romanzo hanno in comune è una descrizione secondo me troppo prolissa della stazione spaziale e delle manovre dell’astronave. Clarke, come altri autori di fantascienza con formazione scientifica, ha il difetto di voler mettere nei suoi libri troppe descrizioni tecnico-scientifiche, che con il progredire delle conoscenze rischiano di diventare superate e che comunque annoiano chi non sia un fisico o un chimico.
Comunque è un romanzo con ben tre parti di un notevole fascino: l’incontro degli uomini primitivi con il primo monolite, la follia del computer Hal 9000 e l’attraversamento di quella sorta di warm-hole che pare essere il monolite giapetiano. Tre episodi che
da soli riscattano tutte le debolezze del romanzo che, sebbene breve, avrebbe potuto essere scremato di varie parti.
In ogni caso un libro e un film da cui non si può prescindere: due classici da conoscere anche se non si amano.