Archive for settembre 2015

MUTATIS MUTANDIS SEMPER SEX EST

Eccomi alla seconda antologia di racconti di Nadia Mogni. Dopo “La bambina surgelata”, ho letto ora la silloge a tema erotico “Storie senza mutande”. Il sottotitolo è “Piccoli racconti e altre amenità fantahorrorerotiche… un po’ cattive”: in realtà sono soprattutto racconti erotici, che oscillano tra lo Schnitzler di “Doppio sogno”, il James di “Cinquanta sfumature di grigio” e l’Aury di “Histoire d’O”. Anche se è vero che in un racconto compaiono un paio di licantropi, in un altro assistiamo all’esplosione surreale di un pene, la componente horror mi pare non rilevante. Maggior rilievo ha invece quella fantastica, nel senso che le fantasie erotiche descritte sfiorano, come nell’altra raccolta che ho letto, il surreale.

Nadia Mogni (alias Evaporata)

Nadia Mogni sa come si scrive e tutti i racconti scorrono via piacevolmente, se non si ha alcuna avversione per il porno, dato che spesso siamo da quelle parti e la bravura dell’autrice in questa raccolta sta propria nella capacità di sollevare la tensione erotica nelle poche pagine di ciascuna delle storie narrate, anche se alla fine, il succedersi di queste avventure sessuali finiscono quasi per essere legate tra loro, tale è la comunanza del tema centrale della silloge e, dunque, la tensione non cala quasi mai.

TRE (GENTIL)UOMINI IN PALLONE (PER NON PARLARE DEL PRETE MORTO)

L’edizione che lessi attorno al 1974

Nel romanzo che sto scrivendo compaiono dei palloni aerostatici. Mi è allora venuta in mente una lettura di circa quarant’anni fa, “Cinque settimane in pallone” (1863) di Jules Verne. Oltretutto ricordando la meraviglia con cui autori come Verne o Salgari parlavano delle innovazioni tecnologiche del loro tempo, dovendo descrivere una situazione culturale in parte simile, mi sarebbe piaciuto cogliere un po’ di quello stupore scientifico che nel XXI secolo abbiamo orami perso.

Ho così ripreso in mano il romanzo di Verne (questa volta in e-book, con il consueto TTS – Text To Speech, che certo avrebbe stupito non poco l’autore francese).

Non ne ho tratto grandi spunti narrativi, ma in ogni caso è stata comunque una lettura utile sulle trovate tecniche del personaggio Samuel Ferguson, che, nel 1862, risolve i problemi ascensionali con un sistema di riscaldamento dell’idrogeno, che gli consente di dotarsi di una zavorra ridotta, vista la lunga durata dell’impresa prospettata (l’attraversata dell’Africa). Un accorgimento che ho imitato è quello del doppio pallone, uno interno all’altro. Nel mio romanzo, infatti, gli aerostati vengono impiegati anche in battaglia e questo sistema li rende un po’ meno vulnerabili. Complessivamente tutta la lettura credo mi abbia ispirato solo una decina di nuove righe. Persino il cacciatore che avvista le prede dall’alto e che, pur potendole colpire, deve rinunciare, non potendole poi
recuperare, potrebbe sembrare che l’abbia copiata da Verne, ma era cosa che avevo già scritto.

Non penso invece sia possibile ripetere il senso di meraviglia ottocentesca per i prodigi della tecnologia, che oggi suonano un po’ ingenui (quante volte compaiono la parola “meraviglia” o altre simili?), né la visione dell’Africa come terra popolata di selvaggi “negri” “gnam gnam”, ovvero cannibali ferocissimi. Singolare è l’incontro con i cinocefali, figura leggendaria che non mi sarei aspettata da un autore tanto preciso e scientifico come Verne. Nello stesso romanzo, in effetti, egli stesso scrive, in un altro passaggio, che gli uomini dalla testa di cane sono solo una leggenda, ma non manca di far assalire i tre viaggiatori da un branco di scimmie umanoidi che definisce tali.

Le popolazioni locali, siano essi arabi (sempre definiti “negri”) o tribù dell’interno, reagiscono alla vista del pallone o adorandolo o scatenando istinti violenti.

I viaggiatori sono tre: il dottor Samuel Ferguson, il cacciatore Dick Kennedy e il servo Joe (il suo nome è Joseph Wilson, ma, in quanto servo, compare più spesso degli altri con il nome proprio). Tutti e tre si comportano con tipica nonchalance inglese anche nelle più grandi difficoltà, seppur in grado diverso. Il servo Joe dimostra rispetto e ammirazione incommensurabili per il suo padrone, al punto di rischiare o sacrificare la propria vita ogni volta che questo possa servire. Da parte sua il padrone Ferguson lo tratta con affetto, sebbene sembri quello rivolto a un cane fedele, e non manca di fare il possibile per salvarlo quando si trova in difficoltà. Un quarto personaggio viene salvato dai tre esploratori, anche se l’intervento dei tre si rivela tardivo e lo sfortunato missionario muore in viaggio.

Jules Verne

L’intero romanzo mescola alle imprese fantastiche del terzetto (per non parlar del prete morto, parafrasando Jerome K. Jerome) informazioni sulle conoscenze dell’Africa di quegli anni e sulle spedizioni che ne avevano tentato l’esplorazione e apre la serie dei viaggi fantastici che hanno fatto la fortuna di Verne, trasformandolo in uno dei massimi iniziatori della fantascienza.

Provando a seguire con il satellite (Google Maps) il percorso dei tre avventurieri sono andato a cercare il lago Ciad, alla cui vista mi sono chiesto come fosse possibile che quella sorta di acquitrino che vedevo fosse l’imponente lago descritto da Verne. Purtroppo, soprattutto negli ultimi anni, il bacino si è sempre più prosciugato e ora, visto dal cielo, non sembra quasi più un lago! Al contrario, allargando la visuale, alla ricerca del deserto in cui i tre eroi hanno rischiato di morir di sete, vedo una fascia desertica (o quanto meno terre ingiallite) molto più estesa di come la ricordassi e che impegna nella sola Africa un’area più grande dell’intera Europa e prosegue poi in Asia, non solo nella penisola araba, ma fin quasi al Pacifico!

C’è chi nega gli effetti del surriscaldamento, ma probabilmente non ha mai dato uno sguardo dall’alto al nostro piccolo pianeta!

 

Ho completato la lettura del romanzo con quella dell’articolo scritto da Verne, una decina d’anni dopo la pubblicazione del romanzo, il 21 settembre 1873, a seguito di una sua esperienza di volo in pallone, “Ventiquattro minuti in pallone”, che di fatto conferma le intuizioni dell’autore che ha descritto con grande precisione il viaggio dei tra aeronauti senza aver mai volato prima.

 

LA BAMBINA DEI SOGNI – 6 – LO SCONOSCIUTO ONIRICO

La bambina dei sogni - Carlo Menzinger di Preussenthal

6 – LO SCONOSCIUTO ONIRICO

Demetrio: «Ma siete proprio certi d’esser svegli?
O forse siamo ancora addormentati,
e quello che vediamo è tutto un sogno?»
(Sogno di una notte di mezza estate – William Shakespeare)

 
Eccomi salire in cima a una collina. C’era un vento fresco che agitava l’erba tutto attorno, come un mare verde in salita. Mi sentivo tranquillo e rilassato. Il cielo era limpido e azzurro. In lontananza scorsi una piccola nuvola nera. Mi voltai a guardarla, cercando di capire se si avvicinasse la pioggia. Veniva velocemente nella mia direzione. Non portava acqua e non era smog. Erano uccelli. Uno stormo di uccelli dalle lunghe ali nere. Forse corvi. Sì, mi parevano corvi. Riempirono l’aria con il loro gracchiare. Erano tanti. Tantissimi. Oscurarono il cielo. Volteggiavano ovunque senza scendere mai verso terra. Inquieto, presi a camminare in direzione del sentiero, deciso ad allontanarmi da lì. Lo raggiunsi. Era una stradina di sassi bianchi, che correva in mezzo ai prati. Sembrava condurre a una torre lontana. Scura contro il cielo. Il vento era aumentato e ora soffiava con forza, mentre i corvi volteggiavano da ogni parte. Non c’erano alberi o montagne in vista. Vedevo solo prati, corvi in cielo e ghiaia sotto di me. Verde, nero, azzurro e bianco.
Continuavo a camminare. In fondo alla strada scorsi una piccola sagoma. Era ferma nel mezzo. Non avanzava. Mi avvicinai più rapidamente di quanto pensassi fosse possibile e la riconobbi. Era Elena.
– Non devi sognare Maria − mi disse e subito i corvi presero a volteggiarmi più vicino. Uno dopo l’altro mi passarono davanti al viso, fissandomi con i vuoti occhi neri e minacciandomi con i becchi acuminati, mentre il frullare delle loro ali mi riempiva le orecchie.
– Non sono io a decidere i miei sogni – protestai, cercando di difendermi con le braccia da quel volteggiare minaccioso.

– Perché? − chiese la bambina e il suo stupore sembrava sincero e dolorosamente profondo.
– Perché le persone non possono decidere i propri sogni.
– Non è vero. Non sognare la donna cattiva.
I corvi s’avventarono su di me in un vorticare tempestoso di affilate penne nere, artigli acuminati e becchi aguzzi. Mi parve che alcuni fossero cavalcati da minuscole fate dagli occhi infuocati e dallo sguardo tagliente. Sentii una risata che derideva la mia ignoranza dell’eterno e dell’infinito. Intuii la presenza di creature ancestrali nelle viscere della terra. Esseri dalle forme inimmaginabili che premevano dagli abissi di pietra e magma sotto i miei piedi per emergere e tornare a dominare il tempo. Sentii la nullità del mio passaggio mortale nel mondo degli uomini. I corvi mi avvolgevano. Mi svegliai prima di essere travolto.

Paul Delvaux – Shadows-1965

Titania, Queen of Faeries by TheIronRing

Quando sopraffatto dalla stanchezza finalmente mi riaddormentai, tornai a sognare la ragazza mora, quella che citava “Sogno di una notte di mezza estate”. Era ancora in compagnia del tipo che l’aveva abbordata nel sogno precedente. Erano in un bar e chiacchieravano. Non avevano lasciato la stazione e si sentiva il rumore dei treni che arrivavano e partivano. Alle loro spalle un piccolo LCD trasmetteva una partita di campionato, ma non lo guardavano. I loro boccali avevano solo un residuo schiumoso di birra. Evidentemente non c’era stato nessun caffè oppure il suo tempo era già scivolato via, per cedere il passo a bibite più impegnative.
– Come ti chiami? – stava chiedendo lei.
– Oberon – insistette lui.
– Il tuo vero nome, intendo. Quello è il nome che ti ho dato io. Lascia stare Shakespeare. Come ti chiamava tua madre… per esempio? – scherzò senza allegria.
– Mia madre? Non ne ho mai avuta una – la gelò – sono figlio di una stella e del magma o forse di un demone e di una fata.
Lei abbassò lo sguardo confusa, forse persino un po’ offesa da quella risposta all’apparenza improbabile.
– Quell’uomo non ti meritava – cambiò argomento lui, confondendola ancor più.
– Di quale uomo parli?
– Di quello per cui stavi piangendo.
– Non piangevo… − tentò di difendersi.
– Un uomo senza carattere − insistette − che non ha neppure avuto la forza di trattenerti quando l’hai lasciato e che si è perso una simile fortuna: una ragazza bella, sensibile e intelligente.
– Non volevo… non volevo essere trattenuta… ma cosa dico? Di cosa parlo? Cosa ne sai tu? Perché parlo con te? Non so neppure chi tu sia, figlio delle stelle.
– Io conosco tutti i tuoi sogni e anche i tuoi incubi.
– Sei uno sbruffone! – protestò – Non conosci nulla.
– Io conosco anche il tuo futuro.
– L’hai letto in un sogno? Pensi forse che i sogni possano predire il futuro?
– Lo conosco perché il tuo futuro sono io – la placcò romantico.
– Tu? Cosa pensi di avere a che fare, tu, con la mia vita?
– Tutto. La tua vita mi appartiene. La mia vita ti appartiene.
– Sembra una proposta…
– È una certezza.
– Lo sarà per te. Io neppure ti conosco.
– E lui lo conoscevi bene?
– Sì, certo… − esitò. Un frullo d’ali le fece alzare per un istante lo sguardo.
– Eppure alla fine era diverso da come credevi. Io non potrò essere diverso. Io sono così. Sarò sempre così.
Un corvo volò dietro di loro.
– Così? Così come? Non so nulla di te. Neppure il tuo vero nome. E magari ora mi dirai anche che mi ami?
– Certo: ti amo e anche tu mi ami. Ti amo come si ama il proprio destino. O forse ti odio così tanto da non poter fare a meno di te. Questo è l’amore più grande e sincero. Non c’è sincerità tra gli amanti. Solo tra chi si odia.
– Mi ami? Bella presunzione, detta da uno sconosciuto a una sconosciuta. Mi odi? Perché allora non mi lasci stare? Cosa vuoi da me? Non sai neppure chi sono.
– Abbiamo tutto un futuro davanti per conoscerci. Io di te però ho già sognato tutto.
– Tutto? Conosci tutto di me? Sei proprio un buffone. Dimmi almeno il tuo nome. Pretendi di sapere ogni cosa di me e non vuoi che io sappia nulla di te. Come potrà mai esserci qualcosa tra di noi? Come potrà esserci un futuro, se non hai un passato e neppure un presente?
– Il mio nome è quello che mi hai dato tu: Oberon. Io sarò sempre quello che tu vorrai io sia. Sarò il re dei tuoi sogni.
– Allora torna dalla tua Titania.

Risvegliandomi mi chiesi come mai fossi tornato a sognare l’incontro tra questi due sconosciuti. Non mi pareva un sogno come gli altri. Sembrava troppo vero. Un piccolo film. Doveva avere qualcosa a che fare con Elena, ma ancora non capivo cosa. Di sicuro, per un motivo inspiegabile, mi avevano messo addosso il desiderio di rivederla. Erano sogni che sempre mi riconducevano con la mente verso di lei. Erano sogni che non mi davano riposo. Un’altra notte come quella e i miei nervi ne sarebbero usciti a pezzi.
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I VIAGGI NEL TEMPO TRA SCIENZA E FANTASCIENZA

Vittorio Baccelli era un autore molto presente nelle community digitali e mi capitava di incrociarlo in vari spazi. Leggo con dispiacere che è mancato nel 2011. Mi è capitato ora sotto mano un suo libro e mi sono reso conto di non aver mai letto di lui altro che racconti o altri testi brevi. Ho individuato il suo “Filosofia dei viaggi nel tempo” nella mia ricerca di testi che parlino del tempo, che mi ha recentemente portato a leggere “Il libro dell’orologio a polvere” di Ernst Jünger e “Essere senza tempo” di Diego Fusaro.

Quello che sto cercando in tali libri è una definizione del tempo che somigli a quella che ho utilizzato nei miei romanzi ucronici, da “Il Colombo divergente” al ciclo di Jacopo Flammer e i Guardiani del Tempo, passando per “Giovanna e l’angelo”.

L’idea che sta alla base dell’esistenza di universi alternativi in cui il flusso temporale è diverso da quello reale è già esplicitata all’inizio del primo romanzo dove scrivevo:

Ogni gesto può esser compiuto

o non esserlo.

Così nasce un universo divergente.

Vittorio Baccelli

Nei romanzi di Jacopo Flammer specifico che il tempo non è lineare, ma un frattale, ovvero da ciascuno degli infiniti punti di ciascuna delle infinite linee temporali si dipartono infinite altre linee, con le medesime caratteristiche. In tal modo qualunque evento può essersi verificato lungo almeno una di queste linee temporali, che chiamo Universi Divergenti. L’incrociarsi di tali linee consente i passaggi da un tempo a un altro, seppure lungo diverse linee.

Vittorio Baccelli scrive un saggio che esamina assieme le principali teorie scientifiche che potrebbero giustificare e permettere eventuali viaggi nel tempo, sia l’uso che di queste teorie è stata fatta dalla fantascienza, sia nei romanzi che nei fumetti o nel cinema. Conclude l’opera con un suo interessante racconto fantascientifico sul tema, in cui immagina la nascita dell’universo generata da un paradosso dei viaggi nel tempo.

La cosa più vicina alla mia idea di Universi Divergenti che ho trovato nel saggio di Baccelli sono i Multiversi e la teoria delle bolle.

Il saggio si presenta comunque come un’affascinante carrellata tra worm-hole, buchi neri, acceleratori nucleari, pulsar, universi oscillanti, fisica subatomica. Un capitolo rilevante è dedicato al fisico serbo Nikola Tesla, riconosciuto per aver brevettato i motori a corrente alternata e che Baccelli insiste nel voler considerare come “l’inventore del Novecento” per la molteplicità delle sue invenzioni, delle sue intuizioni scientifiche, comprese alcune che potrebbero riguardare la manipolazione dello spazio-tempo. Le sue scoperte, secondo l’autore, furono considerate scomode dall’industria americana, che lo boicottò. Tra le sue invenzioni che poi furono attribuite ad altri ci sono la radio e il campo magnetico rotante, ma molte delle sue idee sono purtroppo rimaste sulla carta e altre sono state cedute per nulla all’industria. Interessante è che era affetto da allucinazioni, spesso collegate alle sue intuizioni scientifiche.  Mi viene allora da pensare alle riflessioni di Sacks (“L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”) sui difetti neurologici che portano chi ne soffre ad accrescere certe capacità (potrebbe essere il caso di alcuni artisti e, forse, dello stesso Tesla).

Tra le opere cinematografiche più diffusamente esaminate da Baccelli c’è “Donnie Darko”, un’intricata storia di viaggi nel tempo e multiversi che mi ripropongo ora di vedere.

Da ucronico, ho poi apprezzato la parte dedicata questo genere letterario.

Anche se la mescolanza di teorie scientifiche ufficiali, semi-ufficiali e non ufficiali e i rimandi alla fantascienza rendono difficile farsi un’idea precisa dell’attendibilità delle ipotesi descritte, questo volume stampato da Lulu per Tesseratto Editore nel dicembre 2010 si presenta comunque come una lettura stimolante per approfondire altrove le tematiche affrontate.

L’ATROCE OMICIDIO ORDINATO DAL VESCOVO DI ALESSANDRIA

Era da quando vidi “Agorà” (il bel film del 2009 di Alejandro Amenábar con Rachel Weisz) che desideravo leggere il saggio “Ipazia” di Silvia Ronchey o, comunque, approfondire le mie conoscenze su questa filosofa e matematica alessandrina, barbaramente trucidata nel 415 d.c. dai cristiani (monaci parabolani) guidati dal vescovo Cirillo.

Si tratta, infatti, di una figura e di un momento storico di grande interesse.

Silvia Ronchey affronta un’analisi rigorosa (l’autrice è una bizantinista esperta), distinguendo ciò che realmente sappiamo della sua vita, del suo pensiero e del suo crudele assassinio, da ciò che poi è stato costruito e inventato su questa figura, trasformandola di volta in volta in martire della scienza, protofemminista, iniziatrice di una scuola di pensiero e persino, in netto contrasto con quanto noto, una simpatizzante del cristianesimo. Parrebbe anzi addirittura che la storia di Santa Caterina d’Alessandria (quella di cui Giovanna D’Arco sentiva la Voce e di cui parlo anche nel mio “Giovanna e l’angelo”) altro non sia che una trasposizione cristianizzata del suo martirio, perpetrato da cristiani su una filosofa pagana e non viceversa da pagani su una dotta cristiana. Considerata la dubbia veridicità della vicenda di Caterina, persino la Chiesa, per alcuni anni, la cancellò dall’elenco dei santi (martirologio).

Silvia Ronchey

Il volume della Ronchey, dunque risolve in poche pagine le notizie certe su Ipazia, in sostanza la sua appartenenza alla scuola platonica di Plotino, l’esser figlia di quel Teotecno (detto anche Teone) che insegnava filosofia e matematica nel Museo di Alessandria (come forse anche la figlia), l’essersi occupata di matematica e geometria, più che di filosofia, l’aver dato contributi di rilievo minore alla geometria (soprattutto la realizzazione di strumenti per l’insegnamento, mentre meno probabili sembrano quelli all’astronomia, come l’ipotesi che la vede come un antesignana del sistema copernicano), l’esser stata assassinata brutalmente mediante scorticazione e asportazione da viva di occhi e forse altri organi, tutto ciò indubbiamente a opera di cristiani, in prevalenza sacerdoti e per volontà del vescovo Cirillo (quindicesimo papa della Chiesa Copta), venerato come santo dalle Chiese Cattolica e Copta. Cirillo perseguitò i novaziani, gli ebrei e i pagani, fino a quasi eliminarli da Alessandria d’Egitto.

Insomma, in quei tempi la Chiesa (seppur Copta) si macchiava di delitti che non sfigurano in alcun modo di fronte alle atrocità commesse dallo Stato Islamico (ancora impropriamente chiamato ISIS) e ancora oggi non ha screditato chi di tali colpe si è macchiato, permettendo che sia persino considerato santo. Purtroppo, non è una religione o un’altra a essere più o meno intollerante e violenta, ma lo sono tutti gli estremismi e la fede, proprio per la sua irrazionalità, basandosi sulla credenza invece che sulla ragione e la logica, non riesce ad accettare ciò che va oltre i propri dogmi e genera così reazioni eccessive e pericolose.

In questo la storia di Ipazia è ancora oggi esemplare e deve ricordare a tutti i cristiani che non sono migliori dei fedeli di altre religioni, che è troppo facile criticare ciò che le altre fanno, senza ricordare quel che dal cristianesimo fu fatto in quei tempi ma anche in altre epoche.

Un’interessante affermazione della Ronchey è che l’assassinio di Ipazia non segni la fine della cultura greco-romana, ma sia l’inizio del millennio bizantino, periodo in cui Bisanzio conservò, preservò e sviluppò tale cultura, preparando e favorendo poi il suo ritorno modernizzato nell’Umanesimo e nel Rinascimento. Se dunque per lei è sbagliato vedere in Ipazia una protofemminista o un simbolo del martirio della scienza, sembrerebbe invece che vi riconosca una sorta di proto-umanista!

INATTESA SORPRESA

Ieri ho ricevuto dall’Editore Tabula Fati due copie del n. 18 della rivista “IF – Insolito & Fantastico“. Ogni numero è sempre dedicato a un tema specifico. Questa era la volta di “Star Trek“. Sebbene abbia seguito anni fa le prime stagioni, non ritenendo avere nulla di originale da dire sul tema, questa volta non avevo inviato nulla da pubblicare all’editore.

E’ stata così una piacevole sorpresa scoprire, mentre censivo il volume su anobii, che tra gli autori c’era anche un certo Carlo Menzinger! lo vedete nella copertina qui accanto.

Giugno 2014

Carlo Menzinger di Preussenthal (Roma, 3 Gennaio 1964)

Menzinger?” mi sono detto? Come è possibile? Guardando all’interno ho scoperto che avevano pubblicato il mio racconto ucronico “L’altra Gerusalemme“, in cui si immagina che alla fine della Seconda Guerra Mondiale sia stato costituito uno Stato per gli ebrei non in Palestina ma in Germania. Il racconto si svolge in due momenti diversi: la prima ad Hannover nel 1948, durante la nascita dello Stato di Israele, e la seconda nel 2014, mostrando come è cambiato il mondo.

Come immaginate che sarebbe stata la situazione in Medio Oriente? E in Europa? Non vi dico come l’ho immaginata io: leggetela su “IF – Insolito & Fantastico n. 18“.

Per ricevere il volume o abbonarsi: rivistaif@yahoo.it

Vedi anche: http://insolitoefantastico.blogspot.it/

 

LA MODERNITÀ DEL SURREALE

...Che cosa rende la lettura di un racconto o di un romanzo piacevole? La sua capacità di creare situazioni nuove, originali e lontane dal quotidiano. La critica letteraria è rimasta scioccamente inchiodata per decenni al concetto che la letteratura di qualità debba essere realistica, ma questo, come ho scritto anche altrove, mi pare un assurdo. La letteratura migliore è quella più creativa, quella che sa creare situazioni che non ritroviamo nella normalità. I suoi livelli massimi li troviamo nella realizzazione di interi universi letterari alternativi, nella capacità di rendere credibili ambientazioni e personaggi che mai potrebbero esistere veramente.

Troppo facile è descrivere l’uomo per quello che è, il mondo come ci appare. Questo è già stato fatto. La letteratura che oggi rifiuti il fantastico e il surreale sarebbe come la pittura che si fosse fermata al realismo ottocentesco e non avesse conosciuto nulla dell’arte moderna, della sua capacità di descrivere ciò che siamo mostrando altro.

Nadia Mogni

La letteratura moderna è e deve essere non realistica. Lasciamo ai cronisti la descrizione del grigiore da telegiornali.

Non saprei se Nadia Mogni condivida questo tipo di riflessioni, ma la sua scrittura va esattamente in questo senso. Di lei ho letto solo la raccolta di racconti “La bambina surgelata” e posso dire che in ciascuno vi è questo modernissimo gusto per il surreale, per una sorta di magia che a volte potremmo definire paranormale,  ma che è la poesia del quotidiano che trascende nell’onirico, delle psicosi e delle ossessioni che si concretizzano.

Vi troviamo ambientazioni che ricordano la città dei gatti di 1Q84 di Murakami, racconti in cui l’orrore sfuma nel grottesco, storie in cui una burocrazia fantascientifica va oltre il kafkiano. Dietro tutto ciò, si nascondono però sentimenti e passioni umanissime, che sembrano non osare mostrarsi apertamente, quasi che il fantastico possa essere per loro una sorta di protezione.

Quale grande editore ha pubblicato questi racconti? La Libreria Ticinum Editore, perché è solo grazie a case editrici minori come questa che piccoli grandi autori poco noti come Nadia Mogni possono riuscire a farsi conoscere.

 

Leggi anche:

Nadia Mogni – Storie senza mutande

IL FASCINO SURREALE DELLE NEUROLOGIA

Eccomi alla seconda lettura fatta alla ricerca di un testo da proporre a mia figlia, che il prossimo anno dovrà scegliere la facoltà universitaria, per mostrarle cosa voglia dire fare il medico.

La precedente (“Appunti di un giovane medico” di Bulgakov) si era rivelata appassionante, ma poco idonea a descrivere questa professione come è oggi, essendo ambientato ben un secolo fa, nella Russia della Rivoluzione Sovietica, con medici decisamente troppo avventurosi e abbandonati a se stessi.

Tutt’altra cosa, devo dire, de “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” del neurologo appena scomparso Oliver Sacks(Londra, 9 luglio 1933 – New York, 30 agosto 2015), opera più recente (pubblicato nel 1986, raccoglie alcuni casi esaminati nel corso degli anni precedenti), che descrive una serie davvero affascinante di casi clinici affrontati dal celebre medico. Molti mi fanno venir voglia di svilupparli e scriverci su un romanzo e magari un giorno lo farò.

Il primo racconto che dà il titolo al saggio, può dare un’ottima idea dell’intera impostazione del volume, mi permetto dunque di dire qualcosa solo di questo episodio, per non togliere il piacere della lettura, evitando di anticipare altro in merito agli episodi (sarebbe più corretto dire “casi”) successivi.

Sebbene si tratti di un saggio medico, infatti, è scritto come una raccolta appassionante di racconti e rivelare la “trama” potrebbe essere un non gradito spoiler.

Oliver Sacks

Il primo racconto ci mostra l’insolito caso di un uomo, socialmente ben inserito, con una regolare professione (musicista e insegnante), eppure affetto da una gravissima sindrome neurologica: l’incapacità di riconoscere le immagini o, se preferite, una visione delle immagini per schemi, che potrebbe ricordare quella di un automa. Egli, infatti, non ha nessuna difficoltà a riconoscere le figure geometriche, le immagini stilizzate, i disegni, ma appena ha a che fare con immagini più complesse (non schematizzate) perde la capacità di riconoscerle. Non riconosce le persone in fotografia o quando stanno ferme. Appena si muovono capisce chi sono dal modo di muoversi o dalla voce. Arriva a non distinguere un piede da una scarpa o un cappello dalla testa della moglie, tentando di infilarla in capo. Non riconosce una rosa senza annusarla o un guanto senza indossarlo. Nei suoi movimenti si aiuta con la musica, canticchiando. L’interruzione della melodia lo mette in crisi. Insomma, un esempio affascinante di come la mente possa funzionare in modi davvero diversi dal consueto.

René Magritte

Affascinante è il caso della donna che perde la propriocezione, ovvero la capacità di percepire il proprio corpo, ma anche tutti gli altri casi descritti nel volume sono interessanti senza eccezioni e forieri di numerose riflessioni sul nostro sistema nervoso, sulla natura dell’arte (quale il confine con la malattia?), sulle potenzialità della mente umana.

Insomma, una lettura piacevolissima come una raccolta ben scritta di racconti al limite del fantastico e del surreale, eppure incredibilmente veri e reali, essendo tutti casi clinici serissimi e direi anche un’ottima lettura per chi voglia decidere se fare il medico nella propria vita: come si potrebbe desiderare fare altro dopo aver visto quante situazioni stranissime e misteriose possono essere determinate dal nostro sistema nervoso. Come ci si potrebbe mai annoiare studiandole o curandole?

LA MEDICINA UN SECOLO FA

Mia figlia sta per cominciare l’ultimo anno di Liceo e presto dovrà scegliere come proseguire i propri studi. Tra le possibili Facoltà sta considerando anche Medicina. Scelta con luci e ombre, ma che sto valutando se caldeggiare.

Vorrei farle leggere qualcosa sulla professione medica, così ho individuato alcuni titoli che potrebbero aiutarla a capire cosa possa voler dire occuparsi di questa disciplina.

Tra i possibili volumi ho individuato gli “Appunti di un giovane medico” (tradotto anche come “I racconti di un giovane medico”), scritti da uno dei miei autori preferiti, Mikhail Bulgakov, il genialissimo autore de “Il Maestro e Margherita”, “Cuore di cane” e “Le uova fatali” nonché de “La Guardia bianca” e “Romanzo Teatrale”.

Essendo uno dei miei autori preferiti, l’ho letto anche io, prima di proporlo a lei.

Sebbene sia lettura appassionante e interessante oltre che veloce, non sarei dell’idea di suggerirla a chi sia in procinto di decidere tra gli studi medici e altre strade.

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Jon Hamm e Daniel Radliffe nella miniserie TV “Appunti di un giovane medico”

Il protagonista è un medico giovanissimo (23 anni!) appena laureato che svolge il suo primo incarico in totale isolamento in uno sperduto villaggio della campagna russa, affrontando in un anno migliaia di casi diversissimi l’uno dall’altro e molti anche piuttosto complessi. Armato delle sue conoscenze teoriche e di un notevole coraggio, affronta un clima inclemente, con tormente e bufere di neve, contadini ignoranti, che non seguono le sue prescrizioni, e mezzi scarsi. Ne esce quasi sempre vittorioso e sempre più esperto e sicuro. In questo il volume è senz’altro una buona lettura per chi debba affrontare per la prima volta la professione, perché mostra come con impegno e, lo ripeto, coraggio, si possa risolvere ogni situazione, ottenendone poi una grande soddisfazione personale e un immenso riconoscimento sociale.

Perché allora non consigliarlo a una moderna studentessa? Perché i casi narrati sono difficili e cruenti e gli strumenti per affrontarli del giovane medico sono totalmente diversi da quelli moderni. Il romanzo si svolge, infatti, nel 1917, l’anno della Rivoluzione Russa, e ormai si parla di un secolo fa! La medicina oggi è cosa molto diversa, i pazienti non sono più gli sprovveduti contadini della campagna russa, ma, soprattutto, in nessun caso un medico moderno opererebbe nell’assoluto isolamento del personaggio di Bulgakov, se non altro perché potrebbe consultare internet, contattare colleghi telefonicamente, spostarsi rapidamente in luoghi più adatti all’intervento o far arrivare ambulanze, eli-ambulanze, altri medici e medicinali in modi impensabili un secolo fa.

Mikhail Bulgakov

Far credere dunque a un ragazzo che la medicina oggi si eserciti nei modi in cui la praticavano ai tempi della Rivoluzione Russa, significherebbe ingannarlo, nel bene e nel male. Lo si ingannerebbe, perché la medicina non è più eroica, fantasiosa, creativa come allora ma anche perché difficilmente un solo medico deve oggi assumersi tutte le responsabilità e prendere tutte le decisioni completamente da solo.

La medicina descritta potrebbe forse somigliare piuttosto a quella pratica dal mio trisnonno Carlo Ruata (da cui indirettamente ho preso il nome), che a quanto raccontava mio zio, anche egli medico, si era trovato ad affrontare nella sua attività di medico situazioni che potrebbero ricordare quelle narrate da Bulgakov, tipo operazioni fatte con le posate!

Il romanzo, comunque, rimane una lettura quanto mai gradevole e mostra già la nascita di un grande autore, che qui racconta episodi probabilmente tratti dalla propria esperienza personale, essendosi egli stesso laureato in medicina a Kiev nel 1916 ed essendo poi stato inviato a Nikol’skoe nel governatorato di Smolensk, come dirigente medico dell’ospedale del circondariato.

LO SCRITTORE DI RITRATTI

Smettere di scrivere? Quale autore non l’ha mai pensato, sia egli di successo o meno? “Mr Gwyn”, il protagonista dell’omonimo romanzo di Alessandro Baricco non si è limitato a farlo, ma l’ha dichiarato alla stampa e poi ha davvero smesso di scrivere, nonostante fosse un autore amato dal pubblico.

Per fare cosa? Per cambiare vita e mestiere, ma senza sapere bene come. Poi capisce che vorrebbe fare il Copista? Ma cos’è un Copista ai giorni d’oggi? Nel medioevo l’avremmo visto in un convento copiare antichi testi in bella calligrafia. Nel XXI secolo il termine mi fa pensare all’equivalente moderno dei monaci copisti: un creatore di e-book, quell’oscura figura di pirata informatico che ricopia digitalmente romanzi, saggi, antologie e quant’altro e trasforma tutto in epub, mobi, pdf o altri formati idonei alla lettura su e-reader.  Un antico copista medievale preservava i libri dall’usura del tempo e li tramandava ai posteri. Un creatore di e-book moltiplica all’infinito i libri che tocca, in una sorta di miracolo tecnologico e li consegna al libero scambio, fuori da ogni logica commerciale e di copyright, rendendo, per la seconda volta nella storia, la letteratura popolare e fruibile. Se la stampa a caratteri mobili di Gutenberg aveva creato il libro economico, l’e-book dona al mondo il libro gratuito o semigratuito, rendendo la cultura accessibile a tutti e libera come l’aria.

 

Alessandro Baricco

Il libro di Baricco però non parla per nulla di questo. Mr Gwyn non ha intenzione di diventare un paladino del copyleft. Non sa cosa voglia dire fare il copista, pur desiderando essere proprio questo. Un giorno poi scopre, grazie a una vecchia signora, che si trasformerà in una sorta di “amica immaginaria” con cui confidarsi, che per lui fare il Copista significa “copiare le persone”! Ma come si possono copiare le persone? Immagina allora di far loro dei ritratti. Non sapendo dipingere ma scrivere, saranno ritratti scritti.

La scrittura e la pittura si sono spesso imitate a vicenda e scambievolmente, ma di solito imitando i risultati, gli effetti finali, le sensazioni provocate, i temi narrati o viceversa le premesse, le motivazioni, la cause scatenanti. Difficilmente imitano l’una gli strumenti dell’altra.

Mr Gwyn, invece, vuole fare questo e così si prepara un incredibile studio-loft in cui fare i suoi ritratti letterari, scrivendo “dal vero”, con un modello vivo da ritrarre. La sola descrizione dello studio vale già la lettura del romanzo, ma è solo poca cosa rispetto al resto!

Comincia così la sua avventura alla scoperta di se stesso, di un nuovo mestiere e di una nuova visione della scrittura.

Vediamo così Gwyn inventarsi un modo suo per “scrivere ritratti” e già questo basterebbe a fare uno splendido racconto, ma Baricco ci stupisce poi proseguendo oltre il primo ritratto fino a una svolta che parrebbe conclusiva e con la quale il libro sarebbe potuto finire, essendo già così un ottimo romanzo, ma alla svolta ne segue un’altra e come in una passeggiata in montagna, all’improvviso, dietro una curva, scopriamo una vista sulle vette che non ci saremmo aspettati e una splendida passeggiata si trasforma in una gita indimenticabile. Tre parti di un tutto, che se fossero state più lunghe sarebbero stati tre episodi di un ciclo, ognuno con la sua autonomia, ma Baricco ce li regala tutti assieme, in un numero di pagine saggiamente limitato. Spesso i libri migliori hanno una simile concisione, non facile da trovare. Saper moderare la lunghezza dei romanzi è dote di pochi.

Insomma, se l’incipit mi aveva affascinato, la prima parte mi ha fatto pensare a un piccolo capolavoro, la seconda a qualcosa di più, con la terza mi sono convinto di poter mettere questo libro tra i migliori romanzi che io abbia avuto la fortuna di leggere. Il finale? Lascerebbe spazio a un’ulteriore svolta, a un nuovo sviluppo, ma Baricco, direi con sapiente moderazione, decide di non abusare e si ferma lì.

Ritratto di Monet eseguito da Manet

Il risultato complessivo è un romanzo che ci parla della scrittura, senza insegnarci come scrivere, anche perché l’esperimento di Gwyn mi parrebbe difficilmente riproducibile nella realtà, ma l’analisi che Baricco fa di questo processo è acuta e affascinante e si pone accanto alla sua originale visione della cultura moderna espressa nel saggio “I barbari”. Se Gwyn scrive ritratti dei suoi clienti, Baricco dipinge il ritratto della Scrittura. Se i clienti di Gwyn si ritrovano e riconoscono nei suoi ritratti, come autore mi vedo ritratto in queste pagine, pur non avendo io nulla a che vedere con Mr Gwyn e non somigliandogli affatto.

Ancora una volta, con questa brillantissima e originale prova, Baricco dimostra di essere uno dei migliori e più intelligenti autori italiani viventi.

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