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SPORT E VITA QUOTIDIANA

L’ingegnere fiorentino Brunetto Magaldi è autore del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, che ho conosciuto attraverso la comune partecipazione come autori di racconti alla rivista “Prospettive.Ing”. Ha poi aderito con grande entusiasmo all’iniziativa del GSF detta WEN, il Week-End del Narratore, da me curata, cui vari autori partecipano inviando mensilmente racconti e poesie a tema. So che da tale sua attività, Brunetto Magaldi ha tratto una raccolta che intende pubblicare e per la quale mi ha chiesto di scrivere la prefazione.  Di lui ho già letto “Artù, il gatto di Montecitorio e altri racconti”. Ha inoltre partecipato con dei racconti alle antologie del GSF “Le immaginate” e “Gente di Dante”. Rimando ai link per approfondimenti. Dunque leggendo ora l’antologia “Viaggio intorno al mio appartamento” (Porto Seguro, dicembre 2021), più volte di qualche racconto mi è venuto da pensare “questo devo averlo già letto”, magari in forma diversa, sul blog del GSF o sulla rivista “Prospettive.Ing”.

Di che cosa parlano questi suoi racconti, scritti con fresca immediatezza? Spesso della quotidianità, magari turbata da eventi particolari, spesso di sport (in gioventù Magaldi ne ha praticati numerosi) e, in generale, della vita.

Ing. Brunetto Magaldi

Il titolo del primo è già illustrativo “L’amore al tempo del covid”. “Le prime parolacce” è un quadretto familiare degli anni ’50. “Viaggio intorno al mio appartamento” di nuovo ci parla di covid e dei periodi di lockdown. “La strana disavventura del diavolo rosso” è sul ciclismo ma anche sulle rivalità amorose. “Il fratellino” è un altro quadretto familiare. “Il compleanno” è costruito attorno a un bell’episodio di solidarietà. “Era cominciato tutto

come un gioco” è una storia d’amore tra due giovani che vivono lontano l’uno dall’altra. “La maglia nera” ci parla ancora di ciclismo e dello strano uso di premiare chi arrivava ultimo. “Che cos’è l’accidia?” è storia che viene dritta dal WEN e ci parla della scoperta di questo termine e di altri usati nelle sacre scritture ma poco chiari per i bambini e non solo.

“Non di testa, né di destro, né di sinistro…” parla della fine carriera di un calciatore che non ha mai segnato un goal. “Il compito in classe di greco” ci riporta ai tempi del liceo e agli stratagemmi per copiare. Duro è sopportare la dieta ci racconta “È pronto in tavola”.

Può un santo intervenire in una partita di calcio? Ce ne parla “Il miracolo di San Barsanofio”. Tornare a salire sul ring è il dilemma de “Il pugile”.

Insomma, una carrellata di vicende umane, raccontate sempre, mi pare di vederlo, con un sorriso sul volto e la mente al passato.

IL CONCERTO DELLA VITA

Roberto Mosi è autore del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, dall’intensa produzione letteraria che va dalla saggistica, alla narrativa alla poesia. Di lui ho già letto “I barbari”, “Navicello etrusco”, “Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone”, “Promethèus”. Ha inoltre partecipato con dei racconti alle antologie del GSF “Le immaginate”, “Le sconfinate”, “Gente di Dante” e “Accadeva in Firenze capitale”. Rimando ai link per approfondimenti.

Complice il lungo viaggio verso il Salone di Torino (rallentato dalla tragica alluvione romagnola), ho ora letto la sua silloge poetica “Concerto”, volumetto introdotto da una prefazione di Giuseppe Panella e chiuso da una Nota dell’autore.

Ne approfitto per citare Panella, ove scrive “Questa raccolta, Concerto, pone attenzione alle istanze della musica nella struttura sinfonica per movimenti e a quelle poetiche nello svolgersi delle evocazioni che generano immagini. Insieme le due istanze producono emozioni che si rincorrono nel flusso della coscienza, di frammenti di memoria.” Credo sia proprio questo lo spirito dell’opera: riallacciarsi alla musica per fare poesia.

Di nuovo ci insegna la prefazione: “I quattro movimenti del suo Concerto, allora, dedicati come sono alle quattro stagioni (seguendo una tradizione ben definita nella storia della musica), alternano ricostruzioni delle vicende di attualità a momenti di vita familiare, intercetta segni orribili di inciviltà persistente (il razzismo che i terribili fatti di Rosarno hanno mostrato come ancora prevalenti nella in-cultura della penisola) ma si apre a moti di speranza per il futuro delle generazioni che verranno.

Rimane quindi poco da aggiungere. Preferisco far parlare il poeta, citandone brevi stralci:

Populonia è muta / aggrappata alla costa, / ruscelli di melma / uccidono il mare”, dove leggo un’istanza ecologista ben radicata al territorio, approccio che mi è assai caro e vicino.

Bolle la pentola / il sogno d’Europa / ballano le fiamme / le streghe agitano il brodo.” Condivisibili desideri di unità continentale narrati con toni magici…

Ed ecco il mito che si fa strada: “Ulisse torna sempre a Itaca” o “Sono giunto alle terre / degli Etruschi. Le navi / passano il Bosforo, / bandiere al vento. / Inseguo Giasone / alla conquista del vello” o “Il filo di Arianna / nelle mani di Teseo, / legame d’amore”.

E per la magia della nascita, credo legata all’arrivo di un nuovo nipote, ci regala versi come “il colloquio / con le ombre diventi / sommesso. La vita / ha generato la vita.

Ed ecco che la musica si lega agli spazi geografici: “Batte leggero / il cuore dell’orchestra / sulla spiaggia del Golfo / di Baratti”.

In un paio di poesie Mosi gioca magicamente con i numeri:

Roberto Mosi

Marta è nel tempo / venti secondi per respirare / venti minuti per urlare / venti giorni per sognare / venti settimane per sorridere / venti mesi per giocare / venti anni per amare / Marta è il nostro tempo”, ma anche “Sessanta le olive / dell’olivo sul balcone / sessanta olive da spremere / per gli animali della fattoria / Sei cucchiai per le oche, / il cavallo e l’asinello. / Sei cucchiai per il gallo / e poi non ce n’è più”.

Gioca a volte, Mosi, con gli spazi della mente: “Labirinto miraggio / il nulla al centro / scomposizione del reale / seduzione dell’invisibile”.

Importanti anche le istanze sociali: “Rinasce Peretola / e la Casa del Popolo, / cultura e solidarietà.” o storiche “un anno sul Monte / da partigiano. Fummo/ circondati dai tedeschi. / Solo io mi salvai.” o “Il primo volo quello / di Zoroastro da Peretola” che si mescola quasi con la quotidianità dei voli dall’aeroporto fiorentino di Peretola.

Che cosa muove l’animo di questo poeta? Forse lo capiamo leggendo: “oggi c’è bisogno / di bellezza, di simboli / sereni del bello”, magari “per un nuovo Rinascimento”.

Cos’è per lui la poesia? “Un ammasso di argilla / da modellare a piene mani” perché poi “La poesia è pronta / per la polvere del giorno”, nata dalla materia concreta e pronta a calarsi nella vita e a esserne consumata.

LE DONNE IMMAGINARIE CI PARLANO

Il GSF – Gruppo Scrittori Firenze, dopo l’antologia “Le sconfinate” su donne che nella storia si sono mosse fuori dalle righe (e tante altre antologie), ripropone ora una nuova raccolta di racconti realizzati dai propri soci sotto forma di monologo (come nel precedente volume) con protagoniste donne immaginarie presenti in opere artistiche, letterarie, cinematografiche, teatrali, del mito, della canzone, della fiaba, della poesia, operistiche o di altre forme creative. Tra i generi si va dai classici, al mainstream, alla fantascienza, al giallo, all’horror, al fantastico.

Ne è nato un volume che riunisce cinquantadue personaggi femminili, descritti da cinquantadue autori in cinquantuno racconti, riportati nel volume in ordine alfabetico, ciascuno illustrato da un disegno di Enrico Guerrini, immagini tutte poi riunite nella copertina. Il volume, intitolato “Le immaginate” (Il Foglio, giugno 2023) è curato da Nicoletta Manetti e Cristina Gatti, con l’aiuto di un comitato di lettura di membri del GSF.

Le donne di questo libro spesso sono figure che escono dalle pagine e si confrontano con le opere da cui sono nate e talora con gli autori stessi che le hanno create, a volte per protestare per come sono state “immaginate”. A volte le troviamo descritte nello stesso periodo della vita in cui furono originariamente rappresentate, altre volte gli autori del GSF le immaginano a anni di distanza o, addirittura, proiettate nel nostro tempo dalle epoche in cui erano vissute, anche se molto lontane o addirittura in spazi fittizi o nell’aldilà.

Se ogni scrittore ha scelto donne diverse, alcuni autori sono stati scelti più volte come Alessandro Manzoni, Quentin Tarantino e, soprattutto, Walt Disney, Omero (considerando che molti personaggi del mito compaiono anche nelle sue opere). Mi ha, invece, stupito l’assenza di figure bibliche.

Alice disegnata da Enrico Guerrini
  • Si parte con Aida, in un monologo di Elisabetta Braschi che è quasi un saggio letterario, in cui la protagonista si confronta con l’opera verdiana e gli spettacoli che di questa sono stati allestiti.
  • Terza Agnoletti affronta Alatiel dal Decamerone di Boccaccio, la figlia del sultano di Babilonia, che si smarca dalle storie inventate su di lei, come quella dei nove uomini che l’avrebbero posseduta ma anche da quella sulla sua presunta verginità.
  • Carlo Menzinger di Preussenthal (chi è costui?) immagina l’Alice di Carroll ormai adulta, se non invecchiata, rinchiusa in un ospedale psichiatrico e ancora ossessionata dalle visioni del Paese delle Meraviglie e nel contempo alla ricerca di un Tempo Perduto dal sapore proustiano.
  • Nel monologo su Amelie di Gabriella Becherelli, la protagonista del film di Jan Pierre Jeunet, questa, alla ricerca di se stessa, a volte quasi confusa con l’attrice Audrey Tautou che l’ha interpretata, si racconta, osservando anche la realizzazione del film, in un’atmosfera surreale fra realtà e immaginazione: “Del resto vestire i panni di un altro è qualcosa che riguarda un po’ tutti nella vita: ci travestiamo, cambiamo atteggiamento, mettiamo una maschera, oppure immaginiamo di essere qualcun altro”. Racconto che sembra quasi ricollegarsi a quello su Alice con “la scatola di metallo: piccoli giocattoli, bigliettini, dettagli significativi che descrivono il mondo perduto dell’infanzia”, l’uomo di vetro che mi ricorda Humpty Dumpty, “il cinema” che “in fondo infrange il tempo”, “il tempo” che “sembra avere le ossa fragili come l’uomo di vetro”.
  • Paolo Dapporto, da bravo chimico, con la sua Andromaca ci fa notare il colossale salto culturale della guerra di Troia con il passaggio dalle armi di bronzo alle armi di ferro: “Vi rendete conto di quello che ci propone Glauco? Di combattere contro i nostri nemici in modo sleale, usando armi che loro non possiedono. Non è così che siamo stati educati e che educhiamo i nostri figli alle future battaglie”.
  • Renato Campinoti affronta il difficile amore e il suicidio di Anna Karenina, raffigurandola nell’aldilà, dove incontra Virginia Wolf e mentre viaggia tra Londra e Parigi, scoprendo la filantropia grazie a Angela Burdett-Cutts.
  • Francesco Fattorini da voce ad Artemide, la dea della caccia, mostrandola come una donna che per desiderio di libertà rifugge l’amore.

Silvia Alonso fa parlare Beatrix Kiddo, in arte Black Mamba, la protagonista del film di Quentin Tarantino “Kill Bill”, una serial killer affiliata a una banda di assassini che fanno capo al malavitoso ‘Bill’, qui alla ricerca di vendetta armata della sua katana.

  • Clarice Starling, la protagonista de “Il Silenzio degli innocenti” viene immaginata da Fausto Meoli ormai pensionata, a Firenze, ma sempre angosciata da Hannibal Lecter.
  • Un altro personaggio che ritroviamo invecchiato a pensare al proprio passato è la cattivissima Crudelia De Mon de “La carica dei 101”, che Maria Di Lisio vede ancora ossessionata dall’amica-nemica Anita. Una donna così fredda che per scaldarsi ha bisogno di pellicce e pepe!
  • Manna Parsì ha scelto per il suo monologo Daisy Buchanan de “Il grande Gatsby” per farne quasi il simbolo di tutte le donne senza coraggio, incapaci di amare, frivole e superficiali.
  • La Desdemona dell’Otello disegnata da Sylvia Zanotto, come altre donne dell’antologia, rivendica la propria personalità e l’importanza del proprio ruolo, mostrando un rapporto con l’altro sesso quanto mai contrastato, quasi fosse incapace di accettare il proprio essere donna, “Quell’io femmina che l’io maschio travolge”.
  • Despina, la cameriera frivola e insidiosa dell’opera di Mozart “Così fan tutte” è rinarrata da Brunetto Magaldi nel contempo come personaggio e come attrice, che si sente in dovere di specificare: “Io, nella realtà, sono ben diversa da quella frivola e amorale Despina”.
  • Giovanna Archimede sceglie Prassede, la vecchia bigotta che custodisce la virtù della Lucia dei “Promessi sposi”.
  • Oscilla un ragno sul suo filo instabile, Io son quel ragno penso e guardo Menelao, il mio sposo novello”. Comincia così il racconto sulla spartana Elena, la prima grande femme fatale della letteratura e non posso non pensare alla mia trilogia “Via da Sparta” (“Il sogno del ragno”, “Il regno del ragno” e “La figlia del ragno”). So che Miriam Ticci li ha letti e non posso allora non chiedermi quanto questo racconto ne sia stato influenzato, ma la risposta è negativa: si tratta di ben altra storia e di una donna che alla fine proclama: “La verità è che io il mio primo uomo ancora l’aspetto, quello che avrà cura del nostro reciproco amore e per il quale io farò follie, costi quel che costi!
  • Il tenente Ellen Ripley interpretato da Sigourney Weaver in “Alien” e vari altri film successivi, romanzi, fumetti e videogiochi è una donna che pur non essendo bella ha molto stimolato l’immaginario maschile. Adriano Muzzi le rivendica un’altra identità:

“Chiariamo subito alcuni punti:

Io sono bionda, e non mora con i capelli appiccicaticci come l’attrice.

Sono muscolosa, ma anche formosa, ossia ‘bona’. Non sembro un maschiaccio.

Non sono affatto coraggiosa: ho agito come ho agito solo perché sono stata costretta dalle circostanze. Col cavolo che mi offrivo volontaria per cacciare quel maledetto mostro.”

Anche il suo rapporto con l’alieno assume una nuova connotazione nel racconto.

  • Giusy Frisina scrive di Emma Bovary: “Sognavo l’Amore, ero innamorata di questa parola” le fa dire. Le fa anche constatare che “Flaubert voleva comunque farmi diventare un’eroina a tutti i costi e ci è riuscito perfettamente, al punto da farmi apparire, nello stesso tempo, peccatrice e santa”. Come in altri racconti di questo volume, la protagonista si confronta con il proprio autore e l’opera da cui è uscita, spostandosi dal piano dell’immaginario a quello del reale.
  • Nell’opera di Collodi la Fata Turchina, come il Grillo Parlante, ha un ruolo di guida per Pinocchio, un po’ materno, un po’ da docente. Nel suo monologo Antonella Cipriani la immagina alle prese con un ragazzo contemporaneo svogliato e troppo attratto dai videogiochi.
  • L’orchessa Fiona di Donatella Bellucci è alla ricerca di riscatto e di un diverso destino. Se la prende con il proprio autore e con tutti coloro che hanno descritto le donne nelle fiabe (ma non solo): “Delle povere inette, ingenue a rischio della vita, addormentate per anni, avvelenate, vessate oltre ogni limite, rinchiuse nelle torri, private della voce.
  • Indiana immagina una Ginevra che “sgattaiola fuori dal suo castello sulle ali di una carrozza, rinunciando al trono di Regina di Camelot. Raggiunge Versailles”.
  • Nicoletta Manetti ci parla del difficile rapporto di Giselda Materassi con le sorelle più grandi e il difficile nipote Remo un po’ scavezzacollo. Sorella un po’ Cassandra, un po’ “grillo parlante”.
  • Cristina Gatti scrive della Lullaby di “Colazione da Tiffany”, ovvero Holly Golightly che fu interpretata da Audrey Hepburn “una ragazza, reduce da un passato difficile, al tempo stesso dolce, caparbia, cinica e sognatrice che vive una vita altamente sregolata, fatta di mondanità, eccessi e di espedienti”, “inconsapevolmente sexy” divenuta “un’icona di eleganza”. Il personaggio si rapporta criticamente con il romanzo e il film che l’hanno rappresentata.
  • Chiara Sardelli dà voce a una delle pochissime figure femminili delle opere su Sherlock Holmes, Irene Adler, che compare in un solo racconto. L’immagina viaggiatrice nel tempo, assoldata da Churchill come spia contro il nazismo, donna vittoriana che mal si adatta ai tempi “moderni”.
  • Gianni Paxia ci parla della Jeanne di Maupassant che ne descrive “una vita che si rivela piena di delusioni da parte degli esseri umani, e, causa di maggiore sofferenza, di delusioni che arrivano da persone a lei vicine, anche dai genitori.”, ragazza cresciuta in convento, che arriva impreparata al matrimonio e alla prima notte di nozze, alla ricerca di amore, ma sentendosi sempre tradita da tutti, persino dal figlio.
  • Eleonora Falchi si cimenta con un classico della letteratura per ragazze, dando voce a Jo March di “Piccole donne” e facendola confrontare con i tempi moderni.
  • Gabriele Antonacci dà voce a una ninfa, Lena, che allevò il Dio Bacco come raffigurata nei versi di Michele di Lando nel XIV secolo, trasformandola in una testimone della storia.
  • La Margherita che fa parlare Gabriella Tozzetti esce da uno dei più intriganti romanzi della letteratura, “Il Maestro e Margherita” di Bulgàkov, colei che, innamorata del Maestro, presiede al ballo di Satana.
  • Claudia Piccini immagina che Mary Poppins, per la sua “voglia di donarsi ai più piccoli” sia trasportata “in un bellissimo paese dell’Italia, per prendersi cura di una persona speciale”. “Anna è sola, i suoi genitori l’hanno abbandonata appena nata, in una cesta di paglia, sulla spiaggia in riva al mare”. La piccola, che nel 2021 vive a Livorno, è affetta dalla Sindrome di Down.
  • La Medea di Roberto Riviello è moderna e contemporanea: “Cos’altro potrebbe fare, oggi, questa folle Medea se non: Rimuovere, Rimuovere, Rimuovere.” Come la mia Alice e altre “immaginate” la ritroviamo in una “Casa di cura ma lo so bene che è un manicomio”.
  • La Medusa di Cristina Scrigna più che un mostro mitologico è una donna tormentata.
  • La Minnie di Giovanna Checchi è la non più eterna fidanzata di Topolino ma una donna-topa ormai matura, sposata e alquanto stanca del proprio rapporto con il troppo perfetto Mickey Mouse.
  • Devo confessare di non conoscere Modesty Blaise cui dà voce Raffaele Masiero Salvatori, dunque fatico a comprendere quanto l’autore si discosti dal personaggio originario, “un’agente dei servizi segreti inglesi dopo un passato criminale”.
  • Anche troppo conosciuta, invece, la Monaca di Monza che Alba Gaetana Avarello dipinge come donna innamorata di un amore appassionato e violento.
  • Nanà, l’Imperatrice-Sfinge è fra le opere più imponenti del Giardino dei Tarocchi di Capalbio. Nilde Casale sceglie dunque non la protagonista di un romanzo, un film o un fumetto ma una statua. Una statua-casa. “Una Sfinge. Enorme e fluida, dai seni giganteschi, con due oblò al posto dei capezzoli. I capelli mi ricoprono la schiena e il sedere, ci puoi salire e camminare come su una terrazza.
  • Rosalba Nola anima Nora della “Casa di bambola” di Ibsen facendole incontrare in sogno il suo stesso creatore, che la vuole avvinta agli schemi da lui ideati: “Con voce flebile si disse lieto che avessi spezzato le catene del mio matrimonio. Ma poi si alzò e con rinnovato vigore mi promise che il miracolo mancato – di gloria, d’onore! – si sarebbe finalmente realizzato! Ma ancora una volta dovevo essere il personaggio obbediente che la sua penna aveva creato, continuare a fare sacrifici e senza mai un lamento”.
  • Vi ricordate di Pippilotta Pesanella Tapparella Succiamenta? Forse no. Ma certo ricordate il suo soprannome Pippi Calzelunghe. Di lei scrive Marco Tempestini, immaginandola adulta, seppur sempre ribelle, pronta ad aiutare in ogni modo i bambini poveri, persino regalando parte delle sue mitiche monete d’oro.
  • “Il nome della rosa” di Umberto Eco non è certo un romanzo erotico ma contiene al suo interno una delle scene che ricordo, anche nella versione cinematografica, come tra le più sensuali della letteratura italiana: l’incontro tra il giovane novizio e la bella mendicante, la Ragazza Senza Nome di cui ci parla Andrea Zavagli.
  • Roberto Mosi sceglie invece Melina, la protagonista di una fiaba della Val d’Adige, su una giovane contadina che si nasconde in una cesta di mele e sposa un principe per aver spezzato l’incantesimo della strega Baldassarra che lo aveva trasformato in un coleottero.
  • Rose Da Silva, una madre amorevole che partirà alla disperata ricerca della sua bambina Sharon scomparsa nei tetri anfratti di Silent Hillè la figura scelta da Matteo Alulli per il suo monologo in cui affronta “gli incubi più cruenti e deformi che si trascinano nella nebbia cittadina, la cui comunità nasconde una macabra e diabolica verità”. La storia è occasione per riflessioni sulla morale.
  • Anche Fabrizio De Sanctis sceglie un horror per il suo racconto, anche se con l’ironia di Quentin Tarantino: “Dal tramonto all’alba”. La sua protagonista è Santanico Pandemonium, la “regina” dei vampiri che infestano il From Dusk Till Dawn e ci parla del potenziale erotico del vampirismo.
  • Caterina Perrone non poteva che scegliere l’eroina de “Le mille e una notte”, Sharazàd, che con il suo erotismo e “con le sue storie farà dimenticare al re Shahriyàr il suo desiderio di vendetta contro la moglie che lo ha tradito”.
  • Laura Vignali nel descrivere la signora Frola, la fa uscire dalle pagine del libro e confrontarsi, pirandellianamente (visto l’autore) con il suo pubblico.
  • Miriam Cividalli Canarutto decide di dar voce a un personaggio secondario dei romanzi di Simenon, la moglie del commissario Maigret.
  • Carlo Giannone sceglie la protagonista di una poesia, La Spigolatrice di Sapri, rappresentata anche in alcune statue in cui la donna non si riconosce.
  • Francesca Tofanari e Oliva Cordella trasportano Teresa Raquin nel 2022 è le fanno rescindere il “contratto” che la lega con l’autore Emile Zola, ma se sei un personaggio è difficile uscire dai propri panni.
  • Gli dei sono immortali, dunque nulla di strano che Andrea Carraresi faccia vivere Teti ai nostri giorni, per rimpiangere la futilità della propria bellezza che non le è stata poi di grande aiuto e per lamentarsi della morte del figlio Achille.
  • Il volume dovrebbe contenere dei monologhi, ma spesso all’interno di questi compaiono dei dialoghi. Se il monologo è fatto da due donne (che non parlano in coro o che finiscono una le frasi dell’altra) possiamo ancora definirlo tale? Saimo Tedino sceglie di far parlare Thelma e Louise, che si raccontano le loro difficili vicende e si interrogano su quale regista potrebbe mai rappresentare al cinema la loro storia o quali attrici interpretarle meglio.
  • La Valentina di Crepax nelle pagine di Andrea Improta rimpiange l’infanzia mai avuta (essendo stata disegnata già adulta) e la mancanza di un vero amore nella propria vita, sebbene simbolo di bellezza.
  • Uno degli autori più rilevanti per la successiva letteratura fantastica è Wells e il suo “La macchina del tempo” è una delle opere più significative e ricca di influenze sulla scrittura successiva. Un personaggio di quest’opera ha però avuto sinora poco rilievo: Weena. Una fragile fanciulla degli eloi, una delle due razze evolutesi dall’umanità. Massimo Acciai Baggiani coglie l’occasione di descrivere il suo rapporto con il protagonista giunto dal passato per mostrare le difficoltà delle differenze culturali anche in un rapporto amoroso, in un caso come questo caratterizzato da enorme distanza tra i due modelli sociali.

Con questo racconto si conclude questa enciclopedica carrellata di protagoniste e di monologhi, da leggersi soprattutto come invito alla lettura, alla conoscenza, alla visione e all’approfondimento delle opere citate, testimonianza dello sterminato patrimonio culturale in cui ci muoviamo, dove il mito, la fiaba, il fumetto, il cinema, la TV, la scultura, la poesia, l’opera, la canzone, la narrativa di ogni genere possono in pari misura generare nuovi stimoli culturali, nuove percezioni, nuove storie.

Il volume sarà presentato il 12 Giugno 2023 alle ore 16 presso l’Auditorium del Consiglio Regionale della Toscana in via Cavour 14 (Firenze).

AMOR MATURO

Dopo Nel giardino di Emma” e “A guardare il cielo” torno a leggere un volume di Paolo Dapporto, apprezzato autore del GSF Gruppo Scrittori Firenze, “Stelle”.

Se il romanzo “Nel giardino di Emma” era tratto da uno dei racconti di “A guardare il cielo”, ho l’impressione sia lo stesso per questo breve romanzo. Alcuni passi mi suonano, infatti, noti, consueti. La scrittura di Paolo Dapporto, del resto, comincia a suonarmi familiare e questo non è difficile perché il mondo che descrive, toscano, mi è molto vicino e lo stesso le epoche di cui parla, avendo io vissuto le stesse età della vita con poco scarto rispetto a lui. Toni e sensazioni, dunque, suonano familiari ma non credo sia solo per quanto scritto ora. Credo che molto dipenda dalla capacità empatica di questo autore di raccontare di vita, amicizie, amori, fatiche, come da un amico a un altro amico.

La trama, cercando di non svelarne troppo, anche se non si tratta di un giallo, vede l’incontro, l’amicizia e l’amore di una coppia dai nomi biblici, Giuseppe (detto Pino) e Maria, lui cassintegrato, lei prostituta, che trovano un modo per sostenersi a vicenda e vivere assieme. Una storia che, nel suo piccolo, vuole forse insegnarci a superare i nostri pregiudizi.

Lettura veloce e piacevole, consumata nel mio lungo viaggio tra Firenze e Torino per partecipare al Salone del Libro di Torino, funestato e rallentato dalla tragica alluvione di questi giorni.

17/12/2022, Parterre, Firenze: Paolo Dapporto e Carlo Menzinger
Paolo Dapporto

VIVERE E IMMAGINARE RIFREDI

Continua la produzione di antologie sui quartieri fiorentini (e non solo) da parte delle Edizioni della Sera.

Leggo ora il volume “A Firenze, Rifredi” curato da Nicola Biagi, che parla del quartiere in cui vivo dall’ormai lontano 1995, nella zona del Poggetto, che sorge là dove finisce in città la via Bolognese, tra i parchi di Villa Ruspoli, del Museo Stibbert, di Villa Fabbricotti, del Giardino Baden Powell, gli Orti del Parnaso, il Giardino dell’Orticultura, il Parco di San Donato, il Giardino delle Officine Galileo e quello dei Ragazzi della SMS di Rifredi, tra cui amo passeggiare, quando non mi spingo verso il lungo fiume delle Cascine o il boscoso parco di Villa La Pietraia. Quartiere dunque sì tra i più popolati della città ma anche trai più vivibili e ricchi di verde.  

In questo quartiere ho ambientato molti dei miei racconti, alcuni presenti in “Apocalissi fiorentine” (Tabula Fati 2019), altri in “Quel che resta di Firenze” (Tabula Fati, 2023) di prossima pubblicazione e altri ancora usciti in antologie e riviste. In particolare ho dedicato al quartiere il volume “Il Narratore di Rifredi” (Lulu, 2018; Porto Seguro 2019) che parla sì dell’opera di Massimo Acciai Baggiani, autore assai radicato nel quartiere, ma anche di questo stesso, raccogliendo racconti, articoli e poesie di Acciai e miei su Rifredi. Perino la saga di “Jacopo Flammer” inizia qui.

Dopo la prefazione del giornalista Matteo Dovellini, la raccolta parte con un racconto proprio di Massimo Acciai Baggiani, “Un amore senile”, ambientato in quello che fino a poco tempo fa era il Bar Gherardini di Piazza Dalmazia e ora è il Bistrot Dalmazia, locale di cui è assiduo frequentatore. Sul finale vi compare lui stesso, seppur non è detto esplicitamente. Il racconto è ispirato a una storia vera raccontata dalla titolare del bar Elisabetta Salusest.

Il racconto di Gabriele Antonacci mi ha fatto molto pensare a Italo Calvino (più cha a Clarke, citato nel titolo) quasi che il suo “Odissea negli spazi” fosse un “Cosmicomiche” rifredino, con tutti quei “surreali porticati di palazzi metafisici”, “Spazi Iperbolici” e violazioni del 5° Postulato di Euclide.

Francesca Becagli ci racconta nel suo “Verde” di come sia evoluto il proprio rapporto con il bel Giardino dell’Orticultura, dove tante volte ho portato mia figlia a giocare, separato dal Parco del Parnaso dalla ferrovia, grande attrazione per i bambini.

Il curatore Nicola Biagi immagina in “Big Wheel Keep on burning” un protagonista border line, che vive al confine del quartiere, alla Fortezza da Basso. Il suo incontro con la nuova ruota panoramica che sotto le feste natalizie ora domina la città mi ha fatto venire in mente la recente lettura di “La ragazza dello Sputnik” di Haruki Murakami.

Renato Campinoti ci ripropone con “Una poliziotta nel Quartiere Cinque” la sua investigatrice Caterina con l’anziana amica Cesira che avevamo ben conosciuto in “Non mollare Caterina” e in altri racconti.

Fabrizio De Sanctis con “Il tabernacolo” dà voce a uno di questi, quello che sorge davanti all’Ospedale Meyer, ricordando il culto di San Giovanni e dell’Annunziata in cui onore il 25 marzo si festeggia il Capodanno Fiorentino.

Doloroso è “Il primo Natale senza Matteo” di Elisabetta Failla, che racconta l’improvvisa morte di un figlio di 22 anni.

Cristina Gatti con “Memorie di ordinaria resistenza” ripesca ricordi familiari (non so se inventati) di un nonno vittima dei rastrellamenti nazisti nella zona di Castello.

In “Come cambia in fretta il mondo” Dario Grazzini ci parla di tutta una vita passata nel quartiere, dalle prime partite a pallone con gli amici, ai primi incontri con le ragazze, al calcio praticato a livelli più alti. Pallone ma anche calcio storico. Viola e Azzurro, i colori della squadra della città e quello di uno dei gruppi di calcianti.

Con “Le mie stagioni a Rifredi” Carlo Guarducci ci parla soprattutto dei parchi che di questo quartiere sono, per me, la vera anima e in particolare del più magico di questi: il giardino degli ulivi, come lo chiama qualcuno, Villa Ruspoli, come recita l’insegna all’ingresso, un cancello che ti proietta all’improvviso dalla città in aperta campagna.

Francesca Jatta in “Sorprese d’Autunno” ci parla nel dettaglio del quartiere e, in particolare del Liceo Dante, per raccontarci poi di un commovente incontro con un cane e i suoi proprietari.

Difficile descrivere “Al 52” di Marcello Maccanti senza spoilerare. Un breve intenso racconto ricco di mistero, dove il protagonista, dopo quasi cinquant’anni torna nella casa in cui è nato, in via Paoletti 52, non lontano da quello che a Firenze si chiama impropriamente “Il Grattacielo” (in una città che non ne ha), per fare qualcosa che non vi posso raccontare.

Nel mio “Nerone a Rifredi” (Carlo Menzinger di Preussenthal) la storia parte con un sogno che somiglia alla realtà più del mondo che il folle protagonista ritrova al suo risveglio. Vi percorre un’onirica via Vittorio Emanuele II, che se non fosse deserta, somiglierebbe a quella attuale ma si risveglia in una Firenze futura in cui il surriscaldamento è diventato un problema serio. Il caldo d’agosto, poi, può dare alla testa, come capita al protagonista.

Nicoletta Murru ci parla della sua frequentazione, in compagnia dell’amato cane, di “Villa Fabbricotti”, con il suo piccolo spazio dedicato ai quattrozampe, e di come ne conosca ormai ogni singolo albero.

“Salve ragazzo” di Fabrizio Parissi va più indietro nel tempo di altre storie di questo volume, all’epoca in cui al posto del Parco di San Donato c’era la Fiat, con i suoi operai, e i dintorni si chiamavano “Zona Industriale” più che Novoli. Ora ne rimane solo una ciminiera, esempio di “archeologia industriale” e il quartiere è divenuto industriale. Va letto dunque questo racconto per ricordare come vi vivevano allora i ragazzi e quali erano i loro giochi. Vi scopro, per esempio, che il nome del Ristorante Ciribè deriva da un omonimo gioco.

“Quando a I’Sodo c’era un convento” di Caterina Perrone ci racconta una romantica storia d’amore tra un robusto carpentiere e una suora di clausura, da lui salvata e “liberata” durante l’incendio del convento.

Nel 1921 si andava affermando il fascismo e ricorrevano i 600 anni dalla morte di Dante. In quell’anno fu fondata la VIS – Visioni Italiane Storiche, gli studios cinematografici fiorentini di via della Panche 60, che esordirono con un film sul Divino Poeta, per celebrarne la ricorrenza (un secolo dopo, Caterina Perrone e io curammo per il GSF “Gente di Dante”, l’antologia di racconti su personaggi delle opere e del tempo di Dante). In “Muti” Simone Petralli racconta di questo film, attraverso gli occhi di una delle comparse.

“La Paolina di via delle Panche” di Riccardo Sacchettini ci racconta di come questa strada si sia man mano popolata e trasformata fino a diventare quella attuale, mentre la protagonista cresceva.

Quasi magica “La piccola fuga” di Massimiliano Scudeletti con un padre e la figlia che si calano nel Terzolle per un’avventura dal sapore fantasy nel rigagnolo popolato da animali dai nomi inventati.

Avrete capito dai molti link presenti in questo post che molti degli autori non mi sono nuovi, posso anzi considerare amici molti di loro, non solo per la condivisione di un quartiere, ma anche per aver collaborato in numerose iniziative letterarie o per aver letto le loro opere. Molti di noi, poi, fanno parte del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, un’associazione di volontariato culturale molto attiva del cui Comitato Direttivo sono parte e per il quale sono coordinatore generale dei due premi “La Città sul Ponte” per la narrativa e “La città sul ponte in versi” per la poesia (in collaborazione con La Camerata dei Poeti di Firenze) oltre a curare il blog e il Week-End del Narratore che vi si svolge. Tra i membri del GSF presenti nel volume, Massimo Acciai Baggiani, Gabriele Antonacci, Nicola Biagi, Renato Campinoti, Fabrizio De Sanctis, la presidente dell’associazione Cristina Gatti e Caterina Perrone (spero di non aver saltato nessuno).

Alcuni di loro hanno partecipato anche ad altre antologie delle Edizioni della Sera, come “Toscani per sempre”, “Fiorentini per sempre”, “La prima volta a… Firenze”, “Firenze Centro Storico”.

MEMORIE FIORENTINE

Ho letto in anteprima il volume “La prima volta a… Firenze” (Novembre 2022) curato da Giacomo Cialdi per Edizioni della Sera, con il sottotitolo “Diario intimo della città toscana”. Opera antologica di narrativa, che, per l’argomento trattato, si rivela in buona parte libro di memorie e ricordi, nonostante la creatività e l’inventiva degli autori coinvolti abbia saputo rigenerare tali reminiscenze in racconti in cui talora la fantasia ha modo di spaziare oltre la realtà.

La prima volta a Firenze. Diario intimo della città toscana

Apre il volume la prefazione dello scrittore e giornalista del quotidiano locale “La Nazione” Stefano Cecchi che ci parla di come le prime volte di ciascuno restino indelebili nei nostri animi ma che “Sapere che comunque tutte quelle volte, probabilmente le più belle, le abbiamo vissute con intorno la cornice magnifica e struggente di Firenze, incendia e rende orgoglioso ancora di più il cuore.”

I racconti sono ordinati alfabeticamente per autore. Dunque, come sovente gli accade in tali casi, apre la serie Massimo Acciai Baggiani, prolifico autore di racconti, poesie ma anche di saggi e romanzi, di cui ho scritto spesso, dedicandogli persino la biografia letteraria “Il narratore di Rifredi” (Lulu, 2018, Porto Seguro, 2019). Il suo “La villa abbandonata” pur riportando alcuni episodi reali della vita dell’autore e luoghi altrettanto esistenti di Firenze, immagina come voce narrante quella di un trapassato che narra “La prima volta che… sono morto a Firenze”. Con Massimo Acciai ho di recente pubblicato il romanzo “Psicosfera” e stiamo curando un progetto di antologia fantascientifica.

Segue Elena Andreini, giornalista e autrice di opere a carattere locale. Con il suo “Il gol di Daria” ci racconta la magica esperienza infantile della prima partita di calcio.

Il racconto di Luca Anichini, autore che ho avuto in squadra per l’antologia “Gente di Dante” (Tabula Fati, 2021) e che ha condiviso con me anche l’esperienza di “Fiorentini per sempre” (Edizioni della Sera, 2020), “Il Ponte Vecchio e il profumo dell’amore”, ci porta indietro agli anni della Seconda Guerra Mondiale e dell’arrivo degli Alleati a Firenze, facendoci vedere la storia con gli occhi di un giovane militare maori.

Anche Milena Beltrandi è autrice che ben conosco. Come me, Acciai, Anichini, Campinoti, Lunghini, Prosperi e Tofanari (tutti presenti in questo volume) fa parte del Gruppo Scrittori Firenze (GSF). Come loro ha partecipato all’antologia curata da Caterina Perrone e me “Gente di Dante”.

Di lei ho anche letto un paio di romanzi: “La formula del sole” e “Una crociera pericolosa”. L’avevo anche trovata in “Toscani per sempre” (Edizioni della Sera).

Il suo “Luna di miele singolare” vede una coppia di novelli sposi fiorentini scegliere proprio la loro stessa città per il viaggio di nozze, guardando Firenze per la prima volta con lo sguardo esterno e meravigliato del turista.

Con “Paura e amare riflessioni” Renato Campinoti affronta gli anni di piombo a Firenze, proprio il periodo cui ho dedicato un mio racconto sulla violenza politica che si viveva allora – appena pubblicato nel volume “Non ti temo più” (Tabula Fati, 2022). Erano anni di intensa partecipazione politica ma che stava perdendo la connotazione pacifica e pacifista del 1968. Anche Campinoti è autore che ben conosco, oltre che per le comuni esperienze antologiche (“Gente di Dante” e “Accadeva in Firenze Capitale”), per aver io scritto l’introduzione alla silloge da lui scritta con Massimo Acciai “Racconti ai tempi de del coronavirus”, per la lettura del suoi giallo “Non mollare Caterina” e per la comune esperienza del Consiglio Direttivo del GSF.

Il promotore culturale Stefano Carloni ci mostra, come già Elena Andreini, il primo incontro con la squadra calcistica locale, riportandoci, come Campinoti agli anni ’70, ma qui l’università non è la facoltà di architettura, ma quella sorta di Università del calcio che era allora il Bar Marisa.

Con il giornalista e scrittore Giacomo Cialdi, curatore di questa antologia, avevo condiviso la bella esperienza di “Fiorentini per sempre”. Nel suo “Ricordi” il protagonista si aggira per Firenze osservandone i monumenti. Quando emerge dalla sua tasca una foto del 1988 scattata in Piazza della Signoria, il racconto prende una svolta a sorpresa.

Ne “La Luna senza tacchi” della poetessa Elena Falci, suggestionata dal nostro satellite, la protagonista si trova a ballare scalza un valzer popolare e a riscoprire il brivido dell’amore.

Gabriele Fredianelli ci parla di calcio, Fiorentina, la celebre Libreria Marzocco, libri in genere e libri sul calcio in “Tra Borges, Batigol e Gianni Brera” in un racconto d’amore tra un ragazzo e un libro.

Nel racconto del mio due volte collega (di banca e di scrittura) e semi-omonimo Carlo Legaluppi in “Lungarno degli Acciauoli”, il protagonista, pur avendo girato il mondo, non era mai stato prima a Firenze. Ci si reca per una missione da killer professionale con una vittima designata assai particolare. Di Legaluppi ricordo il thriller “La ottava croce celtica”.

Luca Lunghini ci fa tornare al 1991, alla Guerra del Golfo, che con lo sguardo di oggi pare poca cosa rispetto a quella in Ucraina. “E se cambiassimo il mondo” ci parla di Firenze e di una manifestazione pacifista. Per il protagonista “in prima Liceo” era “il periodo delle prime sigarette, delle prime birre il fine settimana, delle prime cotte, delle prime ore di lavoro per avere una maggiore indipendenza e dei primi amori”. Con lui ho condiviso la presenza in altre due antologie, “Gente di Dante” e “Fiorentini per sempre”.

Filippo Luti (come di recente già Sergio Calamandrei, non ricordo bene dove) ci ricorda che Firenze vide gli albori del ciclismo nel tempo in cui fu Capitale d’Italia.

Avvinto a te” del sottoscritto Carlo Menzinger di Preussenthal è forse il racconto più autobiografico che io abbia mai scritto (nella prima parte), mentre lo sviluppo finale è di totale fantasia. Questo potrà non sembrare evidente, dato che il protagonista si confronta non con una persona reale ma con una personificazione della città di Firenze e delle sue sorelle Siena, Livorno, Lucca, Pisa… in un’insolita storia d’amore ossessivo tra una città e un uomo.

Pierfrancesco Prosperi è un altro autore cui mi sento particolarmente legato, sia per il suo essere, come me, autore di ucronia e fantascienza, sia per la sua appartenenza al Gruppo Scrittori Firenze, sia per aver condiviso con me numerose antologie come “Sparta ovunque”, “Gente di Dante”, “Accadeva in Firenze Capitale” e altre in arrivo come quella da lui stesso curata sull’Ucraina e una sul centro storico di Firenze. Massimo Acciai Baggiani ha poi curato la sua biografia nel volume “Architettura dell’ucronia”, cui ho avuto l’onore di partecipare con un saggio. Troppo lungo elencare tutti i suoi libri che ho letto. Ho detto forse troppo di quello che Prosperi è per me, tralasciando di dire che cos’è per il mondo: un autore pluripremiato, pubblicato dalle maggiori case editrici con decine di libri, sceneggiatore di fumetti importanti come Topolino e Martin Mystere. Il suo “Un ricordo incancellabile” racconta di un’esperienza come angelo del fango durante l’alluvione del 1966, per il recupero dei libri danneggiati.

Sabrina Caterina Rossello nel suo “Lui e lei” ci racconta del dono di una penna che trasformerà una pasticcera topolina in

scrittrice.

Davide Savorelli, già autore del romanzo storico “I giorni prima”, ci porta gustare un Negroni al celebre caffè letterario Giubbe Rosse.

Con “Nel DNA e dietro la curva” il personaggio di Enzo Susiniriflette sugli anni che si sono susseguiti e che, arrivati a questo giorno, tornano a una ritualità nota” mentre “la sua testa vaga costantemente a cercare appigli del passato a cui aggrapparsi”.

Francesca Tofanari che mi aveva stupito per essere sia autrice di un giallo al femminile “In punta di sangue”, sia un saggio di ricostruzione di tradizioni locali come “Sassaiole e Capirotti”, sia per aver realizzato un racconto ironico per l’antologia “Gente di Dante”, in “Quando la città ti toglie i punti di riferimento” ci mostra una Firenze in movimento, che cambia e muta al punto da non sembrare quasi più se stessa. Racconto che parla anche del primo incontro con una stazione ferroviaria.

Insomma, un gran  bel libro, che riunisce tanti amici con molte cose in comune ma soprattutto una: Firenze, una città con tanta storia, tante storie e tanti ricordi. Grazie a Giacomo Cialdi e alle Edizioni della Sera per averci permesso di raccontarne alcune.

PSICOSFERA: un romanzo e un progetto di antologia cui aderire

L’EMOZIONANTE MAGIA DI UN FARO

Che Marco Toninelli (Lecce, 15/09/1948) sia uno che sa scrivere l’avevo capito subito, leggendo il suo mainstream-fantascientifico “Rockland” (Sillabe di Sale, 2017) con quel paese improvvisamente isolato dal mondo e ne avevo avuto conferma leggendo la storia dell’avvocato che decide di vivere come un barbone nel più recente “Molo 11” (Sillabe di Sale, 2021).

Ho letto ora il suo primo romanzo “Il Faro di Finisterre” (Sillabe di Sale Editore, 2016), che narra una storia di migranti moderni con i toni del fantasy.

Pare, infatti, che una caratteristica di Marco Toninelli sia quella di saper raccontare storie attuali, spesso amare, mescolandole con toni un po’ magici e spesso poetici.

Si veda, per esempio, l’incipit de “Il Faro di Finisterre”:

In antiche notti dimenticate un grande fuoco urlava al mare sotto la luna.

Uomini con gli occhi rossi e la pelle bruciata attizzavano il falò con le mani di ferro. Scintille di brace precipitavano giù dalla infinita, buia scogliera”.

Nell’introduzione si legge, poi:

Ma il vero protagonista di queste pagine è il faro.

Non è solo un luogo, una costruzione. È una possibilità.

È una delle finestre sul confine dell’universo da cui è possibile scorgere tutte le possibili albe passate e future.

È dove confluiscono fiumi di aria e di luce, da dove è possibile vedere oltre l’orizzonte”.

Il Faro di Finisterre

Il faro dove si svolge la vicenda sorge su un luogo antico, in cui si svolgevano riti perduti che sembrano avere un loro influsso sul presente. Riti di iniziazione che si ripetono, modernizzati, nel presente.

Il romanzo racconta, in modo emozionante, l’incontro tra la famiglia del guardiano del Faro e una famiglia di migranti, giunta da sola su una piccola barca da pescatori, salvata e accolta in una solidale mescolanza delle due famiglie, che divengono una sola, lasciando da parte ogni diffidenza.

La sorte degli altri migranti non è altrettanto felice e il professore di filosofia ed esperto falegname Kamil, scoprirà che altri non hanno avuto la sua stessa fortuna, che molti altri migranti vivono in un dedalo di grotte fetide denominate “L’Inferno”, sfruttati dalla malavita locale.

Marco Toninelli

Con l’aiuto del guardiano del Faro e delle loro famiglie cercheranno di creare una nuova comunità che unisca migranti e locali, creando sinergie economiche e ridando dignità a chi l’ha persa. Lo scontro con il potere e la malavita è inevitabile, ma il loro sogno utopistico è potente e li spinge ad andare avanti e a combattere nonostante le difficoltà, perché, in fondo “il futuro è semplice, abitato solo dalla speranza”.

Difficile per Kamil scegliere tra la “difesa della dignità, dell’indipendenza e della sicurezza della propria famiglia e la disponibilità verso la comunità a cui appartiene”.

Insomma, “Il Faro di Finisterre” è un romanzo che sa emozionare parlandoci di persone vere, con forti sentimenti, ma anche delle storture del nostro mondo, delle sue ingiustizie, dei suoi limiti come del suo grande potenziale che solo la collaborazione e la solidarietà tra i popoli e le singole persone potrà attivare.

INDAGINI A FIRENZE CAPITALE

Quanti romanzi e quanti racconti ho già letto del fiesolano-sardo Alberto Pestelli? Difficile tenere il conto, perché spesso i suoi romanzi brevi escono in trilogie. Mi riferisco, in particolare, alle indagini della famiglia Fantini, che credo assommi a quattro trilogie.

Credo, peraltro, che La sala delle agitate, uscito, come di consueto in self-publishing con YouCanPrint, nel dicembre 2021, sia il più inteso e maturo dei suoi libri.

Il volume è il secondo della serie iniziata con “Gli addormentatori di via del Cocomero” con cui il nostro farmacista (speziale) scrittore non abbandona i toni del giallo investigativo delle detective story della saga dell’Etrusco tra i nuraghes, ma scopre una vena storica che arricchisce di contenuti la sua narrativa, portandoci qui a scoprire una Firenze all’inizio di quella breve esperienza storica che la vide capitale d’Italia, periodo cui come Gruppo Scrittori Firenze abbiamo dedicato il volume “Accadeva in Firenze Capitale” (Carmingnani, 2021). Non per nulla, tra i revisori dell’opera del Pestelli, leggiamo anche il nome del curatore storico di tale antologia Sergio Calamandrei. Indegnamente leggo anche il mio nome nei ringraziamenti finali e ne ringrazio l’autore, sebbene sono certo che tale opera sarebbe potuta nascere felicemente anche senza il mio, citato, sostegno.

L’opera prende ispirazione e si snoda dall’immagine di un dipinto omonimo di Telemaco Signorini del 1865 (in copertina) che ritrae una sala in cui vivono alcune pazienti affette da problemi mentali. Scopriremo che una di queste sventurate è implicata in una complessa vicenda di omicidi, scambi di persona, intrighi e tradimenti cui fa da sfondo una vivace e realistica ricostruzione della Firenze di quegli anni.

Alberto Pestelli

A indagare troviamo anche un collega dello Speziale degli Innocenti (come si definisce l’autore), il farmacista Efremio Primo Innocenti, che affianca l’Applicato di Pubblica Sicurezza Romualdo Noferini. Si conferma, dunque, l’impostazione che caratterizzava anche la precedente saga di indagini in cui accanto agli investigatori ufficiali, si uniscono parenti e amici, tipica della narrativa del Pestelli.

Mentre il mistero si dipana possiamo quindi nel contempo scoprire la Firenze che fu e i complessi rapporti familiari dei personaggi. La famiglia è, infatti, sempre al centro delle opere di questo autore che con “La sala delle agitate” ha dato prova di saperli gestire anche come elemento dell’intrigo giallo e non solo come rapporti tra gli investigatori come già avveniva nelle vicende del clan Fantini.

UN FANTASY STORICO SULL’UOMO VITRUVIANO

Leonardo da Vinci e l’uomo del disegno” (Libreria Salvemini, 2019) di Luigi De Rosa è un romanzo molto particolare. Si tratta, infatti, di un raro esempio di fantasy storico. In parte è un romanzo storico molto ben documentato e dettagliato sulla vita del genio toscano, dall’altra è opera di pura fantasia che volutamente rifiuta ogni legame con la realtà.

Difficile equilibrio tra storia e fantasia che è più sovente sperimentato dagli autori di ucronia, che, peraltro, esplorano possibili sviluppi alternativi degli eventi, mantenendo, di norma, una certa logica e razionalità. Anche il romanzo di De Rosa, peraltro, una volta definiti i confini fantastici in cui si muove, si presenta come logico e razionale.

Occorre insomma accettare l’esistenza della magia, della telepatia, dei draghi, della reincarnazione e di qualcos’altro e allora questo fantasy storico scorrerà liscio come l’olio, portandoci a scoprire un Macchiavelli dai poteri telepatici, un Leonardo che nasconde tra le vesti un rettile parlante capace di mutarsi in drago, il disegno dell’Uomo Vitruviano che prende vita.

Luigi De Rosa, nato a Firenze nel 1995, pubblica il suo primo libro nel 2016, un fantasy intitolato “La Maledizione di Bes” 

Assisteremo peraltro alle storiche rivalità tra Michelangelo e il vinciano, incontreremo Botticelli, Zoroastro da Peretola, Isabella d’Este, Francesco Gonzaga e molti altri personaggi storici, visti a volte con sguardo fantastico ma senza toglier loro il reale spessore storico che li caratterizza.

Opera difficile, insomma, ma che Luigi De Rosa ha saputo affrontare con estro in questo che è il suo secondo romanzo e che fa seguito a un’opera solo fantasy.

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