Archive for Maggio 2016

LA FINE DEL MULO E DELLA GALASSIA

Le storie che compongono il romanzo “L’altra faccia della spirale” (“Second Foundation”) vennero originariamente pubblicate nella rivista Astounding coi titoli Now you see it nel gennaio 1948 e And Now You Don’t nel novembre 1949-gennaio 1950. “L’altra faccia della spirale”, poi noto anche in Italia come “Seconda Fondazione”, riunì per la prima volta nel 1953 le storie di Isaac Asimov in un volume edito.

Come già “Fondazione e Impero”, il libro è diviso in due parti, la prima (come la seconda parte di “Fondazione e Impero”) ha come protagonista il Mulo, un mutante in grado di controllare le emozioni delle altre persone e che ha sconfitto la Fondazione e l’Impero, creando un’Unione di pianeti sotto il suo controllo e sta conquistando l’intera Galassia; la seconda parte vede come protagonista il dottor Darell, figlio di Toran e Bayta Darell (che compaiono nella prima parte e contribuiscono alla sconfitta del Mulo) e sua figlia Arcadia.

Una mia prima perplessità riguarda il modo in cui sono stati aggregati i racconti. “Il Generale”, prima parte di “Fondazione e Impero”, avrebbe potuto benissimo essere l’ennesimo capitolo del precedente volume “Fondazione”, mentre “Il Mulo”, seconda parte di “Fondazione e Impero” e “Now you see it ”, prima parte di “Seconda Fondazione”, avrebbero potuto costituire un unico testo.

Questo romanzo, che chiude la trilogia originale ed è nel contempo il quinto del nuovo Ciclo, è nel più classico stile asimoviano, con personaggi che si combattono sì con potenti poteri mentali (telecinetici come in altri romanzi) e fisici (armamenti nucleari), ma in cui le vere battaglie sono verbali, scontri di visioni, incontri dialettici in cui qualcuno cerca di scoprire qualcosa o di convincere qualcuno che è stato sconfitto e che deve arrendersi.

In questo caso saranno, nella prima parte, i dibattiti tra Han Pritcher, un generale sotto il controllo mentale del Mulo, e il giovane Ball Channis (che scopriremo essere una sorta di “agente sotto copertura” della Seconda Fondazione”), tra quest’ultimo e il Mulo e tra il Mulo e il Primo Oratore (non a caso Asimov attribuisce una simile denominazione a un’importante carica politica: crede nel potere della parola).

Nella seconda parte, il meccanismo è ancor più accentuato. Si narra della ricerca della Seconda Fondazione, ma, tolta un po’ di azione, soprattutto connessa alla fuga della quattordicenne Arcadia da un mondo all’altro, poi assistiamo soprattutto all’esposizione di una serie di ipotesi presentate da diversi personaggi su dove si trovi la Seconda Fondazione, cosa abbia inteso il suo fondatore Seldon dicendo che si trovava alla fine della Galassia e su perché la storia recente abbia preso una certa piega. Scopriamo diverse versioni della verità, che ogni volta sono superate dalla successiva.

Occorre dire che questo meccanismo narrativo, se da una parte è la forza di Asimov e il suo fascino, prestandosi bene alla costruzione di un romanzo (sebbene faccia somigliare molto le sue storie di fantascienza a dei gialli o dei polizieschi), dall’altra appare poco plausibile a chi conosce come gira il mondo (per quanto immaginario).

In Asimov non manca certo una grande attenzione all’emotività e persino i suoi robot la sviluppano, persino il Mulo controlla i suoi uomini mediante le emozioni, così come non mancano avventure e imprese decisamente fisiche, ma alla fine la razionalità della discussione rimane la componente più forte.

Nel mondo reale difficilmente qualcuno si lascia convincere da argomentazioni di alcun tipo, neppure se queste sono quanto mai corrette e razionali. Nel mondo reale i preconcetti sono duri a morire, le decisioni sono prese spesso sulla base di impulsi, la casualità è rilevante e non c’è nessuna regola matematica (come quelle previste dalla psicostoria asimoviana) che permettano di prevedere gli andamenti della storia o i comportamenti della società. La fisicità delle azioni e dei gesti determina lo sviluppo degli eventi umani più delle parole e della razionalità. Anche questo è un aspetto dell’utopia asimoviana: una Galassia in cui la razionalità sia così potente da regolare i comportamenti umani.

Una razionalità che tutto imbriglia, in un insieme di milioni di mondi che funzionano, più o meno, tutti secondo le stesse regole, allo stesso modo. Nel Ciclo dell’Impero, abbiamo visto come la capitale Trantor, con i suoi 40 miliardi di abitanti, sebbene tutta avvolta sotto la medesima cupola di metallo, con un clima omogeneo, una lingua e una cultura omogenee, aveva Settori con alcune (seppur ridotte) specificità di costume, di abbigliamento, di gusti.

Isaac Asimov

Nel Ciclo della Fondazione percepiamo una globalizzazione totale, maggiore di quella del mondo capitale dell’Impero. Si dice che nei mondi della Galassia centrale ci sono usi più raffinati, che i mondi della periferia sono meno evoluti, che alcuni mondi sono più o meno industrializzati o armati, ma quello che si percepisce è una grande somiglianza tra tutti i milioni di mondi della Galassia, con differenze che somigliano di più a quelle tra uno Stato e l’altro degli Stati uniti d’America che non tra quelle che ci sono tra i singoli stati del mondo o anche solo dell’Unione Europea. Direi anzi che tra una Regione e l’altra dell’Italia ci sono ben più differenze che tra un capo e l’altro della Galassia asimoviana, quello spazio utopico così stranamente privo non solo di diversità, ma anche di alieni. Una Galassia che somiglia a un infinito far west pronta a essere dominata da milioni di miliardi di americanissimi cowboy!

Un’altra cosa che colpisce leggendo queste storie nate a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale è come, per Asimov, l’umanità sia tanto evoluta da conquistare l’intera Galassia, viaggiare a velocità ben superiore a quella della luce, avere un controllo sulle menti, ma sia poi così primitiva per altri aspetti.

Se si pensa a quanto sia progredita la tecnologia negli ultimi due secoli, suona strano pensare che in una Galassia, che ha continuato a crescere ed evolvere, dunque priva di ritorni alla barbarie se non in mondi marginali, alcune cose siano rimaste tanto simili a come erano in America negli anni ’40 del secolo scorso!

Può forse stupire che una quattordicenne come Arcadia giri con in tasca i soldi per comprarsi un biglietto per un volo interstellare, ma in fondo se i mondi abitati sono ormai milioni, anche i viaggi per raggiungerli potrebbero essere diventati economici. Sembra però piuttosto primitivo che la medesima ragazzina per andare allo spazioporto cerchi una sorta di cabina telefonica (non ha neppure un rozzo telefonino!) per chiamare un taxi! Ma come, si vola da una stella all’altra in poche ore e sulla superficie dei pianeti si prende il taxi? Nel Ciclo dei Robot, almeno, Asimov aveva immaginato un sistema di nastri trasportatori a velocità variabile.

Anche l’apparecchio per il controllo mentale che compare alla fine di “Seconda Fondazione” è dotato di bottoni e manopole, che fanno un po’ sorridere nell’era del touch screen.

Se ai giorni nostri i libri cartacei sembrano essere in procinto di sparire, nei Cicli troviamo ancora degli oggetti definiti libri, ma che somigliano più che altro a videocassette o DVD.

Insomma, a parte i viaggi spaziali e poco più, non si capisce come possa la tecnologia essersi arrestata così. E non è solo questione di tecnica, ma anche di usi e oggetti quotidiani. In altri romanzi dei Cicli vediamo gente che gioca a tennis o che si riposa in poltrona. Su pianeti che non si ricordano più dell’esistenza della Terra, il tennis è sopravvissuto!

L’attenzione di Asimov sembra, insomma, concentrata sul progetto di Hari Seldon di prevedere e programmare matematicamente la storia mediante quella scienza che chiama psicostoria e mediante le due Fondazioni e non si cura troppo di immaginare uno sviluppo tecnico e sociale coerente con lo scorrere dei millenni e con la pluralità di mondi che compongono la Galassia, da cui dovrebbe discendere una pluralità di culture e modelli sociali, che Hari Seldon lo voglia o meno.

 

 

L’UTOPIA SPEZZATA

Fondazione e Impero”, è il titolo con cui è stato ridenominato “Il crollo della Galassia Centrale” (“Foundation and Empire”, 1952), quando la trilogia originale fu ampliata da Isaac Asimov, trasformandola in un gruppo di sette romanzi (il Ciclo della Fondazione) a loro volta collegati ai cicli “Impero” e “Robot” e ad altre opere asimoviane che descrivono la storia futura dell’umanità.

Sto ora rileggendo tutti i volumi, cercando di seguire l’ordine cronologico degli eventi narrati, assai diverso da quello di pubblicazione.

“Fondazione e Impero” era il secondo volume della trilogia e ora è il quarto del Ciclo.

Rispetto al precedente “Fondazione” (noto anche come “Cronache della galassia” o “Prima fondazione”  – “Foundation”, 1951), questo romanzo presenta una maggior unitarietà, anche se, come “Fondazione” fu originariamente (nel 1945) pubblicato a puntate come racconti su “Astounding Stories” e solo successivamente riunito in un romanzo. Il volume si presenta, comunque, diviso in due parti, piuttosto autonome tra loro:

  • Il Generale
  • Il Mulo.

Nella prima parte l’Impero, tramite il Generale Bel Riose, tenta di sconfiggere la Fondazione, creata dallo psicostorico Hari Seldon per consentire la conservazione della civiltà anche dopo la caduta dell’Impero, prevista dai suoi calcoli matematici.

La seconda parte è una delle più affascinanti del Ciclo, grazie alla comparsa di un nuovo personaggio, il Mulo, un mutante in grado di controllare le emozioni delle persone, variabile non prevista dai calcoli di Hari Seldon, e comandante in grado di annientare la Fondazione e accelerare la fine dell’Impero.

Se in “FondazioneAsimov ci aveva consegnato una delle sue utopie, una Galassia controllata dai calcoli matematici dell’inventore della psicostoria, un universo cioè con un forte determinismo, in cui il volere dei singoli è annullato e tutto ciò che conta sono solo i movimenti delle masse umane, in “Fondazione e Impero”, Asimov “sospende” questa visione utopica della storia, come aveva bloccato il sogno di un mondo con robot sempre più evoluti e dediti al bene dell’umanità, tipici del Ciclo dei Robot, ma quasi assenti in quello dell’Impero. La previsione psicostorica è sconfitta dall’individualismo e sembra di assistere allo scontro tra la visione deterministica della storia come successione di cause ed effetti e una visione più classica in cui il valore di alcune grandi figure orienta fortemente il corso degli eventi. L’apparizione di una figura dalla forte individualità, con un potere “emotivo”, appare quasi paradossale in un’utopia storica che sogna di poter prevedere il futuro e occorrerà leggere i volumi successivi per coglierne appieno la filosofia.

Non sbagliò forse “Urania” a tradurre il titolo in “Il crollo della Galassia Centrale”, perché questo volume rappresenta davvero un momento di rottura e di sconfitta di ogni modello: muore come previsto l’Impero, è sconfitta la Fondazione e persino il Mulo, che era stato capace di realizzare un’unificazione della Galassia in tempi imprevedibili e impensabili, persino questo mutante dai grandi poteri, fallisce nel suo tentativo di individuare la Seconda Fondazione e da questo egli stesso capisce che il suo sogno di creare un nuovo impero rischia ora di naufragare.

Se l’utopia del controllo della Storia sembra essere negata da questo volume, rimangono comunque sempre alcune chiavi ottimistiche per leggere i Cicli asimoviani: la facilità dei viaggi spaziali, un uso controllato dell’energia atomica, milioni di pianeti pronti per essere abitati dagli esseri umani, senza alieni, malattie esotiche o problemi di sorta (né di massa gravitazionale, né di atmosfera, né di composizione del suolo) che potrebbero rallentare l’espansione dell’uomo nella Galassia, una sorta di Eden fatto a immagine e somiglianza dell’umanità.

Ma davvero la psicostoria ha fallito? Chi, come me, ha letto anche i romanzi precedenti, sa bene che Hari Seldon aveva previsto delle crisi per la Fondazione, poteva anche non aver previsto il suo crollo totale, ma aveva comunque preso misure di sicurezza, creando anche una Seconda Fondazione. Se il Mulo non avuto successo nella sua ricerca, allora forse Hari Seldon non ha sbagliato le sue previsioni. Non rimane che andare avanti nella lettura, per capire se la Seconda Fondazione sarà in grado di ribaltare la situazione o comunque di risolverla, confermando il modello psicostorico, nonostante la deviazione apportatagli dal Mulo.

L’UTOPIA DELL’UNIVERSO GUIDATO DALLA SCIENZA

“La Repubblica” (390-360 a.c.) di Platone, tra le altre cose, immagina una città ideale guidata da principi filosofici. In tale opera viene mostrato Socrate che cerca di definire la giustizia e per farlo immagina la nascita di una società. Prima parla di un piccolo villaggio, abitato da contadini e artigiani, quando il villaggio cresce divenendo una città, con ricchezze e lussi, vi compaiono mercanti, artigiani di beni di lusso, cuochi, allevatori e soldati. Questo per Socrate porta a una degenerazione fisica e morale. Propone quindi la città perfetta in cui ogni cittadino svolge solo il mestiere che decide lo Stato, in particolare, dovranno esserci anche soldati di professione. Immagina quindi una società divisa in tre classi: artigiani, guardiani e governanti. I governanti sono dei filosofi che governano con morigerata saggezza.

Isaac Asimov, nel delineare la sua visione della storia futura dell’umanità, nel volume “Foundation” (pubblicato nel 1951 – noto in Italia dapprima come “Cronache della Galassia” e poi, quando lo scrittore russo-americano ha unificato i cicli, come “Fondazione” o “Prima Fondazione”), sembra rifarsi in parte all’utopia platonica.

Innanzitutto, per l’idea che, per contrastare la decadenza dell’Impero di Trantor, che domina l’intera Galassia, il matematico Hari Seldon abbia ideato, mediante la teoria della psicostoria una Fondazione, nella quale, divenuto Primo Ministro, ha riunito un’importante comunità scientifica con il falso obiettivo di scrivere un’Enciclopedia Galattica e con il vero proposito di fornire una guida (formata da uomini di scienza e cultura) per la Galassia, nel momento in cui il potere centrale di Trantor fosse inevitabilmente crollato, come le sue previsioni psicostoriche mostravano chiaramente.

Nella prima fase, il pianeta periferico Terminus si limita a svolgere il compito di redigere un’Enciclopedia che riunisca tutto il sapere della Galassia (non posso qui non notare come l’idea paia superata ai nostri giorni in cui internet sta rendendo le enciclopedie oggetti desueti).

Segue quindi una nuova fase in cui la Fondazione afferma il suo potere sulla periferia del potere, travestendo le proprie conoscenze scientifiche e tecnologiche in potere spirituale e religioso, anche se mi pare poco plausibile che un simile passaggio avvenga in appena trent’anni, come immaginato qui.

Come ne “La Repubblica” di Platone, vediamo quindi l’arrivo dei Mercanti e l’affermarsi del loro potere, in attesa che i filosofi (i “mentalici” della Seconda Fondazione?) prendano il sopravvento come preconizzato da Seldon.

 

Sebbene questo sia il volume con cui in origine iniziava il Ciclo della Fondazione, devo dire di aver trovato più omogenei e autonomi persino i due prequel scritti da Asimov nel 1988 (“Preludio alla Fondazione”) e 1993 (“Fondazione Anno Zero”), allo scopo di unire il Ciclo dell’Impero al Ciclo della Fondazione e a quello dei Robot.

Isaac Asimov

In “Cronache della Galassia”, infatti, la ripartizione della storia in cinque fasi, distanti tra loro vari anni e con personaggi diversi, rende il romanzo, sebbene con una sua consequenzialità, assai più simile a una raccolta di racconti e fa quasi pensare (per quanto sappiamo non sia così) che sia questo il romanzo scritto per collegare “Fondazione Anno Zero” ai successivi!

Il solo personaggio che ricorre in tutti è Hari Seldon, ma compare qui in carne e ossa solo nel Prologo e poi sarà solo citato o, al massimo, comparirà in qualche proiezione.

Da notare che “Fondazione Anno Zero” si chiude con l’inventore della psicostoria già morto, mentre “Cronache della Galassia” fa un salto indietro nel tempo e ce lo fa vedere, brevemente, nei suoi ultimi anni di vita.

IL “SOTTO CICLO” DELLA PSICOSTORIA

I romanzi “Preludio alla Fondazione” (Prelude to Foundation, 1988) e “Fondazione anno zero” (Forward the Foundation, 1993) raccontano la vita di Hari Seldon, l’ideatore della Psicostoria e l’ispiratore delle Fondazioni. S’inseriscono nella successione cronologica dei romanzi che narrano la storia della Galassia immaginata dallo scrittore americano di origine russa Isaac Asimov, tra il Ciclo dell’Impero e il Ciclo della Fondazione e vengono considerati parte del secondo. Scritti 35 e 39 anni dopo l’ultimo romanzo di tale Ciclo (1953) nella sua conformazione originaria e dopo  un numero simile di anni dal Ciclo dell’Impero (1950-52) fanno parte del progetto asimoviano di collegare tra loro questi Cicli e quello dei Robot, descrivendo una storia globale della Galassia.

I due romanzi si presentano però con una loro dignità letteraria e con una certa autonomia narrativa, dando spazio a un nuovo personaggio, Hari Seldon, descritto solo indirettamente nei romanzi cronologicamente successivi, e mostrando i suoi sforzi per realizzare le basi di quella dottrina nota come Psicostoria con la quale tenta di prevedere matematicamente il flusso della Storia e, per quanto possibile, orientarlo e la sua trovata per preservare la civiltà mediante la creazione delle Fondazioni.

Asimov riesce comunque in pieno a realizzare il proposito di collegamento dei tre Cicli, facendo persino comparire due robot umanoidi (tipici del Ciclo dei Robot), nonostante che nell’epoca dell’Impero la loro presenza sia stata quasi del tutto cancellata e uno dei due è niente meno che A. Daniel Olivaw, il partner robotico dell’investigatore Elijah Baley protagonista del Ciclo dei Robot, che compare, fingendosi umano, con il nome di Eto Demerzel e il ruolo di saggio Primo Ministro, funzione nella quale, grazie alle sue doti telepatiche e al suo desiderio di aiutare l’umanità (come richiesto dalla Legge Zero della Robotica per la quale il bene dell’umanità prevale su ogni altro dovere), assisterà due Imperatori e aiuterà lo stesso Hari Seldon, mettendolo in condizione di proseguire i suoi studi di Psicostoria e lasciandogli, infine, il posto di Primo Ministro di un Impero di cui il grande matematico intuisce la decadenza, che vorrebbe arrestare con la sua Psicostoria e le Fondazioni.

Oltre agli ampi riferimenti ai tre Cicli, in “Fondazione Anno Zero” c’è persino un accenno al romanzo “Nemesis”, che narra fatti antecedenti,
sebbene in altra occasione Asimov, credo abbia dichiarato che questo romanzo non faccia parte della storia della Galassia. “Nemesis” descrive la colonizzazione del primo pianeta fuori dal Sistema Solare e presenta un personaggio con doti assai simili a quelle di A. Daniel Olivaw, della nipote del matematico Wanda, per non parlare del Mulo, il mutante di “L’altra faccia della spirale”. In “Nemesis” (1989) la quindicenne Marlene ha, infatti, doti telepatiche simili alle loro.

Se in “Preludio alla Fondazione” incontriamo un Hari Seldon giovane, riscopriamo il robot A. Daniel Olivaw nei suoi doppi panni di Eto Demerzel e Chetter Hummin, e la futura moglie robotica del matematico Dors Venabili, il figlio adottivo della coppia Raych e il futuro collaboratore alla Psicostoria Yugo Amaril, in “Fondazione Anno Zero” tutti questi personaggi trovano lo spazio per essere sviluppati e descritti con maggiore profondità psicologica e temporale.

Nonostante l’ampio numero di anni in cui si dispiega il romanzo, Asimov non rinuncia né al suo amore per le indagini di ispirazione poliziesca, né alle avventure rocambolesche, tra assassini e attentatori vari, creando un romanzo non solo utile al suo progetto narrativo, ma comunque vivace e appassionante, pur con una certa ripetitività, probabilmente segno della poca fiducia dell’autore nella memoria o costanza dei suoi lettori, cui troppo spesso ricorda fatti già narrati in altri libri se non nello stesso che si sta leggendo.

Nei Cicli dei Robot e dell’Impero le grandi utopie asimoviane sono sviluppo della robotica, i viaggi spaziali, mondi dal clima e dalla criminalità controllata. In “Fondazione Anno Zero”, in un Impero in decadenza, in cui non solo il governo centrale non riesce più a controllare le province esterne, ma addirittura nello stesso pianeta Trantor, sede dell’Imperatore, questo è assassinato, in cui la cupola che regola il clima si va deteriorando, la criminalità cresce, il sogno di Hari Seldon di risolvere con la matematica questa crisi e di preservare la civiltà mediante le Fondazioni costituisce la preconizzazione di un universo utopico, confermando l’ottimismo asimoviano che anche in presenza di situazioni distopiche conserva una visione progressiva dell’umanità.

IL TEMPO È UN’ALTRA COSA E I BUONI ROMANZI PURE

Un titolo come “Il tempo è un bastardo” ben si presterebbe per un romanzo di fantascienza o per uno esistenziale. Quello scritto dall’americana Jennifer Egan e che le è valso nientemeno che il Pulitzer per la narrativa (a ulteriore dimostrazione che i premi letterari, dal nobel in giù, spesso hanno poco significato) non appartiene certo alla prima categoria (nonostante un finale nel futuro) ma appartiene poco anche alla seconda, se non perché questa frase viene detta da un grassone in crisi che un tempo era stato una star del rock e che riesce a rifarsi su questo tempo bastardo, ritornando con successo in un grande concerto vent’anni dopo il proprio ritiro. Altri momenti “esistenziali” legati al tempo non li ho colti, anche se il ciccione non è il solo personaggio in crisi.

Jennifer Egan (Chicago, 7 settembre 1962) è una scrittrice statunitense. Oltre che per l’attività di scrittrice, la Egan è nota per le frequenti collaborazioni prestate per il New York Times Magazine. Ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2011 per l’opera Il tempo è un bastardo (A Visit from the Goon Squad).

La storia è ambientata soprattutto nel mondo del rock, del giornalismo musicale, dei punk. Parlare di “storia” però sarebbe un’ingiustizia verso quei romanzi che una storia la raccontano davvero, dato che qui abbiamo tanti frammenti di tante storie diverse, variamente collegate tra loro e distribuite in un largo arco temporale. Si passa dalla prima alla seconda alla terza persona. Ci sono parti in stili diversi e persino delle parti in power point (che avendo letto in TTS non sono riuscito a leggere)! Insomma, un po’ di sperimentalismo stilistico, di quello che se hai un buono sponsor può anche valerti qualche premio letterario e magari l’osannazione di qualche lettore, anche se ci sono di sicuro opere che si leggono più agevolmente e piacevolmente.

Sarà che pur essendo un romanzo, somiglia a una raccolta di racconti ed io preferisco trame con una loro unità, sarà che la varietà di stili confonde e dà una sensazione di frammentarietà, sarà che del mondo del rock, per giunta privo di star reali, me ne importa poco, ma leggendolo non vedevo l’ora di finirlo e passare ad altro. Non dico che mi abbia sempre annoiato, ma di certo non mi ha divertito o soddisfatto in alcun modo. E dire che negli Stati uniti è finito in molte classifiche dei migliori romanzi!

CHE TU SIA PER ME LA PSICOLOGA

Se fossi una donna e uno sconosciuto decidesse di scegliermi come controparte di un profluvio di lettere, credo che lo manderei a quel paese al primo approccio e certo non avrei né la voglia, né il tempo di assecondarlo nel suo desiderio di raccontarsi e raccontare di una relazione platonica tra di noi tutta nella sua testa.

Non sono, però, una donna e probabilmente le donne ragionano in modo diverso, anche se continuo a credere che a molte di loro un simile individuo sembrerebbe più che altro un maniaco e ne sarebbero spaventate.

Che tu sia per me il coltello” di David Grossman parla di questo. Un certo Yair incontra una signora, una certa Myriam, a una riunione scolastica. Non si presenta, non la contatta, non la corteggia, ma la scruta da lontano, nascosto nella folla, e comincia a scriverle.

A quanto pare lei gli risponde e vanno avanti così per mesi, raccontandosi tutto (tutto?) liberamente.

Per un bel po’ sappiamo quello che lei risponde solo dalle parole dello stesso Yair. Viene quasi da dubitare che Myriam esista davvero. Yair ci sembra quanto mai psicolabile. Nulla nella narrazione lascia presagire che Yair si trasformi in uno psicopatico e la trasformazione non avviene, ma con un carattere simile Yair poteva stare bene anche in un romanzo horror, di quelli con serial killer.

Questo tizio, egocentrico e infantile, mi risulta antipatico da subito, non tanto per una sua antipatia effettiva, quanto per questo suo approccio verso l’altro sesso che trovo odioso. Non si rende conto che in questo modo sta creando un rapporto fittizio, che sta ingannando Myriam, che la sta illudendo? Anche questa sua mania di offrirsi sempre nudo (in senso psicologico, ma descrive più volte il suo amore per la nudità fisica), di dire tutto di sé e pretendere lo stesso da lei presenta aspetti pericolosi per un rapporto. Scavare con un coltello nell’anima può provocare dei danni.

Perché, se vuole solo scrivere, non si limita a scrivere un diario o un romanzo o si tiene le lettere per sé? Perché deve essere tanto vigliacco da tormentare così una donna che neppure conosce?

Quest’antipatia verso Yair, ingiustamente, finisco per riversarla sullo stesso autore, anche se mi viene da pensare che in fondo, forse, Grossman, se la pensa come Yair, ha fatto proprio quello che Yair avrebbe dovuto fare: mettere i suoi pensieri in un romanzo e non tormentare la gente. So bene (anche io scrivo) che un personaggio non è l’autore e che se viene descritto in modo moralmente abbietto, questo non vuol dire che anche l’autore sia tale. Lo so benissimo, ma in un romanzo epistolare che quasi somiglia a un diario, questo rischio di immedesimazione è forte.

Poi, per fortuna, prende la parola Myriam. Cominciamo a leggere quello che scrive anche lei e abbiamo la conferma che Grossman non è Yair. Forse è più Myriam, se proprio deve essere un personaggio, o forse io, come lettore, mi sento più Myriam. Myriam ha la sua vita e i suoi problemi, è più reale e concreta, e quest’intrusione la disturba, anche se poi si lascia coinvolgere, anche se poi entrambi porteranno le cose oltre la carta. Forse entrambi avrebbero bisogno di un buono psicologo, più che di questa grafo-terapia da autodidatti.

Myriam compensa, nel racconto, Yair e rende più equilibrata la morale della storia.

Il romanzo, insomma, per essere compreso e apprezzato, va letto nella sua interezza.

Il romanzo epistolare, con il diario, è una delle forme narrative che meno mi piace. Innanzitutto per la sua forma indiretta: racconta invece di mostrare. È un po’ come farsi raccontare una partita il giorno dopo. Vederla e viverla mentre si svolge è un’altra cosa! Nonostante questo, nonostante la fastidiosa improbabilità del rapporto epistolare descritto, “Che tu sia per me il coltello” contiene un gran numero di splendide immagini (il bambino che si mangia il libro che sta leggendo, tanto per dirne una), che da sole meritano la lettura e gode di una scrittura calda e fluente, che spiegano il discreto successo riscosso qualche tempo fa da questo libro.

Il titolo è una citazione dalle “Lettere a Milena” di Kafka. Questo epistolario è monco delle risposte di Milena. Forse è a questo modello che Grossman si rifà nella prima parte, privandoci di conoscere subito la voce di Myriam, mentre nella seconda “completa” l’opera, arricchendola della voce femminile, quasi a darci ciò che Kafka non ci ha lasciato.

****

David Grossman è nato a Gerusalemme il 25 gennaio 1954. È uno scrittore e saggista israeliano, autore di romanzi, saggi e letteratura per bambini, ragazzi e adulti, tradotti in numerose lingue.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: