Le storie che compongono il romanzo “L’altra faccia della spirale” (“Second Foundation”) vennero originariamente pubblicate nella rivista Astounding coi titoli Now you see it nel gennaio 1948 e And Now You Don’t nel novembre 1949-gennaio 1950. “L’altra faccia della spirale”, poi noto anche in Italia come “Seconda Fondazione”, riunì per la prima volta nel 1953 le storie di Isaac Asimov in un volume edito.
Come già “Fondazione e Impero”, il libro è diviso in due parti, la prima (come la seconda parte di “Fondazione e Impero”) ha come protagonista il Mulo, un mutante in grado di controllare le emozioni delle altre persone e che ha sconfitto la Fondazione e l’Impero, creando un’Unione di pianeti sotto il suo controllo e sta conquistando l’intera Galassia; la seconda parte vede come protagonista il dottor Darell, figlio di Toran e Bayta Darell (che compaiono nella prima parte e contribuiscono alla sconfitta del Mulo) e sua figlia Arcadia.
Una mia prima perplessità riguarda il modo in cui sono stati aggregati i racconti. “Il Generale”, prima parte di “Fondazione e Impero”, avrebbe potuto benissimo essere l’ennesimo capitolo del precedente volume “Fondazione”, mentre “Il Mulo”, seconda parte di “Fondazione e Impero” e “Now you see it ”, prima parte di “Seconda Fondazione”, avrebbero potuto costituire un unico testo.
Questo romanzo, che chiude la trilogia originale ed è nel contempo il quinto del nuovo Ciclo, è nel più classico stile asimoviano, con personaggi che si combattono sì con potenti poteri mentali (telecinetici come in altri romanzi) e fisici (armamenti nucleari), ma in cui le vere battaglie sono verbali, scontri di visioni, incontri dialettici in cui qualcuno cerca di scoprire qualcosa o di convincere qualcuno che è stato sconfitto e che deve arrendersi.
In questo caso saranno, nella prima parte, i dibattiti tra Han Pritcher, un generale sotto il controllo mentale del Mulo, e il giovane Ball Channis (che scopriremo essere una sorta di “agente sotto copertura” della Seconda Fondazione”), tra quest’ultimo e il Mulo e tra il Mulo e il Primo Oratore (non a caso Asimov attribuisce una simile denominazione a un’importante carica politica: crede nel potere della parola).
Nella seconda parte, il meccanismo è ancor più accentuato. Si narra della ricerca della Seconda Fondazione, ma, tolta un po’ di azione, soprattutto connessa alla fuga della quattordicenne Arcadia da un mondo all’altro, poi assistiamo soprattutto all’esposizione di una serie di ipotesi presentate da diversi personaggi su dove si trovi la Seconda Fondazione, cosa abbia inteso il suo fondatore Seldon dicendo che si trovava alla fine della Galassia e su perché la storia recente abbia preso una certa piega. Scopriamo diverse versioni della verità, che ogni volta sono superate dalla successiva.
Occorre dire che questo meccanismo narrativo, se da una parte è la forza di Asimov e il suo fascino, prestandosi bene alla costruzione di un romanzo (sebbene faccia somigliare molto le sue storie di fantascienza a dei gialli o dei polizieschi), dall’altra appare poco plausibile a chi conosce come gira il mondo (per quanto immaginario).
In Asimov non manca certo una grande attenzione all’emotività e persino i suoi robot la sviluppano, persino il Mulo controlla i suoi uomini mediante le emozioni, così come non mancano avventure e imprese decisamente fisiche, ma alla fine la razionalità della discussione rimane la componente più forte.
Nel mondo reale difficilmente qualcuno si lascia convincere da argomentazioni di alcun tipo, neppure se queste sono quanto mai corrette e razionali. Nel mondo reale i preconcetti sono duri a morire, le decisioni sono prese spesso sulla base di impulsi, la casualità è rilevante e non c’è nessuna regola matematica (come quelle previste dalla psicostoria asimoviana) che permettano di prevedere gli andamenti della storia o i comportamenti della società. La fisicità delle azioni e dei gesti determina lo sviluppo degli eventi umani più delle parole e della razionalità. Anche questo è un aspetto dell’utopia asimoviana: una Galassia in cui la razionalità sia così potente da regolare i comportamenti umani.
Una razionalità che tutto imbriglia, in un insieme di milioni di mondi che funzionano, più o meno, tutti secondo le stesse regole, allo stesso modo. Nel Ciclo dell’Impero, abbiamo visto come la capitale Trantor, con i suoi 40 miliardi di abitanti, sebbene tutta avvolta sotto la medesima cupola di metallo, con un clima omogeneo, una lingua e una cultura omogenee, aveva Settori con alcune (seppur ridotte) specificità di costume, di abbigliamento, di gusti.

Isaac Asimov
Nel Ciclo della Fondazione percepiamo una globalizzazione totale, maggiore di quella del mondo capitale dell’Impero. Si dice che nei mondi della Galassia centrale ci sono usi più raffinati, che i mondi della periferia sono meno evoluti, che alcuni mondi sono più o meno industrializzati o armati, ma quello che si percepisce è una grande somiglianza tra tutti i milioni di mondi della Galassia, con differenze che somigliano di più a quelle tra uno Stato e l’altro degli Stati uniti d’America che non tra quelle che ci sono tra i singoli stati del mondo o anche solo dell’Unione Europea. Direi anzi che tra una Regione e l’altra dell’Italia ci sono ben più differenze che tra un capo e l’altro della Galassia asimoviana, quello spazio utopico così stranamente privo non solo di diversità, ma anche di alieni. Una Galassia che somiglia a un infinito far west pronta a essere dominata da milioni di miliardi di americanissimi cowboy!
Un’altra cosa che colpisce leggendo queste storie nate a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale è come, per Asimov, l’umanità sia tanto evoluta da conquistare l’intera Galassia, viaggiare a velocità ben superiore a quella della luce, avere un controllo sulle menti, ma sia poi così primitiva per altri aspetti.
Se si pensa a quanto sia progredita la tecnologia negli ultimi due secoli, suona strano pensare che in una Galassia, che ha continuato a crescere ed evolvere, dunque priva di ritorni alla barbarie se non in mondi marginali, alcune cose siano rimaste tanto simili a come erano in America negli anni ’40 del secolo scorso!
Può forse stupire che una quattordicenne come Arcadia giri con in tasca i soldi per comprarsi un biglietto per un volo interstellare, ma in fondo se i mondi abitati sono ormai milioni, anche i viaggi per raggiungerli potrebbero essere diventati economici. Sembra però piuttosto primitivo che la medesima ragazzina per andare allo spazioporto cerchi una sorta di cabina telefonica (non ha neppure un rozzo telefonino!) per chiamare un taxi! Ma come, si vola da una stella all’altra in poche ore e sulla superficie dei pianeti si prende il taxi? Nel Ciclo dei Robot, almeno, Asimov aveva immaginato un sistema di nastri trasportatori a velocità variabile.
Anche l’apparecchio per il controllo mentale che compare alla fine di “Seconda Fondazione” è dotato di bottoni e manopole, che fanno un po’ sorridere nell’era del touch screen.
Se ai giorni nostri i libri cartacei sembrano essere in procinto di sparire, nei Cicli troviamo ancora degli oggetti definiti libri, ma che somigliano più che altro a videocassette o DVD.
Insomma, a parte i viaggi spaziali e poco più, non si capisce come possa la tecnologia essersi arrestata così. E non è solo questione di tecnica, ma anche di usi e oggetti quotidiani. In altri romanzi dei Cicli vediamo gente che gioca a tennis o che si riposa in poltrona. Su pianeti che non si ricordano più dell’esistenza della Terra, il tennis è sopravvissuto!
L’attenzione di Asimov sembra, insomma, concentrata sul progetto di Hari Seldon di prevedere e programmare matematicamente la storia mediante quella scienza che chiama psicostoria e mediante le due Fondazioni e non si cura troppo di immaginare uno sviluppo tecnico e sociale coerente con lo scorrere dei millenni e con la pluralità di mondi che compongono la Galassia, da cui dovrebbe discendere una pluralità di culture e modelli sociali, che Hari Seldon lo voglia o meno.