Archive for the ‘distopia’ Category

DICK ERA UN C… DI PRECOGNITIVO

Leggendo oggi l’antologia “Tutti i racconti – Vol. 3 (1955-1963)” di Philip K. Dick colpisce la sua grande capacità di anticipazione di molte tematiche tipiche del nostro tempo. Affronta infatti temi tipici della fantascienza di quegli anni come i viaggi spaziali e gli incontri con alieni, ma sono davvero rilevanti i racconti sociologici in cui immagina i mutamenti del nostro modo di vivere, riuscendo a cogliere nel segno le tendenze attuali, pur svuotate dei contenuti tecnologici dell’elettronica, dei videogiochi e del web, come a dimostrare che certe deformazioni comportamentali non sono implicite in tali strumenti ma in una tendenza evolutiva della società che Dick, molto meglio di altri, ha saputo cogliere con decenni di anticipo.

Nel racconto “Veterano di guerra” (1955) siamo in un futuro di quelli che la fantascienza immaginava nei suoi anni d’oro, con Venere e Marte abitate ma non da alieni bensì da mutanti umani giunti dalla Terra, rispettivamente i cosiddetti “piedi palmati” e i “corvi”. Due popoli in lotta con i terrestri. Un uomo ritorna dal futuro annunciando l’esito della guerra che deve cominciare e pregiudicandone quindi il suo stesso avvio. Trama già ricca ma che riserva altre sorprese.

Philip K. Dick, all’anagrafe Philip Kindred Dick (Chicago, 16 dicembre 1928 – Santa Ana, 2 marzo 1982)

In “Commercio temporale” (19559 una commerciante si sposta attraverso speciali portali offrendo le sue merci in epoche in cui sono carenti o assenti: gli effetti sull’economia dei viaggi tra universi.

Nanny” (1955), uno dei racconti avveniristici più inquietanti, specula sul tema della facile obsolescenza degli elettrodomestici immaginando delle tate-robot che vengono costruite sempre più grosse e armate in modo che quando si incontrano si combattono e distruggono a vicenda. I genitori ne vogliono di sempre più potenti e le fabbriche speculano sulla possibilità di venderne a ritmi sempre maggiori e prezzi sempre più alti.

In “Mutazione imperfetta” o “Il fabbricante di cappucci” (1955) i telepati sono usati per il controllo sociale ma delle speciali cuffie impediscono loro di carpire i pensieri in un mondo in cui l’innocenza deve essere dimostrata la colpevolezza è sempre presunta. I nuovi impianti di intelligenza artificiale che potrebbero connettersi direttamente alla mente degli utenti potrebbero essere le prime avvisaglie dell’avverarsi, ancora una volta di uno dei presagi ammonitori di Dick.

I personaggi di “Incursione in superficie” (1955) fanno pensare a “La macchina del tempo” di Wells. L’umanità, come nel romanzo ottocentesco, si è evoluta dividendosi in due specie diverse, una, i Tecno, che vive in superficie come gli Eloi e una, gli omo, che vive sottoterra come i Morlock. I Tecno salgono in superficie per catturare alcuni Omo ma il ragazzo protagonista, colpito dall’industriosità di quelle creature considerate primitive e incuriosito da una giovane artigiana, rinuncia alla copertura dell’invisibilità dei suoi compagni per farsi vedere da una ragazza di superficie, scatenando una grande agitazione.

Inquietante la vicenda di “Servizio Assistenza” (1955) in cui un tecnico riparatore di misteriosi sbibli, per errore giunge dal futuro. Nel suo tempo gli sbibli esistono sin dal lontano 1963, nati dopo la piccola guerra mondiale del 1961, assai minore di quella degli anni ’70, per controllare le devianze politiche. Il protagonista cerca di scoprire qualcosa del futuro e di queste macchine organiche che controlleranno l’umanità. Anche questo racconto ci mette in guardia dall’invadenza delle IA.

Oltre il recinto” o “Saltare il fosso” (1955) affronta il tema dell’invadenza della pubblicità, immaginando un futuro diviso tra il partito dei Puristi, ossessionati dalla pulizia (e dall’uso dei prodotti per l’igiene pubblicizzati) e i Naturalisti non assoggettati a tale visione. È un racconto che oggi appare addirittura iperrealista, con quei poliziotti che arrestano chi non è ben pulito o ha l’alitosi! La pubblicità al potere: fantascienza?

Qui come altrove Dick dimostra di saper cogliere gli aspetti più surreali del nostro mondo, anticipandone gli sviluppi o esasperandoli per mostrarne l’intrinseca follia.

Ancor più profetico e, quindi, inquietante, è il racconto “Yanci” (1955) che anticipa il mondo dei social (pur senza parlarne) e degli influencer, immaginando che sulla luna Callisto, popolata da 80 milioni di persone, un certo Yanci abbia un grande seguito, dicendo ovvietà o facendo affermazioni che la volta dopo contraddice, influenzando il comportamento della popolazione e portandolo verso l’omologazione e l’assenza di capacità critica. Spoilero dicendo che in realtà Yanci non esiste: è un personaggio “artificiale” creato apposta per suggestionare la gente. Ne deriva un totalitarismo non violento ma basato sulla persuasione ma che ha come obiettivo persuadere gli abitanti di Callisto a fare la guerra a Ganimede, perché “le guerre sono male ma una guerra è giusta quando difende il nostro modo di vivere”. Un’anticipazione dell’IA ma anche di certe forme di marketing e di politica.

Autofac” (1955) ci porta al nostro presente dominato da Amazon e dalle consegne a domicilio. Ben prima che la società e il sistema nascessero, Dick ne mostrava la degenerazione, con la grande fabbrica globale Autofac che continua a produrre merci, depauperando e inquinando il pianeta, anche se la gente non ne ha bisogno e non le vuole. I protagonisti cercano disperatamente di fermare le consegne continue di beni non richiesti, senza riuscirci e scontrandosi contro un sistema dominato dall’intelligenza artificiale, verso il quale l’uomo sembra non poter intervenire. Altro tema è la capacità di sistemi complessi automatizzati.

In “PSI” troviamo un personaggio in grado di teletrasportarsi indietro nel tempo per incontrare un generale spiegandogli che da lì a un anno lui e quasi tutto il mondo saranno morti nella guerra che sta per scatenare tra Russia e America. Entrambe le parti vorrebbero coinvolgere gli ESP per averli dalla loro parte ma telepati e precognitivi non vogliono schierarsi.

In “Umano è” (1955) abbiamo la tematica resa celebre da “L’invasione degli ultracorpi”, che trova le sue origini nella scrittura di Lovecraft, di un alieno che prende possesso del corpo di un bambino che comincia a comportarsi in modo diverso dal solito, in quanto i Rexoriani, fuggiti su Venere dal loro pianeta morto, hanno conoscenze della Terra di duecento anni prima e quindi anche il loro comportamento è antiquato. Non è detto ma il classico problema, centrale per esempio nel ciclo “Invasione”, che i tempi dei viaggi stellari sono tali da rendere vetuste le informazioni assunte in partenza, quando abbiamo civiltà in rapida evoluzione. Centrale peraltro è la speculazione su che cosa ci renda davvero umani.

In “Foster, sei morto” (1954) un bambino si trova bullizzato e isolato perché non ha diritto di accedere ai rifugi durante i bombardamenti sovietici. Quando suo padre finalmente decide di sacrificarsi comprando un bunker per la famiglia, i sovietici inventano nuovi missili perforanti che lo rendono desueto e inutile, salvo aggiornarlo ma le griglie da applicare sono troppo costose e la famiglia deve rinunciarci. Oltre al tema del bullismo legato alla ricchezza personale, c’è qui, come spesso in Dick, una forte critica del consumismo, con prodotti effimeri che devono sempre essere aggiornati, secondo un’esigenza che non più solo di adeguamento sociale ma estremizzata diventando del tipo “compra o muori”.

Moltissimi sono i racconti di Dick che hanno dato vita a film celebri, in primis “Gli androidi sognano

Minority report

pecore elettriche?” da cui deriva una pietra miliare della fantascienza come “Blade Runner”. “Minority report” è uno di questi, nato dal racconto “Rapporto di minorità” (1957) che vede un sistema di prevenzione del crimine effettuato mediante i pre-cog, i precognitivi, persone in grado di vedere i delitti prima che accadano. Questo ha portato a un mondo con un solo omicidio in 5 anni. Il meccanismo alla base è che se due precog hanno la stessa visione, quella del terzo precog (in minoranza) deve essere errata. Questo però può non essere sempre vero, perché chi ha accesso ai rapporti dei precognitivi può alterare il futuro e quindi anche i rapporti dei precognitivi che ancora non si sono espressi.

In “Al servizio del padrone” (1956) è in corso una guerra contro i robot perché c’è chi sostiene che il lavoro nobiliti l’uomo e quindi gli uomini debbano lavorare, ma ne deriva un mondo senza automi, in rovina, in cui gli uomini sono schiavizzati e costretti a lavorare sottoterra. Ma è davvero per questo che gli uomini avevano abolito gli androidi o piuttosto questi volevano dominare il mondo?

In “Diffidate delle imitazioni” (1956) troviamo un’umanità decaduta aiutata dagli alieni che riproducono gli oggetti per uso quotidiano anche se ormai non riescono a farlo più bene e questi oggetti non funzionano più. Gli stessi alieni nello sforzo di aiutare l’umanità sono diventati sterili e si stanno estinguendo. Così gli uomini sono costretti a imparare di nuovo a costruire oggetti per conto loro.

La macchina” (1956) è quasi un giallo con robot mutaforma che dopo aver ucciso un uomo si trasforma in televisore. Anticipazione della micro-robotica modulare, in cui numerosi moduli intelligenti possono aggregarsi per dar vita a macchine diverse. Forse un possibile futuro.

In “Allucinazioni” o “Le illusioni degli altri” (1957) ci sono alcuni individui paracinetici (con poteri PK), capaci di passare attraverso i muri, che il governo cerca di tenere sotto controllo. Un po’ come ne “La bambina dei sogni” o in “Psicosfera”, hanno la capacità di manipolare le proprie allucinazioni.

Modello 2” (1953) descrive una guerra tra Russi e Americani, in cui questi ultimi hanno costruito dei robot militari capaci di autorigenerarsi in forme sempre più evolute. Sono detti Artigli. L’arma si ritorce contro l’intera umanità, perché le nuove generazioni di Artigli assumono aspetto umano, spesso inerme o ferito, per avvicinarsi ai militari e ucciderli, senza badare più alla loro nazionalità, portando ciascuno a dubitare degli altri, temendo che ogni uomo possa essere un robot assassino. Se le macchine costruiranno altre macchine lo faranno sempre per il bene dell’umanità?

In “Zero-0” o “Non-0” (1958) troviamo un paranoide perfetto senza nessuna capacità empatica che considera tutto il mondo in guerra contro di lui. I mutanti paranoici Zero-0 sono in collegamento telepatico tra loro e mirano a distruggere il mondo. Vedono la suddivisione dell’universo in singoli oggetti come una convenzione e pensano che tutto vada ricondotto a unità mediante esplosioni di bombe sempre più potenti.

Tornando a casa” (1959) vede il rientro di sei astronauti da Marte, creduti morti e scambiati per alieni.

In “Meccanismo di richiamo” o “Meccanismo di ricordo” (1959) la paura dell’altezza si contrappone alla passione per questa.

Selvaggina pregiata” o “Una preda allettante” (1959) un fisico ha strane visioni di un grande occhio che lo osserva e trova persino un misterioso lingotto d’oro. Si è forse aperta una breccia tra il nostro e un altro mondo?

Ne “Il gioco della guerra” (1959) una fabbrica produce giocattoli “bellici” per educare i bambini ad affrontare le difficoltà della vita. Produce anche “Sindrome” una sorta di monopoli al contrario in cui vince chi perde tutto, mentre i soldatini robotizzati danno l’assalto alla cittadella e programmano la costruzione di bombe atomiche. Ulteriore riflessione sull’evoluzione dell’automazione e anticipazione dell’AI e della robotica.

In “Presidente di riserva” (1969) il sostituto del Presidente degli USA è un uomo qualunque che si trova a fronteggiare un’invasione aliena. Deve affrontare anche un uomo che controlla le TV durante le elezioni. Vi ricorda qualcuno?

In “Cosa ne facciamo di Ragland Park?” (1963) Culture è un programma ministeriale per la ricostruzione delle città abbandonate per lo spopolamento della Terra a seguito della colonizzazione di altri mondi. Un tizio che scrive ballate che si rivelano fare riferimento a persone reali forse grazie a suoi particolari poteri telepatici, è assunto da Culture per scrivere ballate politici che incastrino i loro nemici.

Come in “Yanci” anche con “Se non ci fosse Benny Cemoli” (1963) Dick affronta l’idea di personaggi immaginari che influenzano l’opinione della gente, anticipando i nostri tempi. Benny Cemoli è un presunto agitatore politico che nessuno ha mai visto. Esiste davvero? Di lui parla il Times, un giornale omeostatico che si scrive da solo.

Ancor più inquietante e attuale è “I giorni di Perky Pat” (1963). Dopo una Catastrofe che ha reso inabitabile la superficie della Terra, ricoperta di polvere e abitata da pseudogatti e pseudocani feroci, gli adulti passano in tempo ad arredare la casa della bambola Perky Pat, che ricorda il mondo ante-Catastrofe. Un’anticipazione della realtà virtuale, senza elettronica e web. I giocatori spendono tutto quello che hanno per migliorare la loro bambola. Quando scoprono che in un altro Pozzo c’è una bambola diversa, sono presi dal desiderio di conoscerla e possederla. I bambini invece sembrano immuni e passano il tempo cacciando animali mutanti in superficie.

Tante visioni diverse di un futuro che somiglia sempre più al nostro presente o che pare avvicinarsi pericolosamente. A che cosa servono, allora, gli avvertimenti degli autori di fantascienza? Siamo ancora in tempo per imparare dal genio anticipatore di Dick o le sue derive sociali sono ormai inevitabili per noi? Un autore che se tutti avessero studiato a scuola negli anni ’60, forse avrebbe potuto cambiare il mondo.

CONCORSI DI FANTASCIENZA,  SALONE DEL LIBRO, GATTI MAGICI E COSPLAY

Nelle prossime settimane ho alcuni importanti appuntamenti cui vi invito a partecipare tutti:

  • Il 13 maggio alle 16,00 ci sarà a Pavia, presso il Ctrl-Alt Museum, via Riviera, 39, la proclamazione dei vincitori del premio World SF Italia (Angelo Frascella e Carlo Menzinger a ex aequo) e dei vincitori del Premio Vegetti. Sono in finale nella categoria dei romanzi con Massimo Acciai Baggiani con il nostro volume di fantascienza ESP “Psicosfera” (Tabula Fati, 2022), mentre Chiara Sardelli è in finale per i saggi con il testo che si occupa della mia produzione “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” (Solfanelli, 2022). Nella stessa occasione uscirà il nuovo numero della rivista World SF Italia Magazine curata da Luca Ortino con il mio racconto “Mecca e IGM”.
  • Il 16 maggio alle ore 18,00 presentazione a Villa Arrivabene (Piazza Alberti 1/A, Firenze) dell’antologia “A Firenze, Centro Storico” in cui è presente il mio racconto “Le Città Vaganti” che racconta di un futuro surreale in cui per salvarsi dall’inalzamento dei mari le città si trasformano in navi.
  • Presenterò per la prima volta “Quel che resta di Firenze” (Tabula fati, 2023) e parlerò ancora di “Psicosfera” (Tabula fati, 2022) al Salone del Libro di Torino 2023 presso gli Stand di Tabula fati (C66) il 18 Maggio 2023 (dalle ore 16,00 alle ore 16,30) e il 19 Maggio 2023 (dalle ore 13,00 alle ore 13,30). Interverrò inoltre il 18 Maggio 2023 alle ore 18,15 presso la Sala Indaco assieme ad altri autori di genere fantastico. Si accede al Salone del Libro di Torino da Lingotto Fiere in Via Nizza 294 e via Matté Trucco 70.
  • Il 20 Maggio il racconto “La gatta impossibile” sarà premiato con il Premio Bastet (come il nome della gatta protagonista!) dall’Accademia dei Gatti Magici, Testimoni e Ispiratori nelle Arti e nelle Civiltà in occasione del Maggio Felino 2023 che si svolge a Fiesole (Firenze) dalle ore 16,00 in poi, alla Sala del Basolato di piazza Mino col patrocinio del Comune e della Biblioteca Comunale. “La gatta impossibile” è presente nell’antologia collettiva “In perfetta felitudine” (Pro Natura Valdarno, 2021) curato da Barbara Gori e nella silloge individuale “Quel che resta di Firenze” (Tabula fati, 2023). A causa dell’alluvione l’evento è stato sospeso e rimandato a settembre.
  • Dal 2 al 4 giugno si svolgerà presso l’Anfiteatro del Parco delle Cascine il “Firenze Cosplay 2023”. Sarò presente per tutte le giornate allo stand di Tabula fati (Stand A9, presso l’Anfiteatro delle Cascine “Ernesto De Pascale” e il parco delle Cornacchie, di fronte all’Area spettacolo e accanto all’Area HP) dove potrete trovare i volumi da me editi con questa casa editrice. Saranno con me Massimo Acciai Baggiani, Chiara Saredelli, Melania Fusconi, Silvia Banzola e Sandra Moretti, con i loro libri.
  • Il 7 giugno 2023 presenteremo ancora “A Firenze, Centro Storico” con il mio racconto “Le Città Vaganti” alla Biblioteca delle Oblate (via Dell’Oriuolo, 24, Firenze).
  • Lunedì 12 Giugno alle ore 9,00 andrà in onda la mia intervista su “Psicosfera” ma anche “Quel che resta di Firenze” con Silvia Aonzo ed Emanuela Ferrara nella rubrica Il cannocchiale.
  • Lunedì 12 Giugno alle ore 16,00 nell’Auditorium del Consiglio Regionale della Toscana in via Cavour, 4, alla presenza della dott.ssa Cristina Giachi, presidente della V Commissione Cultura del Consiglio Regionale della Toscana, sarà presentata l’antologia di racconti del GSF – Gruppo Scrittori Firenze “Le immaginate”, che contiene il mio racconto “Alice alla ricerca del tempo perduto”.
  • Il 16 giugno 2023 alle ore 17,00 presenteremo alla Biblioteca del Giardino dell’Orticultura (Via Vittorio Emanuele II, $ e Via Bolognese 17, Firenze) l’antologia “A Firenze, Rifredi” che contiene il mio racconto su un incendiario ecologista “Nerone a Rifredi”.
  • Lunedì 19 giugno alle ore 19,00 al Fiorino Sull’Arno (lungarno Pecori Giraldi, 50, Firenze) presentazione dell’antologia “Le immaginate” (Il Foglio, 2023) curata da Cristina Gatti e Nicoletta Manetti con il mio racconto “Alice alla ricerca del tempo perduto” ispirato alla bambina immaginata da Carroll e a Proust. A seguire apericena e concerto dei BBQ.
Il presidente della World SF Italia, Carlo Menzinger e l’editore Marco Solfanelli del Gruppo Editoriale Tabula fati.
Presentando “Quel che resta di Firenze” in Sala Indaco al Salone del Libro di Torino
Presentando gli ultimi volumi al Salone del Libro di Torino

Qui alcuni video:

18/05/2023, Salone del Libro di Torino: prima presentazione presso lo stand di Tabula fati.

18/05/2023, Salone del Libro di Torino: presentazione degli autori di genere fantastico di Tabula fati presso la Sala Indaco.

19/05/2023, Salone del Libro di Torino: seconda presentazione presso lo stand di Tabula fati.

BOMBARDAMENTO DI VIOLENZA

Anthony Bugess

Guardo piuttosto spesso film horror ma nessuno di questi è mai stato per me disturbante come “Arancia meccanica” (1971) di Stanley Kubrick: nessuna scena mi ha mai costretto a distogliere lo sguardo e provare una sensazione di nausea come il trattamento di cura riservato al protagonista, quel teppistello assassino di Alex. In effetti, Kubrick è anche il geniale colpevole del solo film che mi abbia provocato per anni degli incubi. Sto parlando di “2001 Odissea nello spazio” e, in particolare, della parte finale con l’astronauta in quella casa in cui il tempo sembra scorrere accelerato. Certo va detto che vidi quest’ultimo in età prescolare e “Arancia meccanica” pochi anni dopo. La mia sensibilità attuale è di certo cambiata. Lo posso confermare per “2001 Odissea nello spazio” avendolo poi rivisto senza problemi almeno un paio di volte. Non mi sono, invece, mai più cimentato con la visione di “Arancia meccanica”. Ho, invece, appena letto il romanzo di Anthony Burgess (Manchester, 25 febbraio 1917 – Londra, 22 novembre 1993) del 1962 da cui è tratto.

Penso che se le mie notti potranno essere agitate non sarà certo colpa di questa lettura, che non ho percepito come di un horror. A dir il vero, l’ho affrontato trovandolo, con mia sorpresa in una lista di romanzi di fantascienza. È fantascienza? Prima di rileggerlo non lo avrei mai pensato, ma in effetti, qualcosa del genere lo ha.

Innanzitutto il linguaggio usato dal protagonista Alex, voce narrante è uno strano gergo giovanilistico che non mi pare possibile sia mai esistito: una lingua inventata come se ne trovano in alcune delle migliori opere di genere fantastico.

Eccovi l’incipit, tanto per rendere l’idea:

“- Allora che si fa, eh?

C’ero io, cioè Alex, e i miei tre soma, cioè Pete, Georgie, e Bamba, Bamba perché era davvero bamba, e si stava al Korova Milkbar a rovellarci il cardine su come passare la serata, una sera buia fredda bastarda d’inverno, ma asciutta.

Il Korova era un sosto di quelli col latte corretto e forse, O fratelli, vi siete scordati di com’erano questi sosti, con le cose che cambiano allampo oggigiorno e tutti che le scordano svelti, e i giornali che nessuno nemmeno li legge.

E si va avanti così fino all’ultima pagina.

Altro aspetto fantascientifico è la possibilità di curare persone malvagie, rendendole così buone da non sapersi più difendere, con

un veloce condizionamento (15 giorni) a base di un bombardamento di immagini “ultraviolente” che sconvolgono il “planetario” (così chiama la testa). La morale pare essere che senza un po’ di propensione alla violenza, saremmo tutti solo vittime.

Il romanzo viene definito distopico perché mostra una città in cui la violenza è ovunque, non solo nelle azioni e nel gergo dei teppistelli protagonisti, ma anche nei “cerini” (così vengono chiamati i poliziotti) ma anche in gente normale, dalle vittime di Alex che gli si rivoltano contro appena possono al branco di “bigi” (vecchi) che lo aggrediscono quando esce di prigione. Distopia? Non c’avrei quasi pensato, tanto il contesto mi pare poco lontano dalla realtà. Mi pare più surreale, piuttosto, che un balordo come Alex sia appassionato di musica classica!

Leggo che il titolo originale in inglese, “A Clockwork Orange”, trae origine da cockney londinese: “As queer as a clockwork orange” (“strano come un’arancia a orologeria”). La frase indicherebbe qualcosa che appare naturale come un’arancia, ma che cela in realtà una natura estremamente bizzarra e inusuale. Leggendo mi pare che vi sia anche un significato legato alla trasformazione di qualcosa di naturale in qualcosa di meccanico. Alex, infatti, viene costretto a vedere film violenti per indurlo a provare orrore per comportamenti antisociali. Si trasforma così artificialmente in una vittima di un mondo violento, incapace di reagire.

Romanzo che ancora oggi a oltre sessant’anni da quando fu pubblicato, suona originale, trascinante e potente.

Penso sia ora di leggere altro di Burgess, magari “Il seme inquieto”.

NOVE PENNE PER L’UCRAINA

Strani anni questi con cui è iniziato il decennio. Prima bloccati in casa per la pandemia, con l’economia in crisi per assenza di turismo, riduzione dei consumi, imprese chiuse, poi una guerra in Europa che sembra quasi sia la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ma purtroppo non è per nulla così, persino in Ucraina già si era combattuto, ma anche in Bosnia, Kosovo, Cecenia e questo evitando di considerare atti bellici i numerosi attentati di varia matrice. La differenza sono le parti in causa e chi le sostiene, che sommano agli orrori di chi la guerra la subisce con morti, feriti e devastazioni gli effetti inusitati sulle tasche degli italiani e degli altri europei, che si apprestano a patire un gelido inverno russo con bollette di energia e gas e spese per riscaldamento alle stelle.

Ho appena finito di leggere lo splendido saggio “Il declino della violenza” di Pinker che, giustamente, sostiene che questa si sia ridotta enormemente in tutte le sue manifestazioni, anche quella bellica. Tra le tante cose, però, notava (il volume fu pubblicato nel 2011) che la cosiddetta Lunga Pace in Europa non sarebbe potuta durare ancora a lungo (statisticamente e storicamente parlando) e che il momento in cui le guerre iniziano e quello in cui finiscono non sono prevedibili, ma anche se la tendenza verso la pace è sempre più forte, questo non c’avrebbe esonerato da un nuovo importante conflitto europeo. Tra le possibili aree di crisi accennava ai rapporti tra la Federazione Russa e gli stati dell’ex-URSS.

Ebbene, eccoci qua, nel mezzo di questa invasione russa dell’Ucraina i cui sviluppi ed esiti restano ancora misteriosi. La Russia, ossessionata dall’idea dell’accerchiamento NATO e dell’avanzata di questa e dell’Unione Europea su quelli che un tempo furono suoi territori, volenterosa di riportare sotto l’ala di Mosca zone popolate da numerosi russi, ha sferrato un attacco che, si presume, immaginasse veloce, ma la comunità internazionale ha reagito come non aveva fatto nel caso di altre sue azioni in Georgia, Cecenia e nella stessa Ucraina, creando una drammatica situazione di stallo da cui appare difficile uscire.

In questo clima uno dei più importanti autori di genere ucronico e fantascientifico italiani, Pierfrancesco Prosperi, dopo aver scritto un racconto ispirato a queste vicende, ha pensato bene di chiamare a sé alcuni amici perché dessero ciascuno il proprio contributo narrativo.

Realizza così il volume “SLAVA UKRAÏNI!” con l’esemplificativo sottotitolo “9 Penne contro l’Orco”: “Poi mi è venuta l’idea di allargare il tiro, coinvolgendo altre penne, fantascientifiche e no, in un’Ùantologia partita col titolo provvisorio PENNE CONTRO L’ORCO, tanto per essere chiari, e poi diventata SLAVA UKRAÏNI!, dal grido di battaglia novecentesco che in italiano suona “Gloria all’Ucraina!”. Sarebbe stata, chiaramente, un’antologia di parte; non che non si potessero criticare gli ucraini, per carità, ma doveva essere ben chiaro chi era l’aggressore e chi l’aggredito” scrive lo stesso Prosperi nella sua introduzione.

Gli autori sono Massimo Acciai Baggiani, Renato Campinoti, Mauro Caneschi, Alberto Costantini, Alberto Henriet, Carlo Menzinger di Preussenthal, Thomas M. Pitt, Pierfrancesco Prosperi ed Erica Tabacco. L’editore è Tabula Fati. Acciai, Campinoti, Menzinger e Prosperi sono tutti membri dell’associazione culturale Gruppo Scrittori Firenze e già hanno collaborato tra loro in altri progetti.

Apre l’antologia Alberto Costantini con il suo “Nata il 24 febbraio” che ci mostra un “futuro allucinato e distopico” attraverso il diario di una ragazza nata il giorno in cui è iniziata la guerra e che ora vive in un’Italia e in un Europa soggiogate e in perenne stato di guerra.

Ho avuto l’onore di essere uno degli autori di questa raccolta e il mio “Ucronie ucraine” è il secondo della serie. Amo spesso usare allitterazioni nei miei titoli e questa volta ci stava proprio bene dato che vi si racconta di uno scienziato ucraino, fervente patriota, che, nel 2222 cerca di liberare la sua patria dal bisecolare dominio russo con strampalati e sempre più sfortunati viaggi nel tempo che creano universi ucronici distopici fino a un ironico e surreale finale.

“Cuore di ghiaccio”, la “cinica e beffarda cronaca di Mauro Caneschi, intrisa di echi dickiani” (come scrive Prosperi) ci porta in un’estensione del conflitto che vede i russi avanzare in territorio polacco, in una strategia volta a “indurre i paesi alleati dell’Ucraina ad accogliere ondate gigantesche di profughi che ne piegavano la logistica e le risorse”, mentre “L’Ucraina era una distesa di macerie”.

A proposito del racconto del curatore, “Il mio processo come criminale di guerra”, lascerei la parola allo stesso Prosperi che così ne parla nell’introduzione “Ribaltando la situazione, ho immaginato che gli americani, occupata inopinatamente Mosca in un prossimo futuro grazie al solito virus, sottopongano a processo il Presidente e il governo russo per i crimini di guerra commessi durante l’invasione del confinante paese di Ukronia, ottenendo dalla difesa di questi personaggi risposte e argomentazioni surreali e non troppo dissimili da quelle usate nei mesi scorsi dalle fonti ufficiali moscovite”.

Il conflitto immaginato è quanto mai duro con “una serie di incendi di origine chiaramente dolosa” che “ha devastato il principale istituto di ricerca sulle armi biologiche ad Aralsk, scatenando un virus che in pochi giorni ha sterminato tra i dieci e i quindici milioni di persone tra bambini e adulti” e sebbene si svolga nel Paese immaginario di Ukronia, i riferimenti alla storia attuale sono evidenti. Quando il conflitto pare volgere a favore degli americani, tutto cambia a sorpresa.

Ne “La guerra di Aleksej” di Alberto Henriet, il conflitto si mescola con il sadismo di chi la combatte in prima persona. Come scrive l’autore, “Aleksej ha trentadue, ed è russo. Fa parte di un gruppo paramilitare di estrema destra di San Pietroburgo, il Rusich. Combatte come volontario nell’operazione militare speciale, lanciata da Putin in Ucraina il 24 febbraio 2022. È un ufficiale al comando di giovani soldati totalmente inesperti”. “Aleksej il lupo del Rusich, è un gran figlio di puttana. Non è un militare, ma una bestia sadica. Continua ad andare in quel fottuto capanno. Per torturare Viktor, il soldato gay di Kiev.”

Uno dei suoi militari dice “Col mio blindato, a volte Aleksej mi costringe a schiacciare auto di civili ucraini, uccidendoli senza una ragione militare apparente. Il loro unico torto è di trovarsi sulla mia traiettoria.”

In “Una cinica decisione” di Thomas M. Pitt gli alleati dell’Ucraina si interrogano su come sbloccare una situazione che pare ormai senza vie d’uscita.

La sola autrice donna del volume, Erica Tabacco, giustamente, dedica il proprio “Bersaglio numero 2” a un’immaginaria eroica First Lady ucraina, vittima di un drammatico attentato.

Massimo Acciai Baggiani nel suo “Osservatore”, che vede protagonista una bambina, fa intervenire nel conflitto un utopistico alieno, lanciando una speranza di pace.

Ecco poi, a chiudere il libro, un insolito Renato Campinoti in veste fantascientifica, che immagina in “Il passato non è mai morto” gli sviluppi del conflitto nel 2024 e i nuovi assetti politici del pianeta.

Insomma, un’immagine spesso drammatica e dura dei possibili sviluppi futuri di questo conflitto devastante, con racconti scritti con impegno, partecipazione ma non privi di ironia, perché anche nelle tragedie è lecito sorridere o fare della satira e questo non abbassa il tono di un messaggio politico forte di condanna di un conflitto che questo XXI secolo e quest’Europa (che pareva aver ormai imparato la lezione dopo due conflitti mondiali), non avrebbero mai dovuto vedere.

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Antonella Cipriani ne scrive qui su Testi e Parole.

AVANTI E INDIETRO NEL TEMPO

In “Tahu-Nui-A-Rangi. Il grande incendio del cielo” di Raffaele Formisano (Edizioni Mea, 2021) in un futuro non troppo lontano (2077) dominato dalle multinazionali, un gruppo di cyborg (biodroidi, ex-uomini) indaga su strani meteoriti di origine marziana, tra viaggi nel tempo (che ci portano nell’antico egizio, ad assistere ai viaggi al polo di Amudsen e in molte altre epoche), una pandemia di Morbo Egiziano che ricorda il nostro covid-19, e segreti familiari.

Molte sono le storie che si intrecciano a formare una trama fitta e articolata, che cela misteri che riguardano le origini della nostra civiltà. Un’occasione per riflettere sul futuro, i limiti, gli sviluppi e la morale della tecnologia, soprattutto quando ci rende meno umani.

Una storia che solletica la nostra paura dell’ignoto e ci spinge a porci domande sull’eticità delle scelte della nostra civiltà.

Il romanzo, nella produzione di questo autore, fa seguito ad altre due opere di carattere fantascientifico, “Il paradosso di Schrödinger” (2016) e “Progresso” (2018), ma come si legge in postfazione è in realtà il primo da lui scritto.

Ho condiviso con Formisano la partecipazione alla bella antologia multimediale “Soundscapes” (Edizioni Scudo, 2021) che contiene il suo racconto “Loop”, ispirato al brano “Chiaroscuri flowers” di Jagorart (Marco Besana), in cui il protagonista rimane intrappolato in un ciclo temporale chiuso in cui rivive sempre la stessa fase del suo viaggio in autostrada. Di nuovo, dunque, un interesse dell’autore per le anomalie temporali.

In realtà di Formisano avrei letto anche “Vitreo”, un romanzo collettivo firmato da Joshua Di Bello, dietro cui si cela il collettivo letterario Gruppo Nove, di cui Formisano è membro.

Raffaele Formisano

L’UMANITÀ TRA MILIONI DI ANNI

Difficile immaginare un futuro lontano un miliardo di anni. Altamente improbabile immaginarlo con un’umanità non estinta e ancora presente, sebbene relegata in due sole città che non si conoscono. Eppure la fantascienza classica del dopoguerra sapeva essere ottimista anche quando dipingeva distopie. “La città e le stelle” (1957) di Arthur Clarke, in effetti è, scusate l’ossimoro, un po’ una distopia utopistica. L’umanità, che aveva conquistato le stelle è stata sconfitta, parrebbe, milioni di anni prima, da una razza aliena che l’ha relegata sulla Terra. Sebbene questa sia ormai piuttosto arida, gli abitanti di Diaspar vi sopravvivono in un ambiente incredibilmente ancora tecnologico, in cui nessuno muore più, ma in cui i corpi vengono riciclati e le menti conservate da un immane computer per essere reimpiantate in corpi rinnovati. Penso qui al più recente “Problema dei tre corpi” di Liu Cixin con gli alieni che disidratano e reidratano. Eppure, questa gente così tecnologica non sa che poco lontano dalla loro città ce n’è un’altra dove le persone ancora nascono, invecchiano e muoiono, hanno poteri telepatici e meno tecnologia.

Diaspar è programmata in modo che ogni tanto (dopo alcuni milioni di anni) nasca un individuo (un Unico) capace di pensare fuori dagli schemi e di uscire dagli angusti confini della città. Sarà uno di questi, Alvin, a mettere in comunicazione le due città e a guidare di nuovo l’uomo verso le stelle.

Sir Arthur Charles Clarke (Minehead16 dicembre 1917 – Colombo19 marzo 2008) è stato un autore di fantascienza e inventore britannico.

Alcune visioni di Clarke sono buone anticipazioni del nostro presente come le Saghe che paiono realtà virtuali o le pareti schermo.

Il mondo appare distopico nella sua omologazione e piattezza sociale e nella mancanza di ogni iniziativa e stimolo individuale. Appare utopistico nel lieto fine e nel riuscire a tornare a “riveder le stelle”.

Opera che si legge ancora bene, piacevole il rapporto tra il robot di una città e il computer dell’altra e l’arcaica creatura psichica artificiale ancora infantile sebbene antichissima e capace di rapida crescita intellettiva. Un po’ scontato il meccanismo narrativo di illustrare un mondo diverso con gli occhi di un personaggio proveniente da un’altra realtà.

Forse non un capolavoro ma romanzo intelligente ed evoluto per i tempi in cui è nato.

LA RIVOLUZIONE SOVIETICA DEI ROBOT

Come non leggere “RUR Rossum’s Universal Robots”, il testo teatrale ceco di Karel Capek (Malé Svatoňovice, 9 gennaio 1890 – Praga, 26 dicembre 1938) che, nel 1920, introduce il termine “robot”, si pone come una delle prime opere di fantascienza e come riferimento per un’ampissima letteratura successiva?

Questo caposaldo della letteratura europea risente del clima politico a ridosso della rivoluzione russa. I robot immaginati sono forse più vicini al mostro di Frankestein ideato da Mary Shelley che alle macchine antropomorfe di Isaac Asimov, poiché sono esseri organici, in tutto simili a noi (e identici tra loro sebbene alcuni di aspetto maschile e altri femminile). Oggi li diremmo piuttosto androidi, ma il termine robot (“lavoratore” in ceco) nasce proprio da qui.

Dapprima si vede in queste creature il modo per affrancare l’umanità dal lavoro. Giustamente i personaggi immaginano che con lo sviluppo di tali automi ogni cosa costerà meno e non sarà più necessario lavorare. Purtroppo, il mondo moderno non sembra voler seguire questa semplice logica e ad avvantaggiarsi dell’automazione non sono le masse ma solo pochi.

Il dramma teatrale assume presto toni di distopia in quanto i robot, cui uno dei personaggi dona la capacità di provare emozioni, si ribellano all’uomo (ormai divenuto sterile e demotivato), che considerano una creatura inferiore, sterminandolo. Rimasti soli i robot, però, non conoscendo la “formula” per creare altri come loro e non potendo riprodursi sessualmente scoprono di essere anch’essi destinati all’estinzione. La “natura” si mostra però forte e tra due di loro scoccherà la scintilla dell’amore e, pare, la possibilità di procreare, dando così vita a una nuova umanità di “lavoratori artificiali” ma liberi.

Da notare che quando i robot danno vita a una loro “rivoluzione dei lavoratori” gli umani pensano che l’essere loro tutti uguali li rende più forti e che quindi dovrebbero da quel momento in poi creare “robot nazionali” e non più “universali”, ognuno con diversi colori della pelle, lingue, nazionalità, costruiti per odiarsi tra loro, in modo da non insidiare l’umanità. Ma non ci sarà il tempo per mettere in atto un simile piano.

Siamo insomma più dalle parti delle prime distopie che non della fantascienza classica di venti o

Karel Capek (Malé Svatoňovice, 9 gennaio 1890 – Praga, 26 dicembre 1938)

trent’anni dopo.

Viene da pensare soprattutto alla rivoluzione socialista de “Il tallone di ferro” (1908) di London o alla critica del conformismo sovietico di “Noi” (1921) di Zamjatin.

L’idea di un’umanità sterile la ritroveremo, invece, in tempi più recenti in “Gli eredi della Terra” (1976) di Kate Wilhelm.

Inutile e complesso, invece, elencare le innumerevoli opere in cui ritroviamo esseri robotici.

UNA MAESTOSA E COMPLESSA TRILOGIA

Superati gli anni della cosiddetta fantascienza classica, due erano per me le saghe più affascinanti per complessità, originalità e fantasia creativa: il ciclo della “Torre Nera” (1982-2012) di Stephen King e “I Canti di Hyperion” (1989-1997) di Dan Simmons. Ora che ho completato la lettura del terzo volume della saga di Liu Cixin, penso che a questi cicli si possa più che degnamente accostare la trilogia dei “Tre corpi”, composta daIl problema dei tre corpi” (2017), “La materia del cosmo” (2108) e “Nella quarta dimensione” (2018), tre romanzi autoconclusivi pur strettamente collegati tra loro e in logica successione cronologica. Poiché ogni volume pare concludere la storia, non escluderei che il ciclo possa continuare.

Questi tre romanzi contengono al loro interno talmente tante idee che se ne sarebbero potute trarne decine di romanzi. Sono al contempo un ritorno alla fantascienza classica, in quanto pongono di nuovo speculazioni scientifiche al loro centro, ma anche innovativi per i temi trattati e il diverso approccio.

Liu Cixin (Yangquan, 1963) gioca soprattutto con la fisica, come si può capire dai titoli, in una girandola di trovate che si succedono senza posa l’una dopo l’altra.

Se nel primo volume è centrale il complesso sviluppo di una civiltà su un mondo con tre soli (Alpha Centauri), con enormi e imprevedibili variazioni climatiche, nel secondo mi pare abbia un particolare peso il concetto che non abbiamo mai incontrato alieni perché ogni civiltà teme le altre e se ne sta nascosta: appena si fa scoprire viene distrutta.

Il terzo romanzo “Nella quarta dimensione” ci parla di universi a quattro, due e dieci dimensioni e alla possibilità di passare dall’uno all’altro e di usare queste trasformazioni dimensionali come armi micidiali.

Dire che i tre romanzi parlano di questo, però sarebbe fare loro un grosso torto, perché sono molto di più.

Se i riferimenti storici de “Il problema dei tre corpi” sono ben più recenti, “Nella quarta dimensione” comincia a Costantinopoli nel 1453, durante la caduta dell’Impero Bizantino, con Costantino XI Paleologo, una Maga e una coppa d’oro.

La scena si sposta però ben presto nel futuro, esplorando secoli sempre più distanti.

Si riprende, infatti, presto là dove ci aveva lasciato “La materia del cosmo”, con i tentativi dell’umanità di

Liu Cixin

difendersi dall’aggressione dei trisolariani con il potere affidato agli Asceti Impenetrabili e con la repressione dei tentativi di “Escapismo” (abbandonare la Terra). Troviamo quindi un’umanità il cui sviluppo scientifico e tecnologico è vincolato e bloccato dal potere trisolariano, che impedisce loro di sviluppare viaggi spaziali con strumenti migliori dei primitivi razzi chimici. Gli umani sono controllati dai trisolariani mediante i sofoni (intelligenze artificiali subatomiche create mediante il dispiegamento di un protone multidimensionale su due dimensioni e il suo successivo “rimpacchettamento”) che conoscono ogni loro iniziativa e dunque i terrestri non possono sfruttare alcun effetto sorpresa per combatterli.

Il primo tentativo degli umani per contrastare i trisolariani, la cui tecnologia pare molto superiore, è un’ingegnosa sonda che usa la propulsione di varie bombe nucleari fatte deflagrare lungo il suo percorso. Ne raccoglie l’energia con un’immensa vela solare. Suo scopo è portare un cervello umano (un uomo intero peserebbe troppo) su Alpha Centauri per creare una trappola ai Trisolariani. Umani e trisolariani, infatti, pur essendo in guerra tra loro, non si sono mai incontrati “fisicamente”. Il tentativo apre la porta per interessanti considerazioni su crioconservazione e viaggi spaziali, per i quali l’autore offre sviluppi innovativi.

Il cervello che sarà spedito nello spazio è quello di Tianming, che avevamo già conosciuto per aver regalato una stella alla protagonista Cheng Xin. Stella che avrà un suo ruolo nel romanzo.

Questo progetto, detto “Risalita” sarà solo il primo dei fallimenti dell’umanità in questo romanzo e andrà ad aggiungersi ai precedenti della saga. Un’ idea che caratterizza questo romanzo è quella di futuro regressivo, proprio il contrario dell’ottimismo utopistico della fantascienza classica. Non solo l’intera trilogia è un progressivo decadere attraverso apocalissi successive sempre più gravi, ma Liu Cixin sembra volerci dire che prende questo suo pessimismo cosmico dalla Storia, in cui le dinastie cinesi sono andate decadendo nel loro succedersi. Una visione della Storia che definirei Postmoderna ma quanto mai attuale e quanto mai in sintonia con mie opere come “Apocalissi fiorentine” e l’ancora inedito “Quel che resta di Firenze”.

Ecco poi il fallimento della nave “L’età del Bronzo” fuggita nello spazio profondo, il cui equipaggio sopravvive grazie al cannibalismo e i cui superstiti sono condannati per questo al loro ritorno.

Ecco poi un’era di decadenza, in cui l’umanità diviene effemminata, difendendosi dalla guerra grazie alla minaccia della Deterrenza (una sorta di Guerra Fredda che i recenti eventi fanno sembrare non più così remota), restando in stallo, in quanto minacciano di rivelare l’uno l’esistenza dell’altro mondo ad altre razze: si è ormai appreso che appena un mondo mostra di essere abitato da esseri intelligenti è distrutto da qualche altra civiltà, che teme di subire analoga sorte. La protagonista Cheng Xin, che attraversa le ere grazie alla crioconservazione nota come non ci siano più uomini veri. Non è la sola a farsi ibernare. La insegue attraverso il tempo, per ucciderla, Thomas Wade. Fallisce e Cheng Xin diviene Tiranno della Spada, colei cioè che può decidere la distruzione della Terra, per non farla cadere in mani aliene. Decide di non esercitare il suo potere condannando l’umanità a un’ancora peggiore decadenza. L’umanità riceve dai trisolariani moltissime nuove conoscenze scientifiche, ma molte si rivelano un inganno e portano i terrestri a seguire studi senza uscita. In cambio i trisolariani ricevono il modello sociale, le arti e la cultura del nostro mondo. Sarà l’accesso a bolle quadridimensionali a permettere all’umanità di sconfiggere i trisolariani le cui armi principali, le “gocce” si avvalgono di analoghi principi “dimensionali”. Il pericolo però ora viene da altri nemici alieni, che distruggono Trsisolaris, la cui posizione è stata rivelata dalla Terra. Essendo il nostro mondo molto vicino è solo questione di tempo prima che altri alieni ci scoprano e distruggano.

Occorre trovare un modo per dimostrare alla galassia che i terrestri sono inoffensivi. Tra le trovate più sorprendenti c’è il tentativo di ridurre la velocità della luce per renderci invisibili.

Ricompare Tianming, cui i trisolariani hanno ridato un corpo, che rivela a Cheng Xin come difendersi mediante tre fiabe in cui cela quanto ha appreso dai trisolariani, che, sebbene, il loro mondo sia stato distrutto mantengono il controllo sulla Terra mediante i sofoni. Va detto che anche queste fiabe, di fatto un’unica storia, hanno la loro autonoma capacità narrativa.

Parte un piano per nascondere grandi astronavi dietro i giganti gassosi del Sistema Solare, in modo da proteggerle dalla deflagrazione quando gli alieni disintegreranno il Sole. Peccato che l’arma usata contro la Terra non sarà la stessa che ha distrutto Alpha Centauri, cogliendo di sorpresa i terrestri. Si torna, infatti, a parlare di universi a più dimensioni e della possibilità di trasformare uno a tre dimensioni in uno a quattro o due dimensioni. Questo si rivela essere un’arma più potente di quelle sinora note.

Mentre il Sistema Solare si appiattisce in due dimensioni, si cerca un modo per preservare almeno la memoria dell’umanità. Ecco poi popoli alieni che cercano di far annichilire l’universo per tornare a un nuovo Big Bang e ricreare uno spazio multidimensionale.

Ecco la protagonista che sopravvive in una sorta cubo (Universo 647) che segue strane regole dimensionali, dal quale può tornare sul mondo della stella che gli ha donato il suo amico Tiamming.

In un modo o nell’altro, dunque Cheng Xin attraversa tutte le ere inventata Liu Cixin: Era Comune (fino alla scoperta della civiltà trisolariana), Era della Crisi, Era della Deterrenza, Era Post Deterrenza, Era della Trasmissione, Era del Bunker, Era Galattica.

Le basi “scientifiche” di questo volume sono dunque soprattutto legate ai concetti di universi con diversi numeri di dimensioni, ma non mancano altre trovate come la sonda che viaggia con esplosioni nucleari o le comunicazioni mediante onde gravitazionali. Una delle prime riflessioni che questo romanzo induce a fare è su come la Vita influisca sulla morfologia e la geologia dei pianeti.

Il tema degli universi con diverse dimensioni fa pensare a “Flatlandia” (1884) di Edwin Abbott Abbott ma anche a “Le cosmicomiche” (1963) e “Ti con zero” (1967) di Italo Calvino o al più recente “Stormachine” (2018) di Franci Conforti.

Quello che rende dunque affascinante questa trilogia non è solo la ricchezza e varietà di situazioni descritte, ma anche l’intelligenza e abbondanza di riflessioni su tematiche scientifiche, che aprono nuovi orizzonti narrativi per la fantascienza.

BENE E MALE NON VANNO DIVISI

Un mondo da cui sia sradicato totalmente il Male e uno in cui non vi sia il Bene. Questa è l’estrema

distopia di Robert Sheckley (New York, 16 luglio 1928 – Poughkeepsie, 9 dicembre 2005) narrata nell’affascinate “Gli orrori di Omega” (The Status Civilization – 1960). Omega è un pianeta lontano in cui vengono deportati i detenuti, come un tempo facevano gli inglesi con l’Australia. Solo che per andare su Omega ai delinquenti viene cancellata del tutto la memoria. Gli rimane solo un ricordo vago di cosa sia la Terra e finiscono per immaginarla molto diversa da come è diventata davvero. Il protagonista Will Barrent si ritrova così all’improvviso nel più violento dei mondi, a dover superare in ogni momento micidiali prove per sopravvivere. È un mondo diviso in classi nelle quali si avanza sopravvivendo e poiché spesso si sopravvive uccidendo, l’assassinio è la principale forma di elevazione sociale.

Robert Sheckley

C’è però chi si ribella a questa situazione e cerca di superare difese inespugnabili e l’attraversamento dello spazio profondo per fare ritorno sulla Terra. Scelgono Will Barrent per salire su una nave carceraria diretta sul pianeta d’origine. Sarà lui a scoprire che lì vige una distopia persino peggiore di quella di Omega, un mondo omologato in cui tutti sono condizionati e hanno i propri poliziotti nelle loro stesse teste.

Sintomatico è il ruolo speculare delle due fedi che si sono sviluppate in ciascuno dei pianeti.

Apparirà chiaro che solo unendo di nuovo Male e Bene si potrà avere una civiltà equilibrata capace di riprendere una spinta vitale ormai persa.

Parlando di distopie del periodo classico si tende a elencare innanzitutto romanzi come “1984”, “Noi”, “Fahrenheit 451” o “Il mondo nuovo” ma anche “Gli orrori di Omega” mi pare quanto mai degno di apparire in tale elenco.

In quegli anni, insomma, non c’era solo l’utopismo asimoviano, anche se persino qui ci si illude ancora sul potenziale dei viaggi spaziali.

Romanzo, oltretutto, vivace nel succedersi di tante avventure, e con una visione creatrice tutt’altro che scontata, che immagina ben due mondi nuovi. Lettura ancora attuale e molto piacevole, pur a distanza di sessant’anni.

I NOSTRI DEMONI PROTETTORI

Le guide del tramonto by Arthur C. Clarke

Trai grandi autori del periodo classico della fantascienza, Arthur C. Clarke spicca per una visione globale della storia e del futuro dell’umanità non scevra di stimoli che provengono da altri generi e dalle suggestioni fantastiche della religione.

Le guide del tramonto” o “L’Angelo custode” (“Childhood’s End”) è un romanzo di fantascienza del 1953 che ci parla di invasioni aliene, apocalisse, evoluzione e futuro della specie umana con grande razionalità e nel contempo con tocco magico.

L’idea è quella di una razza umana eterodiretta, come nelle grandi religioni monoteiste moderne ma anche in tante altre antiche, solo che i nostri angeli custodi arrivano qui su immense astronavi e per cinquant’anni non rivelano il proprio aspetto, per non turbare l’umanità, che devono guidare nell’evoluzione. Quando si rivelano, gli angeli hanno l’aspetto di demoni e questo non è un caso, perché Clarke riflette anche sulla natura del tempo.

Non era precisamente un ricordo, il vostro; avevate già avuto la prova che il tempo è molto più complesso di quanto la vostra scienza abbia mai potuto prevedere. Vedete, quel ricordo non era del passato, ma del futuro: di quegli anni in cui la vostra razza avrebbe saputo che tutto era finito.

Magari il tempo non sarà il frattale che immagino nei miei romanzi, ma forse un giorno guarderemo ai

Arthur C. Clarke - Books, Quotes & Facts - Biography
Sir Arthur Charles Clarke (Minehead16 dicembre 1917 – Colombo19 marzo 2008) è stato un autore di fantascienza e inventore britannico.

sostenitori del tempo lineare monodirezionale come oggi si guarda ai terrapiattisti.

In questo romanzo c’è un po’ dell’utopismo tipico dell’hard SF di quegli anni, ma il finale lo stravolge consegnandoci a una cupa distopia che sopravvive persino all’ultimo uomo e al disgregarsi della Terra.

La suggestione del viaggio spaziale a velocità quasi pari a quella della luce è occasione per proiettare uno dei personaggi avanti nel tempo e assistere alla trasformazione del mondo e alla fine dell’homo sapiens.

La descrizione dei Superni dalle sembianze demoniache e della Supermente onnipresente ribalta i clichè cattolici e la categorizzazione del Bene e del Male. Lo sviluppo evolutivo immaginato ha una sua potenza descrittiva non trascurabile che richiama, nel finale, altre storie di invasati del periodo, in primis proprio “Gli invasati” o “L’invasione degli ultracorpi” (1954) di Jack Finney.

Come autore di una saga su una Sparta ucronica, mi ha colpito l’idea che l’umanità, nel reagire al dominio dei Superni, abbia creato due comunità, una scientifica e artistica, chiamata Atene e una sportiva e salutistica chiamata Sparta, mentre i Superni e la Supermente in qualche modo richiamano il Popolo di Gaia e i suoi poteri telepatici del romanzo, scritto con Massimo Acciai e di prossima uscita per Tabula Fati, che non si ispira a questo romanzo ma che ha tra sue massime fonti di ispirazione oltre al mondo pensante di “Solaris” di Lem, proprio “2001 Odissea nello Spazio” di Clarke, eppure “Psicosfera” ha involontariamente qualcosa proprio di quest’umanità eterodiretta e del potere ESP della Supermente.

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