Archive for marzo 2023

VIVERE E IMMAGINARE RIFREDI

Continua la produzione di antologie sui quartieri fiorentini (e non solo) da parte delle Edizioni della Sera.

Leggo ora il volume “A Firenze, Rifredi” curato da Nicola Biagi, che parla del quartiere in cui vivo dall’ormai lontano 1995, nella zona del Poggetto, che sorge là dove finisce in città la via Bolognese, tra i parchi di Villa Ruspoli, del Museo Stibbert, di Villa Fabbricotti, del Giardino Baden Powell, gli Orti del Parnaso, il Giardino dell’Orticultura, il Parco di San Donato, il Giardino delle Officine Galileo e quello dei Ragazzi della SMS di Rifredi, tra cui amo passeggiare, quando non mi spingo verso il lungo fiume delle Cascine o il boscoso parco di Villa La Pietraia. Quartiere dunque sì tra i più popolati della città ma anche trai più vivibili e ricchi di verde.  

In questo quartiere ho ambientato molti dei miei racconti, alcuni presenti in “Apocalissi fiorentine” (Tabula Fati 2019), altri in “Quel che resta di Firenze” (Tabula Fati, 2023) di prossima pubblicazione e altri ancora usciti in antologie e riviste. In particolare ho dedicato al quartiere il volume “Il Narratore di Rifredi” (Lulu, 2018; Porto Seguro 2019) che parla sì dell’opera di Massimo Acciai Baggiani, autore assai radicato nel quartiere, ma anche di questo stesso, raccogliendo racconti, articoli e poesie di Acciai e miei su Rifredi. Perino la saga di “Jacopo Flammer” inizia qui.

Dopo la prefazione del giornalista Matteo Dovellini, la raccolta parte con un racconto proprio di Massimo Acciai Baggiani, “Un amore senile”, ambientato in quello che fino a poco tempo fa era il Bar Gherardini di Piazza Dalmazia e ora è il Bistrot Dalmazia, locale di cui è assiduo frequentatore. Sul finale vi compare lui stesso, seppur non è detto esplicitamente. Il racconto è ispirato a una storia vera raccontata dalla titolare del bar Elisabetta Salusest.

Il racconto di Gabriele Antonacci mi ha fatto molto pensare a Italo Calvino (più cha a Clarke, citato nel titolo) quasi che il suo “Odissea negli spazi” fosse un “Cosmicomiche” rifredino, con tutti quei “surreali porticati di palazzi metafisici”, “Spazi Iperbolici” e violazioni del 5° Postulato di Euclide.

Francesca Becagli ci racconta nel suo “Verde” di come sia evoluto il proprio rapporto con il bel Giardino dell’Orticultura, dove tante volte ho portato mia figlia a giocare, separato dal Parco del Parnaso dalla ferrovia, grande attrazione per i bambini.

Il curatore Nicola Biagi immagina in “Big Wheel Keep on burning” un protagonista border line, che vive al confine del quartiere, alla Fortezza da Basso. Il suo incontro con la nuova ruota panoramica che sotto le feste natalizie ora domina la città mi ha fatto venire in mente la recente lettura di “La ragazza dello Sputnik” di Haruki Murakami.

Renato Campinoti ci ripropone con “Una poliziotta nel Quartiere Cinque” la sua investigatrice Caterina con l’anziana amica Cesira che avevamo ben conosciuto in “Non mollare Caterina” e in altri racconti.

Fabrizio De Sanctis con “Il tabernacolo” dà voce a uno di questi, quello che sorge davanti all’Ospedale Meyer, ricordando il culto di San Giovanni e dell’Annunziata in cui onore il 25 marzo si festeggia il Capodanno Fiorentino.

Doloroso è “Il primo Natale senza Matteo” di Elisabetta Failla, che racconta l’improvvisa morte di un figlio di 22 anni.

Cristina Gatti con “Memorie di ordinaria resistenza” ripesca ricordi familiari (non so se inventati) di un nonno vittima dei rastrellamenti nazisti nella zona di Castello.

In “Come cambia in fretta il mondo” Dario Grazzini ci parla di tutta una vita passata nel quartiere, dalle prime partite a pallone con gli amici, ai primi incontri con le ragazze, al calcio praticato a livelli più alti. Pallone ma anche calcio storico. Viola e Azzurro, i colori della squadra della città e quello di uno dei gruppi di calcianti.

Con “Le mie stagioni a Rifredi” Carlo Guarducci ci parla soprattutto dei parchi che di questo quartiere sono, per me, la vera anima e in particolare del più magico di questi: il giardino degli ulivi, come lo chiama qualcuno, Villa Ruspoli, come recita l’insegna all’ingresso, un cancello che ti proietta all’improvviso dalla città in aperta campagna.

Francesca Jatta in “Sorprese d’Autunno” ci parla nel dettaglio del quartiere e, in particolare del Liceo Dante, per raccontarci poi di un commovente incontro con un cane e i suoi proprietari.

Difficile descrivere “Al 52” di Marcello Maccanti senza spoilerare. Un breve intenso racconto ricco di mistero, dove il protagonista, dopo quasi cinquant’anni torna nella casa in cui è nato, in via Paoletti 52, non lontano da quello che a Firenze si chiama impropriamente “Il Grattacielo” (in una città che non ne ha), per fare qualcosa che non vi posso raccontare.

Nel mio “Nerone a Rifredi” (Carlo Menzinger di Preussenthal) la storia parte con un sogno che somiglia alla realtà più del mondo che il folle protagonista ritrova al suo risveglio. Vi percorre un’onirica via Vittorio Emanuele II, che se non fosse deserta, somiglierebbe a quella attuale ma si risveglia in una Firenze futura in cui il surriscaldamento è diventato un problema serio. Il caldo d’agosto, poi, può dare alla testa, come capita al protagonista.

Nicoletta Murru ci parla della sua frequentazione, in compagnia dell’amato cane, di “Villa Fabbricotti”, con il suo piccolo spazio dedicato ai quattrozampe, e di come ne conosca ormai ogni singolo albero.

“Salve ragazzo” di Fabrizio Parissi va più indietro nel tempo di altre storie di questo volume, all’epoca in cui al posto del Parco di San Donato c’era la Fiat, con i suoi operai, e i dintorni si chiamavano “Zona Industriale” più che Novoli. Ora ne rimane solo una ciminiera, esempio di “archeologia industriale” e il quartiere è divenuto industriale. Va letto dunque questo racconto per ricordare come vi vivevano allora i ragazzi e quali erano i loro giochi. Vi scopro, per esempio, che il nome del Ristorante Ciribè deriva da un omonimo gioco.

“Quando a I’Sodo c’era un convento” di Caterina Perrone ci racconta una romantica storia d’amore tra un robusto carpentiere e una suora di clausura, da lui salvata e “liberata” durante l’incendio del convento.

Nel 1921 si andava affermando il fascismo e ricorrevano i 600 anni dalla morte di Dante. In quell’anno fu fondata la VIS – Visioni Italiane Storiche, gli studios cinematografici fiorentini di via della Panche 60, che esordirono con un film sul Divino Poeta, per celebrarne la ricorrenza (un secolo dopo, Caterina Perrone e io curammo per il GSF “Gente di Dante”, l’antologia di racconti su personaggi delle opere e del tempo di Dante). In “Muti” Simone Petralli racconta di questo film, attraverso gli occhi di una delle comparse.

“La Paolina di via delle Panche” di Riccardo Sacchettini ci racconta di come questa strada si sia man mano popolata e trasformata fino a diventare quella attuale, mentre la protagonista cresceva.

Quasi magica “La piccola fuga” di Massimiliano Scudeletti con un padre e la figlia che si calano nel Terzolle per un’avventura dal sapore fantasy nel rigagnolo popolato da animali dai nomi inventati.

Avrete capito dai molti link presenti in questo post che molti degli autori non mi sono nuovi, posso anzi considerare amici molti di loro, non solo per la condivisione di un quartiere, ma anche per aver collaborato in numerose iniziative letterarie o per aver letto le loro opere. Molti di noi, poi, fanno parte del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, un’associazione di volontariato culturale molto attiva del cui Comitato Direttivo sono parte e per il quale sono coordinatore generale dei due premi “La Città sul Ponte” per la narrativa e “La città sul ponte in versi” per la poesia (in collaborazione con La Camerata dei Poeti di Firenze) oltre a curare il blog e il Week-End del Narratore che vi si svolge. Tra i membri del GSF presenti nel volume, Massimo Acciai Baggiani, Gabriele Antonacci, Nicola Biagi, Renato Campinoti, Fabrizio De Sanctis, la presidente dell’associazione Cristina Gatti e Caterina Perrone (spero di non aver saltato nessuno).

Alcuni di loro hanno partecipato anche ad altre antologie delle Edizioni della Sera, come “Toscani per sempre”, “Fiorentini per sempre”, “La prima volta a… Firenze”, “Firenze Centro Storico”.

LA SPECULAZIONE FANTASCIENTIFICA DI UN GRANDE PENSATORE

La sentinella” (1983) è il titolo di un racconto e di un’antologia del maestro della fantascienza Arthur Clarke (Minehead, 16

Sir Arthur Charles Clarke 

dicembre 1917 – Colombo, 19 marzo 2008). La raccolta comprende le storie:

  • Second Dawn 
  • Breaking Strain
  • Superiority
  • Exile of the Eons 
  • Hide and Seek
  • Expedition to Earth
  • Loophole
  • Inheritance 
  • Dog Star
  • The Sentinel

Il

primo racconto lo definirei uno dei migliori esempi di speculative fiction prodotti. Vi si immagina una civiltà aliena telepatica sviluppatasi in un lungo arco di tempo ma del tutto incapace di manipolare la materia, essendo dotata di arti inadatti, con lunghi artigli, e del suo incontro con un’altra civiltà, molto più giovane ma dotata della capacità di manipolazione. La riflessione che induce su come l’umanità sia a metà strada tra i due esempi con la sua capacità di pensiero nel contempo pratico e teorico ci pone davanti alla straordinaria eccezionalità della nostra specie e al dubbio esistenziale se davvero possa esistere nella galassia un’altra specie con una simile duplice capacità, di cui forse a stento ci rendiamo conto.

Questo racconto da solo vale l’intero volume, che pur contiene pregevoli storie, come la successiva sul tentativo di salvare un’astronave alla deriva con l’ossigeno in esaurimento e due astronauti a bordo: solo con il sacrificio di uno dei due l’altro potrà salvarsi. Importanti le implicazioni che ne derivano. E che dire del racconto che ci fa riflettere sull’inutilità della corsa agli armamenti? O sul totalmente improbabile incontro tra due specie antropomorfe? O della storia che dà il titolo al volume in cui si scopre un antichissimo manufatto alieno sulla luna?

Non per nulla Clarke è l’autore che ha ispirato uno dei film più intensi della storia cinematografica, “2001 Odissea nello spazio”.

NÉ BELGA NÉ GIAPPONESE

Amélie Nothomb, nata Fabienne Claire Nothomb (Etterbeek, 9 luglio 1966) è una scrittrice belga, che ha trascorso la sua infanzia in Giappone ed è poi vissuta in Cina e Bangladesh. Nel romanzo “Né di Eva né di Adamo” questo appare centrale, in quanto la protagonista è una donna belga che vive in Giappone di cui studia la lingua e dove insegna il francese a uno studente che diviene anche il suo amante. Si parla con leggerezza di differenze culturali tra Belgio e Giappone e delle rispettive lingue, di come per chi da europeo apprende una lingua del nostro continente sia più facile comprenderla  che parlarla correttamente mentre per un belga che impara il giapponese, o viceversa, la totale differenza tra le due lingue rende la comprensione più complessa del parlarla.

Interessante anche il rapporto dei Giapponesi con il Monte Fuji. Leggendo mi veniva da pensare al Monte Olimpo. Come pare più facile considerare sacra la montagna giapponese rispetto a quella greca! Il Fuji ha quella sua forma perfetta a cono, un’invidiabile altezza di 3.777 metri, mentre l’Olimpo si ferma a 2.917 e ha una forma assai meno caratteristica.

Di Amelie Nothomb ho già letto “Barbablu”, “Antichrista” e “Libri da ardere” e trovo la sua scrittura gradevole e i temi trattati interessanti pur nella loro relativa normalità, nonostante titoli che sembrano spesso alludere a tematiche ben diverse e assai più vicine alle mie opere di quanto invece siano realmente. Per intendersi, “Né di Adamo, né di Eva” non tratta temi biblici, “Barbablu” non parla del Maresciallo Gilles de Rais e “Antichrista” non affronta scenari medievali di lotte religiose. Forse solo “Libri da ardere” non inganna il lettore con un falso titolo, ricollegandosi in qualche modo a “Fahrenheit 451”.

Comunque tutte e tre letture valide, che ho apprezzato. Penso che continuerò a esplorare le sue opere.

TUTTA LA GALASSIA È PAESE

Trovo sempre apprezzabili i romanzi di fantascienza che cercano di descrivere in modo dettagliato pianeti alieni e lo fanno in modo non scontato, immaginando quindi civiltà o forme di vita molto diverse dalla nostra. “Paradiso remoto” di Mike Resnick (Chicago, 5 marzo 1942 – 9 gennaio 2020) è sulla buona strada in tale direzione ma poi si lascia prendere da visioni troppo antropomorfe della realtà. Vi si parla della colonizzazione umana del paradisiaco pianeta Peponi, fertile e ricco di risorse naturali, ben presto sfruttato e depauperizzato dai coloni. Il tentativo di descrivere un mondo nuovo secondo me fallisce per la volontà di usarlo come una sorta di metafora della colonizzazione europea degli altri continenti, con gli alieni trattati alla stregua di “negri” e “pellerossa”, a loro volta vittime di faide tribali che ricordano quelle africane. Anche il presidente alieno oggetto dell’intervista non sembra molto dissimile da certi politici

terrestri.

Il volume fa parte di una trilogia, la “Commedia Galattica”:

  • Paradise: A Chronicle of a Distant World (1989), presentato in italiano come Paradiso remoto
  • Purgatory: A Chronicle of a Distant World (1993), presentato in italiano come Purgatorio: storia di un mondo lontano
  • Inferno: A Chronicle of a Distant World (1993), presentato in italiano come Inferno.
Mike Resnick

IL MISTERO SURREALE DELLA FABBRICA DI SCHIO

Massimo Bernardi è autore che predilige il surreale. Lo avevo ben visto leggendo “Hanno invaso la Svizzera” e ancor più il precedente “Mandala”. Il reale si mescola nella sua narrazione con il fantastico ma questo difficilmente resta imbrigliato nelle regole della fantascienza o del fantasy, ma sfocia in un caleidoscopio di trovate surreali.

La mia nuova lettura si chiama “I fantasmi della Fabbrica Alta”. L’ambientazione è concreta e realistica, in parte attuale, in parte storica, a Schio, presso il Lanificio Rossi.

I fantasmi compaiono nel titolo e, in effetti, anche nella storia, eppure siamo ben lontani dal romanzo gotico. Anche se vengono definiti tali, più che ectoplasmi, sono creature fantascientifiche imprigionate in “intercapedini del tempo” o particolari creature capaci di superare i confini del tempo e i limiti della consueta mortalità.

Il luogo fisico della Fabbrica Alta di Schio fa quindi da teatro extra-temporale per vicende del XIX e XXI secolo. La Fabbrica Alta “in apparenza è solo un edificio abbandonato in mezzo alle sterpaglie, che ha perso la sua funzione produttiva alla fine degli anni Sessanta del Novecento e che oggi è considerato uno dei più significativi e meglio conservati esempi di archeologia industriale del Nord Italia” (pag. 185), ma “molti ignorano che la Fabbrica Alta non è solo questo. Non è solo assenza, non è solo un passato che non ritorna. La Fabbrica Alta è molto di più. È qualcosa che si fa fatica a trovare le parole giuste per descriverla” (pag. 185). “Occorre che, chi si presenta davanti alle sue mura con l’intenzione di entrare, ne abbia davvero il desiderio” (pag. 186).

Che dire dei personaggi? Si va dalla piccola Bettina, nascosta nell’intercapedine del tempo per un secolo e mezzo, ad Amalia che da giovane “aiuta i soldati a nascondersi” e poi diventa “una strega cattiva che si vendica su una bambina”, alla “romantica eroina preraffaellita” Lady Shallot, all’”anarchico ribelle e incendiario, che poi diventa assassino di sua madre” Zeno a tanti altri (pag. 196).

In fondo sono “tutti dei fantasmi” ed è “tutta una finzione”, una serie di “storie strampalate” (come scrive Bernardi a pag. 196) un po’ pirandelliane, con l’autore che conversa con i propri personaggi in cerca di realtà.

Tante le citazioni, da Calvino a Böcklin, a Bosch, a Twin Peaks, a John William Waterhouse solo per dirne alcuni, come numerosi sono i personaggi e le trovate inventive di questo autore.

RACCONTARE IL CENTRO STORICO DI FIRENZE

La casa editrice Edizioni della Sera ha sfornato tutta una serie di raccolte di racconti “territoriali”, partendo dalle regioni italiane (per esempio il volume “Toscani per sempre”), passando poi a raccontare le singole città (ho partecipato a “Fiorentini per sempre”) o aspetti particolari di queste (un mio racconto è in “La prima volta a… Firenze”) e ora sta per uscire con una serie di antologie per vari quartieri (io ho aderito a quello sul quartiere di Rifredi “A Firenze , Rifredi” e a quello sul centro storico di Firenze “A Firenze, Centro Storico”).

Raccontare i luoghi e i territori del nostro vivere quotidiano è di sicuro suggestivo per gli autori ma può essere un bel modo per i lettori per riscoprire gli spazi in cui vivono o per osservarli da diversi punti di vista.

L’esperienza finisce sovente per essere un tuffo nel passato, quello storico o quello personale, e viaggiare sul filo del ricordo, ma a volte sfocia in autentiche creazioni immaginarie, soprattutto quando l’autore osa addentrarsi nel sempre più suggestivo territorio del fantastico o magari addirittura del surreale.

A Firenze centro storico” è volume curato da Camilla Cosi, cui hanno aderito, oltre a me, vari autori che conosco personalmente o con i quali ho condiviso altre esperienze letterarie. La stessa Camilla Cosi era con me nel volume “Fiorentini per sempre” e fa parte del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, cui collabora anche come giurata del Premio La Città sul Ponte e alcuni nomi sono stati da me suggeriti.

Il primo racconto, “A Firenze lasciate fare a me” è di Caterina Perrone, altra socia GSF, con cui ho curato l’antologia “Gente di Dante”, presente nel volume dell’associazione “Le sconfinate” e di cui ho letto vari romanzi. Il suo racconto, con i toni sognanti e un po’ poetici della sua narrativa che ben conosco, ci parla di un incontro tra due donne che parlano di danza e di speranze deluse.

Andrea Falcioni con il suo “Il pesce siluro” ci racconta una partenza (“L’ennesima ripartenza da quel luogo magico, come volessi migliorare qualcosa, nel riprovarci ancora”) e l’incontro con “una buona donna veramente particolare, tanto che i suoi animali quando morivano, non li seppelliva come faceva la maggioranza delle persone. Li faceva imbalsamare e li teneva nel salottino alla sinistra del corridoio della sua casa”. Un racconto con tanti ricordi della città (“Come non la smettessi di guardare in quel retrovisore rivolto alle mie spalle, a quel passato”), che pare citare Battiato (“mi mettevo a girare nel buio della stanza come i dervisci che avevo visto in Turchia. E giravo, giravo sempre più vicino alla finestra”).

Francesca Cappelli, autrice di genere fantastico e urban fantasy, con “Fuori corso” attraversa il centro partendo dalle varie sedi della facoltà di Lettere (“Eh, sì, Lettere è sparsa in giro per il centro, e pensa che ora è anche meglio”) al convento di Santa Maria degli Angeli, a “Via degli Alfani, via dei Servi, poi andiamo fino a via Sangallo”, alla Biblioteca Nazionale, passando per luoghi dove “se apri abbastanza la testa da accogliere tutto quello che brucia qui dentro, capirai che perché è facile, lasciarsi vincere da questa entusiasmante follia”, luoghi di studio per chi ha studiato a Firenze e per chi ancora studia anche se è “un po’ fuori corso” (“Non penso che mi laureerò mai. Ma non importa. Non ho concluso il mio percorso di studi né di vita, ma sono rimasto qui a raccogliere storie”).

Paola Beatrice Rossini,con “Ginevra degli Amieri” ci porta indietro nel tempo, agli anni d’oro di Firenze, il 1400 segnato dagli scontri tra Guelfi e Ghibellini, raccontandoci di una donna creduta morta e seppellita, che si risveglia e torna dal marito e dalla madre che la rifiutano credendola un fantasma. Può sembrare fantasia ma l’autrice dichiara che è storia vera e “che l’attuale via del Campanile una volta era chiamata via della Morta? Proprio dopo quella notte…”.

Luca Anichini, mio compagno nelle avventure di “Fiorentini per sempre, viaggio emozionale nel cuore di Firenze” (Edizioni della Sera, 2020) e “Gente di Dante” (Tabula Fati, 2021) è presente con il racconto “Il beccaio del Ponte Vecchio” che ci parla di quando sullo storico ponte non c’erano i gioiellieri come adesso, ma i macellai (“macellai, pescivendoli e i gestori di osterie e taverne” a Firenze erano detti beccai) “nel 1529-30, durante i quasi dieci mesi dell’assedio di Firenze da parte delle truppe Imperiali di Carlo V” e di quando “nel 1593 tutti i beccai del Ponte Vecchio furono costretti a lasciare le proprie botteghe, per traslocare al Mercato Vecchio nell’attuale Piazza della Repubblica”.

Altro autore, storico, del GSF è il giallista Fabrizio De Sanctis, con il quale ho condiviso le esperienze di “Gente di Dante”, “Accadeva a Firenze Capitale”, presente anche ne “Le sconfinate”. Nel suo “Il carro” fa parlare lo storico Brindellone o carro di fuoco, che scortato da 150 fra armati, musici e sbandieratori del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, da 300 anni celebra la Pasqua a Firenze.

Gian Luca Caprili con “Il ritorno di Jessaline” ci parla dello “smisurato fascino che le vecchie canzoni esercitano su chi è un po’ in là con gli anni” e di come, “Incredibile, la bella Jessaline si rifaceva viva, a distanza di lustri”. Purtroppo, però, Jessaline era malata e “si era regalata un giro in Europa, poteva essere l’ultimo”.

Pierfrancesco Prosperi, veterano della scrittura, prossimo ormai credo a festeggiare i 60 anni dalla prima pubblicazione, autore edito da quasi ogni casa editrice italiana, cui Massimo Acciai Baggiani ha di recente dedicato il bel saggio “Architettura dell’ucronia” (dove con il contributo di vari autori, me compreso, potrete scoprire meglio questo autore che ho lì definito “Il re dell’ucronia”), ci parla de “L’isola dei morti”, il cosiddetto cimitero degli inglesi ma anche il quadro che a questa si ispira del pittore svizzero Arnold Böcklin e che era presente nella stanza dove Hitler si suicidò. Un viaggio nel tempo di cui Prosperi è maestro.

“La città vagante” del sottoscritto (Carlo Menzinger) è un racconto di fantascienza che immagina un futuro distopico in cui per sopravvivere all’innalzamento del mare le città si trasformano in navi e salpano nel Mediterraneo, dove infuria la guerra. La “Centro Storico di Firenze”, armata con potenti cannoni, naviga portandosi dietro i principali monumenti. Le problematiche ambientali fanno anche qui da sfondo come nell’antologia “Apocalissi fiorentine” o in quella ancora inedita “Quel che resta di Firenze”.

“La contessa Toni” di Elena Brachini ci parla dei salotti letterari degli anni ’30 del XX secolo e delle vicende di questa famiglia (compresa una tragica morte) che non saprei se sia immaginaria o piuttosto quella dei Conti Toni da Cigoli (originaria di Trevi e legata alla città di Spoleto. Cigoli invece, credo sia la frazione di San Miniato in provincia di Pisa).

Francesca Magrini, autrice di tre romanzi e alcuni racconti, firma “La latteria della Marisa”, storia di amori giovanili, corna, cazzotti e pestaggi.

È quindi la volta di Massimo Acciai Baggiani, autore di decine di opere, tra romanzi, racconti, poesie e saggi, membro oltre che del GSF anche della World SF Italia (come me), mio coautore per il romanzo “Psicosfera” e autore della mia biografia “Il sognatore divergente”. Il suo “La Pantera e il Viaggiatore” ci parla del 1990 e del movimento studentesco La Pantera, che prese il suo nome da uno di questi felini che la notte del 27 dicembre fu avvistato a Roma, in mezzo a Via Nomentana, ma anche alle Pantere Nere americane. Da autore amante del fantastico, inserisce nella storia un viaggio nel tempo.

Altrettanto fantastico è “Limbo” di Alessandro Ricci, che immagina che da Piazza del Limbo, vicino Borgo Santi Apostoli, si possa davvero accedere al Limbo dantesco e lì incontrare Aristotele.

Di Alessandro Bini, autore de “Il mirtillo” avevo già letto “Mi trovo bene ma non mi cerco mai” e il racconto in “Fiorentini per sempre”. Ci parla di questi anni di pandemia e di come il turismo fiorentino ne abbia risentito ma anche dello sguardo dei turisti verso la città, in particolare di quello dei bambini.

Con “Sabatino e la scuola dei ladri” siamo nel 1885. Anni che l’autore Sergio Calamandrei, specializzato soprattutto nel periodo di Firenze Capitale (1865-1871), ben conosce. Ha, infatti, anche curato per il GSF l’antologia “Accadeva in Firenze Capitale” (Carmignani, 2021). Il protagonista Sabatino Arturi, un giornalista, lo ritroviamo in altri suoi racconti di questo periodo ed è un antenato del moderno detective Domenico Arturi, protagonista dei gialli di Calamandrei “L’unico peccato” e “Indietro non si può”, inseriti nel progetto “Sesso motore”. Qui il protagonista ha a che fare con la delinquenza minorile e il tentativo di portar via dalla strada un ragazzino.

Sconvolgente può essere la vista di un incidente, anche se la vittima è una cavalla investita da un SUV (“Ieri ha visto il sangue, e l’occhio della cavalla”), ci racconta Carlo Cuppini in “Sangue”. “La cavalla a terra, dalla bocca fuoriesce schiuma mista a sangue, il respiro spande la miscela sul lastricato a spina di pesce.” Tutto si tinge di rosso e il tempo pare impazzire, mescolando passato, presente e futuro. “Si accende nella sua mente il ricordo di un altro oggetto volante: un drone. Nelle orecchie gli risuona una voce. Cerca di scacciarla. Ma la gente intorno a lui sta già scomparendo…

È due anni prima. È il primo lockdown. Nessuno esce di casa. Lui soltanto, alle cinque di mattina, perché non vuole impazzire, a costo di essere multato, denunciato, lapidato. Cammina in mezzo alla carreggiata deserta, come un funambolo su una riga da cui, neanche volendo, si potrebbe cadere. Il silenzio è assordante. Nel silenzio, non riesce a far tacere la voce.”

In “Si chiamava Albertine” Enrico Zoi, giornalista e scrittore, ci parla dell’incontro con una francesina, anche se un po’ anonima, in quel crocevia temporale di fine anni settanta, in una casa d’aste del centro, che pare quasi la bottega di un rigattiere perché c’era davvero un po’ di tutto: paesaggi, nature morte, ritratti, tele di ogni tipo e qualità, e poi candelabri e posateria in peltro o in argento, serviti da tè o da pranzo laccati in oro, soprammobili, chincaglierie, cineserie, busti, statue e statuette di varia foggia e poi in Piazza dell’Olio, divenuta speciale per l’occasione.

È un ritorno a casa quello che ci narra Andrea Gamannossi, autore di numerosi romanzi gialli e noir e raccolte di racconti, in “Sulle orme del drago d’oro”. Tornai nel mio vecchio quartiere dopo tanti anni. Ero un quindicenne quando i miei genitori decisero di emigrare in Australia. Ritorno in Via del Drago d’Oro nel quartiere di Santo Spirito, con le botteghe degli artigiani ormai trasformate in locali moderni, per rivedere la propria vecchia casa, generando misteriosi déjà-vu, con volti del passato che riemergono giovanili.

Susanna Madarnàs (“Susy driver”) ci mostra uno dei momenti più difficili e pericolosi nella professione di tassista per una donna, anche in una città tranquilla come Firenze. Mestiere che ben conosce dato che lo esercita e su cui ha pubblicato un intero volume.

Prima che fosse trasferito nell’imponente edificio di via di Novoli, il Palazzo di Giustizia fiorentino era in Piazza San Firenze, come ci racconta il mio due volte collega Roberto Zatini (“Piazza San Firenze: una storia di ingiustizia”) mostrandoci le disavventure quasi kafkiane di una persona condannata per aver consegnato, assai ingenuamente, un pacco di cui nulla sapeva. Si era nel 1956 e si spera che oggi la giustizia funzioni meglio. Più che a “Il processo”, però il protagonista pare avere in mente Pinocchio, arrestato dai carabinieri per aver ferito alla testa l’amico Eugenio, colpendolo con un trattato di aritmetica.

La curatrice Camilla Cosi con “Uomini o pischelli” pare fare il verso forse più a Toto (siamo uomini o caporali) che a Steinbeck (uomini e topi) o Elio Vittorini (uomini e no). Storia di crescita e maturazione di un quindicenne nel 1987, che ci parla dei grandi, piccoli drammi adolescenziali (Avevo chiesto ai miei genitori di regalarmi un giubbotto di jeans con il pelo, come quello che avevano comprato a Simone) che a un adulto distratto possono parere poca cosa ma si portano dietro problematiche di inclusione e possibili bullismi, ma anche difetti di percezione dei rapporti familiari. Non per nulla, come si legge, tutto è legato ai rapporti dei due fratelli con le ragazze e tra loro.

Insomma, “A Firenze, Centro Storico” (Edizioni della Sera, 2023) è una bella chiacchierata scritta, con tanti amici e con altri che spero possano diventare tali, su come hanno vissuto o vivono l’antico, rinomato centro della loro città. Una visione non da turisti ma da figli di Firenze, non priva di trovate narrative originali. Un altro dei segnali che questa città forse non si è impantanata nei fasti del Rinascimento ma è ancora culturalmente viva.

INSONNIA

Sonno” (2010) di Haruki Murakami (Kyoto, 12 gennaio 1949) è un romanzo breve che ci parla di una donna che soffre di insonnia che, anziché deperire per la mancanza di sonno, si scopre più bella e sana, mentre vede con occhi diversi marito e figlio che ora le paiono divenuti brutti. Passa le sue notti a leggere Anna Karenina e a fare incubi e sogni, forse a occhi aperti. L’insonnia, insomma, le ha regalato una diversa percezione del mondo.

Leggo che questo più che un romanzo è una delle storie della raccolta “L’elefante scomparso e altri racconti”.

Non certo l’opera più significativa di questo autore.

FANTASCIENZA PER FILOSOFI QUANTISTICI

La terra moltiplicata” (“Quarantine”, 1992) dell’australiano Greg Egan (Perth, 20 agosto 1961) è un romanzo di fantascienza con un target di lettori piuttosto preciso: i fisici quantistici, specie se appassionati di filosofia hegeliana. Non che sia un libro particolarmente complesso da leggere ma credo che nessuno più di loro potrebbe apprezzarlo con questi personaggi che si moltiplicano per effetto delle misteriose (per i profani) leggi quantistiche.

Immaginate che a un certo punto le stelle scompaiano dalla vista. Che cos’è successo? Semplice, la Terra e parte del sistema solare sono finiti in una bolla quantistica (anzi c’è finito il resto dell’Universo e la Terra è al di qua dell’orizzonte degli eventi (che si trova tra Giove e Plutone) di una sorta mega buco nero. Credo, ma forse non ho capito nulla.

C’è poi una setta di assassini in qualche modo connessa a questa bolla-nascondi-stelle. C’è anche un paziente cerebroleso con poteri telecinetici che viene rapito. Ed ecco anche la “necrosi cosmica”! Tutto è connesso? Cos’è che “distrugge” le stelle? Il fatto stesso di guardarle o pensarle?

Non se ne parla ma sembra che dietro ci sia la filosofia di Parmenide con il suo “l’essere è e non può non essere” ma anche

“l’essere non è e non può essere” e ancor più l’Idealismo di pensatori come Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per il quale la realtà è il prodotto della mente umana che la pensa e la realtà sarebbe costituita da idee o concetti universali. Idee siano alla base di tutto ciò che esiste. In altre parole, la realtà non sarebbe fatta di oggetti materiali, ma di idee che esistono nella mente umana.

Il mondo quantistico sarebbe dunque stato creato artificialmente?

La distruzione delle stelle sarebbe dovuta a effetti quantistici inconsapevoli generati dal pensiero umano! La mente umana provocherebbe il collasso delle funzioni d’onda quantistiche!

Ci sono dunque tante realtà moltiplicate che collassano, lasciandone solo alcune versioni.

L’interesse del libro è soprattutto nelle sue teorie sulla nascita di cloni quantistici e altre cose simili, perché i personaggi e la trama mi sono parsi piuttosto piatti.

SCOMPARIRE ALLA RICERCA DEL CLONE AMATO

Era un po’ che non leggevo nulla di Haruki Murakami (Kyoto, 12 gennaio 1949), autore sempre suggestivo anche se spesso con qualche debolezza narrativa. Ho da poco letto “A sud del confine, a ovest del sole” (1992), un’opera molto più mainstream di altre che avevo letto ed eccomi di nuovo a leggere qualcosa di suo con “La ragazza dello Sputnik” (1999).

Haruki Murakami

Nonostante il titolo, come per la precedente lettura, anche qui la fantascienza non c’entra per nulla. La protagonista, la giovane scrittrice Sumire, viene definita così dal coprotagonista voce narrante perché ha confuso il movimento letterario Beatnik con il celebre satellite artificiale russo. A dir il vero la confusione della ragazza non è del tutto immotivata. Leggo, infatti, che “La parola beatnik è stata inventata dal giornalista Herb Caen, del San Francisco Chronicle, in un suo articolo del 2 aprile 1958, come termine denigratorio per riferirsi ai beats, ovvero ai membri della Beat Generation, come unione di parole con il satellite sovietico Sputnik, per sottolineare sia la distanza dei beat dalla società statunitense corrente, sia il fatto che erano vicini alle idee comuniste” (da Wikipedia).

Il romanzo è uno dei più realistici di Murakami, anche se non manca un misterioso episodio in

cui Myu, la donna più matura di cui si innamora la giovane Sumire, rimasta bloccata su una ruota panoramica, sbirciando in casa propria con un binocolo vede se stessa fare l’amore con un uomo. Discesa dalla ruota si sdoppierà: una Myu rimarrà nel mondo reale ma con i capelli divenuti bianchi e una forte avversione per il sesso, mentre l’altra Myu, forse, continuerà una sua esistenza più libera in un altro spazio.

Quando Sumire misteriosamente scompare il narratore sospetta possa aver raggiunto, alla ricerca dell’amore, la Myu sdoppiata, perché rifiutata dalla Myu asessuata.

Lettura piacevole, scorrevole, con una trama più semplice e lineare di altre opere del giapponese come “Nel segno della pecora” (1982) con il ragazzino che fissa il pene di balena, l’autista con il numero di telefono di Dio e la pecora che entra nelle persone o  “La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie” con i suoi unicorni al pascolo o anche “1Q84” (2009) con  i Little People e le loro crisalidi d’aria. Siamo qui piuttosto dalle parti “Tokyo blues” (anche noto come “Norwegian wood”) come genere e come qualità non troppo lontani da “Kafka sulla spiaggia” che credo resti il suo romanzo che ho apprezzato di più.

Un autore, comunque, da continuare a leggere perché ogni sua opera apre un mondo nuovo.

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