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IL MISTERO SURREALE DELLA FABBRICA DI SCHIO

Massimo Bernardi è autore che predilige il surreale. Lo avevo ben visto leggendo “Hanno invaso la Svizzera” e ancor più il precedente “Mandala”. Il reale si mescola nella sua narrazione con il fantastico ma questo difficilmente resta imbrigliato nelle regole della fantascienza o del fantasy, ma sfocia in un caleidoscopio di trovate surreali.

La mia nuova lettura si chiama “I fantasmi della Fabbrica Alta”. L’ambientazione è concreta e realistica, in parte attuale, in parte storica, a Schio, presso il Lanificio Rossi.

I fantasmi compaiono nel titolo e, in effetti, anche nella storia, eppure siamo ben lontani dal romanzo gotico. Anche se vengono definiti tali, più che ectoplasmi, sono creature fantascientifiche imprigionate in “intercapedini del tempo” o particolari creature capaci di superare i confini del tempo e i limiti della consueta mortalità.

Il luogo fisico della Fabbrica Alta di Schio fa quindi da teatro extra-temporale per vicende del XIX e XXI secolo. La Fabbrica Alta “in apparenza è solo un edificio abbandonato in mezzo alle sterpaglie, che ha perso la sua funzione produttiva alla fine degli anni Sessanta del Novecento e che oggi è considerato uno dei più significativi e meglio conservati esempi di archeologia industriale del Nord Italia” (pag. 185), ma “molti ignorano che la Fabbrica Alta non è solo questo. Non è solo assenza, non è solo un passato che non ritorna. La Fabbrica Alta è molto di più. È qualcosa che si fa fatica a trovare le parole giuste per descriverla” (pag. 185). “Occorre che, chi si presenta davanti alle sue mura con l’intenzione di entrare, ne abbia davvero il desiderio” (pag. 186).

Che dire dei personaggi? Si va dalla piccola Bettina, nascosta nell’intercapedine del tempo per un secolo e mezzo, ad Amalia che da giovane “aiuta i soldati a nascondersi” e poi diventa “una strega cattiva che si vendica su una bambina”, alla “romantica eroina preraffaellita” Lady Shallot, all’”anarchico ribelle e incendiario, che poi diventa assassino di sua madre” Zeno a tanti altri (pag. 196).

In fondo sono “tutti dei fantasmi” ed è “tutta una finzione”, una serie di “storie strampalate” (come scrive Bernardi a pag. 196) un po’ pirandelliane, con l’autore che conversa con i propri personaggi in cerca di realtà.

Tante le citazioni, da Calvino a Böcklin, a Bosch, a Twin Peaks, a John William Waterhouse solo per dirne alcuni, come numerosi sono i personaggi e le trovate inventive di questo autore.

RACCONTARE IL CENTRO STORICO DI FIRENZE

La casa editrice Edizioni della Sera ha sfornato tutta una serie di raccolte di racconti “territoriali”, partendo dalle regioni italiane (per esempio il volume “Toscani per sempre”), passando poi a raccontare le singole città (ho partecipato a “Fiorentini per sempre”) o aspetti particolari di queste (un mio racconto è in “La prima volta a… Firenze”) e ora sta per uscire con una serie di antologie per vari quartieri (io ho aderito a quello sul quartiere di Rifredi “A Firenze , Rifredi” e a quello sul centro storico di Firenze “A Firenze, Centro Storico”).

Raccontare i luoghi e i territori del nostro vivere quotidiano è di sicuro suggestivo per gli autori ma può essere un bel modo per i lettori per riscoprire gli spazi in cui vivono o per osservarli da diversi punti di vista.

L’esperienza finisce sovente per essere un tuffo nel passato, quello storico o quello personale, e viaggiare sul filo del ricordo, ma a volte sfocia in autentiche creazioni immaginarie, soprattutto quando l’autore osa addentrarsi nel sempre più suggestivo territorio del fantastico o magari addirittura del surreale.

A Firenze centro storico” è volume curato da Camilla Cosi, cui hanno aderito, oltre a me, vari autori che conosco personalmente o con i quali ho condiviso altre esperienze letterarie. La stessa Camilla Cosi era con me nel volume “Fiorentini per sempre” e fa parte del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, cui collabora anche come giurata del Premio La Città sul Ponte e alcuni nomi sono stati da me suggeriti.

Il primo racconto, “A Firenze lasciate fare a me” è di Caterina Perrone, altra socia GSF, con cui ho curato l’antologia “Gente di Dante”, presente nel volume dell’associazione “Le sconfinate” e di cui ho letto vari romanzi. Il suo racconto, con i toni sognanti e un po’ poetici della sua narrativa che ben conosco, ci parla di un incontro tra due donne che parlano di danza e di speranze deluse.

Andrea Falcioni con il suo “Il pesce siluro” ci racconta una partenza (“L’ennesima ripartenza da quel luogo magico, come volessi migliorare qualcosa, nel riprovarci ancora”) e l’incontro con “una buona donna veramente particolare, tanto che i suoi animali quando morivano, non li seppelliva come faceva la maggioranza delle persone. Li faceva imbalsamare e li teneva nel salottino alla sinistra del corridoio della sua casa”. Un racconto con tanti ricordi della città (“Come non la smettessi di guardare in quel retrovisore rivolto alle mie spalle, a quel passato”), che pare citare Battiato (“mi mettevo a girare nel buio della stanza come i dervisci che avevo visto in Turchia. E giravo, giravo sempre più vicino alla finestra”).

Francesca Cappelli, autrice di genere fantastico e urban fantasy, con “Fuori corso” attraversa il centro partendo dalle varie sedi della facoltà di Lettere (“Eh, sì, Lettere è sparsa in giro per il centro, e pensa che ora è anche meglio”) al convento di Santa Maria degli Angeli, a “Via degli Alfani, via dei Servi, poi andiamo fino a via Sangallo”, alla Biblioteca Nazionale, passando per luoghi dove “se apri abbastanza la testa da accogliere tutto quello che brucia qui dentro, capirai che perché è facile, lasciarsi vincere da questa entusiasmante follia”, luoghi di studio per chi ha studiato a Firenze e per chi ancora studia anche se è “un po’ fuori corso” (“Non penso che mi laureerò mai. Ma non importa. Non ho concluso il mio percorso di studi né di vita, ma sono rimasto qui a raccogliere storie”).

Paola Beatrice Rossini,con “Ginevra degli Amieri” ci porta indietro nel tempo, agli anni d’oro di Firenze, il 1400 segnato dagli scontri tra Guelfi e Ghibellini, raccontandoci di una donna creduta morta e seppellita, che si risveglia e torna dal marito e dalla madre che la rifiutano credendola un fantasma. Può sembrare fantasia ma l’autrice dichiara che è storia vera e “che l’attuale via del Campanile una volta era chiamata via della Morta? Proprio dopo quella notte…”.

Luca Anichini, mio compagno nelle avventure di “Fiorentini per sempre, viaggio emozionale nel cuore di Firenze” (Edizioni della Sera, 2020) e “Gente di Dante” (Tabula Fati, 2021) è presente con il racconto “Il beccaio del Ponte Vecchio” che ci parla di quando sullo storico ponte non c’erano i gioiellieri come adesso, ma i macellai (“macellai, pescivendoli e i gestori di osterie e taverne” a Firenze erano detti beccai) “nel 1529-30, durante i quasi dieci mesi dell’assedio di Firenze da parte delle truppe Imperiali di Carlo V” e di quando “nel 1593 tutti i beccai del Ponte Vecchio furono costretti a lasciare le proprie botteghe, per traslocare al Mercato Vecchio nell’attuale Piazza della Repubblica”.

Altro autore, storico, del GSF è il giallista Fabrizio De Sanctis, con il quale ho condiviso le esperienze di “Gente di Dante”, “Accadeva a Firenze Capitale”, presente anche ne “Le sconfinate”. Nel suo “Il carro” fa parlare lo storico Brindellone o carro di fuoco, che scortato da 150 fra armati, musici e sbandieratori del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, da 300 anni celebra la Pasqua a Firenze.

Gian Luca Caprili con “Il ritorno di Jessaline” ci parla dello “smisurato fascino che le vecchie canzoni esercitano su chi è un po’ in là con gli anni” e di come, “Incredibile, la bella Jessaline si rifaceva viva, a distanza di lustri”. Purtroppo, però, Jessaline era malata e “si era regalata un giro in Europa, poteva essere l’ultimo”.

Pierfrancesco Prosperi, veterano della scrittura, prossimo ormai credo a festeggiare i 60 anni dalla prima pubblicazione, autore edito da quasi ogni casa editrice italiana, cui Massimo Acciai Baggiani ha di recente dedicato il bel saggio “Architettura dell’ucronia” (dove con il contributo di vari autori, me compreso, potrete scoprire meglio questo autore che ho lì definito “Il re dell’ucronia”), ci parla de “L’isola dei morti”, il cosiddetto cimitero degli inglesi ma anche il quadro che a questa si ispira del pittore svizzero Arnold Böcklin e che era presente nella stanza dove Hitler si suicidò. Un viaggio nel tempo di cui Prosperi è maestro.

“La città vagante” del sottoscritto (Carlo Menzinger) è un racconto di fantascienza che immagina un futuro distopico in cui per sopravvivere all’innalzamento del mare le città si trasformano in navi e salpano nel Mediterraneo, dove infuria la guerra. La “Centro Storico di Firenze”, armata con potenti cannoni, naviga portandosi dietro i principali monumenti. Le problematiche ambientali fanno anche qui da sfondo come nell’antologia “Apocalissi fiorentine” o in quella ancora inedita “Quel che resta di Firenze”.

“La contessa Toni” di Elena Brachini ci parla dei salotti letterari degli anni ’30 del XX secolo e delle vicende di questa famiglia (compresa una tragica morte) che non saprei se sia immaginaria o piuttosto quella dei Conti Toni da Cigoli (originaria di Trevi e legata alla città di Spoleto. Cigoli invece, credo sia la frazione di San Miniato in provincia di Pisa).

Francesca Magrini, autrice di tre romanzi e alcuni racconti, firma “La latteria della Marisa”, storia di amori giovanili, corna, cazzotti e pestaggi.

È quindi la volta di Massimo Acciai Baggiani, autore di decine di opere, tra romanzi, racconti, poesie e saggi, membro oltre che del GSF anche della World SF Italia (come me), mio coautore per il romanzo “Psicosfera” e autore della mia biografia “Il sognatore divergente”. Il suo “La Pantera e il Viaggiatore” ci parla del 1990 e del movimento studentesco La Pantera, che prese il suo nome da uno di questi felini che la notte del 27 dicembre fu avvistato a Roma, in mezzo a Via Nomentana, ma anche alle Pantere Nere americane. Da autore amante del fantastico, inserisce nella storia un viaggio nel tempo.

Altrettanto fantastico è “Limbo” di Alessandro Ricci, che immagina che da Piazza del Limbo, vicino Borgo Santi Apostoli, si possa davvero accedere al Limbo dantesco e lì incontrare Aristotele.

Di Alessandro Bini, autore de “Il mirtillo” avevo già letto “Mi trovo bene ma non mi cerco mai” e il racconto in “Fiorentini per sempre”. Ci parla di questi anni di pandemia e di come il turismo fiorentino ne abbia risentito ma anche dello sguardo dei turisti verso la città, in particolare di quello dei bambini.

Con “Sabatino e la scuola dei ladri” siamo nel 1885. Anni che l’autore Sergio Calamandrei, specializzato soprattutto nel periodo di Firenze Capitale (1865-1871), ben conosce. Ha, infatti, anche curato per il GSF l’antologia “Accadeva in Firenze Capitale” (Carmignani, 2021). Il protagonista Sabatino Arturi, un giornalista, lo ritroviamo in altri suoi racconti di questo periodo ed è un antenato del moderno detective Domenico Arturi, protagonista dei gialli di Calamandrei “L’unico peccato” e “Indietro non si può”, inseriti nel progetto “Sesso motore”. Qui il protagonista ha a che fare con la delinquenza minorile e il tentativo di portar via dalla strada un ragazzino.

Sconvolgente può essere la vista di un incidente, anche se la vittima è una cavalla investita da un SUV (“Ieri ha visto il sangue, e l’occhio della cavalla”), ci racconta Carlo Cuppini in “Sangue”. “La cavalla a terra, dalla bocca fuoriesce schiuma mista a sangue, il respiro spande la miscela sul lastricato a spina di pesce.” Tutto si tinge di rosso e il tempo pare impazzire, mescolando passato, presente e futuro. “Si accende nella sua mente il ricordo di un altro oggetto volante: un drone. Nelle orecchie gli risuona una voce. Cerca di scacciarla. Ma la gente intorno a lui sta già scomparendo…

È due anni prima. È il primo lockdown. Nessuno esce di casa. Lui soltanto, alle cinque di mattina, perché non vuole impazzire, a costo di essere multato, denunciato, lapidato. Cammina in mezzo alla carreggiata deserta, come un funambolo su una riga da cui, neanche volendo, si potrebbe cadere. Il silenzio è assordante. Nel silenzio, non riesce a far tacere la voce.”

In “Si chiamava Albertine” Enrico Zoi, giornalista e scrittore, ci parla dell’incontro con una francesina, anche se un po’ anonima, in quel crocevia temporale di fine anni settanta, in una casa d’aste del centro, che pare quasi la bottega di un rigattiere perché c’era davvero un po’ di tutto: paesaggi, nature morte, ritratti, tele di ogni tipo e qualità, e poi candelabri e posateria in peltro o in argento, serviti da tè o da pranzo laccati in oro, soprammobili, chincaglierie, cineserie, busti, statue e statuette di varia foggia e poi in Piazza dell’Olio, divenuta speciale per l’occasione.

È un ritorno a casa quello che ci narra Andrea Gamannossi, autore di numerosi romanzi gialli e noir e raccolte di racconti, in “Sulle orme del drago d’oro”. Tornai nel mio vecchio quartiere dopo tanti anni. Ero un quindicenne quando i miei genitori decisero di emigrare in Australia. Ritorno in Via del Drago d’Oro nel quartiere di Santo Spirito, con le botteghe degli artigiani ormai trasformate in locali moderni, per rivedere la propria vecchia casa, generando misteriosi déjà-vu, con volti del passato che riemergono giovanili.

Susanna Madarnàs (“Susy driver”) ci mostra uno dei momenti più difficili e pericolosi nella professione di tassista per una donna, anche in una città tranquilla come Firenze. Mestiere che ben conosce dato che lo esercita e su cui ha pubblicato un intero volume.

Prima che fosse trasferito nell’imponente edificio di via di Novoli, il Palazzo di Giustizia fiorentino era in Piazza San Firenze, come ci racconta il mio due volte collega Roberto Zatini (“Piazza San Firenze: una storia di ingiustizia”) mostrandoci le disavventure quasi kafkiane di una persona condannata per aver consegnato, assai ingenuamente, un pacco di cui nulla sapeva. Si era nel 1956 e si spera che oggi la giustizia funzioni meglio. Più che a “Il processo”, però il protagonista pare avere in mente Pinocchio, arrestato dai carabinieri per aver ferito alla testa l’amico Eugenio, colpendolo con un trattato di aritmetica.

La curatrice Camilla Cosi con “Uomini o pischelli” pare fare il verso forse più a Toto (siamo uomini o caporali) che a Steinbeck (uomini e topi) o Elio Vittorini (uomini e no). Storia di crescita e maturazione di un quindicenne nel 1987, che ci parla dei grandi, piccoli drammi adolescenziali (Avevo chiesto ai miei genitori di regalarmi un giubbotto di jeans con il pelo, come quello che avevano comprato a Simone) che a un adulto distratto possono parere poca cosa ma si portano dietro problematiche di inclusione e possibili bullismi, ma anche difetti di percezione dei rapporti familiari. Non per nulla, come si legge, tutto è legato ai rapporti dei due fratelli con le ragazze e tra loro.

Insomma, “A Firenze, Centro Storico” (Edizioni della Sera, 2023) è una bella chiacchierata scritta, con tanti amici e con altri che spero possano diventare tali, su come hanno vissuto o vivono l’antico, rinomato centro della loro città. Una visione non da turisti ma da figli di Firenze, non priva di trovate narrative originali. Un altro dei segnali che questa città forse non si è impantanata nei fasti del Rinascimento ma è ancora culturalmente viva.

INSONNIA

Sonno” (2010) di Haruki Murakami (Kyoto, 12 gennaio 1949) è un romanzo breve che ci parla di una donna che soffre di insonnia che, anziché deperire per la mancanza di sonno, si scopre più bella e sana, mentre vede con occhi diversi marito e figlio che ora le paiono divenuti brutti. Passa le sue notti a leggere Anna Karenina e a fare incubi e sogni, forse a occhi aperti. L’insonnia, insomma, le ha regalato una diversa percezione del mondo.

Leggo che questo più che un romanzo è una delle storie della raccolta “L’elefante scomparso e altri racconti”.

Non certo l’opera più significativa di questo autore.

FANTASCIENZA PER FILOSOFI QUANTISTICI

La terra moltiplicata” (“Quarantine”, 1992) dell’australiano Greg Egan (Perth, 20 agosto 1961) è un romanzo di fantascienza con un target di lettori piuttosto preciso: i fisici quantistici, specie se appassionati di filosofia hegeliana. Non che sia un libro particolarmente complesso da leggere ma credo che nessuno più di loro potrebbe apprezzarlo con questi personaggi che si moltiplicano per effetto delle misteriose (per i profani) leggi quantistiche.

Immaginate che a un certo punto le stelle scompaiano dalla vista. Che cos’è successo? Semplice, la Terra e parte del sistema solare sono finiti in una bolla quantistica (anzi c’è finito il resto dell’Universo e la Terra è al di qua dell’orizzonte degli eventi (che si trova tra Giove e Plutone) di una sorta mega buco nero. Credo, ma forse non ho capito nulla.

C’è poi una setta di assassini in qualche modo connessa a questa bolla-nascondi-stelle. C’è anche un paziente cerebroleso con poteri telecinetici che viene rapito. Ed ecco anche la “necrosi cosmica”! Tutto è connesso? Cos’è che “distrugge” le stelle? Il fatto stesso di guardarle o pensarle?

Non se ne parla ma sembra che dietro ci sia la filosofia di Parmenide con il suo “l’essere è e non può non essere” ma anche

“l’essere non è e non può essere” e ancor più l’Idealismo di pensatori come Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per il quale la realtà è il prodotto della mente umana che la pensa e la realtà sarebbe costituita da idee o concetti universali. Idee siano alla base di tutto ciò che esiste. In altre parole, la realtà non sarebbe fatta di oggetti materiali, ma di idee che esistono nella mente umana.

Il mondo quantistico sarebbe dunque stato creato artificialmente?

La distruzione delle stelle sarebbe dovuta a effetti quantistici inconsapevoli generati dal pensiero umano! La mente umana provocherebbe il collasso delle funzioni d’onda quantistiche!

Ci sono dunque tante realtà moltiplicate che collassano, lasciandone solo alcune versioni.

L’interesse del libro è soprattutto nelle sue teorie sulla nascita di cloni quantistici e altre cose simili, perché i personaggi e la trama mi sono parsi piuttosto piatti.

SCOMPARIRE ALLA RICERCA DEL CLONE AMATO

Era un po’ che non leggevo nulla di Haruki Murakami (Kyoto, 12 gennaio 1949), autore sempre suggestivo anche se spesso con qualche debolezza narrativa. Ho da poco letto “A sud del confine, a ovest del sole” (1992), un’opera molto più mainstream di altre che avevo letto ed eccomi di nuovo a leggere qualcosa di suo con “La ragazza dello Sputnik” (1999).

Haruki Murakami

Nonostante il titolo, come per la precedente lettura, anche qui la fantascienza non c’entra per nulla. La protagonista, la giovane scrittrice Sumire, viene definita così dal coprotagonista voce narrante perché ha confuso il movimento letterario Beatnik con il celebre satellite artificiale russo. A dir il vero la confusione della ragazza non è del tutto immotivata. Leggo, infatti, che “La parola beatnik è stata inventata dal giornalista Herb Caen, del San Francisco Chronicle, in un suo articolo del 2 aprile 1958, come termine denigratorio per riferirsi ai beats, ovvero ai membri della Beat Generation, come unione di parole con il satellite sovietico Sputnik, per sottolineare sia la distanza dei beat dalla società statunitense corrente, sia il fatto che erano vicini alle idee comuniste” (da Wikipedia).

Il romanzo è uno dei più realistici di Murakami, anche se non manca un misterioso episodio in

cui Myu, la donna più matura di cui si innamora la giovane Sumire, rimasta bloccata su una ruota panoramica, sbirciando in casa propria con un binocolo vede se stessa fare l’amore con un uomo. Discesa dalla ruota si sdoppierà: una Myu rimarrà nel mondo reale ma con i capelli divenuti bianchi e una forte avversione per il sesso, mentre l’altra Myu, forse, continuerà una sua esistenza più libera in un altro spazio.

Quando Sumire misteriosamente scompare il narratore sospetta possa aver raggiunto, alla ricerca dell’amore, la Myu sdoppiata, perché rifiutata dalla Myu asessuata.

Lettura piacevole, scorrevole, con una trama più semplice e lineare di altre opere del giapponese come “Nel segno della pecora” (1982) con il ragazzino che fissa il pene di balena, l’autista con il numero di telefono di Dio e la pecora che entra nelle persone o  “La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie” con i suoi unicorni al pascolo o anche “1Q84” (2009) con  i Little People e le loro crisalidi d’aria. Siamo qui piuttosto dalle parti “Tokyo blues” (anche noto come “Norwegian wood”) come genere e come qualità non troppo lontani da “Kafka sulla spiaggia” che credo resti il suo romanzo che ho apprezzato di più.

Un autore, comunque, da continuare a leggere perché ogni sua opera apre un mondo nuovo.

BOMBARDAMENTO DI VIOLENZA

Anthony Bugess

Guardo piuttosto spesso film horror ma nessuno di questi è mai stato per me disturbante come “Arancia meccanica” (1971) di Stanley Kubrick: nessuna scena mi ha mai costretto a distogliere lo sguardo e provare una sensazione di nausea come il trattamento di cura riservato al protagonista, quel teppistello assassino di Alex. In effetti, Kubrick è anche il geniale colpevole del solo film che mi abbia provocato per anni degli incubi. Sto parlando di “2001 Odissea nello spazio” e, in particolare, della parte finale con l’astronauta in quella casa in cui il tempo sembra scorrere accelerato. Certo va detto che vidi quest’ultimo in età prescolare e “Arancia meccanica” pochi anni dopo. La mia sensibilità attuale è di certo cambiata. Lo posso confermare per “2001 Odissea nello spazio” avendolo poi rivisto senza problemi almeno un paio di volte. Non mi sono, invece, mai più cimentato con la visione di “Arancia meccanica”. Ho, invece, appena letto il romanzo di Anthony Burgess (Manchester, 25 febbraio 1917 – Londra, 22 novembre 1993) del 1962 da cui è tratto.

Penso che se le mie notti potranno essere agitate non sarà certo colpa di questa lettura, che non ho percepito come di un horror. A dir il vero, l’ho affrontato trovandolo, con mia sorpresa in una lista di romanzi di fantascienza. È fantascienza? Prima di rileggerlo non lo avrei mai pensato, ma in effetti, qualcosa del genere lo ha.

Innanzitutto il linguaggio usato dal protagonista Alex, voce narrante è uno strano gergo giovanilistico che non mi pare possibile sia mai esistito: una lingua inventata come se ne trovano in alcune delle migliori opere di genere fantastico.

Eccovi l’incipit, tanto per rendere l’idea:

“- Allora che si fa, eh?

C’ero io, cioè Alex, e i miei tre soma, cioè Pete, Georgie, e Bamba, Bamba perché era davvero bamba, e si stava al Korova Milkbar a rovellarci il cardine su come passare la serata, una sera buia fredda bastarda d’inverno, ma asciutta.

Il Korova era un sosto di quelli col latte corretto e forse, O fratelli, vi siete scordati di com’erano questi sosti, con le cose che cambiano allampo oggigiorno e tutti che le scordano svelti, e i giornali che nessuno nemmeno li legge.

E si va avanti così fino all’ultima pagina.

Altro aspetto fantascientifico è la possibilità di curare persone malvagie, rendendole così buone da non sapersi più difendere, con

un veloce condizionamento (15 giorni) a base di un bombardamento di immagini “ultraviolente” che sconvolgono il “planetario” (così chiama la testa). La morale pare essere che senza un po’ di propensione alla violenza, saremmo tutti solo vittime.

Il romanzo viene definito distopico perché mostra una città in cui la violenza è ovunque, non solo nelle azioni e nel gergo dei teppistelli protagonisti, ma anche nei “cerini” (così vengono chiamati i poliziotti) ma anche in gente normale, dalle vittime di Alex che gli si rivoltano contro appena possono al branco di “bigi” (vecchi) che lo aggrediscono quando esce di prigione. Distopia? Non c’avrei quasi pensato, tanto il contesto mi pare poco lontano dalla realtà. Mi pare più surreale, piuttosto, che un balordo come Alex sia appassionato di musica classica!

Leggo che il titolo originale in inglese, “A Clockwork Orange”, trae origine da cockney londinese: “As queer as a clockwork orange” (“strano come un’arancia a orologeria”). La frase indicherebbe qualcosa che appare naturale come un’arancia, ma che cela in realtà una natura estremamente bizzarra e inusuale. Leggendo mi pare che vi sia anche un significato legato alla trasformazione di qualcosa di naturale in qualcosa di meccanico. Alex, infatti, viene costretto a vedere film violenti per indurlo a provare orrore per comportamenti antisociali. Si trasforma così artificialmente in una vittima di un mondo violento, incapace di reagire.

Romanzo che ancora oggi a oltre sessant’anni da quando fu pubblicato, suona originale, trascinante e potente.

Penso sia ora di leggere altro di Burgess, magari “Il seme inquieto”.

AMORE OLTRE IL TEMPO

Ho sempre apprezzato le opere di Haruki Murakami (Kyoto, 12 gennaio 1949), sebbene spesso abbia trovato che alcune parti fossero un po’ prolisse.

Haruki Murakami

Tendo a considerarlo un autore di genere fantastico, anche se il suo approccio non è quello tradizionale e i suoi libri difficilmente riuscirei a collocarli nel fantasy, nella fantascienza o ancor meno in altri generi.

Ho letto ora un romanzo che è, invece, decisamente mainstream: “A sud del confine, a ovest del sole” (1992). Mi è parso forse, dal punto di vista narrativo, il suo romanzo più equilibrato, nel senso che nessuna parte, a differenza di quanto riscontrato altrove, pare debordare, allungandosi eccessivamente a danno della struttura complessiva.

Il titolo piuttosto surreale allude ai contadini che lavorano tutto il giorno dall’alba al tramonto, ma che, magari, un giorno possono decidere di cambiare vita, di andare cioè oltre quel confine temporale che è l’ovest in cui tramonta il sole, concetto espresso a un

certo punto dal protagonista.

Il romanzo parla, invece, dell’amore tra due bambini, Hajime e Shimamoto, entrambi figli unici in un tempo in cui questo era visto come strano e una sorta di “handicap” (così era anche quando ero piccolo io). Lei, in più ha anche un handicap fisico che la fa zoppicare.

L’amore infantile resta del tutto platonico e termina brutalmente per un tradimento di lui con la cugina della ragazza, ma poi i due si ritrovano molti anni dopo, quando lui ha già moglie e figli, trovandosi così tormentato tra due diverse forme d’amore. Oserà andare oltre il confine, a ovest del sole?

Il romanzo, tra i più semplici e diretti di questo autore, scorre piacevolmente con personaggi che restano nella memoria pur nella semplicità della loro vicenda.

LA VENDETTA DEL SIGNORE DI VENTIMIGLIA

Emilio Salgari

Ogni tanto rileggo qualche libro letto molti anni prima o addirittura durante l’infanzia, per vedere se mi restituisce sensazioni simili o per rinverdirne la memoria. È sempre una lettura nuova e diversa. Diverso è l’occhio e il modo di percepire le frasi. Di certo oggi mi interrogo sulla modalità di scrittura, aspetto che allora non mi interessava.

L’autore per eccellenza dei miei anni delle elementari fu Emilio Sàlgari (non costringetemi a chiamarlo Salgàri). Rileggo ora “Il corsaro nero” (1898), notando, come allora, la ricchezza delle sue descrizioni, sia dei dettagli (soprattutto fisici) dei personaggi, sia, in particolare dei luoghi, che descrive come se li avesse visitati (cosa che già da bambino sapevo non fosse vero).

La forza della narrativa di Salgari (Verona, 21 agosto 1862 – Torino, 25 aprile 1911), quella che te lo fa amare, io credo stia anche una questa ricchezza descrittiva che riguarda non solo immagini ma anche suoni e odori, navi, armi e piante, e che certo un moderno editor taccerebbe come digressioni o “spiegoni” che rallentano la trama. Rovistando trai ricordi d’infanzia, in effetti, credo che il mio sguardo a volte ci si attardasse ma altre volte vi scorresse veloce per precipitarsi verso le scene d’azione e i suoi dialoghi sanguigni. E anche in questi quante ripetizioni delle stesse idee! Eppure anche i grandi classici dell’antichità, da Omero in poi, erano scritti così. La ripetizione aiuta il lettore distratto, bambino o adulto che sia. È un difetto? Per un docente o un editor forse sì, ma per un lettore è un modo per calarsi con maggior facilità nella storia. Potenza narrativa, dunque è non difetto da autore di serie B. Una scrittura capace di raggiungere ogni cuore e ogni mente nella sua limpida immediatezza, ma che lo hanno condannato nel limbo della letteratura per l’infanzia.

Come autore apprezzo l’uso dei soprannomi per rendere facilmente ricordabili e identificabili i personaggi. Quanto è più facile memorizzare l’appellativo Corsaro Nero che non  Emilio, conte di Roccabruna (o Roccanera), signore di Ventimiglia e di Valpenta.

Un “soprannome” non molto politicamente corretto è quello di Moko, sovente definito Negro, ma erano altri tempi e nessun intento di insulto si coglie in questo termine che oggi suona un po’ razzista verso il personaggio, che ha pari dignità rispetto al timoniere Morgan (personaggio storico reale) o agli altri compagni filibustieri come il biscaglino Carmaux o il tedesco Wan Stiller.

Certo tre fratelli che usano i colori per farsi identificare hanno scatenato l’ironia di certi fumetti che leggevo allora.

Un aspetto di questo romanzo che non ricordavo dalla lettura infantile è l’ambientazione storica. Mi sfuggiva, per esempio, che Emilio di Roccabruna, assieme ai suoi tre fratelli, avesse combattuto per il Ducato di Savoia durante la Guerra d’Olanda (1672-1678). Già! Siamo in anni, quando Salgari scrive, in cui il Paese è da poco unificato sotto la guida dei Savoia e questo pare quasi un tributo dovuto ai nostri reali.

Da qui si dipana tutta la trama: il malvagio duca fiammingo Wan Guld, uccide a tradimento il maggiore dei quattro fratelli di Ventimiglia. I tre superstiti cercheranno di vendicarlo. Moriranno però, per mano di Wan Guld, prima il Corsaro Verde e poi quello Rosso.

Il fratello superstite giura di uccidere l’assassino e tutta la sua parentela ma ha la sventura di innamorarsi proprio della figlia del nemico. Da qui nasce il grave conflitto interiore del Corsaro Nero. Sarà più forte l’odio o l’amore?

Altro aspetto affascinante, soprattutto per un bambino, io credo sia il ricorso a un linguaggio speciale, come quello marinaresco, ricco di termini che al mio orecchio di fanciullo suonavano quanto mai misteriosi ma che anche oggi hanno per me un significato vago. È lo stesso fascino di autori come Tolkien o la Rowling quando inventano i loro neologismi. Come ho sostenuto scrivendo i romanzi di Jacopo Flammer, non è indispensabile creare neologismi per avere lo stesso effetto fascinante: basta usare un gergo inconsueto.

Il romanzo è il primo di un ciclo, “I corsari delle Antille” composto di vari romanzi alcuni apocrifi, pubblicati dopo la morte:

  • Il Corsaro Nero, 1898
  • La regina dei Caraibi, 1901
  • Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, 1905
  • Il figlio del Corsaro Rosso, 1908
  • Gli ultimi filibustieri, 1908.

E altri scritti da altri autori:

  • Il Corsaro Rosso, 1941, di Americo Greco.
  • Il Corsaro Verde, 1942, di Sandro Cassone.
  • Le ultime imprese del Corsaro Nero, 1941, di Autore sconosciuto.
  • La figlia del Corsaro Verde, 1941, di Renzo Chiarelli.

L’EVOLUZIONE DELLE MACCHINE PENSANTI

Stanislaw Lem

Il polacco Stanislaw Lem (Leopoli, 12 settembre 1921 – Cracovia, 27 marzo 2006) è il geniale autore di uno degli alieni più originali mai ideati, il pianeta pensante di “Solaris”.

Con il romanzo “L’invincibile” (1964), Lem immagina un altro tipo di intelligenza: un pianeta in cui alcuni robot e altrio automi, abbandonati a loro stessi dai loro creatori, hanno dato vita a un’evoluzione tecnologica, simile a quelle biologiche, portando a colonizzare il pianeta, privo di forme di vita organiche, con nuove macchine, non costruite da organismi intelligenti come gli uomini, ma evolute per conto loro per sopravvivere in un mondo ostile.

La sola idea qualifica questo romanzo come un’opera imperdibile per i lettori di fantascienza, anche se non ha la qualità e il

fascino di “Solaris”. Interessanti nel romanzo anche alcuni sviluppi evolutivi immaginati, in particolare l’idea dei nano-robot, capaci di interagire tra loro come cellule di un organismo più grande, unendosi a seconda delle esigenze. Una sorta di intelligenza modulare.

Condivido conLem l’idea che l’umanità sia solo una delle molteplici forme di intelligenza e di vita possibile e che molte altre, assai diverse possano esistere quali forme di intelligenze collettive, come quelle di formiche o api.

FINALISTI PREMIO VEGETTI 2023

Oggi sono stati proclamati i finalisti del Premio Vegetti, uno dei maggiori riconoscimenti per la fantascienza indipendente.

Potete leggerli sul sito della World SF Italia, ma mi fa piacere riportarli anche qui:

Per la categoria Romanzo di Fantascienza

LA GIURIA
Presidente: Matteo Vegetti.
Giurati: V. Barbera, R. Del Piano, S. Giuffrida

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

La farfalla dalle ali di Ossidiana di Andrea Carlo Cappi (Ed. Bonelli, 2022)


Le città galleggianti di Annarita Stella Petrino (Ed. Tabula Fati, 2022)
Psicosfera di Massimo Acciai Baggiani e Carlo Menzinger (Ed. Tabula Fati, 2022)
Whormole di Umberto Guidoni e Donato Altomare (Ed. Mursia, 2022)

Per la categoria Saggio di Fantascienza

LA GIURIA
Presidente: Matteo Vegetti.
Giurati: Tea C. Blanc, M. Conese, L. Sorge

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Architettura dell’Ucronia di Massimo Acciai Baggiani (Ed. Solfanelli 2022)
Fantascienza movie story, vol. 1 di Giovanni Mongini e Mario Luca Moretti (Ed. Scudo 2022)
La Percezione del Clima di Luca Ortino (Ed. Odoya 2021)
Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger di Chiara Sardelli (Ed. Solfanelli 2022)

Per la categoria Antologia di Fantascienza

LA GIURIA
Presidente: Matteo Vegetti.
Giurati: F. Calabrese, B. de Filippis, F. Radogna

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Gatti dall’altrove a cura di Marina Alberghini e Luca Ortino (Ed. Mursia, 2022)
Il varco nel cielo a cura di Vittorio Piccirillo (Ed. Tabula fati, 2022)
Oltre il reale a cura di Carmine Treanni (Ed. Delos Digital, 2021)
Terzo Millennio a cura della World SF Italia (Ed. Tabula fati, 2022)

Per la categoria Racconto di Fantascienza

LA GIURIA
Presidente: Matteo Vegetti.
Giurati: P. Giorgi, G. Lucchi, E. Palumbo

OPERE FINALISTE (In stretto ordine alfabetico)

Arancia Meccatronica di Maddalena Antonini (Cosmoril 16, Ed. Tabula fati, 2021)
Condominio Usher di Luca Ortino (Decamerovirus, Ed. Homo Scrivens, 2022)
Missione compiuta di Franco Piccinini (Gatti dall’altrove, Ed. Mursia, 2022)
Ortensie su Marte di Sandra Moretti (World SF Italia Magazine n. 2, Ed. Scudo, 2022)
Vacanza Premio di Andrea Coco (World SF Italia Magazine n. 1, Ed. Scudo, 2022)

Aggiungo soltanto che ho avuto l’onore di essermi classificato assieme a Massimo Accia Baggiani nella categoria romanzo con “Psicosfera” e sono lieto di vedere che anche il saggio di Chiara Sardelli “Suggestioni fiorentine nella narrativa di Carlo Menzinger” che parla delle mie “Apocalissi fiorentine” è in finale per la categoria omonima, in cui si è piazzato anche Massimo Acciai Baggiani con il suo saggio sul grande Pierfrancesco ProsperiArchitettura dell’ucronia”, cui ho contribuito con un articolo.

La proclamazione dei finalisti può essere vista qui.

Complimenti anche tutti gli altri ottimi finalisti.

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