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ITALIANI NELLO SPAZIO

UN LIBRO CON TE CON MARIO RAGIONIERI 16 ottobre 2019 - YouTubeChi legge poca fantascienza tende spesso a confonderla con la space opera (l’epopea spaziale o epica spaziale) che, in realtà ne sarebbe solo un sottogenere, ambientato tipicamente nello spazio esterno, caratterizzato dall’avventura romantica e spesso melodrammatica con viaggi interstellari e, non di rado, battaglie spaziali, in immensi universi spesso dominati da imperi galattici (come ci spiega wikipedia). La fantascienza offre molti altri scenari.

Nell’ambito della space opera appare assai frequente l’incontro con alieni umanoidi. Basti pensare alla celeberrima saga Star Trek o a Star Wars (seppur caratterizzata da una maggior varietà di tipologie aliene).

Personalmente credo altamente improbabile incontrare alieni antropomorfi. Sono certo che la natura ha molta più fantasia di noi e dubito che eventuali razze intelligenti abbiano fattezze simili alle nostre. Dubito anche che le razze intelligenti debbano diventare per forza razze tecnologiche. Come ho già scritto penso, anzi, che le specie tecnologiche siano condannate a una brevissima esistenza, cosa che le rende particolarmente rare.

Mario Ragionieri, fiorentino della scuderia di Porto Seguro, è un autore assai prolifico ma che si diletta abitualmente nello scrivere corposi saggi storici sugli ultimi secoli. Lessi, per esempio, un suo studio sui rapporti tra Togliatti e Stalin.

Tra un saggio e l’altro, Ragionieri si dedica talora anche alla fantascienza, di cui si professa cultore.

Ho letto così il suo “Viaggio nel cuore del sistema di Antares” (Porto Seguro Editore, Ottobre 2018) che rientra appunto nella space opera con alieni antropomorfi.

Il romanzo ha molto di Star Trek o di Spazio 1999, con il continuo passare di questa nave da esplorazione da un mondo sconosciuto all’altro, incontrando ogni sorta di ominidi, da quelli tecnologicamente evoluti a quelli che vivono come cavernicoli. Certo le differenze tra loro e noi non sembrano essere molte, se ogni tanto nasce persino qualche rapporto erotico. Più che far l’amore, i nostri astronauti direi però che pensano a far la guerra. Su ognuno dei numerosissimi mondi visitati non mancano occasioni per sparatorie, incendi (strano nello spazio vuoto!) e scontri di ogni tipo con armi laser o di altro genere.

Come Ragionieri ricorda ripetutamente, la nave spaziale è armatissima e si trova assai spesso coinvolta in pesanti Viaggio nel cuore del sistema di Antaresscontri militari con varie razze aliene. Siamo nel 2287 e l’umanità è ormai in grado di padroneggiare i viaggi nell’iperspazio, anche se spesso vediamo i nostri esploratori muoversi alla velocità di 70.000 chilometri al minuto tra un pianeta e l’altro, affrontando ominidi cannibali o variamente aggressivi. Sebbene gli umani cerchino sempre di lanciare messaggi di pace, lo fanno assai goffamente, come quando bombardano, a mo’ di saluto, una nave aliena, facendola oscillare pericolosamente e poi si stupiscono che il loro saluto sia confuso con un atto ostile.

Ho più volte scritto (a proposito, per esempio, de “L’enigma di Pitagora”, “Fantaetruria” o “Apocalissi fiorentine”) che gli autori italiani di fantastico dovrebbero cercare di ambientare le loro storie nel proprio Paese. Ragionieri è andato oltre questo proposito. Su questa nave i personaggi hanno tutti nomi italiani (il protagonista si chiama Mario come l’autore): insomma, sembrerebbe che l’autore, patriotticamente, immagini che tra 267 anni avremo un’Italia superpotenza spaziale! Se gli italiani già ora si possono incontrare in ogni parte del pianeta, sembrerebbe che in questo futuro saranno ovunque nella Galassia! Italia ovunque! (per parafrasare il titolo di un’antologia cui partecipo, di prossima pubblicazione). E mi viene in mente il film “Fascisti su Marte” (2006) di Corrado Guzzanti e Igor Skofic.

E voi che ne dite? Credete negli alieni antropomorfi? Ci saranno italiani fuori del sistema solare?

UNIDENTIFIED BURIED OBJET (U.B.O.)

Stephen King - Wikipedia

Stephen King

Pare che nell’antichità, per esempio in Grecia, fosse normale bere il vino annacquato. Io non sono né un appassionato, né un esperto di vini, ma credo che annacquare un buon vino, un po’ lo uccida.

Ci sono vigne che di norma producono vini pregiati. Una di queste, in letteratura, si chiama Stephen King. Difficilmente un libro scritto da lui non ha qualcosa di buono, anzi di norma sono ottimi. A volte gli autori di successo, però, pare che scrivano come se fossero pagati per numero di pagine (temo che spesso sia così). Avviene dunque che quando hanno una buona idea, invece di offrirla ai lettori pura e perfetta, si sentono in dovere di annacquarla. Temo sia questo il caso di “Le creature del buio” (“The Tommyknockers”, 1987) di Stephen King (Maine, 21/09/1947).

La buona idea alla base è: che cosa fareste se trovaste un’antica astronave aliena sepolta in giardino. A quest’idea ne accompagna un’altra altrettanto buona: immaginate che dopo migliaia di anni l’astronave sepolta, questo oggetto che avrei chiamato Unidentified Buried I grandi vini italiani: il Chianti - la RepubblicaObjet (U.B.O.), sia ancora attivo, praticamente vivo, anche se i suoi passeggeri paiono morti. Giusto un grande come King poteva aggiungere la terza idea: man mano che l’astronave viene disseppellita, comincia ad agire sui corpi e sulle menti delle persone dei dintorni, ovvero del paesino di Haven. La gente diventa molto abile con la tecnologia e la scienza, ma nel frattempo perde l’aspetto umano.

Fin qui un’ottima base per una storia di fantascienza con una certa originalità e con qualche elemento horror (già, King lo considerano un autore horror, ma anche qui per me siamo molto di più dalle parti della fantascienza e, come ho già scritto spesso il Re del Maine è assai di più). C’è anche molto altro di buono nel romanzo, come, per esempio, il rapporto tra i due protagonisti Bobby Anderson e Jim Gardener, il bambino che fa sparire il fratello, spedendolo su un altro mondo tramite un portale spazio-tempo da lui stesso creato, e impazzisce, l’idea di alieni tecnicamente evoluti ma incapaci di comprendere la scienza, le orde di persone mutate che inseguono Gardener e varie altre cose.

Di cattivo c’è l’acqua! Tanta acqua in cui le idee buone affogano. Troppe pagine. Troppe digressioni. Certo non siamo ai livelli di prolissità di un Dostojewski, ma qui l’autore vien meno a una regola di scrittura che se non ricordo male fu profferita dallo stesso King: “non ci sia una sola pagina in cui non succeda qualcosa”. Diciamo che qualcosa, in effetti, nelle pagine di King succede sempre, anche in queste, ma in alcune pagine de “Le creature del buio”, quel che succede non è particolarmente interessante o utile alla trama.

Pazienza. È stata comunque una bella lettura e di certo non mi ha scoraggiato dal leggere altro del Re, ma non lo consiglierei come primo libro a chi non lo ha mai letto o non ha mai letto fantascienza. Buono soprattutto per chi ama il vino annacquato. Personalmente preferisco i sapori forti cui la vigna del Re mi ha abituato.

 

C’È ANCORA SPERANZA PER LA TERRA?

Premiazione 2018 – Premio Sergio MaldiniGianni Marucelli è stato dirigente nazionale della più antica associazione ambientalista italiana, Pro Natura, ed è tuttora presidente della sessione di Firenze. Nei suoi scritti traspare spesso questa sua passione e attenzione per l’ambiente, come ebbi modo di evidenziare anche commentando il suo romanzo “L’isola del muflone azzurro” (Betti, 2019).

Questa attenzione traspare anche nella precedente antologia “Undici novelle per l’ora del tè e altri racconti” (Liberodiscrivere, 2012) e Marucelli lo dichiara proprio all’inizio “la vera passione della mia vita: l’amore per la natura, per la Madre che accomuna tutti gli esseri viventi su questo piccolo pianeta, sperduto nel gran vortice della galassia”.

 

Colpisce, innanzitutto, l’uso del termine “novelle” nel titolo. Il volume è, infatti diviso in due parti, le “undici novelle per l’ora del tè” e i racconti di “Domani accadrà?”.

Ho trovato questa distinzione tra i due termini:

la novella è incentrata su un avvenimento o su un personaggio e presenta una struttura rigida (inizio-sviluppo-conclusione); il racconto è caratterizzato da uno sviluppo più libero e dà importanza, più che alla vicenda, all’ambiente in cui i personaggi agiscono e ai loro stati d’animo ed emozioni.

Non saprei dire se la differenza tra la prima e la seconda parte del volume coincida con questa e credo, anzi, che la differenza tra novella e racconto non sia comunemente nota e si tenda a usare indistintamente i due sostantivi, con la differenza che il termine “novella” appare più antico e forse desueto. Non per nulla Marucelli lo ha accostato a “l’ora del tè”, altro concetto che rimanda a tempi passati.Nessuna descrizione della foto disponibile.

Ebbene, in effetti, se la prima parte contiene storie spesso ai limiti della fiaba o su tematiche religiose, la seconda, quella dei racconti, appare più moderna, è puntata verso il futuro e ha spesso toni fantascientifici.

 

Si comincia con “Vangelo apocrifo”, che ci restituisce un quadretto familiare della famiglia di Gesù ancora tredicenne con al centro la sua capra, lanciando un messaggio quasi francescano di rispetto per gli animali.

Con “La luna e la rosa” ci si sposta a Granada, ai tempi dei mussulmani e si segue la vicenda di un’insolita rosa bianca.

Assai emozionante è la lunga novella “Giuliana”, in cui una seduta spiritica fatta per gioco da un gruppetto di amici, li segnerà per sempre.

La “Storia della pietra verde” è praticamente una fiaba e, nel contempo, una toccante storia d’amore.

In “Tre colpi di fucile” troviamo grande protagonista la natura, personificata in un astuto vecchio camoscio.

Ne “L’uomo di parola” il suggestivo incontro sulle montagne rivela una sorpresa paranormale.

In “Christmas’ cat” sarà una gatta a risolvere una difficile e pericolosa situazione.

In “Tutte quelle che ho posseduto” il protagonista nel confessionale si prende gioco del prete e, forse un po’, del lettore.

In “Faust a San Silvestro” sarà di nuovo un gatto, anche se di proporzioni immani, a risolvere un patto mefistofelico.

Ancora gatti troviamo in “Fata Dorina e i suoi angeli”, con una disgrazia vista attraverso gli occhi dei felini e anche questa volta, da loro stessi risolta.

In “Rondine d’autunno” sarà, invece, un bambino con la sua mamma a salvare una piccola rondine e forse qualcos’altro.

Con “Psiconatura” inizia la seconda parte del volume, quella futuristica. In questo racconto, scritto alla fine degli anni ’70, l’autore aveva già immaginato la realtà virtuale, come soluzione per vivere nella natura in un mondo distopico in cui questa è stata distrutta.

Ne “La querce e lo scultore” abbiamo il superamento, grazie agli alberi, di un’analoga distopia, che prima li aveva fatti sparire.

In “Stille nacht”, in un mondo devastato del futuro, sopravvive l’abitudine a fare un presepe, anche se non se ne ricorda più il senso e si cantano ancora, senza capirle, le parole di un’antica musica di Natale.Undici novelle per l'ora del tè e altri racconti - Gianni Marucelli - copertina

Ne “Il gatto” (ancora una volta questa bestiola è protagonista) l’umanità ventura vive sottoterra, in un mondo senza altri animali che i ratti. Una bambina sogna e deifica l’idea di Gatto, come difensore dagli imperanti ratti.

Infine, con una nuova nota di pessimismo, l’antologia si chiude con il volo di Anghelos, messaggero da mondi lontani de “La buona novella”, che non trova nessuno sulla Terra cui portare il proprio messaggio di speranza.

Nel complesso speranza e irritata rassegnazione si alternano in questa raccolta, ma la scelta di porre i mondi distopici alla fine non appare solo di tipo cronologico, descrivendo il futuro, quanto indice di un pessimismo, quanto mai giustificato, verso l’irresponsabilità dell’uomo verso il piccolo pianeta che abbiamo la ventura di abitare.

 

Di recente il volume è stato recensito anche da Massimo Acciai.

 

LA GESTIONE DEI VAMPIRI NEL COMUNE DI ROMA

Pierfrancesco Prosperi, classe 1945, è autore di tutto rispetto, che pubblica ormai da quasi dodici lustri (dal 1960), con al suo attivo numerosissimi romanzi, oltre 140 racconti apparsi sulle principali testate e antologie del settore (Urania, Galassia, Oltre il Cielo, Robot, I romanzi del Cosmo, Futuro, Futuro Europa, Interplanet) oltre che su vari quotidiani, e tradotti più volte all’estero e un’attività di soggettista e sceneggiatore di signori fumetti come “Topolino”, “Martyn Mistére”, “Intrepido”, “Il Monello”, “Zona X” e altri.

Il suo genere prediletto è l’ucronia, ma spazia in molti campi del fantastico, compresa la fantascienza.

Ne leggo ora questa insolita satira politica che è “Vlad 3.0”, sottotitolo “I vampiri di Roma” (Porto Seguro Editore, 2019), impreziosita grazie a un’attenzione alla storia, tipica di un autore di ucronie, si pensi, per esempio, alla scelta di Ariccia come rifugio per i Signori della Notte e all’interessante digressione sulla storia della cittadina e del suo ponte.

Pierfrancesco Prosperi - Letterelettriche EdizioniCon “Vlad 3.0Prosperi scherza con il romanzo gotico, riprendendone gli stereotipi sui vampiri e ridicolizzandoli con la loro trasposizione in ambiente romano, e, nel contempo, crea una spassosa satira della burocrazia, corruzione, rissosità e incompetenza dei politici nostrani, mostrandoci tutte le debolezze dell’amministrazione capitolina, quale che ne sia il colore politico. I riferimenti sono spesso reali, sia ai luoghi dell’urbe, sia ai partiti politici che la popolano. Solo i nomi dei politici e le loro azioni sono inventate.

La divertente idea di base è che i vampiri decidano di immigrare nella capitale e di stabilirvi la loro base, lasciando Romania e Transilvania. Ne nascono  problemi su come difendersi dalla loro violenza, sul loro riconoscimento come cittadini italiani, su come gestirne il pensionamento (dato che sono quasi immortali), e come garantire loro altri diritti. Si scontrano fazioni politicamente trasversali di personaggi pro e contro i vampiri. Dietro ogni tematica, sono evidenti temi centrali del dibattito politico attuale.

Ed ecco che Prosperi ci mostra un surreale capitolato di gara per assegnare a una ditta la devampirizzazione, ecco i proclami dei vari partiti, ecco gli articoli di giornali. E tutto questo con i vampiri divisi, alla “Twilight”, tra cattivi e buoni (che si nutrono di MetaSangue, sangue sintetico, un po’ come ne “Il Settimo Plenilunio” che scrissi anni fa con Simonetta Bumbi, tema poi ripreso da Calamandrei con “Sangue gratis”). C’è anche qui la figlia del protagonista che (come la Bella della Meyer) si innamora di uno dei vampiri (ovviamente di quelli buoni).

L’autore cita (pag. 36, per esempio) e dimostra concretamente di ben conoscere la letteratura gotica dal “Dracula” di Stoker alle creature di Matheson, King, Barker, Polidori, Rice, Newman, ma anche la produzione cinematografica di serie B che ne è derivata, creandone una rivisitazione che non potrà non deliziare gli appassionati del genere che vi rivedranno molti stereotipi ridisegnati con delicata fantasia, basti pensare a una delle prime apparizioni dei vampiri nel romanzo, che, in un quadretto che mi è parso delizioso, arrivavano fluttuando a mezz’aria e “tenevano le braccia leggermente sollevate, piegate vicino al busto, con le dita delle mani riunite a punta e dirette in basso. Come coniglio o marmotte sollevati sulle zampe posteriori”.

Esaminando le ragioni del successo del fenomenoTwilight” avevo immaginato che  l’adolescente sentendo un altro Vlad 3.0 - Porto Seguro Editorese stesso che gli cresce dentro, avesse inconsciamente paura del sé adulto, vedendolo come qualcosa di separato dal proprio io attuale, in qualche modo mostruoso, portandolo a identificarsi nel vampiro o, meglio, nel licantropo: ora sono così, mi vedi così, ma dentro sono diverso, domani potrei essere un altro.

Anche in questo romanzo di Prosperi i giovani cadono più facilmente di altri preda dei vampiri, attratti dal loro fascino trasgressivo, ma “Vlad 3.0” mira a far divertire, riflettere sul malfunzionamento delle nostre amministrazioni più che interrogarsi sulle pulsioni adolescenziali e fare riflessioni sulla natura umana, l’immortalità, la violenza dentro ciascuno di noi. Un umorismo più legato alla nostra realtà amministrativa che all’assurdità del vampirismo, come, per esempio, in serie comiche come la neo-zelandese “Vita da vampiro – What We Do in the Shadows” di Taika Waititi e Jemaine Clement in cui, pure, troviamo vampiri alle prese con i problemi della vita quotidiana.

Di “Vlad 3.0.” ha scritto anche Massimo Acciai su I Segreti di Pulcinella.

MARILYN MONROE, OLTRE IL GIALLO E IL NOIR

Il giallo, il noir e Marilyn - Aa. VvAlberto Eva, curatore dell’antologia “Il giallo, il noir e Marilyn” nella sua insolitamente lunga introduzione spiega come il giallo e il noir siano due generi letterari che, come Marilyn Monroe, aspirano a nobilitarsi.

Questo purtroppo è vero per un po’ tutti i generi letterari, in un Paese come il nostro in cui per secoli il cosiddetto “mainstream”, ovvero la letteratura non-di-genere l’ha sempre fatta da padrona e continua, assurdamente, a mantenere una posizione dominante, relegando tutto il resto a una sorta di girone infernale di serie B.

 

Personalmente leggo un po’ di tutto, ma cerco di evitare i colori tenui, come il giallo e il rosa, per i quali, in letteratura, sono un po’ refrattario, ma non certo perché li consideri “inferiori” o “indegni”, tanto che prediligo la fantascienza e non disprezzo gotico, surreale e fantasy, che godono persino di peggior fama, convinto che siano generi in cui la creatività assurge ai massimi livelli, cosa che il mainstream non può fare, essendo per definizione vincolato alla realtà.

Il fatto è che anche leggendo il giornale salto a pie’ pari le pagine di cronaca e non provo alcun interesse verso indagini e delitti.

Sebbene non ami il giallo, ogni tanto ne leggo, soprattutto quando a scriverne sono autori che conosco di persona e stimo. Nel caso di quest’antologia si tratta innanzitutto del caro amico Sergio Calamandrei, ma posso dire di conoscere anche altri degli autori.

 

Persino per uno come me, questo volume si presenta come una piacevole sorpresa, innanzitutto perché vi manca quasi del tutto la figura che maggiormente mi annoia in questo tipo di narrazione: l’ispettore. Personaggio che quando poi assume le connotazioni italiote del maresciallo dei carabinieri mi rende particolarmente ostica la lettura.

Devo, anzi, dire, che se non fosse stato per il titolo del volume, non avrei proprio pensato di avere a che fare con una raccolta di gialli. E questo, viste le premesse di cui sopra,  lo dico in positivo. Del resto, scrive il curatore, gli autori presenti nell’antologia “si dedicano a scrivere racconti di valore letterario che, di necessità, fuoriescono dal genere” e, avendo letto il volume, posso dire che non è una semplice frase promozionale (peraltro nascosta a pagina 227) ma la pura e lodevole verità.

 

Si parte proprio con un simpatico racconto di Sergio Calamandrei, ambientato come ama di recente fare questo autore, ai tempi di Firenze Capitale e ricco di interessantissimi riferimenti sia alla storia nazionale che a quella internazionale (in particolare alle “guerre per l’oppio”), con un gradevole e salace incontro tra due promessi sposi che non si gradiscono vicendevolmente. C’è di mezzo una truffa, ma alla fine è solo uno dei tanti elementi.

Il secondo racconto è della compianta Linda Di Martino, che imbastisce il suo delitto in un piccolo condominio in un villino Liberty. Assai pregevole la descrizione di questa comunità, con le sue luci e ombre.

Celebrity Collection, Marilyn Monroe | Posterlounge.it

Marilyn Monroe

Alberto Eva ci porta addirittura in una ricostruzione storica dei rapporti politici di un’Italia non poi così lontana da quella di oggi.

Il bello e breve racconto di Leonardo Gori è incentrato su due personaggi, un farmacista “single” e la sua domestica gobba, che affronta per lui i fascisti, per fargli riavere un microscopio cui teneva molto e che gli era stato da questi portato via. Più che risolvere un mistero, Gori svela un rapporto umano.

La storia di Loriano Macchiavelli è di nuovo fatta di relazioni, tra un padre e un figlio, nello specifico, e ruota attorno alla misteriosa coincidenza di tempo e di arma del delitto di due omicidi, che non necessita di una vera soluzione.

Assume sviluppi folli il delicato amore di un garzone di un negozio di fiori per una bella e giovane cliente nel racconto di Daniele Nepi.

Nel testo di Maurizio Pagnini nessuno indaga e la vittima conosce bene il suo assassino ma, morente, non intende perseguirlo: “punire il colpevole non gioverebbe né a me né a nessun altro, lasciamo che almeno loro possano vivere in pace” afferma, un po’ perché sa bene di essere colpevole anche lui, un po’ perché a un morto la vendetta non porta alcun beneficio. “Lasciamo allora che dicano ‘da mano ignota’”.

Per il protagonista di Riccardo Parigi e Massimo Sozi, invece, la vendetta è un dolce richiamo contro la corruzione e un sistema di raccomandazioni che non riesce a superare.

La vendetta diviene addirittura il tema centrale della storia successiva, scritta da Enrico Solito, che ci parla di un “cavaliere” arrogante e violento e del dolore di un padre, che non riesce ad avere giustizia contro un potere troppo forte e corrotto. In questo racconto, in effetti, compare un ispettore, ma, per fortuna, è figura marginale.

Il salumaio di Grosseto disegnato da Mario Spezi, invece, si costruisce nella testa il suo delitto, l’arma, il luogo, il movente, addirittura gli articoli di stampa e la presunta vita della vittima e tutto solo per un ritardo di una cliente abitudinaria convinto che “quando qualcuno decide di farsi vittima, prima o poi, il suo assassino lo trova”.

Martino Stefani fa incontrare la sua prostituta con un cliente assai poco raccomandabile, ma la ragazza è una che si sa difendere.

Ed ecco che nel racconto di Enrico Tozzi compare persino lei, la Marilyn Monroe del titolo, contro cui si vuole vendicare un serial killer, che, non potendolo fare sull’attrice, morta (o scomparsa, come crede) da trent’anni, si accanisce sulle sue sosia.

Infine, nella narrazione conclusiva di (Fede)Rigo Vinci non sono riuscito a trovare nulla che potesse far riferimento alla mia idea di giallo o noir, ma solo un profluvio di citazioni.

Insomma, qui più che di delitti, indagini e processi, (per fortuna) si indaga l’animo umano, le relazioni sociali e si richiama un po’ di storia.

I lettori che disdegnano la fantascienza, spesso pensano, da ignoranti, sia fatta solo di alieni e astronavi.

Forse anche io pecco della stessa forma di ignoranza verso il giallo, che può essere molto di più che qualche delitto e un ispettore che indaga e questa raccolta sembra dimostrarlo. Insomma, se il giallo (o il noir) è questo, mi viene quasi quasi voglia di leggerne ancora o di scriverne io stesso.

I DISCHI VOLANTI A MATERA

Il giornalista Filippo Radogna è membro della World SF Italia, l’associazione degli operatori del fantastico e della fantascienza presieduta da Donato Altomare, per la quale spesso intervista i vari membri. Io stesso ho avuto di recente questo onore.

Filippo Radogna : SassiLive

Filippo Radogna

Con “L’enigma di Pitagora e altri racconti” (Altrimedia Edizioni, 2017), fa seguito alla celeberrima affermazione di Carlo Fruttero  “un disco volante non può atterrare a Lucca”, citata anche dallo stesso Altomare nella prefazione all’antologia, dimostrando che si può ambientare la fantascienza ovunque, non solo a Lucca o in Toscana come fanno gli autori di “Fantaetruria” o a Firenze, come provo indegnamente a fare io con “Apocalissi fiorentine”, ma anche in altre parti del Paese, come la Basilicata, ovvero la sua Matera o la vicina Metaponto, similmente a quanto fece Donato Altomare ambientando a Bari il suo “Mater maxima”. Opera che cito se non altro per assonanza con Matera, che nei racconti di Radogna compare nel passato come nel futuro, con il nome spesso deformato in Mater, Materam o Metèreon.

A collegare tra loro i racconti non c’è solo la Basilicata. Alcuni personaggi e alcune ambientazioni ricorrono, si pensi agli eumani venturi, agli Esseri Spenti, alla Cometa dei Titani o di Titan, al Nuovo Mondo Conosciuto e al Nuovo Medioevo, ai Monaci Utopisti e al Libro Sacro dell’Utopia (e il concetto stesso di Utopia, che pare stare molto a cuore all’autore), al giornalista Bini, a nonno Tommaso (chi sa se è davvero il nonno dell’autore).

Pitagora: biografia, pensiero e filosofia | Studenti.it

Pitagora (Πυθαγόρας, Samo, tra il 580 a.C. e il 570 a.C. – Metaponto495 a.C. circa).

Mi ha colpito l’uso di cognomi particolarmente evocativi dell’attività svolta dai personaggi, dai delinquenti Tremamunno, al ministro trafficone Faccendieri, al tombarolo Vito Ingannamorte, all’autore horror Greg Paura, all’artista antico che dipingeva astronavi Uranus, all’archeologo Palmo Scavafossi, quasi a voler sottolineare che Radogna non si prende troppo sul serio e che il suo, in fondo è solo un gioco.

Anche la descrizione del futuro spesso gioca sul vocabolario e l’invenzione di neologismi come emometallolinfa, L' enigma di Pitagora e altre storie - Filippo Radogna - copertinacitometallochitina, blattoprimati, eumanio o, magari, robovampiri. Un mondo futuro che, a volte pare “sospeso tra ipertecnologia, occultismo e arcaicità” (pag. 37), in cui il surreale e il paranormale si affiancano al fantascientifico, ma anche alla storia.

Non tutti i racconti de “L’enigma di Pitagora” sono fantascientifici o fantastici. Il penultimo, per esempio, ci mostra un mancato attentato al Duce che avrebbe potuto trasformarsi in un’ucronia come “Il 5 Maggio” di Pierfrancesco Prosperi, ma resta una memoria e l’ultimo, pur fantastico, ci porta a un surreale ritorno dal passato di Rocco Scotellaro (Tricarico, 19 aprile 1923 – Portici, 15 dicembre 1953), scrittore, poeta e politico italiano, così come, nel racconto che dà il titolo alla raccolta, vediamo riapparire dal passato il filosofo Pitagora, da cui era stato rapito nientemeno che dagli alieni, come in certe storie di moda alcuni decenni fa.

Sarà un caso che sia l’antologia di Radogna, sia io in “Apocalissi fiorentine”, per far atterrare i dischi volanti nelle nostre città si sia scelto di usare la Storia? Forse è proprio questa a distinguerci dagli anglosassoni e a permetterci di aprire una strada verso il fantastico che sia davvero italiana.

 

LA PRINCIPESSA GUERRIERA DELL’ANTCA LEGGENDA ALPINA

Edizioni Tabula fati - Adriana Comaschi: Bio-Bibliografia

Adriana Comaschi

Complice il covid-19 che mi ha indotto a fare vacanze toscane, per non allontanarmi e spostarmi troppo ed evitare occasioni di incontro, sto dedicando il mio tempo di spiaggia a mettermi in pari con alcune letture in attesa da un po’.

Eccomi così a leggere un altro prodotto della casa editrice Tabula Fati, guidata da Marco Solfanelli, con cui ho pubblicato di recente.

Si tratta de “La rajetta” un assai interessante mix di antiche leggende dolomitiche, di avventura e di toni fantasy, realizzata da Adriana Comaschi, autrice della World SF Italia, incontrata in un paio di eventi di carattere fantastico-fantascientifico, anche se in quest’opera prevalgono gli elementi storico-magici.

La lettura si è rivelata sin dalle prime pagine assai gradevole, non tanto per i, mai invadenti, riferimenti storico-geografici, quanto per la buona e sapiente costruzione della trama, per l’equilibrata formazione dei personaggi e per la sempre coerente ambientazione.

Insomma, dal primo libro che leggo di questa prolifica autrice, l’impressione è di aver a che fare con una scrittriceAmazon.it: La rajetta - Comaschi, Adriana - Libri che ben conosce il proprio mestiere.

La trama potrebbe sembrare quella di molti fantasy: una regina con un marito che cerca di prendere il controllo del regno, una primogenita destinata al trono, ma cui il padre preferisce, all’inizio, il secondogenito maschio, delle profezie, un mago, una strega, persino dei nani con metalli portentosi.

Che cos’è la Rajetta? Un pietra preziosa dai magici poteri.

Dietro di questa storia c’è una leggenda, quella del Regno dei Fanes, su cui la Comaschi si è ben  documentata, come leggiamo dalla bibliografia. A dar spessore alla narrazione c’è una penna esperta, che ben tesse i rapporti tra i personaggi.

 

SAN FREDIANO COM’ERA

PressReader - Corriere Fiorentino: 2018-12-01 - «Altro che cool ...

Francesca Tofanari e  Matteo Poggi con Loriano Stagi

Sebbene io abbia ormai scritto più volte di Firenze e della sua storia, antica o più recente, ne sono un cittadino adottivo e sono quindi privo della memoria diretta delle sue vicende del secolo scorso.

La lettura di “Sassaiole e Capirotti” (scritto da Francesca TofanariMatteo Poggi, riordinando i ricordi di Loriano Stagi) è certo un bel modo per recuperare almeno parte di tale memoria.

Il volume parla di un solo quartiere della città voluta da Giulio Cesare: San Frediano. Un tempo il più povero e malfamato.

San Frediano il quartiere in cui era più facile morire in tenera, anzi tenerissima, età” scrivono gli autori, con i suoi “598 pregiudicati su un totale di 2617 abitanti”, in cui il santo più importante non era quello che gli dava il nome, ma San Rocco, il protettore dalle pestilenze, vero dramma della zona.

A Firenze, come in altre città italiane, “i confini del quartiere non erano solo una questione geografica, ma di benessere economico e di mentalità”. Il campanilismo italiano trova piena espressione nelle lotte tra quartieri. Basti pensare, per restare in Toscana, ai conflitti tra le Contrade senesi, che non sono solo una questione di Palio.

Non era solo la ferrovia a rendere due mondi diversi Rifredi da Firenze Nova.

Il volume ci racconta del quartiere soprattutto attraverso le memorie familiari di Loriano Stagi. Ci parla di una vita di povertà, in cui l’arte di arrangiarsi che pensiamo napoletana, appare una caratteristica che accomuna l’Italia intera, con tanti piccoli mestieri, fatti di poche cose, dai carradori, agli sceglitori, ai galardini, agli sveglini, agli spangeo ghineo.

In queste pagine scopriamo anche un modo di bere di mangiare, fatto di bettole, bar, osterie, minestre di cavolo, caffè mesciuti, trippe, sommommoli e persino pidocchi.

In poche pagine “Sassaiole e capirotti” ci rende un mondo antico e popolare ormai perduto e ci ricorda come fosse vivere a Firenze non poi molti decenni fa (c’è ancora chi serva ricordi personali di allora), quando i bambini a dieci anni già andavano a lavorare, le case si scaldavano malamente e si campava alla giornata.

VOCI DALL’ESILIO DELLA PANDEMIA

Solo pochi mesi fa, a raccontarlo, nessuno ci avrebbe creduto, eppure il virus che ha segnato questo 2020, ha modificato il nostro mondo in modi Coronavirus: Volti e sguardi dietro le mascherine - Primopiano - Ansa.itche solo gli autori di fantascienza avevano immaginato, cassandre inascoltate, purtroppo.

Il covid-19 ha mutato, innanzitutto, i rapporti sociali, con le distanze di sicurezza, l’abbandono della stretta di mano, le mascherine, la “diffidenza sanitaria”, l’abitudine a disinfettare. Ha, poi, mutato il mondo del lavoro, trasformando un fenomeno ancora embrionale come lo smart working nella soluzione di ogni problema, facendo proliferare le piattaforme per conference on-line, spingendoci avanti nel processo di lavoro paper-less, verso la firma digitale e tante altre cose che erano nell’aria ma che non si pensava potessero diffondersi così velocemente… come virus! Meno rilevante, forse, c’è l’improvviso fiorire (fantascientifico anche quello) di monopattini a motore, sia di forma tradizionale, sia quelli più innovativi senza manubrio, frutto della paura del mezzo pubblico come fonte di contagio ma anche, spero, di una nuova sensibilità ambientale, nata proprio dal covid-19, che c’ha fatto capire che con la natura non è più tempo di scherzare e che molte altre brutte sorprese possono essere dietro l’angolo, se non ci diamo da fare.

Strano vedere le stelle in città. Forse meno smog?” scrive Anna Greppi in “Voci dall’esilio”. Già, perché quando tutto era fermo e le auto non circolavano, che aria fresca c’era in città, quanti animali per le strade e quante stelle in cielo! Il virus è stato anche questo, non solo i morti in ospedale, la gente malata e quella senza lavoro.

Tra le altre cose che la pandemia ha fatto fiorire, in un periodo in cui cinema, teatri e sale concerti erano bloccati, è stata la scrittura. Tanti amici scrittori hanno avuto più tempo per scrivere. Ovviamente in molti hanno voluto scrivere di questo male e dei suoi effetti. Io stesso, come gestore del blog del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, dedicai un week-end del blog a raccogliere racconti e poesie sul tema.

Il Circolo Banchina ha pensato di farne persino un volumetto, autoprodotto dal solito bravo e attivo Guido De Marchi. È stato intitolato “Voci dall’esilio” e i numerosi autori sono stati ridenominati collettivamente “I Pandemici”. Tra loro ci sono anche io, con due racconti che avevo, appunto, giù pubblicato sul blog del GSF: “La maschera filtrante” e “L’ultimo respiratore”. Tra gli altri autori, molti che ricordo dai tempi del Laboratorio di Scrittura di Liberodiscrivere, ci sono Francesco Brunetti, che ha curato l’introduzione, lo stesso De Marchi, Elisabetta Robert Castagnola, Giuseppe Delconte, Luigi Golinelli, Maria Gisella Catuogno, Carla Caselgrandi Cendi, Gisella Ruzzu, Maria Luisa Gravina, Francesco Staglianò, Mauro Gregori, Giovanna Olivari, Luca Oggero, Ernesto Torta, Maddalena Leali, Carlo di Francescantonio, Mabi Col, Michele Luigi D’Auria, Claudio Mucci, Lucia Marongiu, Anna Greppi, Rossano Segalerba e Vito Parisi.

Il volume non ha particolari divisioni, ma la prima parte è composta solo di poesie e la seconda di racconti.

Brunetti, nell’introduzione elenca una serie di problemi generati dal virus (psicologici, sociologici, sanitari, di comunicazione, politici, strategici, di libertà individuale) e spesso poesie e racconti che seguono esprimono in vario modo una situazione di disagio. Eppure, come accennavo all’inizio, come da ogni crisi, anche da quest’epidemia sono sorte molte interessanti opportunità.

Beffardo mi guata

il sole

di là dai vetri

e scruta l’esilio

mio in queste

quattro mura

Scrive Gudo De Marchi ed esprime tutto il disagio che accomuna molti degli autori.

Codesta quarantena è uno spaccamento esagerato” scrive addirittura Mabi Col, prima di lanciarsi in una riflessione su come il coronavirus colpisca soprattutto i luoghi più produttivi e inquinati. Un caso?

LE DISAVVENTURE DI UN IMPRENDITORE

IL PRECIPIZIO Marcovalerio Bianchi, Porto Seguro editore - YouTube

Massimo Acciai Baggiiani e Marcovalerio Bianchi

Di Marcovalerio Bianchi, autore della vivace casa editrice Porto Seguro, guidata da Paolo Cammilli, avevo già letto “Le cinque vite di Simone Bosco”  (PSE, 2018), opera che affrontava il tema delle “sliding-doors” e delle vite alternative.

Il nuovo romanzo di questo autore fiorentino, classe 1966, membro del Gruppo Scrittori Firenze, si chiama “Il precipizio” (PSE, 2019) ed ha poche cose in comune con il primo: innanzitutto le dimensioni. Entrambi sono volumi piuttosto poderosi e, devo confessare, che affrontare “Il precipizio”, dall’alto delle sue 566 pagine, un po’ mi ha intimorito e mi ha spinto a rimandare la lettura fino alla soglia di quest’estate. Eppure, nonostante le sue molte pagine l’ho letto con piacere e relativa velocità. Il romanzo, infatti, è densissimo di eventi, soprattutto disgrazie, di ogni tipo, che capitano in sorte al povero (si fa per dire, dato che è un miliardario) Giacomo.

La seconda cosa che hanno in comune credo sia l’esplorazione degli sviluppi dell’esistenza di un uomo.Amazon.it: Il precipizio - Bianchi, Marcovalerio - Libri

Non voglio spoilerare, ma in estrema sintesi, Bianchi ci racconta di come possa mutare la vita di un giovane uomo, ricchissimo, con un’azienda di successo, una seconda moglie che ama, dei figli con cui ha un buon rapporto, quando la sorte non arride. Inutile che vi dica che non si tratta di semplice sfortuna. Non sempre almeno.

Bianchi ci porta in giro per questo mondo di ricchi, di finanza, di yacht, di viaggi importanti, facendoci però capire che la felicità non è lì che va ricercata.

Si rimane incollati alle pagine con il desiderio di sapere come se la caverà il nostro Giacomo.

Forse un po’ di cura dimagrante al volume avrebbe giovato, ma va bene anche così.

 

Trovo sempre interessante leggere i ringraziamenti finali dei romanzi. Credo che ci aiuti a sapere molto del modo in cui è nata un’opera. I grandi best-seller elencano spesso numerosi consulenti. Capirete la mia sorpresa quando in queste pagine finali, ho letto il mio nome, con un ringraziamento e delle parole forse immeritate:

Ringrazio in modo particolare Carlo Menzinger di Preussenthal, che ammiro molto per i suoi numerosi romanzi e anche per la sua generosità nell’avermi fornito utilissimi suggerimenti riguardanti alcuni passaggi chiave del libro”.

Colgo l’occasione per rispondergli:

«Di nulla, Marcovalerio, è stata ben poca cosa e comunque un piacere. Sono lieto di aver contribuito, nel mio piccolo, alla nascita di questa nuova opera, cui auguro ogni fortuna.»

 

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