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LE MATRJOSKE DELLA TORRE NERA

Ho resistito solo per pochi mesi prima di lasciarmi tentare. In effetti, la lettura ha confermato quanto mi aspettavo. Siamo nel Medio-Mondo, si parla della Torre Nera, dei Vettori, di bimboli e di altre creature tipiche di questo non-luogo, ma siamo su una strada secondaria del racconto, anzi, più lontani ancora dalla trama principale, dato che (questo non me l’aspettavo) quello che ho letto era quasi un meta-romanzo, se non un meta-meta-romanzo o, se preferite e forse più correttamente, un romanzo matrjoska, dato che non abbiamo al suo interno un vero pseudobiblion, ma solo un racconto, o meglio una leggenda.

Incontriamo, infatti, il pistolero della saga Roland di Gilead, con tutti i suoi amici, il suo ka-tet, e li vediamo rifugiarsi da una tempesta molto forte, come se ne vedono solo nel Medio-Mondo. Mentre aspettano che questa passi, Roland racconta ai suoi compagni una sua avventura di quando era ragazzo, in cui combatteva con quelle creature che sono qualcosa di più dei licantropi e che potremmo definire mutaforma, degli uomini in grado di trasformarsi in animali diversi. Roland ragazzo, in questo racconto (quasi uno pseudobiblion) incontra un bambino e gli racconta una storia che gli narrava sua madre quando era piccolo: “La leggenda del vento” (quasi un altro pseudobiblion dentro il precedente), che per l’appunto parla di una tempesta simile a quella in cui si trova Roland nella storia principale.

Diciamo quindi che la maggior debolezza di questo romanzo (a parte il fatto di essere una storia autonoma rispetto alla saga, cosa che potrebbe anche essere un vantaggio, consentendo a chi voglia di leggerla, senza conoscere gli altri libri) sta proprio nel fare ricorso a questo trucco per dilatare la storia principale (“La leggenda del vento”) con un’altra storia minore (l’avventura di Roland giovane), collegandola alla trama della saga con un racconto del tutto esile.

Noto poi alcune immagini che mi ricordano altre storie. Per esempio, quando il ragazzo della storia centrale, Tim, guarda nel secchio magico ritrovo Harry Potter che guarda nel Pensatoio di Silente o quando Tim dorme sotto il lenzuolo magico con la tigre mi sembra quasi di vendere “Vita di Pi”.

King è pur sempre King e le sue storie sono sempre godibili, ma questo è di certo il volume più debole tra tutti quelli della saga e uno dei meno significativi dell’autore, che si può evitare di leggere senza perdere molto.

I ROMANZI DELLA TORRE NERA

A conclusione dei precedenti post sulla Torre Nera, vorrei ricordare qualcosa sulla struttura della saga.

I volumi principali sono:

  1. La torre nera I: L’ultimo cavaliere(1982, pubblicato originariamente come romanzo breve; edizione rivista nel 2003(The Dark Tower I: The Gunslinger)
  2. La torre nera II: La chiamata dei Tre(1987) (The Dark Tower II: The Drawing of the Three)
  3. La torre nera III: Terre desolate(1991) (The Dark Tower III: The Waste Lands)
  4. La torre nera IV: La sfera del buio(1997) (The Dark Tower IV: Wizard and Glass)
  5. La torre nera V: I lupi del Calla(il titolo annunciato era L’Ombra Strisciante[1][2]) (2003) (The Dark Tower V: Wolves of the Calla)
  6. La torre nera VI: La canzone di Susannah(2004) (The Dark Tower VI: Song of Susannah)
  7. La torre nera VII: La torre nera(2004) (The Dark Tower VII: The Dark Tower)
  8. La torre nera: La leggenda del vento(2012) (The Dark Tower: The Wind Through the Keyhole)

Come si diceva il volume conclusivo è il settimo romanzo e l’ottavo ritorna indietro nella trama.

Molti altri romanzi di King sono collegati al ciclo, ma direi che “Le notti di Salem” possa essere considerato come un prequel della serie, anche se si potrebbe leggere a metà, prima de “I lupi della Calla”, dato che sono soprattutto gli ultimi romanzi a farvi riferimento.

In un racconti della raccolta “Tutto è fatidico” compare Roland.

Altri romanzi connessi pare siano (ma devo leggerne ancora molti e verificare):

“Insomnia” (citato nel settimo volume e in cui è protagonista Patrick Danville, personaggio fondamentale del settimo romanzo)

It” (se non altro per la tartaruga e una certa visione del mondo e per una possibile identità tra Dandelo e It)

“L’ombra dello scorpione (che spero di leggere presto)

“Desperation”

Stephen King

“Cuori in Atlantide”

“Il talismano”

“La casa del buio”

“Mucchio d’ossa”

E, dicono, molti altri.

Come Asimov (che ha unito tra loro i suoi principali cicli), anche King, a un certo punto della sua carriera, infatti, pare abbia sentito l’esigenza di creare un filo conduttore che tenesse legate tra loro tutte le sue numerose opere e ha trovato questo filo nella saga della Torre Nera. Insomma, una lettura quasi infinita, come i molti “Quando” in cui si svolge.

PERCHÉ ROLAND DESCHAIN NON È HARRY POTTER

Credo che le due più grandi eptalogie scritte a cavallo del cambio di millennio siano la saga di Harry Potter e quella Roland Deschain di Gilead, la prima realizzata da J.K. Rowling, la seconda da Stephen King. Non conosco il numero di copie vendute da King per la saga della Torre Nera che ha per protagonista il pistolero di Gilead, ma sebbene immagino siano moltissime, credo che difficilmente possano essere comparate per quantità con quelle del maghetto di Hogwarts. Del resto la fama della saga fantasy della scrittrice inglese è planetaria anche grazie agli otto film tratti dai sette romanzi, mentre altrettanto non è ancora stato fatto con l’opera dell’americano.

Entrambi comunque hanno il vantaggio di aver scritto in lingua inglese, cosa che è già un primo passo avanti verso il successo.

Che cosa ha reso però Harry Potter un bestseller più della Torre Nera?

Tempo fa avevo esaminato quelli che mi parevano i principali ingredienti della saga fantasy inglese e, in seguito, ho ripetuto l’analisi anche su altre opere (per esempio “Il cacciatore di aquiloni”, “La setta degli assassini”, “Amabili resti” “It”, “Il seggio vacante”, “I miserabili”). Quale scritto però si presta meglio del ciclo di King per un’analisi di questo tipo, se non altro per l’ampiezza comparabile delle due saghe e per la base fantasy di entrambe, con lunghe parti ambientate nel mondo “reale”?

Gli elementi che avevo individuato nella saga di Harry Potter sono: trama, strutturazione, ambientazione costante, ripetitività e ritualità, magia come estraniazione dalla realtà, mondo magico come mondo parallelo, specchio della nostra schizofrenia, linguaggio inventato, amicizia, lotta tra Bene e Male senza manicheismo assoluto, compenetrazione tra il Bene e il Male, tanti nemici grandi e piccoli, un personaggio che si sente debole ma che scopre di essere forte e speciale, spettacolarità, competizione, mistero, suspance, paura, avventura, iniziazione e crescita verso l’età adulta, morte. Notavo anche che l’amore, pur presente, spesso centrale in tante opere, aveva un ruolo marginale.

Vediamo, allora che uso fa Stephen King degli elementi usati dalla Rowling.

Trama: nessuna saga di sette romanzi di centinaia di pagine ciascuno si può reggere senza una trama principale e alcune trame secondarie. Sembra scontato, ma ci sono romanzi corposi con trame troppo esili che come un corpo senza spina dorsale, si flettono sotto il peso delle pagine. Alla Quest di Roland si aggiungono le imprese che lui e i suoi amici dovranno affrontare in ciascun volume, a volte più di una per romanzo.

Strutturazione: struttura e trama sono quasi la stessa cosa, ma la struttura è qualcosa di più, che nasce dall’unione di trama, ambientazione, morale e che presume un certo equilibrio tra le parti. I romanzi di King, in questo sono più caotici di quelli dell’inglese, sia per la pluralità di ambientazioni, sia per una morale meno definita.

Ambientazione costante: in Harry Potter abbiamo due o tre ambienti centrali (la casa degli zii nel mondo reale, Hogwarts e magari Hogsmeade). I romanzi di King descrivono un viaggio e l’ambiente cambia continuamente, con salti avanti e indietro dall’uno all’altro, dal deserto delle aramostre alla New York del “lato americano” a New York alternative e ucroniche, al Medio-Mondo, al Fini-Mondo, al Entro-Mondo, al Oltre-Mondo, con Rombo di Tuono, Gilead, l’Eld, le Terre Desolate, in una geografia fantastica in cui non è facile orientarsi anche perché attraversa non solo lo spazio ma il tempo. Questo è per me un elemento affascinante di lettura, ma temo che possa disorientare i lettori più distratti e allontanarli dai libri.
Ripetitività e ritualità: qualcosa di ripetitivo c’è, innanzitutto la costanza della ricerca della Torre Nera, poi l’apparizione delle Porte tra i mondi, le apparizioni di robot, alcune frasi rituali, ma King ama sorprendere  e la sua è una storia in continuo movimento, non abbiamo certo la ciclicità del tempo scolastico di Hogwarts, anzi qui, addirittura, il tempo accelera, rallenta, va indietro, fa continui salti nel futuro e nel passato ed ere lontanissime si toccano. I Pistoleri hanno i loro mantra, le loro superstizioni, ma non sono veri riti. Questo allenta l’unitarietà dei romanzi e, soprattutto, non crea quel senso “domestico” che fa sentire il lettore a casa sua nei romanzi della Rowling.
Magia come estraniazione dalla realtà: Harry Potter vuole fuggire da un mondo reale di “babbani” in cui si sente insoddisfatto. Gli amici americani di Roland sono strappati via da New York contro la loro volontà e Roland attraversa gli spazi tra i mondi non per un desiderio di soddisfazione personale, ma per una missione da cui non può prescindere. Anche lui è obbligato, seppure dalla propria stessa volontà. La magia è subita, non dominata e cercata, come dai maghetti di Hogwarts che cercano di studiarla e controllarla nella loro scuola di incantesimi. È dunque una magia con un fascino diverso e, temo, minore.
Mondo magico come mondo parallelo, specchio della nostra schizofrenia: in questo King credo lasci indietro di qualche giro la Rowling. La saga della Torre Nera è la saga della schizofrenia, dei doppi, dei gemelli, della psiche disturbata. Persino le macchine, come il treno pensante Blaine il Mono sono schizofreniche, persino lo stesso autore compare nel romanzo sia di persona che una trinità di sosia dissociati. Gli amici di Roland hanno grossi problemi. Eddie Dean era un tossico, Susannah-Odetta-Detta è una schizofrenica con ben tre personalità, cui se ne aggiungerà una quarta che è più che altro possessione demoniaca (Mia)!

Linguaggio inventato: mancano forse termini espliciti come in Harry Potter, ma già solo i nomi della geografia di Tutto-Mondo potrebbero bastare per riempire un piccolo vocabolario. Ci sono poi le espressioni usate ritualmente, come i ringraziamenti e i saluti, ci sono le storpiature di termini fatte da Roland che non capisce totalmente la nostra lingua, ci sono oggetti particolari cui vengono da nomi appositi, come i piatti assassini, le palle “modello Harry Potter” (con cui la saga di King rende omaggio a quella della Rowling). Nel complesso, però, non sia ha percezione di una struttura linguistica innovativa capace di entrare nel linguaggio comune dei lettori o almeno nella loro fantasia.

Amicizia: a Hogwarts troviamo soprattutto l’amicizia sincera e spontanea dei bambini e degli adolescenti, ma non mancano amicizie mature e adulte. Lungo il sentiero della Torre Nera, Roland stringe amicizie profondissime, che vanno al di là delle esperienze comuni, al punto da doverle definire con un termine specifico: Ka-tet. Roland e i suoi, sono amici legati da un vincolo forte, che fa di loro più che una famiglia. Eppure l’essere questa amicizia così speciale, la rende irreale e quindi affievolisce il senso di immedesimazione. Alcuni personaggi si aggiungono lungo la via, a offrire la loro amicizia ai nostri eroi, ma sono più che altro compagni di avventure.
Lotta tra Bene e Male senza manicheismo assoluto: Roland lotta contro il male (qui è Rosso, più che Nero, dato che il Nero è il colore della Torre, dell’ordine, dell’equilibrio), difende il Bianco, cerca di impedire il crollo della Torre Nera, lo spezzarsi dei Vettori che la reggono, perché la fine dei Vettori e della Torre Nera significherebbe la fine di tutto, ma il male è sempre mescolato con un po’ di bene, sebbene tenda sempre a prevalere e, forse, non è davvero degno di essere scritto con la maiuscola. Roland per raggiungere il suo obiettivo sacrifica tutto, amici, famiglia, Ka-tet. La sua è certo una lotta del Bene contro il Male, ma se il Male appare con molte facce, quelle del Bene sono poche e spesso sono sul corpo di persone all’apparenza poco raccomandabili.
Compenetrazione tra il Bene e il Male: si è detto sopra. I nostri eroi non sono dei santi, ma Pistoleri dal passato oscuro.
Tanti nemici, grandi e piccoli: i nemici da affrontare sono davvero tanti, la “principessa da salvare” è soprattutto una: la Torre Nera, ma se alla fine incontreremo il drago che la custodisce (il Re Rosso), questo non è Voldermort, la cui presenza compenetra tutti i romanzi della serie di Harry Potter, vero antagonista del piccolo mago. Roland combatte contro tutto e tutti per salvare l’universo, ma non ha un vero antagonista e questo lo rende più fragile come personaggio. Non ha un nemico alla sua altezza in cui riflettersi.
Un personaggio che si sente debole ma che scopre di essere forte e speciale: la trasformazione da debole a forte non riguarda il protagonista, che conosciamo già forte, seppure con le sue debolezze,, ma tanti altri personaggi, dall’ex-tossico Eddie Dean, alla storpia schizofrenica cleptomane razzista di colore Odetta/Detta/Susannah/Mia, al bambino Jake Chambers che si trasforma in pistolero.
Spettacolarità: non avremo le battaglie aeree contro i draghi e le partite di Quidditch, ma abbiamo epici scontri contro i robot-lupi, la corsa folle del treno schizofrenico Blaine il Mono, il deserto con le aramostre, i conflitti contro i gangster di New York!
Competizione: nessuna gara, nessuna squadra l’una contro l’altra, ma la lotta per la sopravvivenza, gare mortali di indovinelli, duelli, battaglie. Qualcosa per cui parteggiare non manca, anche se non si può fare il tifo per i Grinfondoro e odiare i Serpeverde.
Mistero: anche qui il Re dell’horror ha qualcosa da insegnare alla donna più ricca di Inghilterra. Anche se forse troppo mistero rimane tale e chi (non sono tra costoro), vorrebbe sempre sapere e capire tutto, potrebbe restare insoddisfatto. La magia narrativa di King sta proprio nel creare mondi quasi onirici, a volte dal sapore lovecraftiano, in cui non tutto è spiegato, in cui non occorre sapere tutto, perché la verità non è una sola, perché ogni cosa è vera, anche il suo opposto, come è vero che Jake è morto, ma anche vivo accanto a Roland, come è vero che una certa località si trova in un quartiere, ma anche in un altro. Che cosa siano davvero la Torre Nera e i Vettori non è dato sapere, ma solo intuire. Questo mi piace di questa serie, questo lasciare la verità e il senso delle cose in sospeso, questo lasciare spazio alla fantasia del lettore. Se altri “ingredienti” sono usati da King con maggior parsimonia, il Mistero lo sa padroneggiare alla grande, forse più dell’horror e della paura, per cui è celebre. In questo è molto diverso anche da Asimov, spesso citato nella saga per i suoi robot positronici, perché lo spirito da giallista del russo-americano non lascerebbe mai nulla senza una spiegazione razionale.


Suspance: tutta quella che si può volere in un libro. Una suspance portata avanti per migliaia e migliaia di pagine, fatta forse più di consuetudine con i personaggi, di curiosità per le sempre nuove trovate dell’autore, di desiderio di proseguire lungo il sentiero del Vettore, più che di ansia o angoscia per gli eventi futuri.
Paura: King per molti è un autore horror. Qui siamo davanti a una storia di diverso genere, ma non mancano brani ed elementi horror e l’americano sa bene come usarli.
Avventura: se non è avventura questa! Un incredibile viaggio di un pistolero e i suoi compagni in una saga che mescola fantasy, western, horror, ucronia, romanzo gotico, fantascienza e molto altro ancora, in cui saranno affrontati killer spietati, robot assassini, gangster, trafficanti di droga e altri malavitosi,, treni pazzi, mostri lovecraftiani, incubi, crisi d’astinenza, ferite, malattie e molto altro ancora.
Iniziazione e crescita verso l’età adulta: ogni avventura porta con sé una crescita. Certo il protagonista non è un ragazzino come Harry Potter, ma anche un adulto può aver bisogno di scoprire se stesso, i propri sentimenti repressi, l’amore, l’amicizia, il dolore. Ci sono poi il drogato, che trova nell’avventura la strada per disintossicarsi, la schizofrenica che combattendo ritrova unitarietà, il bambino che diventa ragazzo, se non adulto.

Rowling e King

Morte: di morte ne troverete tutta quella che vi serve. La strada di Roland verso la Torre Nera è disseminata di cadaveri, da quelli che non vediamo, ma che lui ricorda, per esserli lasciati indietro prima che la saga avesse inizio, a quelli che provoca tra i suoi nemici, a quelli che perde tra i suoi amici. C’è un vero confronto con la Morte, quella con la M maiuscola? Forse no. Forse neppure nel confronto con il Re Rosso. Roland alla fine è sopraffatto da tante morti, più che dalla Morte come concetto in sé.

Amore: certo Roland ancora ripensa alla sua amata perduta, Eddie e Susannah si amano e si sposano, si perdono e si ritrovano, ma come nella saga di Harry Potter, anche qui l’amore o il sesso non mi paiono elementi centrali. Se c’è amore è più quello per la missione da compiere, per i compagni di avventura, per il Ka-tet.

In conclusione, King usa in quantità maggiore della gran parte degli autori che conosco quelli che sono gli elementi fondamentali per un romanzo di successo. Come in cucina, non è certo la quantità di ingredienti a rendere speciale un piatto, ma il loro uso e il loro dosaggio e certo l’americano conosce come pochi il mestiere di cucinare storie, eppure sempre più mi convinco che un romanzo (e una saga ancor più) è tanto più buono, avvincente, coinvolgente, tanto più sono presenti gli ingredienti di cui sopra. Non a caso la Rowling è l’autrice più venduta del mondo e King uno dei maggiori autori mondiali di bestseller. A poco senso parlare di qualità di un romanzo, se non piace al pubblico. Se piace al pubblico, viceversa, un motivo ci deve essere.

IL RE È MORTO, SALVATE IL RE

Un grande scrittore si riconosce anche dal coraggio. Un grande scrittore non ha paura di non essere capito e, anche se scrive cose complesse, viene compreso. Nel settimo volume del ciclo “La Torre Nera”, intitolato anch’esso “La Torre Nera” (2004), Stephen King ci proietta subito nelle primissime pagine in una girandola di salti spazio-temporali, ci mostra una donna nera senza gambe e una bianca che non ne è priva e ci dice che sono la stessa persona, eppure non ci confonde. Tutto è chiaro e scorre bene. Almeno per chi, come me, ha già letto i precedenti sei volumi, ma direi anche per chi li dovesse ignorare (meglio però leggere i volumi in ordine, dato che formano un romanzo unitario). Spesso però gli autori, in questi casi hanno paura e si preoccupano di spiegare subito ai lettori cosa è successo prima, perché succedono certe cose e chi abbiamo davanti. Il risultato sono dei “sequel” in cui si perdono pagine e tempo nel tracciare inutili mappe di lettura.

Di recente, per esempio ho letto i 3 volumi di “1Q84” dove il pur grande Haruki Murakami, dimostra di non avere questo coraggio e scrive un terzo volume che, in prevalenza, ripete cose già dette negli altri due. Un altro esempio di questo difetto potrebbe essere il ciclo “Hunger games”. Non è il caso di King, che con coraggio ci lancia subito nell’arena. I re non cercano il consenso, lo hanno, perché gli spetta.

Il romanzo continua a muoversi tra mondi diversi (Medio-Mondo, Fine-Mondo, America, Rombo di Tuono…), epoche diverse, generi letterari diversi, ma dopo altri sei libri, sono tutti spazi-tempo che conosciamo, in cui il lettore si trova a casa e King sa essere un ottimo ospite, capace di far sentire a suo agio il lettore in qualunque casa lo ospiti.

Se “La Torre Nera” è la saga della schizofrenia, dei doppi, dei gemelli, anche questo settimo volume non manca di produrre i suoi esempi. Vi troviamo addirittura un triplo sosia freudiano di Stephen King (il personaggio più che l’autore, se c’è una differenza), un terzetto, Fimalo (Superego), Feemalo (Ego) e Fumalo (Id), che vuole imitare le tre parti della psiche dell’autore, ma che, essendo solo imitazione, non sono veramente King. L’autore però è qui comunque uno dei personaggi determinanti della storia. Addirittura dalla sua salvezza dipende il destino dell’universo, anzi di tutti gli universi retti dalla Torre Nera. Dovranno essere i suoi stessi personaggi a entrare nel suo “Quando” per salvarlo.

La visione dello spazio-tempo in questa saga di King, ricorda molto quella dell’ucronia nei miei romanzi, in particolare di quelli del ciclo di “Jacopo Flammer”. Per me, però, il tempo è un frattale, una serie infinita di linee che si dipartono da una serie infinita di punti delle infinite linee temporali, insomma, un “infinito alla terza potenza!!! La visione di King è più semplice: vede una principale linea spazio-temporale dalla quale si dipartono innumerevoli (non direi infinite) linee alternative.

La linea temporale principale è quella in cui vive Stephen King (il “lato americano”). Lì se uno muore, muore veramente. Nelle altre linee temporali non esiste una vera morte, in quanto nulla di ciò che avviene è definitivo perché in altre linee temporali (io direi “Universi Divergenti”, King li chiama “Quando”) quel fatto, quella morte, possono non essere avvenuti. È così che Jake riesce a tornare sebbene l’abbiamo visto morire.

Quello che avviene sul “lato americano” però è importante e determina tutto il resto. Per questo Roland deve a ogni costo salvare Stephen King, magari sacrificando se stesso o qualcuno dei suoi amici. Perché è King a scrivere la loro storia e se King morisse, il loro tempo si arresterebbe. Eppure King non è del tutto padrone del tempo del loro universo. Tutto è legato, lui può creare storie, ma quello che scrive è, in un certo senso, già scritto.

In questo romanzo compare anche un secondo “autore-personaggio”, Patrick Danville, un ragazzo tenuto prigioniero forse dall’infanzia dal vampiro Joe Collins. È debole, scheletrico, malato, ingenuo, ma ha una capacità incredibile nel disegnare. È veloce come un pistolero con la matita al posto della pistola! E i suoi disegni hanno il potere di creare o modificare la realtà. Il suo ruolo sarà determinante nella lotta contro il Re Rosso, antagonista principale di Roland in questo volume.

La Torre Nera” è il settimo e conclusivo volume della saga, sebbene ci sia un ottavo che racconta fatti antecedenti e moltissimi romanzi di King siano fortemente connessi con questi, innanzitutto l’imprescindibile “Le notti di Salem”, ma anche “Insomnia”, qui più volte citato.

Anche la saga di Harry Potter si conclude con il settimo volume e in entrambi si nota una moria impressionante di personaggi: sarà il Sette a portar loro sfiga o il fatto di essere giunti alla fine e di dover far piazza pulita?

Eppure King come la Rowling cedono alla tentazione del lieto fine.

Inevitabile, con il volume conclusivo di una lunga saga, parlare del finale e sempre i lettori si dividono tra quelli che approvano la scelta dell’autore e quelli che la disapprovano.

Vorrei cercare di dire il meno possibile in merito alla soluzione adottata da King per concludere le vicende di Roland, ma anche qui, come nel suo uso dello spazio-tempo, sono rimasto colpito dalla comunanza di visione con i miei romanzi, in particolare “Giovanna e l’angelo”.

Cercando di non entrare in dettagli, devo dire che il finale, pur unico, è, come i sosia di King, triplo. Non nel senso che King lasci tre finali alternativi, ma che per tre volte ho avuto la sensazione che la storia stesse per finire, ma il libro ha continuato ad andare avanti. La somiglianza con i miei finali, però, non è qui, ma nel fatto che il finale può essere considerato aperto, dato che molto altro ancora potrebbe succedere (ci sarebbe spazio sia per una saga prequel che per una sequel), e, soprattutto nel fatto che e è ciclico, nello stesso identico modo di “Giovanna e l’angelo”.

Che il finale (pubblicato nel 2004) non sia veramente la conclusione di questo ciclo (iniziato nel 1982 con “L’ultimo cavaliere” e a cui King e i suoi fan sono particolarmente affezionati) è dimostrato non solo dalla pubblicazione nel 2012 di un nuovo episodio, “La leggenda del vento” (sebbene, a quel che leggo, narri fatti antecedenti il settimo), ma dall’appendice che segue il finale. Anche qui King mi ha stupito, anticipando i miei desideri di lettore. Leggendo i primi sei volumi, in effetti, ero stato incuriosito dalle citazioni di “Childe Roland alla Torre Nera giunse” di Robert Browning, ma proprio finendo di leggere “La Torre Nera” mi è venuta una particolare voglia di leggere quest’opera (e avevo persino pensato di pubblicarla sul mio blog). Ebbene, King piazza il poema di Browning proprio alla fine del romanzo, là (temporalmente parlando) dove avrei voluto trovarlo!

Prima del “terzo finale” King blocca la macchina da presa, sale sul palco e si rivolge direttamente ai lettori per dir loro che in un romanzo il finale non è importante, perché un romanzo è come la vita, come un’avventura: va vissuto, va amata la strada che percorriamo assieme, non la meta, non la conclusione, non il finale, perché il finale è l’addio, la fine, la morte (dov’è il tasto per “condividere”?). Sarebbe come vivere una vita con l’obiettivo di morire! Invita allora il lettore a scegliere di fermarsi lì, di accontentarsi di quel finale aperto oppure di andare avanti (ma lo sconsiglia) e di affrontare il vero addio della storia. Ma King, come si diceva, non ama gli addii e il suo non lo sarà!

Tante profezie di insuccesso avevo subito, ero stato iscritto

Tante volte nella <<Banda>>, uno cioè dei cavalieri

Che volsero i passi alla ricerca della Torre Nera,

Che mi sembrava giusto fallire come loro,

E ora mi tormentava il dubbio: ne sarò capace?

(“Childe Roland alla Torre Nera giunse” di Robert Browning)

IL MANCATO PARTO DELLA SCHIZOFRENICA

E sei! Sono infine arrivato a leggere il sesto romanzo della serie “La Torre Nera”, scritta da Stephen King.

Come noto il ciclo si compone dei romanzi:

  1. La torre nera I: L’ultimo cavaliere(1982, pubblicato originariamente come romanzo breve; edizione rivista nel 2003(The Dark Tower I: The Gunslinger)
  2. La torre nera II: La chiamata dei Tre(1987(The Dark Tower II: The Drawing of the Three)
  3. La torre nera III: Terre desolate(1991(The Dark Tower III: The Waste Lands)
  4. La torre nera IV: La sfera del buio(1997(The Dark Tower IV: Wizard and Glass)
  5. La torre nera V: I lupi del Calla(il titolo annunciato era L’Ombra Strisciante[1][2]) (2003(The Dark Tower V: Wolves of the Calla)
  6. La torre nera VI: La canzone di Susannah(2004) (The Dark Tower VI: Song of Susannah)
  7. La torre nera VII: La torre nera(2004(The Dark Tower VII: The Dark Tower)
  8. La torre nera: La leggenda del vento(2012(The Dark Tower: The Wind Through the Keyhole)

 

A quanto pare però la storia si dovrebbe concludere con il settimo volume, essendo l’ottavo una sorta di spin off che si colloca cronologicamente più dalle parti degli eventi narrati nel quarto libro.

Ai 7/8 libri principali, sono collegate numerose altre opere di King. Riporto di seguito la ricostruzione che ho trovato su wikipedia:

 

I collegamenti in realtà non finiscono qui. Nel romanzo che ho appena letto, “La Canzone di Susannah”, per esempio, ci sono riferimenti sia a “Le notti di Salem”, opera che direi costituisce quasi un prequel della serie, sia a “It” il cui spirito aleggia sulla storia. Sento persino dei legami con “22/11’63”.

Questo sesto volume condivide con il terzo un brutto finale o per meglio dire un non-finale, che ci lascia sospesi in attesa di leggere il successivo, come se, in realtà, il terzo e il quarto volume come il sesto e il settimo fossero due parti della stessa storia, a loro volta inserite nella trama generale.

Peccato da poco, direte voi, dato che comunque stiamo parlando di un’opera che ha senso (ma aspetto di leggere l’ultimo volume per confermare che questo “senso generale” esiste) solo se letta nel suo insieme.

Questo sesto volume è scritto, come è consuetudine del grande King, con la consueta professionalità, tecnica e maestria, eppure c’era una parola, mentre leggevo, che mi si affacciava alla testa: “disordinato”. Strano, perché il libro segue un suo ordine e un suo filo, ma è stata una sensazione che mi ha fatto compagnia spesso, forse per i passaggi /salti dalle vicende della schizofrenica Suasannah/Mia/Detta a quelle delle coppie separate Roland Deschain /Eddie Dean e Jake Chambers / Padre Donald Callahan (con annesso bimbolo Oy).

Stephen King

Diciamo, poi, che tutto sommato la gravidanza di Susannah/Mia non è coinvolgente come altre parti del ciclo e la stessa triplice schizofrenia di quella che può dirsi la vera protagonista di questo volume è ormai cosa nota e stuzzica meno che nelle precedenti letture. Diciamo che la gravidanza sembra un filo troppo esile per una trama, anche se deve reggere solo un volume su otto e più. Il fatto poi di non riuscire neppure a capire se l’atteso neonato/ Tizio sarà una specie di Rosemary’s Baby o altro, svuota l’intero libro di un suo senso. Simpatica l’introduzione nella storia del personaggio Stephen King, un po’ meno i suoi diari semi-falsi in appendice, compresa la morte alla “Mr Mercedes”, che se non altro hanno il pregio di confermarci qualcosa che già avevamo intuito: King ha scritto questa saga senza sapere dove andasse a parare e inventandone gli sviluppi un po’ per volta. Speriamo davvero che il settimo volume sia da coronamento al tutto e non, invece, una delusione, che smonti l’intera costruzione di questa saga, che potrebbe essere una di quelle, assieme, a quella di Harry Potter, meglio realizzate che io abbia mai letto.

Anche se questo volume mi pare abbassare un po’ il tono della serie, l’interesse rimane alto e la saga di qualità. Appena possibile, dunque, dopo una pausa per leggere altro, passerò al settimo e decisivo volume.

L’ECCLETTISMO DEL RE

Risultati immagini per stephen king i lupi del callaCredo che ben pochi autori sarebbero in grado di mescolare fantascienza, western, romanzo gotico, ucronia e fantasy. Ci vuole una grande penna per fare questo, un “re” della tastiera. Probabilmente ci vuole uno che si chiami King, Stephen King. Quello che ha fatto nel romanzo fiume che potremmo chiamare “La Torre Nera” e che riunisce ben otto lunghi romanzi di grande ecclettismo e poliedricità.

C’è ancora qualcuno che, quando gli dico che sto molto apprezzando questo autore, storce il naso e risponde che non ama l’horror. Certo King è quello di “Carrie” e “Shinning”, ma non potrebbe esserci errore (eresia?) peggiore di definirlo un autore horror. I suoi romanzi sono solo apparentemente di genere, tanta è la loro ricchezza e tanto in essi i generi sono mescolati, e solo talora, direi, sono davvero horror.

Per ora ho letto solo alcune delle sue opere, ma più vado avanti è più apprezzo la grandissima fluidità di scrittura, che gli permette di dilatare delle storie per centinaia o migliaia di pagine (come per “La Torre Nera”) senza creare mai momenti di noia o di fiacchezza. Del grande autore horror ha la capacità di tenere sempre altissima l’attenzione, ma questo lo fa con storie di bambini come il romanzo “La bambina che amava Tom Gordon”, in storie sullo spirito profondo delle nostre paure come “It”, in ucronie geniali come “22/11/’63”, in romanzi gotici come “Salem’s Lot”, che sono anche affreschi di vita di provincia americana, in thriller psicologici come “Mr Mercedes”, con i racconti di “Tutto è fatidico”, in uno dei quali compare anche Roland di Gilead in un momento antecedente la saga de “La Torre Nera”.

Leggendo il primo romanzo della serie “L’ultimo cavaliere”, che ci parla di infinitamente grande e infinitamente piccolo, di passato che è futuro, l’avevo definito un western-fantasy; leggendo il secondo romanzo “La chiamata dei tre”, mi ero appassionato vedendo mutare quel mondo pseudo-western in un immaginifico mondo fantascientifico con aramostre e porte del tempo, in una storia che ci parla di schizofrenia, droga, follie omicide; leggendo il terzo volume “Terre desolate” veniamo proiettati in un capolavoro fantascientifico popolato da antiche macchine pensanti che è un vero trattato narrativo della schizofrenia; leggendo il
quarto “La sfera del buio” ci ritroviamo nella medesima atmosfera del precedente per poi essere proiettati in un America ucronica.

Sono così, infine, giunto a leggere il quinto volume della serie “I lupi della Calla”. La storia narrata segue immediatamente quella di “Terre desolate”, eppure precede anche quella dell’ottavo volume “La leggenda del vento” e persino il secondo romanzo scritto da King “Salem’s Lot” o “Le notti di Salem” (1975).

Il primo volume è del 1982. “I lupi della Calla” è del 2003, l’ottavo volume è del 2012, a testimonianza del ricorrente impegno dell’autore su questa storia.

Vi compare (grazie all’amore di King per i collegamenti tra le proprie opere) per la prima volta nella saga un nuovo personaggio l’ex-prete Pére Callahan, che già avevamo incontrato ne “Le notti di Salem”, ma i riferimenti a opere di altri autori sono numerosissimi, dall’omaggio all’altra grande autrice del nostro secolo, che si ritrova nel nome delle bombe volanti intelligenti dette “Harry Potter”, in ricordo del famoso boccino da Qidditch inventato dalla Rowling, a quello a “2001 Odissea nello Spazio” di Clarke nel confronto tra il robot Andy e l’ex-eroinomane Eddie, alle spade laser di “Guerre stellari” a “Uomini e topi” di Steinbeck, all’”Ulisse” di Joyce a Elton John. Ci sentirei persino un po’ di Isaac Asimov, con la scomparsa dei robot, che caratterizza il passaggio dal ciclo dei robot a quello della Fondazione.

La vera ispirazione di questo volume sono però, soprattutto, “I sette samurai” di Akira Kurosawa e il loro remake americano “I magnifici sette”, vera ispirazione di questa storia in cui il pistolero Roland (che fa pensare allo Yul Brinner del film), affiancato da un improbabile quartetto composto dall’ex-tossicomane Eddie, dal ex-prete ubriacone Callahan, dalla schizofrenica Susannah priva delle gambe, al bambino Jake, per non parlare dello strano animaletto parlante simil-cane Oy, si preparano ad affrontare l’arrivo, che si ripete a ogni generazione nella valle di Calla Bryn Sturgis, di un’orda di esseri famelici, chiamati Lupi, per la maschera lupina che indossano sul volto, ma che si sospetta possano essere zombie inviati da vampiri o vampiri loro stessi.

Troviamo, insomma, in questo volume, grande esempio di mescolanza di generi, il romanzo gotico con vampiri, licantropi (richiamati se non altro dal nome delle misteriose creature), zombie, robot, pistoleri, donne guerriere lanciatrici di piatti fatali, gangster, bibliofili, viaggi nel tempo, mondi onirici. Insomma, tutto il fantastico concentrato con innegabile maestria in qualche centinaio di pagine!

La lotta contro i lupi si pone come un intermezzo necessario nella ricerca della Torre Nera, vera missione di Roland di Gilead, che non viene accantonata. Nelle loro escursioni – tramite “contezza” (qualcosa che mi fa pensare a la mia “La bambina dei sogni”, in cui, pure, guarda caso, compare una Torre Nera) o porte del tempo – nella New York del XX secolo, infatti, i nostri eroi hanno modo di difendere dai gangster il bibliofilo Calvin Torre (che, forse, è un richiamo a “La prosivendola” di Pennac oltre ad avere nel proprio nome il suffisso “Cal” che accomuna il villaggio e il prete e il nome della meta di Roland “Torre”). Calvin Torre è, infatti, il difensore,
forse inconsapevole, della Rosa, che, a sua volta, potrebbe essere la chiave per salvare la Torre Nera.

Nel volume non manca la minaccia dell’arrivo di una gravidanza diabolica, che fa pensare a “Rosemary’s Baby” di Ira Levin, ma di questo probabilmente sapremo di più nel prossimo volume, la cui lettura faticherò a rimandare ancora per un po’.

 

 

Stephen King

L’AMORE ADOLESCENZIALE NEL WEST UCRONICO

Temo purtroppo che in una splendida serie di otto romanzi (senza contare gli innumerevoli spin-off) ce ne debba essere almeno uno più debole degli altri, anche se a scriverli è un maestro come Stephen King. Spero solo che il seguito della serie torni ai livelli dei primi romanzi.

Sto leggendo, infatti, la saga de “La Torre nera” e dopo un primo volume (“L’Ultimo Cavaliere”) che mi aveva incuriosito ma non appassionato, sono stato trascinato con entusiasmo dal fascino del secondo (“La chiamata dei tre”), che non ha esaurito il suo effetto neanche durante la lettura del terzo romanzo (“Terre desolate”) (a parte il finale monco).

Arrivo così a leggere di slancio anche il quarto racconto del ciclo (“La sfera del buio”), che comincia dove il terzo volume ci aveva brutalmente abbandonati, sul folle treno amante degli indovinelli, ci trascina in un’America ucronica di cui vorremmo sapere di più, ma che dobbiamo abbandonare subito per essere risucchiati indietro nel tempo all’infanzia dell’Ultimo Cavaliere Roland, per poi tornare nel finale nel Kansas ucronico, incontrare  il fantasma del Mago di Oz e riprendere, infine, il sentiero del vettore.

Ho trovato deludente “La sfera del buio” rispetto ai precedenti episodi soprattutto per la mancanza di unitarietà, come si capisce dall’abbozzo di trama che ho appena tratteggiato, ma anche per essere stato illuso di scoprire un Kansas ucronico e ritrovarmi invece in un western non meno ucronico ma dalle tinte un po’ troppo western per i mei gusti e che occupa quasi interamente le 1.026 pagine della mia edizione.

Il libro, per carità, è ben scritto e nonostante la forse eccessiva lunghezza si legge con un certo piacere, ma il western mi appassiona assai meno delle riflessioni sulla mente umana e la schizofrenia dei precedenti volumi. È vero che l’ambientazione del racconto di Roland è particolare, mescolando elementi tecnologici e magici con i classici ingredienti del western (pistoleri, cowboy, cavalli, mandrie, pistole), ma forse lo stesso King, che pure pare amare molto questo ciclo, deve essersi reso conto che se la suspance è il suo pane quotidiano, le storie d’amore non lo sono (come scrive nella post-fazione). Eppure non ci risparmia la passione adolescenziale del quattordicenne Roland con la coetanea Susan, facendole assumere un ruolo centrale nel romanzo. Altra cosa che mi ha lasciato perplesso è che questo lunghissimo prequel inserito all’interno della trama principale dovrebbe essere, per come ci viene presentato, un racconto di Roland ai suoi nuovi compagni, ma è scritto in terza persona anziché in prima e con un punto di vista solo occasionalmente accentrato sul narratore, come se fosse un romanzo inserito in quello principale e non un racconto, per quanto lungo, di eventi passati.

Rimane comunque affascinante, anche se secondo me poco sviluppata, l’idea ucronica di un futuro che dovrebbe essere piuttosto lontano ma in cui si sia tornati agli usi e ai costumi (intesi sia come comportamenti che come abiti) della conquista del ovest americano. La componente magica non tocca qui le profondità lovecraftiane cui King ci ha abituato con altre storie (persino di questo ciclo) e la sua superficialità sfiora a volte l’ingenuità, mentre il richiamo alla fiaba del Mago di Oz, più che una citazione sembra un’espediente per inventarsi qualcosa. Gli elementi tecnologici, poi, sono poco spiegabili: come è possibile che in un futuro così lontano da aver generato millenni prima cyborg come l’orso affrontato dagli amici di Roland in precedenza o il tecnologicissimo treno assassino Blaine il Mono, possa avere ancora residui ottocenteschi come le pistole di Roland o cisterne e pozzi petroliferi con marche nostre contemporanee? Basta a spiegarlo il concetto, più volte ripetuto, che in queste storie il tempo è impazzito e scorre in modo particolare?

Temo purtroppo che in una splendida serie di otto romanzi (senza contare gli innumerevoli spin-off) ce ne debba essere almeno uno più debole degli altri, anche se a scriverli è un maestro come Stephen King. Spero solo che il seguito della serie torni ai livelli dei primi romanzi.

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LA CHIAMATA DEL QUARTO: LA SCHIZOFRENIA E IL SUO OPPOSTO

Risultati immagini per stephen king Terre desolateIl ciclo della Torre Nera di Stephen King è qualcosa di complesso e quindi difficilmente definibile. Il primo volume (“L’Ultimo Cavaliere”), conservava toni da western e faceva quasi pensare che ne fosse solo una versione un po’ futuribile, eppure già lì c’erano tutti gli elementi per farci capire quanto fosse rilevante la componente fantascientifica. Pensate anche solo all’incipit della serie: “L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì. Il deserto era l’apoteosi di tutti i deserti, sconfinato, vasto fino a traboccare nel cielo per enne parsec in tutte le direzioni.” In quella singola parola “parsec” c’è già la promessa di tutta la magia fantascientifica che seguirà. Già “L’Ultimo Cavaliere” ci parla di viaggi nel tempo, viaggi tutt’altro che lineari ed elementari, il secondo volume (“La chiamata dei tre”) è incentrato su  questi. Ci sono delle porte (nel terzo volume si parlerà di “sinapsi temporali” e credo che queste porte potrebbero esserle, anche se King ancora non ce lo dice). Non sono solo banali aperture tra un “quando” e un altro, ma aperture attraverso le quali il Pistolero Roland riesce a entrare nella mente dei tre, alla ricerca di nuovi compagni per la sua avventura. Sinapsi appunto, come quelle della mente. Si parla molto della mente nel secondo volume e si continua a farlo nel terzo. Si capisce la centralità di questo argomento forse maggiormente leggendo “Terre desolate”, ma già nel volume precedente era un concetto evidente. I primi volumi de “La Torre Nera” sembrano quasi il risultato di uno studio sulla schizofrenia in tutte le sue forme e persino nel suo opposto.

Il primo chiamato è il tossico Eddie Dean, la sua è una schizofrenia artificiale, tra lo stato di lucidità e quello di allucinazione, la seconda chiamata è una vera schizofrenica, Detta-Odetta Holmes, con due personalità che si combattono tra di loro. Roland Deschain di Gilead guarisce entrambi. Anche lui però è in qualche modo schizofrenico, alla rovescia (forse per questo è la cura per gli altri due). Quando abbandona il proprio corpo sulla spiaggia infestata di aramostre e entra nei corpi dei suoi ospiti è una mente sola con due corpi!

Nel terzo volume “Terre desolate” ritroviamo il ragazzino Jake Chambers che Roland aveva lasciato cadere e morire nel primo volume. In realtà non è morto ma si è sdoppiato. Una metà vive nel tempo di Roland e una nella New York in cui il ragazzino è nato e di questo Jake soffre. Anche Roland ne soffre e la sua sofferenza non è solo dovuta al rimpianto per averlo dovuto sacrificare in nome della ricerca della Torre Nera (questa storia è una grande Quest e Roland un cavaliere alla ricerca del suo particolare Santo Graal), ma anche alla necessità di consentire al bambino di ricongiungere la propria personalità e di farlo ricongiungere a Roland e agli altri due. Sarà lui il quarto del Ka-tet, di quel gruppo di unione psichico-spirituale costituita da Roland, Eddie e Susannah Dean (la schizofrenica Detta-Odetta ora guarita e riunita). Ne “La chiamata dei tre”, il terzo a essere chiamato è l’uomo che ha ferito due volta Detta-Odetta e fatto morire Jake. Anche lui è una sorta di schizofrenico, un serial-killer (o “serial-feritore”, se preferite) che si nasconde sotto i rispettabili panni di un uomo normale. Il destino per lui è la morte. Sarà Jake, non lui, a completare nel terzo volume il quartetto. Un altro ricongiungimento è tra Eddie e Susannah, che divengono marito e moglie, nella più ovvia delle ricongiunzioni di due anime gemelle, ma all’interno del ka-tet, come parte di un disegno più grande.

Cosa poi dire dell’altro grande schizofrenico del terzo episodio, il treno malandrino Blaine il mono? Oltre che pazzo ha una personalità divisa tra il Grande Blaine e il Piccolo Blaine. Perché poi è rosa se ha un’identità maschile, mentre la sua gemella, che ha lasciato morire, si chiama Patricia ma è azzurra? Nel terzo libro non si dice ma sorge il sospetto che in realtà il perfido Blaine sia la depressa Patricia e che il suo suicidio sia in realtà stato un “trenicidio”.

In “Terre desolate” l’ambientazione diventa decisamente fantascientifica, eppure gli elementi magici sono rilevanti, quasi a dirci che tra scienza e magia il confine è labile, è solo una questione di punti di vista, di conoscenza della realtà. In questo mondo di un lontanissimo futuro, la civiltà tecnologica è un ricordo perduto del passato, le cui vestigia talora riappaiono. Il mostro che custodisce l’accesso al Vettore, la strada per la Torre Nera, è un orso gigantesco che sopravvive da millenni, temuto dalla popolazione locale come un demone. Gli amici di Roland lo sconfiggeranno e uccideranno, scoprendo che è solo un cyborg con cervello positronico (e qui immagino che King debba ringraziare Isaac Asimov). Lo assistono piccoli mostri, che altro non sono che robot. La figura centrale del volume è un essere mostruoso che vive in una zona proibita e che si rivelerà essere un treno ipertecnologico, in grado di correre alla velocità del suono e dotato di un cervello folle degno di quello HAL 9000 che vediamo in “2001 odissea nello spazio”.

Con lui Roland e i suoi amici intraprenderanno un nuovo duello, ma non con le pistole, bensì a colpi di indovinelli, come se si trattasse di un’antica sfinge (non per nulla uno di quelli che gli pongono è proprio quello edipico).

Il volume finisce in modo improvviso e tronco, lasciando i nostri eroi a combattere con il treno folle. King ci spiega che vuole prendersi tempo per decidere come andare
avanti. Mi pare una scelta saggia, dato che è meglio fermarsi piuttosto che rovinare una buona storia, però poteva anche aspettare a trovare il seguito prima di pubblicare, no? Sono favorevole ai finali aperti, soprattuto in quella che è una serie, ma anche questi hanno le loro regole. Ci si sarebbe, insomma, aspettati che il duello si completasse e che il treno li depositasse, lasciandoli partire per nuove avventure, prima di scrivere la parola fine in fondo al libro, no?

Comunque, continua, a maggior ragione, la voglia di andare avanti, con questa bella e ricca storia (anche se non adoro gli indovinelli) e così ho già iniziato a leggere “La sfera del buio”. King ha fatto aspettare i suoi lettori dal 1991 (anno di pubblicazione di “Terre Desolate”) al 1997, anno dell’uscita del quarto volume. Il vantaggio di aver scoperto in ritardo questa storia e questo autore è nel dover aspettare!

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LA CHIAMATA DEL LIBRO

A distanza di oltre tre anni dalla lettura de “L’ultimo cavaliere”, dopo aver imparato ad apprezzare Stephen King in varie altre opere, ho ripreso la lettura del Ciclo della Torre Nera, affrontando “La chiamata dei tre”, il secondo volume della serie del maestro dell’horror.

Se “L’ultimo cavaliere” è un western-fantascientifico-post-apocalittico, ne “La chiamata dei tre” il carattere western si affievolisce e prevale la fantascienza, sia per l’ambientazione principale, una spiaggia interminabile popolata solo da giganteschi e letali crostacei, le “aramostre”, sia per la presenza della porta, un passaggio tra il mondo dell’Ultimo Pistolero Roland e quello dei tre personaggi che entreranno in contatto con lui, un’America recente.

Troviamo dunque un passaggio temporale che sarà poi ripreso nel bel romanzo “22/11/’63”, con la differenza che qui l’apertura spazio-temporale non sta in fondo a uno sgabuzzino, ma è una porta magrittiana sospesa nel deserto, qualcosa che segue Roland nei suoi spostamenti e fa da tramite con i tre. Attraverso di essa Roland entra direttamente nella testa e nei corpi dei tre.

L’ultimo cavaliere” mi aveva lasciato un po’ perplesso per la mancanza di azione. “La chiamata dei tre” è tutt’altra cosa. Il Pistolero nel suo mondo sta morendo e combatte per sopravvivere. Entra nei mondi dei suoi “ospiti”, ma anche lì non trova situazioni semplici. I compagni che sta evocando dal passato sono, infatti, un drogato che trasporta eroina in aereo, una ricca e bella negra schizofrenica e senza gambe, un serial killer, con la passione per l’uccisione dei bambini. Non esiste un termine per definirlo? Direi un “pedocida”. Solo con il loro aiuto Roland potrà guarire, salvarsi e trovare la Torre Nera. Le avventure nei vari mondi si succedono a un buon ritmo. I personaggi hanno un loro forte spessore. Il mistero e la magia condiscono sapientemente il tutto.

I tre sono la cura di Roland, ma anche Roland è la loro cura. Hanno tutti grossi problemi mentali. L’avventura che il Pistolero offre loro li allontana dalle loro malattie/follie, anche se, in un caso, in modo definitivo e brutale, come a dire che ci sono malattie dell’anima che non possono essere curate.

L’ultimo cavaliere” ci parla di grandi spazi, dell’amicizia e del suo contrario. “La chiamata dei tre” ci parla di forza interiore, di dolore, di coraggio, di determinazione e, in fondo, ancora di amicizia.

Sono grandi temi, che danno consistenza ed energia al romanzo.

Stephen King non ha mai vinto il Premio Nobel e forse non lo vincerà mai, perché viene ingiustamente considerato solo un autore commerciale, ma dopo aver letto i romanzi di quattro premi nobel (Llosa, Lessing, Munro, Pamuk), entrare in queste pagine è un autentico sollievo. Probabilmente non capisco nulla di letteratura e a Stoccolma sanno cose che mi sfuggono, ma questo è un vero romanzo, non gli ultimi che ho letto!

Stephen King

Del resto con questo libro mi è capitato qualcosa che non mi ha fatto provare nessuno dei quattro nobel citati: il desiderio irrefrenabile di continuare a leggere. A essere chiamato dal libro è il lettore! Che cos’altro dovremmo chiedere a un romanzo, se ci dà questo?

Ora non posso che cercare di leggere presto il seguito della serie.

I volumi che la compongono sono:

  1. La torre nera I: L’ultimo cavaliere (1982, pubblicato originariamente come romanzo breve; edizione rivista nel 2003(The Dark Tower I: The Gunslinger)
  2. La torre nera II: La chiamata dei Tre (1987(The Dark Tower II: The Drawing of the Three)
  3. La torre nera III: Terre desolate (1991(The Dark Tower III: The Waste Lands)
  4. La torre nera IV: La sfera del buio (1997(The Dark Tower IV: Wizard and Glass)
  5. La torre nera V: I lupi del Calla (il titolo annunciato era L’Ombra Strisciante[1][2]) (2003(The Dark Tower V: Wolves of the Calla)
  6. La torre nera VI: La canzone di Susannah (2004(The Dark Tower VI: Song of Susannah)
  7. La torre nera VII: La torre nera (2004(The Dark Tower VII: The Dark Tower)
  8. La torre nera VIII: La leggenda del vento (2012(The Dark Tower: The Wind Through the Keyhole)

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IL WESTERN FANTASY DI KING

Quando ho letto “L’Ultimo Cavaliere”, di Stephen King avevo letto ancora poco di lui (“Cell” e “La bambina che amava Tom Gordon”), ma era già un autore che stavo cercando di scoprire. Successivamente ho molto apprezzato “It” e “22/11/’63”.

Se Cell non mi era dispiaciuto, “La bambina che amava Tom Gordon” è senz’altro una storia che difficilmente potrò dimenticare.

Dopo tali letture, mi sono quindi cimentato (nell’ottobre 2010) con il primo volume della serie “La Torre Nera”, che viene considerata una delle opere maggiori di King (ma non so se sia anche quella meglio riuscita o di maggior successo).

L’ultimo Cavaliere”  è un romanzo (del 1982,e rivisto in seconda edizione del 2003) che si apre come un western, fin dalle prime righe:

L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì” è l’incipit e i toni western continuano per varie pagine, forse fino alla fine. Eppure c’è già subito qualcosa che ci dice che siamo in un altrove letterario.

Già solo dopo la prima frase leggiamo:

Il deserto era l’apoteosi di tutti i deserti, sconfinato, vasto fino a traboccare nel cielo per enne parsec in tutte le direzioni.”

È solo un accenno che facilmente può sfuggire, se non si conosce il seguito. King ci parla subito di vastità. Le Dimensioni, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo saranno il cuore della discussione durata una notte e/o dieci anni tra il pistolero e l’uomo in nero alla fine di questo primo volume.

L’accenno agli “enne parsec” ci dice che non siamo, culturalmente, nel mondo dei cowboy.

Questo libro infatti si muta progressivamente in qualcosa d’altro. Il passato dei pionieri americani si mescola con un futuro post-apocalittico, un ragazzino emerge da quello che sembra il futuro (il nostro presente) ma che in realtà è un lontano passato. Il passato si mescola al futuro. La realtà si fonde con il sogno, come nel tempo immobile del dialogo finale tra inseguito e inseguitore. Si coglie un lieve sapore lovecraftiano. Le atmosfere cominciano a somigliare a quelle della Terra di Mezzo di Tolkien, con la Torre Nera al posto delle Due Torri.

Eppure… Eppure in questo libro non succede quasi nulla. Certo c’è una sparatoria colossale in cui il pistolero fa fuori un intero villaggio, compresa la sua amata, c’è l’amicizia con il bambino, che sarà sacrificato, c’è l’inseguimento, eppure la sensazione è che non si capisce dove tutto ciò vada a parare, che sembra di leggere una storia dalla trama così sottile che quasi non si percepisce.

La tentazione è di accantonare la memoria di questo romanzo, come qualcosa di inessenziale. Mi viene però in mente “Stalker”, l’incredibile film di Tarkowsky. Anche lì sembrava non accader nulla. Quando finii di vederlo cancellai la videocassetta, quasi indispettito dalla vacuità di quanto visto, per rendermi conto, un attimo dopo, di aver cancellato un capolavoro, la cui forza stava proprio nel vuoto. Come nell’attesa de “Il deserto dei Tartari” di Buzzati.

E anche qui rimane la sensazione che questo vuoto sia in realtà qualcosa che ci riempie. King ci parla in fondo di deserti, quello di sabbia, quello di stelle e, forse, quello dell’anima.

Va poi detto che questo senso di incompiutezza forse è ascrivibile al fatto che si tratta del primo volume di una lunga serie.

Resta dunque la curiosità di scoprirne di più (immagino sia questo che vuole l’autore), di scoprire come si snoda il rapporto tra il pistolero e l’uomo in nero, legati da qualcosa di più di un’amicizia che fa dire a quest’ultimo “Vogliamo che sia fatta la verità fra noi, da veri uomini? Non da amici? Ma da nemici e uguali? È un’offerta che ti sarà rivolta raramente, Roland. Solo i nemici dicono la verità. Amici e amanti mentono in continuazione, presi nella rete dei loro obblighi”. Vogliamo conoscere anche noi questa Verità, anche se è qualcosa che, a quanto pare, riguarda l’intero universo e “L’universo (disse) presenta un paradosso troppo grande perché possa essere contenuto nella mente finita dell’uomo”.

Alla fine qualcosa di importante, questa storia mi ha lasciato. Non per nulla anche nel mio “La Bambina dei Sogni” troverete una Torre Nera e non è affatto un caso.

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