IL PIANETA DELLE SCIMMIE NON È LA TERRA

Da ragazzo adoravo i film della serie “Il pianeta delle scimmie”. Ricordo persino dei telefilm di modesta fattura che non mi perdevo. Lessi già allora anche il bel romanzo “Il pianeta delle scimmie” (1963) di Pierre Boulle (Avignone, 20 febbraio 1912 – Parigi, 31 gennaio 1994).

Successivamente ho seguito e apprezzato molto le nuove trasposizioni cinematografiche. Il simbolo della storia per me era l’incontro del protagonista, interpretato da Charlton Heston, con i resti della Statua della Libertà di New York. Purtroppo, le versioni cinematografiche hanno il deplorevolissimo vizio hollywoodiano di americanizzare tutto ciò che toccano. Pierre Boulle era francese e francesi i suoi personaggi e il gran finale (che precede l’ulteriore epilogo) si svolge a Parigi, con la Torre Eiffel, e non certo a Manhattan.

Essendo passati parecchi anni dalla precedente lettura del capolavoro francese, mi ero anche convinto, suggestionato dalla filmografia, che la trama fosse in sintesi questa: alcuni astronauti dopo un viaggio a velocità prossima alla luce atterrano su un pianeta lontano che trovano popolato da una civiltà di scimmie (scimpanzè, gorilla e oranghi), con gli uomini allo stato animalesco. Solo uno di loro sopravvive e scopre che in realtà i meccanismi automatici dell’astronave li hanno riportati sulla Terra molti anni dopo, quando le scimmie sono subentrate agli umani.

Quello che ora, rileggendo il romanzo, non mi tornava, avendo in mente questa trama, era come mai gli astronauti non riconoscessero dallo spazio la conformazione dei continenti (notano anzi che è diversa) e la luna e il sole, che invece gli appaiono assai differenti. Anche gli animali sono simili a quelli terrestri ma a volte non gli stessi. Boulle non insiste sulla cosa ma lo dice. Come avevano fatto a mutare così? Ingegneria genetica? Mutazioni da radiazioni? Non avrebbero prodotto quegli effetti.

La mia sorpresa in questa rilettura è stato dunque scoprire che sul nuovo pianeta Soror (a trecento anni luce da noi) le scimmie, da almeno 10.000 anni, hanno preso il posto di un’umanità decaduta, ma la civiltà umana non era quella terrestre. Il protagonista riesce infatti a tornare, con l’aiuto di alcuni scimpanzè, sull’astronave e a fare ritorno su una Terra, in cui il tempo è andato avanti di 700 anni. Atterra vicino Parigi ma ad accoglierlo sono: due scimmie. Altre due scimmie, nell’epilogo finale, trovano in una bottiglia (sic!) dispersa nello spazio dei fogli con su scritta la sua storia e la prendono per una storia di fantasia.

Insomma, nel romanzo Soror è un pianeta del sistema di Betelgeuse, non la Terra scambiata per errore per un mondo lontano come nei film, ma la Terra subisce poi la medesima sorte: umanità soppiantata dalle scimmie.

Va detto che questa, con sguardo attuale, è una debolezza dell’opera di Boulle: come possono esistere due pianeti con biologie tanto simili e per giunta allo stesso stadio evolutivo. Ulisse Mèrou parte dalla Terra nel 2500 e arriva su un Soror con scimmie a un grado di civiltà da XX secolo. Anche questo mi pare quanto mai assurdo. Vestono, usano auto, aerei e oggetti del tutto simili ai nostri. Non è pensabile né che l’evoluzione abbia creato su un mondo lontano specie identiche (Ulisse mette addirittura incinta Nova, una bella fanciulla animalesca di Soror e hanno un figlio!), né che una civiltà di scimmie abbia creato città e tecnologie identiche alle nostre (salvo che non usano scarpe), se non altro quanto meno per la differenza anatomica di essere le scimmie quadrumani e con diversa conformazione e per giunta di tre diverse specie, ma la Storia è “fragile” e può prendere percorsi molto diversi, come ben ci insegna l’ucronia: non può portare ai medesimi risultati se avviene una qualsiasi divergenza e qui quella iniziale è macroscopica.

Un’altra cosa che mi ha convinto poco è come le scimmie scoprono il passato “umano” del proprio pianeta: mediante esperimenti sulla mente di una donna, che inducono a risvegliare memorie ancestrali della specie e così lei, muta come tutti gli umani, sotto una sorta di ipnosi, parla ridestando le voci di uomini e donne vissuti millenni prima. Non sarebbe stato più facile, verosimile e probante ritrovare un documento (scritto o magari audio o video) che raccontasse tutto ciò e poi adoperarsi per tradurlo? Peraltro, la donna parla con termini comprensibili per le scimmie, altra cosa incongruente.

Quella della lingua era un’altra grossa incongruenza dei film. Ricordo che Charlton Heston veniva ferito alla gola, non riuscendo più a parlare e dovendosi spiegare con gesti, mimica e disegni a scimmie che… parlano inglese! Una cosa che non sopporto e trovo davvero puerile, uno dei motivi che sviliscono la fantascienza agli occhi di chi non l’ama, sono gli alieni che parlano la nostra lingua e hanno fattezze antropomorfe pur venendo da mondi non in contatto con il nostro!

Nel romanzo, invece, più correttamente, Ulisse deve imparare la lingua degli scimpanzè e insegnare loro la propria. Le parti in cui cerca di dimostrare la propria intelligenza credo siano tra le più affascinanti del libro.

E che dire dell’altro sopravvissuto, il professor Antelle? Perde l’uso della ragione e si comporta come un’animale ma non viene spiegato il perché. Nel film originale, almeno capiamo subito che ha subito una lobotomia. Nel romanzo pare si voglia affermare che il cervello sia in grado di regredire ma anche di recuperare facoltà intellettive in base all’ambiente, come capita all’animalesca Nova con la maternità.

Un’altra nota: Ulisse, nel romanzo, non è un astronauta, né uno scienziato ma un giornalista.

“Il pianeta delle scimmie” (Planet of the Apes) ha dato vita a dieci film, due serie televisive e vari libri, fumetti e videogiochi.

I film sono:

  1. 1999: conquista della Terra (14 giugno 1972) di J. Lee Thompson (Originale)
  2. Anno 2670 – Ultimo atto (23 maggio 1973) di J. Lee Thompson (Originale)
  3. Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie (11 luglio 2014) di Matt Reeves Reboot)
  4. Fuga dal pianeta delle scimmie (21 maggio 1971) di Don Taylor (Originale)
  5. Il pianeta delle scimmie   (8 febbraio 1968) di Franklin J. Schaffner (Originale)
  6. Il regno del pianeta delle scimmie (10 maggio 2024) di Wes Ball (Reboot)
  7. L’alba del pianeta delle scimmie (5 agosto 2011) di Rupert Wyatt (Reboot)
  8. L’altra faccia del pianeta delle scimmie (27 maggio 1970) di Ted Post (Originale)
  9. Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie  (27 luglio 2001) di Tim Burton (Remake)
  10. The War – Il pianeta delle scimmie (14 luglio 2017) di Matt Reeves (Reboot)

Il romanzo rappresenta un’opera fondamentale non solo per la storia della letteratura, ma anche per quella del pensiero e della società. Credo possa essere inserito tra le opere più rilevanti della cultura popolare.

Se non è la prima a infrangere il tabù dell’antropocentrismo culturale, però è senz’altro una delle prime ad avere tanta risonanza. Occorre pensare a quale possa esser stato l’impatto quando il libro uscì nel 1963 e poi il primo film nel 1968, in anni in cui si cominciava a rendersi conto della diffusione del razzismo ed emergeva il desiderio di uguaglianza sociale: gli umani non sono la sola specie eletta, un uomo e una scimmia, posti alla pari intellettualmente, possono riconoscersi amici e persino provare attrazione sessuale se dimenticano l’aspetto esteriore, il protagonista si muove tra scimmie che si comportano come uomini e alla fine questo comincia a sembrargli normale.

Se la mente corre a precedenti come “I viaggi di Gulliver”, si capisce subito che qui l’intento parodistico, pur presente, è secondario rispetto al dirompente messaggio sociale, che apre le porte ai movimenti del 1968.

Pierre Boulle

Certo, siamo pur sempre nel 1963 e Boulle non può (o non desidera) immaginare una civiltà scimmiesca del tutto autonoma da quella umana: sono arrivati sin lì “scimmiottando” i vecchi padroni umani, sebbene infine acquisendo autonomia (dopo 10.000 anni!). Si immagina, inoltre, una civiltà statica e stagnante per millenni, in contrapposizione alla rapida evoluzione logaritmica di quella umana. Insomma, uomini e scimmie avranno pure la possibilità di essere uguali ma gli umani, parafrasando “La Fattoria degli animali” di Orwell sono pur sempre “più uguali” degli altri!

Pur con questa critica, fatta a oltre sessanta anni dall’uscita del libro, rimane il dirompente messaggio anti-antropomorfico dell’opera. Io stesso non penso che avrei potuto scrivere i romanzi “Jacopo Flammer e il popolo delle amigdale” e “Jacopo Flammer nella terra dei suricati” senza l’influenza di questo libro e dei film che ne sono discesi, anche se le mie “civiltà animali ucroniche” si sono evolute in modo del tutto autonomo da quella umana e in maniera differente.

One response to this post.

  1. Credo che un po’ di sospensione dell’incredulità sia necessaria, altrimenti tutte le storie di contatto dovrebbero trattare la fase di studio della lingua aliena. Magari per qualcuno è un’occasione da sfruttare, ma per altri solo un aspetto di nessun interesse.

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