IL NON-TEMPO CIRCOLARE DI TARÒ

Di Davide Tarò ho già letto il romanzo breve “Corazzata Spaziale Mussolini” e il racconto “Il ritorno degli Shogun Warriors…” in cui in una Detroit in rovina dei giocattoli giapponesi hanno assunto la forma di grandi automi per la difesa urbana, presente nell’antologia “Soundscapes”.

Leggo ora “OroborO”. Il sottotitolo lo definisce “Romanzo ucronico” e all’interno Tarò parla di “Taròucronia”, termine che fa pensare alla Torino in cui è ambientato ma che fa chiaramente riferimento al cognome dell’autore.

Va detto che il concetto di ucronia nella sua accezione più comune mal di adatta a questo romanzo. Dai tempi di Charles Rènouvier, infatti, il termine indica un andamento alternativo della storia, derivante da una divergenza storica che ne ha mutato il corso. Ecco quindi che nei miei romanzi Cristoforo Colombo non riesce a tornare dal viaggio alla scoperta delle Indie, ecco che Sparta distrugge Atene e la sua cultura, ecco che Giovanna D’Arco sopravvive al rogo. Queste sono ucronie.

Davide Tarò, invece, pare andare più indietro, risalendo all’etimologia del termine per il quale la “u” di “ucronia” è la negazione greca, mentre “Cronia” fa riferimento a “cronos”, il tempo.

Davide Tarò

Per Tarò, dunque, l’ucronia pare più che descrizione di un tempo alternativo, quello di un non-tempo. Siamo però, in queste pagine, ancora più dalle parti della ciclicità del tempo, che mi ricorda la saga della Torre Nera di King ma anche “La casa per bambini speciali di Miss Peregrine” di Ramson Riggs e perché no la mia Giovanna D’arco che alla fine ritroviamo bambina. Concetto evidenziato dal titolo, con la doppia O maiuscola, a sottolineare come il nome palindromo “OroborO” si possa leggere nei due versi.

Che genere di narrazione ci troviamo di fronte? Non quella classica dell’ucronia che vede prevalere i riferimenti storici, ma piuttosto quella fantascientifica dei viaggi nel tempo con i loro paradossi. Lo scontro con gli Arrampicatori, esseri rivestiti di nanomacchine, mi ricorda stranamente la mia macchina del non-tempo che appare nel racconto “Il mio nome è Apocalisse” in “Apocalissi fiorentine”.

Ecco quindi il gioco di specchi temporali offerto da Tarò con il padre che è anche il figlio e il suo stesso assassino, come si scopre poco per volta, muovendosi per questo testo dallo stile narrativo originale che sottolinea la ripetitività temporale degli eventi.

One response to this post.

  1. […] Tarò – Oroboro – fantastico – italiano – […]

    Rispondi

Lascia un commento