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LA POESIA DEL CAMMINARE

Risultati immagini per l'aria ride CiampiPuò capitare (raramente) di leggere un racconto o magari persino un romanzo scritto in prosa ma che quando lo leggi ti sembra sia poesia. Può capitare. Pensereste possa succedere anche con un saggio, una biografia, la narrazione di un viaggio, di un cammino? Immagino che riteniate questo improbabile. Se lo pensate, è perché non avete mai letto un libro del fiorentino Paolo Ciampi.

Di Ciampi avevo già letto “Gli occhi Salgari” e “Beatrice”. Il primo narra dell’esploratore Odoardo Beccari, ai cui scritti si ispirò Emilio Salgari, l’autore de “I misteri della giungla nera”. Il secondo parla di una poetessa analfabeta vissuta nell’appennino tosco-emiliano.

Se, in particolare, leggendo “Beatrice” ero rimasto incantato non solo dalla descrizione di quei monti accanto all’Abetone che conosco abbastanza, ma anche e soprattutto dalla poesia che Paolo Ciampi aveva saputo mettere in questa biografia che biografia non è. Non solo almeno. Non esattamente.

Leggo ora il volume “L’aria ride”, scritto da Ciampi assieme a Elisabetta Mari. In realtà Ciampi scrive la prima parte (circa 100 pagine) e Mari la seconda (altre 24 pagine). Ci sono poi un paio di pagine che sono, più che bibliografia, un utile guida ai quei monti e un invito a nuove letture.

Che cos’è questo libro? Difficile definirlo.

 

La seconda parte, scritta da Elisabetta Mari, ci narra di una località trai monti a nord di Firenze, Casetta di Tiara, e di tre poeti a essa legati, ovvero Dino Campana, Sibilla Aleramo e Primo Vanni. Più che vera biografia è, soprattutto, narrazione del loro rapporto con questo luogo e i suoi dintorni. Ci sarebbe, scrive, anche un certo Dante Alighieri, tra quelli passati per questi monti, che, si narra, una volta lanciò un gallo nell’orrido “per veder come volano i diavoli” in quella che da allora si chiamerà la Valle dell’Inferno. Campana e Vanni sono accomunati oltre che dall’amore per casetta dai lunghi anni trascorsi in manicomio. Di Campana parla diffusamente Ciampi. La Mari vi aggiunge un ritratto di Vanni, questo semplice uomo dei monti, che amava scrivere.

 

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Paolo Ciampi

È soprattutto la prima parte di questo libro, quella scritta da Paolo Ciampi, che è difficile definire. Non è un vero romanzo… ma, perché no? Forse lo è. È anche un romanzo. Ne hai i toni della narrazione. Parla molto di Dino Campana, di cui ripercorre i passi nei boschi attorno a Marradi eppure non ne è vera biografia, pur dicendo di questo poeta sfortunato assai di più di quanto alcune biografie potrebbero dire.

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Elisabetta Mari

Parla di un cammino tra i monti, attraverso i luoghi vissuti da Campana, ed è quindi libro di viaggio, di quelli che ora Ciampi ama scrivere. Perché “i libri sono viaggi”. Ma non solo. Neanche questa definizione ci basta. Neanche questa definizione soddisfa una simile lettura. Parla di un poeta e, come quando parlava di Beatrice, anche raccontandoci di Dino (così, affettuosamente, lo chiama) diventa lui stesso, l’autore, poeta, diventa quasi anche lui quel Dino Campana, ma anche tanti altri poeti che spesso cita con un verso introduttivo ricorrente “Perché io oggi, tuo amico, sono” e segue il nome dello scrittore o poeta che subito dopo sarà citato. Incontriamo così Walt Whitman, Iosif Brodskij, Camilllo Sbarbaro, Antonio Machado, Emily Brontë, Raymond Carver, Giacomo Leopardi, Wislawa Szymborska, José Saramago, Robert Frost, Fernando Pessoa, Franco Arminio, Vladimir Majakowskij e, soprattutto, loro, i due poeti amanti di Casetta di Tiara, Sibilla Aleramo e Dino Campana. Perché citare tutti questi poeti? Perché “nel cammino, ha detto qualcuno, si cercano i nomi”:

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Dino Campana e Sibilla Aleramo

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Casetta di Tiara

E dunque questo volume diventa anche piccola antologia poetica, seppur solo di fugaci citazioni. Si muove da solo Paolo Ciampi tra questi monti? Forse, sembrerebbe, ma di certo solo non è. Lo accompagna a ogni passo Dino Campana e tutta la poesia che permea le montagne e di cui Ciampi ci rende partecipi, tutta la poesia che deriva dai libri che l’autore ha letto. Chi legge non è mai solo. Questo è uno di quei libri che davvero “fa compagnia”, perché è così pieno di vita e di senso estasiato, di percezione poetica del mondo che pur non essendo opera di poesia in senso stretto, a questa ci avvicina. Come non andare allora, finita questa lettura, a cercarci una copia de “I Canti orfici” di Dino Campana e sprofondarci dentro, con una nuova chiave di lettura che questo libro ci ha regalato? Come non cercare di leggere qualcosa della sua amata Sibilla Aleramo? Come non desiderare recarsi tra questi monti, così vicini eppure così lontani dalla nostra Firenze, tra questi alberi che sono “tronchi come monumenti scolpiti dal tempo. Tronchi come vita immobilizzata in un istante”? Mentre “il sentiero si fa di sasso e ancora sale” vorremmo esser lì, “sulla montagna che gli è tana, ma anche cura”, come scrive Ciampi di Campana. E allora, con l’autore, forse ci domanderemo, pensando al poeta che fu: “perché non gli sono bastati questi monti?” A noi basterebbero?

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Il Rovigo