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LE DONNE IMMAGINARIE CI PARLANO

Il GSF – Gruppo Scrittori Firenze, dopo l’antologia “Le sconfinate” su donne che nella storia si sono mosse fuori dalle righe (e tante altre antologie), ripropone ora una nuova raccolta di racconti realizzati dai propri soci sotto forma di monologo (come nel precedente volume) con protagoniste donne immaginarie presenti in opere artistiche, letterarie, cinematografiche, teatrali, del mito, della canzone, della fiaba, della poesia, operistiche o di altre forme creative. Tra i generi si va dai classici, al mainstream, alla fantascienza, al giallo, all’horror, al fantastico.

Ne è nato un volume che riunisce cinquantadue personaggi femminili, descritti da cinquantadue autori in cinquantuno racconti, riportati nel volume in ordine alfabetico, ciascuno illustrato da un disegno di Enrico Guerrini, immagini tutte poi riunite nella copertina. Il volume, intitolato “Le immaginate” (Il Foglio, giugno 2023) è curato da Nicoletta Manetti e Cristina Gatti, con l’aiuto di un comitato di lettura di membri del GSF.

Le donne di questo libro spesso sono figure che escono dalle pagine e si confrontano con le opere da cui sono nate e talora con gli autori stessi che le hanno create, a volte per protestare per come sono state “immaginate”. A volte le troviamo descritte nello stesso periodo della vita in cui furono originariamente rappresentate, altre volte gli autori del GSF le immaginano a anni di distanza o, addirittura, proiettate nel nostro tempo dalle epoche in cui erano vissute, anche se molto lontane o addirittura in spazi fittizi o nell’aldilà.

Se ogni scrittore ha scelto donne diverse, alcuni autori sono stati scelti più volte come Alessandro Manzoni, Quentin Tarantino e, soprattutto, Walt Disney, Omero (considerando che molti personaggi del mito compaiono anche nelle sue opere). Mi ha, invece, stupito l’assenza di figure bibliche.

Alice disegnata da Enrico Guerrini
  • Si parte con Aida, in un monologo di Elisabetta Braschi che è quasi un saggio letterario, in cui la protagonista si confronta con l’opera verdiana e gli spettacoli che di questa sono stati allestiti.
  • Terza Agnoletti affronta Alatiel dal Decamerone di Boccaccio, la figlia del sultano di Babilonia, che si smarca dalle storie inventate su di lei, come quella dei nove uomini che l’avrebbero posseduta ma anche da quella sulla sua presunta verginità.
  • Carlo Menzinger di Preussenthal (chi è costui?) immagina l’Alice di Carroll ormai adulta, se non invecchiata, rinchiusa in un ospedale psichiatrico e ancora ossessionata dalle visioni del Paese delle Meraviglie e nel contempo alla ricerca di un Tempo Perduto dal sapore proustiano.
  • Nel monologo su Amelie di Gabriella Becherelli, la protagonista del film di Jan Pierre Jeunet, questa, alla ricerca di se stessa, a volte quasi confusa con l’attrice Audrey Tautou che l’ha interpretata, si racconta, osservando anche la realizzazione del film, in un’atmosfera surreale fra realtà e immaginazione: “Del resto vestire i panni di un altro è qualcosa che riguarda un po’ tutti nella vita: ci travestiamo, cambiamo atteggiamento, mettiamo una maschera, oppure immaginiamo di essere qualcun altro”. Racconto che sembra quasi ricollegarsi a quello su Alice con “la scatola di metallo: piccoli giocattoli, bigliettini, dettagli significativi che descrivono il mondo perduto dell’infanzia”, l’uomo di vetro che mi ricorda Humpty Dumpty, “il cinema” che “in fondo infrange il tempo”, “il tempo” che “sembra avere le ossa fragili come l’uomo di vetro”.
  • Paolo Dapporto, da bravo chimico, con la sua Andromaca ci fa notare il colossale salto culturale della guerra di Troia con il passaggio dalle armi di bronzo alle armi di ferro: “Vi rendete conto di quello che ci propone Glauco? Di combattere contro i nostri nemici in modo sleale, usando armi che loro non possiedono. Non è così che siamo stati educati e che educhiamo i nostri figli alle future battaglie”.
  • Renato Campinoti affronta il difficile amore e il suicidio di Anna Karenina, raffigurandola nell’aldilà, dove incontra Virginia Wolf e mentre viaggia tra Londra e Parigi, scoprendo la filantropia grazie a Angela Burdett-Cutts.
  • Francesco Fattorini da voce ad Artemide, la dea della caccia, mostrandola come una donna che per desiderio di libertà rifugge l’amore.

Silvia Alonso fa parlare Beatrix Kiddo, in arte Black Mamba, la protagonista del film di Quentin Tarantino “Kill Bill”, una serial killer affiliata a una banda di assassini che fanno capo al malavitoso ‘Bill’, qui alla ricerca di vendetta armata della sua katana.

  • Clarice Starling, la protagonista de “Il Silenzio degli innocenti” viene immaginata da Fausto Meoli ormai pensionata, a Firenze, ma sempre angosciata da Hannibal Lecter.
  • Un altro personaggio che ritroviamo invecchiato a pensare al proprio passato è la cattivissima Crudelia De Mon de “La carica dei 101”, che Maria Di Lisio vede ancora ossessionata dall’amica-nemica Anita. Una donna così fredda che per scaldarsi ha bisogno di pellicce e pepe!
  • Manna Parsì ha scelto per il suo monologo Daisy Buchanan de “Il grande Gatsby” per farne quasi il simbolo di tutte le donne senza coraggio, incapaci di amare, frivole e superficiali.
  • La Desdemona dell’Otello disegnata da Sylvia Zanotto, come altre donne dell’antologia, rivendica la propria personalità e l’importanza del proprio ruolo, mostrando un rapporto con l’altro sesso quanto mai contrastato, quasi fosse incapace di accettare il proprio essere donna, “Quell’io femmina che l’io maschio travolge”.
  • Despina, la cameriera frivola e insidiosa dell’opera di Mozart “Così fan tutte” è rinarrata da Brunetto Magaldi nel contempo come personaggio e come attrice, che si sente in dovere di specificare: “Io, nella realtà, sono ben diversa da quella frivola e amorale Despina”.
  • Giovanna Archimede sceglie Prassede, la vecchia bigotta che custodisce la virtù della Lucia dei “Promessi sposi”.
  • Oscilla un ragno sul suo filo instabile, Io son quel ragno penso e guardo Menelao, il mio sposo novello”. Comincia così il racconto sulla spartana Elena, la prima grande femme fatale della letteratura e non posso non pensare alla mia trilogia “Via da Sparta” (“Il sogno del ragno”, “Il regno del ragno” e “La figlia del ragno”). So che Miriam Ticci li ha letti e non posso allora non chiedermi quanto questo racconto ne sia stato influenzato, ma la risposta è negativa: si tratta di ben altra storia e di una donna che alla fine proclama: “La verità è che io il mio primo uomo ancora l’aspetto, quello che avrà cura del nostro reciproco amore e per il quale io farò follie, costi quel che costi!
  • Il tenente Ellen Ripley interpretato da Sigourney Weaver in “Alien” e vari altri film successivi, romanzi, fumetti e videogiochi è una donna che pur non essendo bella ha molto stimolato l’immaginario maschile. Adriano Muzzi le rivendica un’altra identità:

“Chiariamo subito alcuni punti:

Io sono bionda, e non mora con i capelli appiccicaticci come l’attrice.

Sono muscolosa, ma anche formosa, ossia ‘bona’. Non sembro un maschiaccio.

Non sono affatto coraggiosa: ho agito come ho agito solo perché sono stata costretta dalle circostanze. Col cavolo che mi offrivo volontaria per cacciare quel maledetto mostro.”

Anche il suo rapporto con l’alieno assume una nuova connotazione nel racconto.

  • Giusy Frisina scrive di Emma Bovary: “Sognavo l’Amore, ero innamorata di questa parola” le fa dire. Le fa anche constatare che “Flaubert voleva comunque farmi diventare un’eroina a tutti i costi e ci è riuscito perfettamente, al punto da farmi apparire, nello stesso tempo, peccatrice e santa”. Come in altri racconti di questo volume, la protagonista si confronta con il proprio autore e l’opera da cui è uscita, spostandosi dal piano dell’immaginario a quello del reale.
  • Nell’opera di Collodi la Fata Turchina, come il Grillo Parlante, ha un ruolo di guida per Pinocchio, un po’ materno, un po’ da docente. Nel suo monologo Antonella Cipriani la immagina alle prese con un ragazzo contemporaneo svogliato e troppo attratto dai videogiochi.
  • L’orchessa Fiona di Donatella Bellucci è alla ricerca di riscatto e di un diverso destino. Se la prende con il proprio autore e con tutti coloro che hanno descritto le donne nelle fiabe (ma non solo): “Delle povere inette, ingenue a rischio della vita, addormentate per anni, avvelenate, vessate oltre ogni limite, rinchiuse nelle torri, private della voce.
  • Indiana immagina una Ginevra che “sgattaiola fuori dal suo castello sulle ali di una carrozza, rinunciando al trono di Regina di Camelot. Raggiunge Versailles”.
  • Nicoletta Manetti ci parla del difficile rapporto di Giselda Materassi con le sorelle più grandi e il difficile nipote Remo un po’ scavezzacollo. Sorella un po’ Cassandra, un po’ “grillo parlante”.
  • Cristina Gatti scrive della Lullaby di “Colazione da Tiffany”, ovvero Holly Golightly che fu interpretata da Audrey Hepburn “una ragazza, reduce da un passato difficile, al tempo stesso dolce, caparbia, cinica e sognatrice che vive una vita altamente sregolata, fatta di mondanità, eccessi e di espedienti”, “inconsapevolmente sexy” divenuta “un’icona di eleganza”. Il personaggio si rapporta criticamente con il romanzo e il film che l’hanno rappresentata.
  • Chiara Sardelli dà voce a una delle pochissime figure femminili delle opere su Sherlock Holmes, Irene Adler, che compare in un solo racconto. L’immagina viaggiatrice nel tempo, assoldata da Churchill come spia contro il nazismo, donna vittoriana che mal si adatta ai tempi “moderni”.
  • Gianni Paxia ci parla della Jeanne di Maupassant che ne descrive “una vita che si rivela piena di delusioni da parte degli esseri umani, e, causa di maggiore sofferenza, di delusioni che arrivano da persone a lei vicine, anche dai genitori.”, ragazza cresciuta in convento, che arriva impreparata al matrimonio e alla prima notte di nozze, alla ricerca di amore, ma sentendosi sempre tradita da tutti, persino dal figlio.
  • Eleonora Falchi si cimenta con un classico della letteratura per ragazze, dando voce a Jo March di “Piccole donne” e facendola confrontare con i tempi moderni.
  • Gabriele Antonacci dà voce a una ninfa, Lena, che allevò il Dio Bacco come raffigurata nei versi di Michele di Lando nel XIV secolo, trasformandola in una testimone della storia.
  • La Margherita che fa parlare Gabriella Tozzetti esce da uno dei più intriganti romanzi della letteratura, “Il Maestro e Margherita” di Bulgàkov, colei che, innamorata del Maestro, presiede al ballo di Satana.
  • Claudia Piccini immagina che Mary Poppins, per la sua “voglia di donarsi ai più piccoli” sia trasportata “in un bellissimo paese dell’Italia, per prendersi cura di una persona speciale”. “Anna è sola, i suoi genitori l’hanno abbandonata appena nata, in una cesta di paglia, sulla spiaggia in riva al mare”. La piccola, che nel 2021 vive a Livorno, è affetta dalla Sindrome di Down.
  • La Medea di Roberto Riviello è moderna e contemporanea: “Cos’altro potrebbe fare, oggi, questa folle Medea se non: Rimuovere, Rimuovere, Rimuovere.” Come la mia Alice e altre “immaginate” la ritroviamo in una “Casa di cura ma lo so bene che è un manicomio”.
  • La Medusa di Cristina Scrigna più che un mostro mitologico è una donna tormentata.
  • La Minnie di Giovanna Checchi è la non più eterna fidanzata di Topolino ma una donna-topa ormai matura, sposata e alquanto stanca del proprio rapporto con il troppo perfetto Mickey Mouse.
  • Devo confessare di non conoscere Modesty Blaise cui dà voce Raffaele Masiero Salvatori, dunque fatico a comprendere quanto l’autore si discosti dal personaggio originario, “un’agente dei servizi segreti inglesi dopo un passato criminale”.
  • Anche troppo conosciuta, invece, la Monaca di Monza che Alba Gaetana Avarello dipinge come donna innamorata di un amore appassionato e violento.
  • Nanà, l’Imperatrice-Sfinge è fra le opere più imponenti del Giardino dei Tarocchi di Capalbio. Nilde Casale sceglie dunque non la protagonista di un romanzo, un film o un fumetto ma una statua. Una statua-casa. “Una Sfinge. Enorme e fluida, dai seni giganteschi, con due oblò al posto dei capezzoli. I capelli mi ricoprono la schiena e il sedere, ci puoi salire e camminare come su una terrazza.
  • Rosalba Nola anima Nora della “Casa di bambola” di Ibsen facendole incontrare in sogno il suo stesso creatore, che la vuole avvinta agli schemi da lui ideati: “Con voce flebile si disse lieto che avessi spezzato le catene del mio matrimonio. Ma poi si alzò e con rinnovato vigore mi promise che il miracolo mancato – di gloria, d’onore! – si sarebbe finalmente realizzato! Ma ancora una volta dovevo essere il personaggio obbediente che la sua penna aveva creato, continuare a fare sacrifici e senza mai un lamento”.
  • Vi ricordate di Pippilotta Pesanella Tapparella Succiamenta? Forse no. Ma certo ricordate il suo soprannome Pippi Calzelunghe. Di lei scrive Marco Tempestini, immaginandola adulta, seppur sempre ribelle, pronta ad aiutare in ogni modo i bambini poveri, persino regalando parte delle sue mitiche monete d’oro.
  • “Il nome della rosa” di Umberto Eco non è certo un romanzo erotico ma contiene al suo interno una delle scene che ricordo, anche nella versione cinematografica, come tra le più sensuali della letteratura italiana: l’incontro tra il giovane novizio e la bella mendicante, la Ragazza Senza Nome di cui ci parla Andrea Zavagli.
  • Roberto Mosi sceglie invece Melina, la protagonista di una fiaba della Val d’Adige, su una giovane contadina che si nasconde in una cesta di mele e sposa un principe per aver spezzato l’incantesimo della strega Baldassarra che lo aveva trasformato in un coleottero.
  • Rose Da Silva, una madre amorevole che partirà alla disperata ricerca della sua bambina Sharon scomparsa nei tetri anfratti di Silent Hillè la figura scelta da Matteo Alulli per il suo monologo in cui affronta “gli incubi più cruenti e deformi che si trascinano nella nebbia cittadina, la cui comunità nasconde una macabra e diabolica verità”. La storia è occasione per riflessioni sulla morale.
  • Anche Fabrizio De Sanctis sceglie un horror per il suo racconto, anche se con l’ironia di Quentin Tarantino: “Dal tramonto all’alba”. La sua protagonista è Santanico Pandemonium, la “regina” dei vampiri che infestano il From Dusk Till Dawn e ci parla del potenziale erotico del vampirismo.
  • Caterina Perrone non poteva che scegliere l’eroina de “Le mille e una notte”, Sharazàd, che con il suo erotismo e “con le sue storie farà dimenticare al re Shahriyàr il suo desiderio di vendetta contro la moglie che lo ha tradito”.
  • Laura Vignali nel descrivere la signora Frola, la fa uscire dalle pagine del libro e confrontarsi, pirandellianamente (visto l’autore) con il suo pubblico.
  • Miriam Cividalli Canarutto decide di dar voce a un personaggio secondario dei romanzi di Simenon, la moglie del commissario Maigret.
  • Carlo Giannone sceglie la protagonista di una poesia, La Spigolatrice di Sapri, rappresentata anche in alcune statue in cui la donna non si riconosce.
  • Francesca Tofanari e Oliva Cordella trasportano Teresa Raquin nel 2022 è le fanno rescindere il “contratto” che la lega con l’autore Emile Zola, ma se sei un personaggio è difficile uscire dai propri panni.
  • Gli dei sono immortali, dunque nulla di strano che Andrea Carraresi faccia vivere Teti ai nostri giorni, per rimpiangere la futilità della propria bellezza che non le è stata poi di grande aiuto e per lamentarsi della morte del figlio Achille.
  • Il volume dovrebbe contenere dei monologhi, ma spesso all’interno di questi compaiono dei dialoghi. Se il monologo è fatto da due donne (che non parlano in coro o che finiscono una le frasi dell’altra) possiamo ancora definirlo tale? Saimo Tedino sceglie di far parlare Thelma e Louise, che si raccontano le loro difficili vicende e si interrogano su quale regista potrebbe mai rappresentare al cinema la loro storia o quali attrici interpretarle meglio.
  • La Valentina di Crepax nelle pagine di Andrea Improta rimpiange l’infanzia mai avuta (essendo stata disegnata già adulta) e la mancanza di un vero amore nella propria vita, sebbene simbolo di bellezza.
  • Uno degli autori più rilevanti per la successiva letteratura fantastica è Wells e il suo “La macchina del tempo” è una delle opere più significative e ricca di influenze sulla scrittura successiva. Un personaggio di quest’opera ha però avuto sinora poco rilievo: Weena. Una fragile fanciulla degli eloi, una delle due razze evolutesi dall’umanità. Massimo Acciai Baggiani coglie l’occasione di descrivere il suo rapporto con il protagonista giunto dal passato per mostrare le difficoltà delle differenze culturali anche in un rapporto amoroso, in un caso come questo caratterizzato da enorme distanza tra i due modelli sociali.

Con questo racconto si conclude questa enciclopedica carrellata di protagoniste e di monologhi, da leggersi soprattutto come invito alla lettura, alla conoscenza, alla visione e all’approfondimento delle opere citate, testimonianza dello sterminato patrimonio culturale in cui ci muoviamo, dove il mito, la fiaba, il fumetto, il cinema, la TV, la scultura, la poesia, l’opera, la canzone, la narrativa di ogni genere possono in pari misura generare nuovi stimoli culturali, nuove percezioni, nuove storie.

Il volume sarà presentato il 12 Giugno 2023 alle ore 16 presso l’Auditorium del Consiglio Regionale della Toscana in via Cavour 14 (Firenze).

VIVERE E IMMAGINARE RIFREDI

Continua la produzione di antologie sui quartieri fiorentini (e non solo) da parte delle Edizioni della Sera.

Leggo ora il volume “A Firenze, Rifredi” curato da Nicola Biagi, che parla del quartiere in cui vivo dall’ormai lontano 1995, nella zona del Poggetto, che sorge là dove finisce in città la via Bolognese, tra i parchi di Villa Ruspoli, del Museo Stibbert, di Villa Fabbricotti, del Giardino Baden Powell, gli Orti del Parnaso, il Giardino dell’Orticultura, il Parco di San Donato, il Giardino delle Officine Galileo e quello dei Ragazzi della SMS di Rifredi, tra cui amo passeggiare, quando non mi spingo verso il lungo fiume delle Cascine o il boscoso parco di Villa La Pietraia. Quartiere dunque sì tra i più popolati della città ma anche trai più vivibili e ricchi di verde.  

In questo quartiere ho ambientato molti dei miei racconti, alcuni presenti in “Apocalissi fiorentine” (Tabula Fati 2019), altri in “Quel che resta di Firenze” (Tabula Fati, 2023) di prossima pubblicazione e altri ancora usciti in antologie e riviste. In particolare ho dedicato al quartiere il volume “Il Narratore di Rifredi” (Lulu, 2018; Porto Seguro 2019) che parla sì dell’opera di Massimo Acciai Baggiani, autore assai radicato nel quartiere, ma anche di questo stesso, raccogliendo racconti, articoli e poesie di Acciai e miei su Rifredi. Perino la saga di “Jacopo Flammer” inizia qui.

Dopo la prefazione del giornalista Matteo Dovellini, la raccolta parte con un racconto proprio di Massimo Acciai Baggiani, “Un amore senile”, ambientato in quello che fino a poco tempo fa era il Bar Gherardini di Piazza Dalmazia e ora è il Bistrot Dalmazia, locale di cui è assiduo frequentatore. Sul finale vi compare lui stesso, seppur non è detto esplicitamente. Il racconto è ispirato a una storia vera raccontata dalla titolare del bar Elisabetta Salusest.

Il racconto di Gabriele Antonacci mi ha fatto molto pensare a Italo Calvino (più cha a Clarke, citato nel titolo) quasi che il suo “Odissea negli spazi” fosse un “Cosmicomiche” rifredino, con tutti quei “surreali porticati di palazzi metafisici”, “Spazi Iperbolici” e violazioni del 5° Postulato di Euclide.

Francesca Becagli ci racconta nel suo “Verde” di come sia evoluto il proprio rapporto con il bel Giardino dell’Orticultura, dove tante volte ho portato mia figlia a giocare, separato dal Parco del Parnaso dalla ferrovia, grande attrazione per i bambini.

Il curatore Nicola Biagi immagina in “Big Wheel Keep on burning” un protagonista border line, che vive al confine del quartiere, alla Fortezza da Basso. Il suo incontro con la nuova ruota panoramica che sotto le feste natalizie ora domina la città mi ha fatto venire in mente la recente lettura di “La ragazza dello Sputnik” di Haruki Murakami.

Renato Campinoti ci ripropone con “Una poliziotta nel Quartiere Cinque” la sua investigatrice Caterina con l’anziana amica Cesira che avevamo ben conosciuto in “Non mollare Caterina” e in altri racconti.

Fabrizio De Sanctis con “Il tabernacolo” dà voce a uno di questi, quello che sorge davanti all’Ospedale Meyer, ricordando il culto di San Giovanni e dell’Annunziata in cui onore il 25 marzo si festeggia il Capodanno Fiorentino.

Doloroso è “Il primo Natale senza Matteo” di Elisabetta Failla, che racconta l’improvvisa morte di un figlio di 22 anni.

Cristina Gatti con “Memorie di ordinaria resistenza” ripesca ricordi familiari (non so se inventati) di un nonno vittima dei rastrellamenti nazisti nella zona di Castello.

In “Come cambia in fretta il mondo” Dario Grazzini ci parla di tutta una vita passata nel quartiere, dalle prime partite a pallone con gli amici, ai primi incontri con le ragazze, al calcio praticato a livelli più alti. Pallone ma anche calcio storico. Viola e Azzurro, i colori della squadra della città e quello di uno dei gruppi di calcianti.

Con “Le mie stagioni a Rifredi” Carlo Guarducci ci parla soprattutto dei parchi che di questo quartiere sono, per me, la vera anima e in particolare del più magico di questi: il giardino degli ulivi, come lo chiama qualcuno, Villa Ruspoli, come recita l’insegna all’ingresso, un cancello che ti proietta all’improvviso dalla città in aperta campagna.

Francesca Jatta in “Sorprese d’Autunno” ci parla nel dettaglio del quartiere e, in particolare del Liceo Dante, per raccontarci poi di un commovente incontro con un cane e i suoi proprietari.

Difficile descrivere “Al 52” di Marcello Maccanti senza spoilerare. Un breve intenso racconto ricco di mistero, dove il protagonista, dopo quasi cinquant’anni torna nella casa in cui è nato, in via Paoletti 52, non lontano da quello che a Firenze si chiama impropriamente “Il Grattacielo” (in una città che non ne ha), per fare qualcosa che non vi posso raccontare.

Nel mio “Nerone a Rifredi” (Carlo Menzinger di Preussenthal) la storia parte con un sogno che somiglia alla realtà più del mondo che il folle protagonista ritrova al suo risveglio. Vi percorre un’onirica via Vittorio Emanuele II, che se non fosse deserta, somiglierebbe a quella attuale ma si risveglia in una Firenze futura in cui il surriscaldamento è diventato un problema serio. Il caldo d’agosto, poi, può dare alla testa, come capita al protagonista.

Nicoletta Murru ci parla della sua frequentazione, in compagnia dell’amato cane, di “Villa Fabbricotti”, con il suo piccolo spazio dedicato ai quattrozampe, e di come ne conosca ormai ogni singolo albero.

“Salve ragazzo” di Fabrizio Parissi va più indietro nel tempo di altre storie di questo volume, all’epoca in cui al posto del Parco di San Donato c’era la Fiat, con i suoi operai, e i dintorni si chiamavano “Zona Industriale” più che Novoli. Ora ne rimane solo una ciminiera, esempio di “archeologia industriale” e il quartiere è divenuto industriale. Va letto dunque questo racconto per ricordare come vi vivevano allora i ragazzi e quali erano i loro giochi. Vi scopro, per esempio, che il nome del Ristorante Ciribè deriva da un omonimo gioco.

“Quando a I’Sodo c’era un convento” di Caterina Perrone ci racconta una romantica storia d’amore tra un robusto carpentiere e una suora di clausura, da lui salvata e “liberata” durante l’incendio del convento.

Nel 1921 si andava affermando il fascismo e ricorrevano i 600 anni dalla morte di Dante. In quell’anno fu fondata la VIS – Visioni Italiane Storiche, gli studios cinematografici fiorentini di via della Panche 60, che esordirono con un film sul Divino Poeta, per celebrarne la ricorrenza (un secolo dopo, Caterina Perrone e io curammo per il GSF “Gente di Dante”, l’antologia di racconti su personaggi delle opere e del tempo di Dante). In “Muti” Simone Petralli racconta di questo film, attraverso gli occhi di una delle comparse.

“La Paolina di via delle Panche” di Riccardo Sacchettini ci racconta di come questa strada si sia man mano popolata e trasformata fino a diventare quella attuale, mentre la protagonista cresceva.

Quasi magica “La piccola fuga” di Massimiliano Scudeletti con un padre e la figlia che si calano nel Terzolle per un’avventura dal sapore fantasy nel rigagnolo popolato da animali dai nomi inventati.

Avrete capito dai molti link presenti in questo post che molti degli autori non mi sono nuovi, posso anzi considerare amici molti di loro, non solo per la condivisione di un quartiere, ma anche per aver collaborato in numerose iniziative letterarie o per aver letto le loro opere. Molti di noi, poi, fanno parte del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, un’associazione di volontariato culturale molto attiva del cui Comitato Direttivo sono parte e per il quale sono coordinatore generale dei due premi “La Città sul Ponte” per la narrativa e “La città sul ponte in versi” per la poesia (in collaborazione con La Camerata dei Poeti di Firenze) oltre a curare il blog e il Week-End del Narratore che vi si svolge. Tra i membri del GSF presenti nel volume, Massimo Acciai Baggiani, Gabriele Antonacci, Nicola Biagi, Renato Campinoti, Fabrizio De Sanctis, la presidente dell’associazione Cristina Gatti e Caterina Perrone (spero di non aver saltato nessuno).

Alcuni di loro hanno partecipato anche ad altre antologie delle Edizioni della Sera, come “Toscani per sempre”, “Fiorentini per sempre”, “La prima volta a… Firenze”, “Firenze Centro Storico”.

RACCONTARE IL CENTRO STORICO DI FIRENZE

La casa editrice Edizioni della Sera ha sfornato tutta una serie di raccolte di racconti “territoriali”, partendo dalle regioni italiane (per esempio il volume “Toscani per sempre”), passando poi a raccontare le singole città (ho partecipato a “Fiorentini per sempre”) o aspetti particolari di queste (un mio racconto è in “La prima volta a… Firenze”) e ora sta per uscire con una serie di antologie per vari quartieri (io ho aderito a quello sul quartiere di Rifredi “A Firenze , Rifredi” e a quello sul centro storico di Firenze “A Firenze, Centro Storico”).

Raccontare i luoghi e i territori del nostro vivere quotidiano è di sicuro suggestivo per gli autori ma può essere un bel modo per i lettori per riscoprire gli spazi in cui vivono o per osservarli da diversi punti di vista.

L’esperienza finisce sovente per essere un tuffo nel passato, quello storico o quello personale, e viaggiare sul filo del ricordo, ma a volte sfocia in autentiche creazioni immaginarie, soprattutto quando l’autore osa addentrarsi nel sempre più suggestivo territorio del fantastico o magari addirittura del surreale.

A Firenze centro storico” è volume curato da Camilla Cosi, cui hanno aderito, oltre a me, vari autori che conosco personalmente o con i quali ho condiviso altre esperienze letterarie. La stessa Camilla Cosi era con me nel volume “Fiorentini per sempre” e fa parte del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, cui collabora anche come giurata del Premio La Città sul Ponte e alcuni nomi sono stati da me suggeriti.

Il primo racconto, “A Firenze lasciate fare a me” è di Caterina Perrone, altra socia GSF, con cui ho curato l’antologia “Gente di Dante”, presente nel volume dell’associazione “Le sconfinate” e di cui ho letto vari romanzi. Il suo racconto, con i toni sognanti e un po’ poetici della sua narrativa che ben conosco, ci parla di un incontro tra due donne che parlano di danza e di speranze deluse.

Andrea Falcioni con il suo “Il pesce siluro” ci racconta una partenza (“L’ennesima ripartenza da quel luogo magico, come volessi migliorare qualcosa, nel riprovarci ancora”) e l’incontro con “una buona donna veramente particolare, tanto che i suoi animali quando morivano, non li seppelliva come faceva la maggioranza delle persone. Li faceva imbalsamare e li teneva nel salottino alla sinistra del corridoio della sua casa”. Un racconto con tanti ricordi della città (“Come non la smettessi di guardare in quel retrovisore rivolto alle mie spalle, a quel passato”), che pare citare Battiato (“mi mettevo a girare nel buio della stanza come i dervisci che avevo visto in Turchia. E giravo, giravo sempre più vicino alla finestra”).

Francesca Cappelli, autrice di genere fantastico e urban fantasy, con “Fuori corso” attraversa il centro partendo dalle varie sedi della facoltà di Lettere (“Eh, sì, Lettere è sparsa in giro per il centro, e pensa che ora è anche meglio”) al convento di Santa Maria degli Angeli, a “Via degli Alfani, via dei Servi, poi andiamo fino a via Sangallo”, alla Biblioteca Nazionale, passando per luoghi dove “se apri abbastanza la testa da accogliere tutto quello che brucia qui dentro, capirai che perché è facile, lasciarsi vincere da questa entusiasmante follia”, luoghi di studio per chi ha studiato a Firenze e per chi ancora studia anche se è “un po’ fuori corso” (“Non penso che mi laureerò mai. Ma non importa. Non ho concluso il mio percorso di studi né di vita, ma sono rimasto qui a raccogliere storie”).

Paola Beatrice Rossini,con “Ginevra degli Amieri” ci porta indietro nel tempo, agli anni d’oro di Firenze, il 1400 segnato dagli scontri tra Guelfi e Ghibellini, raccontandoci di una donna creduta morta e seppellita, che si risveglia e torna dal marito e dalla madre che la rifiutano credendola un fantasma. Può sembrare fantasia ma l’autrice dichiara che è storia vera e “che l’attuale via del Campanile una volta era chiamata via della Morta? Proprio dopo quella notte…”.

Luca Anichini, mio compagno nelle avventure di “Fiorentini per sempre, viaggio emozionale nel cuore di Firenze” (Edizioni della Sera, 2020) e “Gente di Dante” (Tabula Fati, 2021) è presente con il racconto “Il beccaio del Ponte Vecchio” che ci parla di quando sullo storico ponte non c’erano i gioiellieri come adesso, ma i macellai (“macellai, pescivendoli e i gestori di osterie e taverne” a Firenze erano detti beccai) “nel 1529-30, durante i quasi dieci mesi dell’assedio di Firenze da parte delle truppe Imperiali di Carlo V” e di quando “nel 1593 tutti i beccai del Ponte Vecchio furono costretti a lasciare le proprie botteghe, per traslocare al Mercato Vecchio nell’attuale Piazza della Repubblica”.

Altro autore, storico, del GSF è il giallista Fabrizio De Sanctis, con il quale ho condiviso le esperienze di “Gente di Dante”, “Accadeva a Firenze Capitale”, presente anche ne “Le sconfinate”. Nel suo “Il carro” fa parlare lo storico Brindellone o carro di fuoco, che scortato da 150 fra armati, musici e sbandieratori del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, da 300 anni celebra la Pasqua a Firenze.

Gian Luca Caprili con “Il ritorno di Jessaline” ci parla dello “smisurato fascino che le vecchie canzoni esercitano su chi è un po’ in là con gli anni” e di come, “Incredibile, la bella Jessaline si rifaceva viva, a distanza di lustri”. Purtroppo, però, Jessaline era malata e “si era regalata un giro in Europa, poteva essere l’ultimo”.

Pierfrancesco Prosperi, veterano della scrittura, prossimo ormai credo a festeggiare i 60 anni dalla prima pubblicazione, autore edito da quasi ogni casa editrice italiana, cui Massimo Acciai Baggiani ha di recente dedicato il bel saggio “Architettura dell’ucronia” (dove con il contributo di vari autori, me compreso, potrete scoprire meglio questo autore che ho lì definito “Il re dell’ucronia”), ci parla de “L’isola dei morti”, il cosiddetto cimitero degli inglesi ma anche il quadro che a questa si ispira del pittore svizzero Arnold Böcklin e che era presente nella stanza dove Hitler si suicidò. Un viaggio nel tempo di cui Prosperi è maestro.

“La città vagante” del sottoscritto (Carlo Menzinger) è un racconto di fantascienza che immagina un futuro distopico in cui per sopravvivere all’innalzamento del mare le città si trasformano in navi e salpano nel Mediterraneo, dove infuria la guerra. La “Centro Storico di Firenze”, armata con potenti cannoni, naviga portandosi dietro i principali monumenti. Le problematiche ambientali fanno anche qui da sfondo come nell’antologia “Apocalissi fiorentine” o in quella ancora inedita “Quel che resta di Firenze”.

“La contessa Toni” di Elena Brachini ci parla dei salotti letterari degli anni ’30 del XX secolo e delle vicende di questa famiglia (compresa una tragica morte) che non saprei se sia immaginaria o piuttosto quella dei Conti Toni da Cigoli (originaria di Trevi e legata alla città di Spoleto. Cigoli invece, credo sia la frazione di San Miniato in provincia di Pisa).

Francesca Magrini, autrice di tre romanzi e alcuni racconti, firma “La latteria della Marisa”, storia di amori giovanili, corna, cazzotti e pestaggi.

È quindi la volta di Massimo Acciai Baggiani, autore di decine di opere, tra romanzi, racconti, poesie e saggi, membro oltre che del GSF anche della World SF Italia (come me), mio coautore per il romanzo “Psicosfera” e autore della mia biografia “Il sognatore divergente”. Il suo “La Pantera e il Viaggiatore” ci parla del 1990 e del movimento studentesco La Pantera, che prese il suo nome da uno di questi felini che la notte del 27 dicembre fu avvistato a Roma, in mezzo a Via Nomentana, ma anche alle Pantere Nere americane. Da autore amante del fantastico, inserisce nella storia un viaggio nel tempo.

Altrettanto fantastico è “Limbo” di Alessandro Ricci, che immagina che da Piazza del Limbo, vicino Borgo Santi Apostoli, si possa davvero accedere al Limbo dantesco e lì incontrare Aristotele.

Di Alessandro Bini, autore de “Il mirtillo” avevo già letto “Mi trovo bene ma non mi cerco mai” e il racconto in “Fiorentini per sempre”. Ci parla di questi anni di pandemia e di come il turismo fiorentino ne abbia risentito ma anche dello sguardo dei turisti verso la città, in particolare di quello dei bambini.

Con “Sabatino e la scuola dei ladri” siamo nel 1885. Anni che l’autore Sergio Calamandrei, specializzato soprattutto nel periodo di Firenze Capitale (1865-1871), ben conosce. Ha, infatti, anche curato per il GSF l’antologia “Accadeva in Firenze Capitale” (Carmignani, 2021). Il protagonista Sabatino Arturi, un giornalista, lo ritroviamo in altri suoi racconti di questo periodo ed è un antenato del moderno detective Domenico Arturi, protagonista dei gialli di Calamandrei “L’unico peccato” e “Indietro non si può”, inseriti nel progetto “Sesso motore”. Qui il protagonista ha a che fare con la delinquenza minorile e il tentativo di portar via dalla strada un ragazzino.

Sconvolgente può essere la vista di un incidente, anche se la vittima è una cavalla investita da un SUV (“Ieri ha visto il sangue, e l’occhio della cavalla”), ci racconta Carlo Cuppini in “Sangue”. “La cavalla a terra, dalla bocca fuoriesce schiuma mista a sangue, il respiro spande la miscela sul lastricato a spina di pesce.” Tutto si tinge di rosso e il tempo pare impazzire, mescolando passato, presente e futuro. “Si accende nella sua mente il ricordo di un altro oggetto volante: un drone. Nelle orecchie gli risuona una voce. Cerca di scacciarla. Ma la gente intorno a lui sta già scomparendo…

È due anni prima. È il primo lockdown. Nessuno esce di casa. Lui soltanto, alle cinque di mattina, perché non vuole impazzire, a costo di essere multato, denunciato, lapidato. Cammina in mezzo alla carreggiata deserta, come un funambolo su una riga da cui, neanche volendo, si potrebbe cadere. Il silenzio è assordante. Nel silenzio, non riesce a far tacere la voce.”

In “Si chiamava Albertine” Enrico Zoi, giornalista e scrittore, ci parla dell’incontro con una francesina, anche se un po’ anonima, in quel crocevia temporale di fine anni settanta, in una casa d’aste del centro, che pare quasi la bottega di un rigattiere perché c’era davvero un po’ di tutto: paesaggi, nature morte, ritratti, tele di ogni tipo e qualità, e poi candelabri e posateria in peltro o in argento, serviti da tè o da pranzo laccati in oro, soprammobili, chincaglierie, cineserie, busti, statue e statuette di varia foggia e poi in Piazza dell’Olio, divenuta speciale per l’occasione.

È un ritorno a casa quello che ci narra Andrea Gamannossi, autore di numerosi romanzi gialli e noir e raccolte di racconti, in “Sulle orme del drago d’oro”. Tornai nel mio vecchio quartiere dopo tanti anni. Ero un quindicenne quando i miei genitori decisero di emigrare in Australia. Ritorno in Via del Drago d’Oro nel quartiere di Santo Spirito, con le botteghe degli artigiani ormai trasformate in locali moderni, per rivedere la propria vecchia casa, generando misteriosi déjà-vu, con volti del passato che riemergono giovanili.

Susanna Madarnàs (“Susy driver”) ci mostra uno dei momenti più difficili e pericolosi nella professione di tassista per una donna, anche in una città tranquilla come Firenze. Mestiere che ben conosce dato che lo esercita e su cui ha pubblicato un intero volume.

Prima che fosse trasferito nell’imponente edificio di via di Novoli, il Palazzo di Giustizia fiorentino era in Piazza San Firenze, come ci racconta il mio due volte collega Roberto Zatini (“Piazza San Firenze: una storia di ingiustizia”) mostrandoci le disavventure quasi kafkiane di una persona condannata per aver consegnato, assai ingenuamente, un pacco di cui nulla sapeva. Si era nel 1956 e si spera che oggi la giustizia funzioni meglio. Più che a “Il processo”, però il protagonista pare avere in mente Pinocchio, arrestato dai carabinieri per aver ferito alla testa l’amico Eugenio, colpendolo con un trattato di aritmetica.

La curatrice Camilla Cosi con “Uomini o pischelli” pare fare il verso forse più a Toto (siamo uomini o caporali) che a Steinbeck (uomini e topi) o Elio Vittorini (uomini e no). Storia di crescita e maturazione di un quindicenne nel 1987, che ci parla dei grandi, piccoli drammi adolescenziali (Avevo chiesto ai miei genitori di regalarmi un giubbotto di jeans con il pelo, come quello che avevano comprato a Simone) che a un adulto distratto possono parere poca cosa ma si portano dietro problematiche di inclusione e possibili bullismi, ma anche difetti di percezione dei rapporti familiari. Non per nulla, come si legge, tutto è legato ai rapporti dei due fratelli con le ragazze e tra loro.

Insomma, “A Firenze, Centro Storico” (Edizioni della Sera, 2023) è una bella chiacchierata scritta, con tanti amici e con altri che spero possano diventare tali, su come hanno vissuto o vivono l’antico, rinomato centro della loro città. Una visione non da turisti ma da figli di Firenze, non priva di trovate narrative originali. Un altro dei segnali che questa città forse non si è impantanata nei fasti del Rinascimento ma è ancora culturalmente viva.

RAGAZZE “CATTIVE”

Periodo intenso di pubblicazioni questo per il GSF Gruppo Scrittori Firenze che dopo aver pubblicato due antologie nel 2021, “Gente di Dante” (Tabula Fati) sul poeta fiorentino e “Accadeva in Firenze Capitale” (Carmignani), esce ora con la prima antologia per il 2022 e già annuncia la prossima. Si tratta del volume curato da Nicoletta ManettiLe sconfinate” (Carmignani) che riunisce i monologhi di 14 autori dell’associazione che danno voce a 15 donne “fuori dai confini”, contro-corrente, persino negative e violente.

Insomma non la solita antologia sulle donne e a favore delle donne, ma un volume dal quale emerge tutta la malvagità femminile, pur senza una critica verso questo sesso, che forse qui raggiunge la vera parità con i maschi: nella cattiveria, nella perversione, nella lussuria, nella violenza. “Non-eroine per eccellenza”. “A volte si tratta di donne perfide, crudeli, mostruose” si legge nella “Valutazione editoriale Premio Città di Come” che fa da prefazione al volume.

Sono soprattutto autrici ad aver aderito, ma non solo. Il primo racconto, per esempio, è di Roberto Mosi e dà voce ad Antigone che, come attraverso una sorta di macchina del tempo, parla a un gruppo di persone di oggi che sta allestendo a Pisa un’opera teatrale sull’opera sofoclea a lei dedicata. È proprio lei a parlare ma suona strano sentirle dire di precedenti contatti in videoconferenza! Una Pisa che ci narra, potrebbe avere origini, più mitiche che reali, proprio nella sua Tebe. Donna ribelle, Antigone, condannata a morire d’inedia, sepolta viva, come il Conte Ugolino, a Pisa, affinché “le nostre mani non si macchino del sangue di questa donna”. Come ai tempi dell’Inquisizione si bruciava gli eretici e le streghe per non versare il loro sangue. La condanna di Antigone è occasione per una riflessione politica: “fino a che punto lo Stato con le sue leggi più o meno arbitrarie può forzare a compiere atti aberranti”?

E poi eccoci a Cleopatra, la lussuriosa regina d’Egitto. Lussuriosa? “Amore? No, passione piuttosto, piacere senza limiti. Ossessione del piacere. Perché chiamarla lussuria? Suona spregevole?” afferma la sovrana per mano di Caterina Perrone, che ci mostra poi, con il suo punto di vista, i suoi rapporti con i grandi romani Cesare, Antonio e Ottaviano. Quest’ultimo non disposto a piegarsi al suo fascino di donna non troppo bella ma affascinante e sempre provocante, nelle movenze e negli abiti discinti.

Sceglie una serial killer Fabrizio De Sanctis, Ersébet Bathory, creatrice di macchine di tortura. Versione femminile di Barbablù (il Maresciallo De Rais di cui scrissi nel mio “Giovanna e l’angelo”), finché scelse le sue vittime tra il popolo rimase impunita. Sceglierle tra la piccola nobiltà segna la sua fine.

La vediamo ormai catturata: “Parlo al nulla. Il Nulla nel quale credete di avermi rinchiusa da… Da quanto? Non so. Non m’importa”.

Ecco poi Cristina Gatti, presidente dell’associazione, che ancora una volta si cimenta con la sua amata Mary Shelley, che ha portato anche a teatro. Una donna che è non solo la creatrice del celebre mostro, la creatura realizzata da Victor Frankestein mettendo assieme parti di cadaveri e dandogli vita, opera iniziatrice della fantascienza e nel contempo dell’horror e del romanzo gotico. Una donna che è stata anche poetessa, moglie affezionata e madre sfortunata, orbata dei suoi figli. La sua immagine più intima è quella che ci regale l’autrice.

Nel loro sconfinare queste donne non sempre diventano simboli del male, a volte il loro desiderio di andare contro le regole e il comune sentire è volto a un profondo desiderio di fare il bene, di salvare e aiutare l’umanità, non limitarsi a essere “la donna di un solo uomo. Troppo restrittivo, troppo confinato. Il mio destino è occuparmi dell’umanità intera, e posso farlo attraverso la cura e l’assistenza” fa dire l’infermiera Antonella Cipriani alla sua infermiera Florence Nightingale (1820-1910) in questo racconto ambientato durante un’altra Guerra di Crimea. Non mancano anche qui i toni cupi, un po’ pulp, anche se solo per negazione: “Adesso il fetore di escrementi, sangue rappreso, sudore, carne putrida, fogne maleodoranti è soltanto un lontano ricordo” perché “la mortalità malaria e colera è notevolmente calata”. Altri tempi, altri mali, stessi mali. Stessi anni in cui la mia bisnonna Teresita Ruata esercitava la medicina. Professione rara e difficile per una donna, che fu poi costretta ad abbandonare.

La donna scelta da Andrea Zavagli oggi l’avremmo chiamata hostess. All’epoca fu coniato un nome apposta per lei e altre come lei: lorette. Aveva inventato un modo nuovo di dare piacere agli uomini, accompagnandoli nella vita e non solo a letto. Si chiamava Rose Alphonsine Plessis ma si faceva chiamare Marie Duplessis. Di lei e della sua breve vita, stroncata ad appena ventitré anni (quante giovani vite stroncate troppo presto in questo volume, quasi un destino!), scriverà uno dei suoi amanti, Alexandre Dumas ne “La signora delle Camelie” ma anche il librettista de “La traviata” di Giuseppe Verdi.

Camille Claudel fu la modella, l’allieva e l’amante di Auguste Rodin e questo suo rapporto con il grande artista ha un po’ oscurato la sua arte. Nel racconto di Marco Tempestini la troviamo in manicomio che sogna di vivere su Marte, un pianeta dove trova finalmente la sua dimensione e tutti ne riconoscono l’autonoma grandezza.

Non mi chiamo Suzanne. Da piccola a Montmartre, ero Marie Clementine, la figlia bastarda della lavandaia” così si presenta Suzanne Valadon nel racconto della curatrice Nicoletta Manetti. Un’artista più nota per le sue relazioni che per la sua arte, madre di Maurice Utrillo, in rapporti con pittori come Degas, Renoir e Toulouse-Lautrec. Quest’ultimo le diede il nome biblico della donna spiata dai vecchioni, per la sua attività di modella.

Nel racconto troviamo una donna alla ricerca dell’arte e dell’amore “era dell’amore che in realtà ero innamorata. Comunque, in ognuno vedevo una possibile via d’uscita. Ero bugiarda, infedele, ma a mio modo ero vera. Facevo ciò che mi andava di fare, solo quello. Ero io a scegliere”.

Gabriella Tozzetti ci parla poi di Marina Cvetaeva e del suo innamoramento per Sonja Parnok. Anche in questo racconto ritroviamo la Crimea: suggestioni di questi tempi di guerra? Eppure, i racconti dovrebbero essere precedenti.

Mi ha colpito qui un’affermazione messa in bocca al personaggio “per scrivere avevo bisogno di entusiasmarmi, provare emozioni, innamorarmi più e più volte”. Nel leggere questo volume mi sono, infatti, chiesto quale sia la differenza di approccio al tema dell’antologia tra gli autori e le autrici e più in generale che cosa distingua lo scrivere maschile da quello femminile. Forse la risposta è proprio in questo bisogno tutto femminile. Credo che un uomo per scrivere non abbia bisogno tanto di emozioni quanto di idee, di ambientazioni, di contesti. Le emozioni ci sono, ovviamente, ma vengono dopo. O forse no. Merita una riflessione.

Ho sempre scritto per tutta la mia vita perché traboccavo di sentimenti, ma adesso non mi sono rimaste che l’umiliazione, la solitudine, la paura” scrive Gabriella Tozzetti. E io? Io ho sempre scritto perché trabocco di idee, di trame, di ambientazioni nuove, di personaggi. Umiliazione, solitudine e paura sarebbero semmai fonti d’ispirazione. Sta qui la differenza?

Arriviamo così a un racconto maschile, quello di Nicola Ronchi sulla saponificatrice di Correggio Leonarda Cianciulli. Non sarà dunque un caso se un uomo, come alcuni racconti prima Fabrizio De Sanctis, non sceglie una poetessa o una pittrice ma un’assassina? Non che questo racconto sia privo di emozioni e sentimenti, ma prevale la trama noir di questa donna malata, di cui delinea la psicologia sin dall’infanzia: “mia madre diceva che ero stata uno sbaglio”. Una donna la cui prima ossessione era: “dovevo uccidermi, dunque, e dovevo farlo in modo spettacolare, comico”.

Molti di questi racconti sono narrazioni delle protagoniste in fin di vita. Quasi che il loro essere sconfinate dovesse trovare un limite almeno nella morte.

Ecco poi alcune profezie infauste a incupire la narrazione: “avrai figliolanza, ma tutti i figli tuoi moriranno”. Sarà proprio la paura della morte del figlio a scatenare la furia omicida di Leonarda Cianciulli, dopo diciassette gravidanze con solo 4 figli sopravvissuti. Sono cose che ti provano. “Vedo nella tua mano destra il carcere e nella sinistra il manicomio”.

Ecco poi il racconto di Andrea Zurlo (non fatevi ingannare dal nome, si tratta di un’autrice argentina, non di un uomo). Quasi a voler contraddire quanto scrivevo sopra, la Zurlo sceglie, in modo forse un po’ maschile, un’eroina, Tina Modotti. Eroina? Sì, ma anche fotografa. Ecco! Personaggio che ha combattuto in Messico e Spagna. Donna determinata: “Domandati sempre chi sei e da dove vieni e dove vuoi andare. Devi decidere tu chi vuoi essere e non piegarti a diventare quello che gli altri pretendono da te, soprattutto se sei una donna” proclama all’inizio del racconto.

Gabriella Becherelli prende una sorta di macchina del tempo, un po’ come ha fatto Roberto Mosi nel primo racconto e fa dialogare Frida Kahlo e Artemisia Gentileschi in due monologhi intrecciati.

Io sono Artemisia,” “unica donna del mio tempo a essere una pittrice. Sono venuta per presentarvi Frida, l’altra donna che ha fatto della sua vita un autoritratto”. Monologhi alternati da versi.

Sylvia Zanotto parla della scrittrice Violette Leduc e del suo amore saffico non corrisposto per Simone de Beauvoir.

L’iraniana Manna Parsì sceglie l’autrice della sua terra Forough Farrokhzad, morta giovanissima in un incidente stradale. L’autrice ci parla dei rapporti familiari e con Dio: “Mio padre mi ripeteva che Dio era buono e nessuno era come lui. Ma io, peccatrice, sapevo bene che era come tutti gli altri. Anche lui non perdonava.”.

Chiude la raccolta il più giovane degli autori di questa raccolta, Saimo Tedino (che ha anche realizzato il bel trailer dell’antologia), con un racconto che appare il più moderno nei toni oltre che nella protagonista, la cantante Amy Whinehouse che dice di sé “Potevo essere felice e invece mi sono impegnata a essere triste.” Troppo alcol e troppe droghe. “Amy, tu ami chi non ti vuole, tu ami chi non sa amarti” le ripete ossessivo l’amico Reg, che le dice anche “Io non voglio essere complice della tua morte.

Alla fine, però, vediamo anche lei, troppo giovane, in fin di vita: “Sono morta guardando me stessa. Una pesciolina in un acquario di vodka e vergogna.”

Si chiude così questa rassegna di anti-eroine, ma l’avventura non finisce. Il Gruppo Scrittori Firenze, sta già programmando un altro volume sulle donne, non più donne della storia, ma donne nate dalla letteratura, dal cinema, dal fumetto, all’immaginario. Non so come si chiamerà il nuovo volume ma dentro di me lo chiamo già “Le immaginarie”.

Intanto, si parlerà ancora de “Le sconfinate” lunedì 22 marzo 2022 alle 17,30 alla BibiloteCanova, via Chiusi 4/3 A (Firenze). È richiesta la prenotazione.

ESORDIO PRATESE DELLA GENTE DI DANTE

Ieri, 8 Settembre 2021, nell’elegante cornice di Palazzo Datini a Prato, il GSF Gruppo Scrttori Firenze ha presentato le ultime due antologie di narrativa storica dell’associazione, l’ormai rodato “Accadeva in Firenze Capitale” (edito ad aprile 2021 da Carmignani) e l’ancora in via di pubblicazione da parte del Gruppo Editoriale Tabula Fati Solfanelli “Gente di Dante”.

L’evento si inseriva in una mostra d’arte su Dante Alighieri organizzato dall’associazione Arte Bellariva a Palazzo Datini, in una giornata particolare per la città di Prato, la festa del patrono.

Accadeva in Firenze Capitale”, antologia curata da Cristina Gatti e Sergio Calamandrei, presenta racconti legati agli anni dal 1865 al 1871, ed è stata realizzata per i 150 anni dalla fine di tale periodo.

Gente di Dante”, volume curato da Caterina Perrone e Carlo Menzinger, vuole raccontare i personaggi delle opere e del tempo di Durante Alighieri, di cui in questi giorni cade la ricorrenza dei 700 anni dalla morte.

All’antologia, che riunisce 36 racconti dei soci, le prefazioni del dantista Massimo Seriacopi e del giornalista Paolo Ciampi, oltre aun appendice a cura del Museo Casa di Dante hanno collaborato 40 persone, che qui ringraziamo per la partecipazione, collaborazione ed entusiasmo.

Da tante voci e dalla grande ricchezza della biografia e dell’opera dantesca è scaturito un volume che colpisce per la sua articolazione e varietà, pur mantenendo centrale la celebrazione del sommo poeta e, soprattutto, la figura umana, vuoi di Dante stesso, visto oltre che come poeta e scrittore, come uomo a tutto tondo, guerriero, politico, mercante, diplomatico, marito e padre, vuoi dei personaggi che rappresentavano il suo tempo o di quelli da lui raffigurati nelle sue opere.

Alcuni autori hanno privilegiato la forma classica del racconto storico, con il rigoroso rispetto delle fonti, altri hanno preferito dar maggior sfogo alla fantasia, a volte persino adottando forme narrative diverse, passando dal viaggio nel tempo, all’ucronia, all’attualizzazione del messaggio dantesco, all’ironia, al sogno e persino al videogame.

È stato quindi deciso di riunire i racconti in due parti di pari lunghezza ed entrambe di 18 racconti, la prima intitolata “La suggestione della storia”, la seconda “L’incanto della fantasia”. A voi dirci quale approccio preferite.

La serata è iniziata con una visita del Palazzo e della mostra dantesca là allestita. Quindi Cristina Gatti, Nicoletta Manetti, Antonella Cipriani e Jonathan Rizzo hanno alietato il pubblico con la lettura a più voci de “Le rose di Dostojevski”, della stessa Manetti, presente nell’antologia “Accadeva in Firenze Capitale”.

I curatori di questo volume, hanno quindi raccontato i temi presenti, le modalità e le motivazioni del libro.

A loro volta i curatori di “Gente di Dante” hanno illustrato l’antologia per poi dare spazio a Daniela Corsini, autrice della copertina per presentarsi e agli autori in sala per dei veloci accenni ai loro racconti. Sono così intervenuti, nell’ordine, Crisitina Gatti, Antonella Cipriani, Nicoletta Manetti, Caterina Perrone, Miriam Ticci, Rosalba Nola, Manna Parsì, Renato Campinoti, Massimo Acciai Baggiani, Gabriele Antonacci e Carlo Menzinger.

I prossimi incontri per “Gente di Dante” saranno:

  • 13 Settembre ore 18,00 Piazza davanti Casa di Dante – Breve intervento dei curatori di “Gente di Dante” nel corso del reading dantesco – Via Santa Margherita 1
  • 17 Settembre ore 18,00 circa – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA “GENTE DI DANTE” – Giardino della Biblioteca Buonarroti, a Firenze – Viale Alessandro Guidoni, 188
  • 30 Settembre ore 17,00 – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA “GENTE DI DANTE” – Circolo degli Artisti Casa di Dante a Firenze – Via Santa Margherita 1
  • 18 Ottobre ore 17,00 – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA “GENTE DI DANTE” – SMS Rifredi Via Vittorio Emanuele II, 303

LA GENTE DI DANTE È ARRIVATA

Non è stata breve la strada che ci ha condotto a vedere la pubblicazione dell’antologia del GSF Gruppo Scrittori FirenzeGente di Dante” (Tabula Fati, Settembre 2021).

La proposta fu di Caterina Perrone. Poteva il Gruppo Scrittori Firenze rimanere in silenzio nel settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, il grande esule fiorentino? Si chiedeva. D’altra parte, noi del Comitato Direttivo dell’associazione culturale ci si domandava se potessero gli scrittori del GSF azzardarsi a far sentire la propria voce nel ricordo del sommo poeta.

È prevalsa, però, la voglia di fare e di esserci in quest’importante ricorrenza letteraria che tanto strettamente riguarda la città che rappresentiamo.

Mi è, quindi, stato chiesto di affiancare Caterina Perrone nella cura dell’antologia. Cosa che ho fatto non senza riluttanza e perplessità. Sono, è vero, autore che spesso si diletta a giocare con la storia, ma non sono uno storico, né tanto meno un dantista. Sarebbe stato un gioco più grande di noi?

Abbiamo però osato, pensando che la gente di Dante non è solo quella della Firenze del XIII e XIV secolo o che compare nelle opere del poeta, siamo anche noi. Gente che si è fatta trascinare nella lettura, nello studio, a riflettere, a rivivere quel mondo e quelle atmosfere. Ci siamo appassionati e riconosciuti. È stata una bella avventura. Non credevamo che questa idea trovasse tanti seguaci. Quando ci siamo voltati la gente era ormai una piccola folla. Ne è uscita una raccolta corposa. Il tema era difficile. Ci si poteva impaurire per un confronto con una figura tanto importante e non pensavamo di poter contare su una risposta così sentita da parte di tanti autori che hanno voluto aderire, soci vecchi e nuovi della nostra associazione. Sorprende sempre come partendo da uno spunto comune possano uscir fuori tanta diversità, tanta inventiva, tanta creatività. Ed ecco che le stesse vicende e gli stessi personaggi, pur nella correttezza dei dati storici, paiono diversi, perché differenti siamo noi che guardiamo e in loro forse riconosciamo ed esprimiamo un po’ di noi stessi. Felice mi è parsa la nostra scelta di raccontare le persone e i personaggi di Dante e della sua opera, piuttosto che confrontarci con questa, con i suoi versi e i suoi pensieri, impresa più complessa che riserviamo ad altri.

Quest’antologia del GSF – Gruppo Scrittori Firenze vuole essere dunque un tributo al grande poeta toscano attraverso racconti che ne illustrano lo spirito, la vita e quella dei personaggi del suo tempo o delle sue opere, con toni che vanno dallo storico, all’ucronia, alla creazione fantastica, come è giusto per ricordare un autore che non è stato solo il più grande padre della lingua italiana e un poeta cardine della nostra letteratura, ma anche uno dei massimi autori di genere fantastico nazionali, con la creazione di un intero universo ultraterreno, cosa che me lo fa sentire più vicino del Dante Alighieri studiato a scuola. Non ci si sorprenda quindi nel trovare in quest’antologia, accanto alla narrazione strettamente storica, viaggi nel tempo o visioni oniriche, perché l’omaggio alla vena immaginifica di Dante è anche in questo.

Il GSF – Gruppo Scrittori Firenze, associazione impegnata su svariati fronti culturali, dai premi letterari e artistici, agli incontri letterari e turistici, ai gruppi di lettura, ai corsi di scrittura creativa, ai reading, ai momenti di scrittura a tema, con questo volume, edito dal Gruppo Editoriale Tabula Fati, torna a distanza di pochi mesi dall’uscita di Accadeva in Firenze Capitale (Carmignani Editrice, 2021) a raccontare la propria città in un volume di narrativa a sfondo storico, per la quale  i suoi autori stanno dimostrando una particolare sensibilità e un’ammirevole vena creativa, attraendo a sé ogni anno nuove penne.

La partecipazione a Gente di Dante è avvenuta tramite l’adesione a un bando pubblicato sul sito e sul blog dell’associazione all’inizio del 2021 e poi diffuso sulle principali piattaforme social, lasciando la possibilità di partecipare a chiunque fosse socio del GSF o volesse diventarlo. Come curatori, nella nostra opera di selezione ed editing, abbiamo avuto l’ausilio di un comitato editoriale composto, oltre che da noi, dalla presidente del GSF Cristina Gatti, dai soci Massimo Acciai Baggiani, Renato Campinoti, Barbara Carraresi e Chiara Sardelli. Come consulenti storici siamo stati assistiti dai professori Alessandro Ferrini e Massimo Seriacopi.

Il volume è corredato da un’appendice a cura dell’Unione Fiorentina Museo Casa di Dante, cortesemente messoci a disposizione da Tullia Carlino Hautmann, responsabile del Coordinamento Museo ed Eventi e della Segreteria di Presidenza Associazione.

L’immagine di copertina è stata realizzata dalla socia Daniela Corsini.

Un sentito ringraziamento a tutti loro, agli autori e all’editore Marco Solfanelli di Tabula Fati, che hanno reso possibile la realizzazione di quest’antologia.

Siamo lieti e orgogliosi, dunque, di poter aggiungere questa nuova opera alle precedenti antologie dell’associazione.

Copertina provvisoria

Come si diceva, il progetto “Gente di Dante” ha avuto un considerevole successo, portando alla ricezione di un gran numero di testi, tutti di apprezzabile qualità, che coprono una ricca gamma di chiavi narrative, che potranno soddisfare gli amanti di generi letterari diversi, e presentano un’interessante e a volte inconsueta panoramica sul tempo di Dante Alighieri e sui personaggi delle sue opere. Così numerosi da costringerci a escluderne vari, pur pregevoli.

Per esprimere le due diverse anime che compongono quest’antologia, l’abbiamo divisa in due parti:

La suggestione della storia

L’incanto della fantasia.

Ci siamo molto appassionati nel leggere i testi che pervenivano man mano, stupendoci per la loro varietà e originalità. Pensiamo meritino di essere lette entrambe le parti, in quanto l’una complementare all’altra, nella pur diversa visione che offrono.

Il volume si apre con le prefazioni del dantista Massimo Seriacopi e del giornalista Paolo Ciampi, seguite dall’introduzione di noi curatori (che ho in parte ripreso in queste righe).

Si passa quindi ai 36 racconti, metà nella prima e metà nella seconda parte, in entrambe disposti in ordine più o meno cronologico.

Ecco, quindi, l’intensa narrazione di Fabrizio De Sanctis su Farinata degli Uberti; ecco le riflessioni di Luca Anichini sull’arte della guerra a quei tempi; ecco la Pia di Caterina Perrone, che la vuole Malavolti più che Tolomei; ecco i racconti sulla battaglia di Campaldino cui partecipò lo stesso poeta, scritti da Giorgio Smojver e Gianni Marucelli; ecco i rapporti di Dante con la politica nella narrazione di Luca Lunghini; ecco il contesto urbanistico e artistico nel racconto di Gabriele Antonacci; ecco la vita quotidiana e politica dell’Alighieri nel racconto di Renato Campinoti; ecco i viaggi e l’esilio del vate nelle storie di Maila Meini, Barbara Carraresi, Brunetto Magaldi, Milena Beltrandi e Giovanni Paxia; ecco le imprese di Corso Donati descritte da Paolo Ferro e Renato Mosi; ecco gli odii tra famiglie nel racconto di Sergio Calamandrei; ecco la morte del grande fiorentino nel testo di Antonella Bausi ed ecco Cristina Gatti che ci presenta la figura dell’occultista Cecco D’Ascoli.

Si chiude così la parte più legata alla storia, all’accurata narrazione delle vicende e si apre quella in cui la fantasia e la creatività trovano maggior sfogo.

Nicoletta Manetti dà voce a Beatrice Portinari dopo la sua morte; Antonella Cipriani ci parla della moglie dell’Alighieri, di cui poco sappiamo; Manna Parsì si immagina l’infanzia di Dante e Beatrice; Alessandro Lazzeri torna indietro nel tempo sino alla battaglia di Campaldino e Pierfrancesco Prosperi immagina un’ucronia connessa all’epico scontro che muta il nostro presente; David Ferrante ci parla di Celestino V; Rosalba Nola affronta la figura della trovatora Bieris de Romanz; le atmosfere descritte da Samuele Mazzotti per la nascita della “Divina Commedia” si fanno surreali, strani e misteriosi sono gli incontri del poeta alle prese con la stesura dei primi canti dell’inferno; ripercorre la sua vita in una sorta di incubo l’Alighieri prima di raggiungere Beatrice in paradiso nella narrazione di Francesco Russo; Miriam Ticci parla di una vita tutta all’insegna dei versi danteschi; torna indietro dai nostri giorni al 1306 la protagonista della storia di Terza Agnoletti; è un incubo dantesco quello di Fabio Ferrante; Francesca Tafanari e Oliva Cordella immaginano un condominio moderno abitato da Dante e da gente del suo tempo; Silvia Alonso trasforma l’Inferno in un suggestivo videogioco; il mio racconto offre una spiegazione fantastica al recupero degli ultimi tredici canti del “Paradiso” e alla scomparsa della salma dell’Alighieri; Massimo Acciai Baggiani prosegue il mio racconto immaginando Dante ai giorni d’oggi; Donato Altomare ci mostra un surreale e fantascientifico Caronte alle prese con la morte di Cerbero.

Mi piacerebbe raccontarvi qualcosa di tutti questi autori, ma sono davvero troppi. Vi invito solo a leggerne le biografie alla fine del volume, dalla quale vedrete come siano stati accolti accanto a scrittori con minor esperienza anche autori importanti, con ampia produzione e che sono stati apprezzati anche vincendo importanti premi di rilevanza nazionale.

Ringrazio, tutti coloro che hanno partecipato e speriamo che voi lettori possiate gradirne come noi la lettura.

Se vorrete incontrarci, il volume sarà presentato nelle seguenti occcasioni:

  • 8 Settembre ore 17,00 – Presentazione di “Gente di Dante” (ore 18,00) e “Accadeva in Firenze Capitale” – Palazzo Datini a Prato – Via Ser Lapo Mazzei, 43
  • 13 Settembre ore 18,00 Piazza davanti Casa di Dante – Intervento nel corso del reading dantesco  – Via Santa Margherita 1
  • 17 Settembre ore 18,00 circa – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA – Giardino della Biblioteca Buonarroti  a Firenze – Viale Alessandro Guidoni, 188
  • 30 Settembre ore 17,00 – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA – Circolo degli Artisti Casa di Dante a Firenze – Via Santa Margherita 1
  • 18 Ottobre ore 17,00 – PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA – SMS Rifredi Via Vittorio Emanuele II, 303

UN RAFFINATO ROMANCE ORIENTALE

Il rapporto tra Viola e Matteo matura e, divenuto ormai un matrimonio con tanto di figli, affronta nuove difficoltà, compresa le seduzioni di nuovi amori. Il terzo volume di questa saga di Caterina Perrone, intitolato “Rivelazioni” continua a muoversi in un non-tempo che somiglia al XIX secolo, in luoghi che talora assumono precise connotazioni geografiche, come Cipro o il vicino Oriente, ma altre rimangono nella poeticità dei non-luoghi.

Nuovi personaggi e nuove relazioni si intrecciano e si aggiungono a quanto già conosciuto nei precedenti “Lo sguardo e il riso” (Porto Seguro, 2017) e “Danza nel deserto” (Porto Seguro, 2018), soprattutto figure di bambini.

Per questa terza prova, l’autrice fiorentina (di origini emiliane) lascia la casa editrice toscana per produrre in proprio il romanzo con la Girogiò (2020). Corredano, però, sempre il volume le belle illustrazioni del marito Gianni Mannocci, ricche di particolari e di dettagli ed eleganti come lo è la scrittura di Caterina Perrone.

L’autrice, dopo essere approdata al GSF Gruppo Scrittori Firenze ha anche partecipato, come me, all’antologia di quest’associazione “Accadeva in Firenze Capitale” (Carmignani Editrice, 2021) e sta ora curando con me per il GSF l’antologia per i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri “Gente di Dante”, di prossima pubblicazione con il Gruppo Editoriale Tabula Fati., dedicandosi quindi sempre più alla narrazione storica.

L'estate infinita di Cipro tra sole e mare | SiViaggia

FIRENZE CAPITALE, NASCITA DI UN’ANTOLOGIA

La città di Firenze fu capitale del Regno d’Italia per un breve periodo di sei anni, dal 3 febbraio 1865 al 3 febbraio 1871. Che non sarebbe durata oltre si capì già con la presa di Roma, il 20 settembre 1870.

L’anno scorso Cristina Gatti, la Presidentessa del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, propose di predisporre un’antologia che ricordasse quegli anni, da presentare in occasione dei 150 anni dalla breccia di Porta Pia.

C’è stata poi l’epidemia di covid-19 e, vista l’impossibilità di presentare il volume in presenza, fu fatta scivolare l’uscita all’aprile 2021, che forse è anno anche più adeguato per celebrare la fine di questo periodo assai interessante per la nostra città.

Per preparare il volume, la pandemia ci diede ancora il tempo per uno degli Incontri letterari che presentavo in Laurenziana con Barbara Carraresi per il GSF, martedì 11 Febbraio 2021. Per l’occasione invitai il giallista Sergio Calamandrei, che ha un’autentica passione per quegli anni, sui quali ha raccolto, letto e studiato un’invidiabile biblioteca.

Il suo intervento piacque all’uditorio e lo aggregammo subito come consulente storico per l’antologia in preparazione.

Il grande impegno che subito mise nel collaborare alla stesura della raccolta, ha fatto sì che da consulente fu presto “promosso” a curatore, andando ad affiancare nel ruolo Cristina Gatti.

Personalmente ho avuto l’onore di figurare nel Comitato Editoriale assieme a Fabrizio De Sanctis, Maila Meini e Vincenzo Sacco.

Il volume ha così raccolto i racconti (in ordine di apparizione nel volume) di Fabrizio De Sanctis, Caterina Perrone, Vincenzo Sacco, Cristina Gatti, Gabriele Antonacci, Barbara Carraresi, il sottoscritto Carlo Menzinger di Preussenthal, Nicoletta Manetti, Renato Campinoti, Maila Meini, Roberto Mosi, Pierfrancesco Prosperi, Sergio Calamandrei. Chiude la serie il racconto-postfazione di Paolo Ciampi.

Il volume è arricchito anche da una parte saggistica con gli interventi di Pietro Tornabene, Giuseppe Matulli e Andrea Cantile e da un ricco corredo fotografico, comprensivo di tavole a colori.

Il pregio del volume è accentuato dall’insolito formato.

Diversi sono i toni e gli stili dei vari autori, così come i personaggi che si succedono in queste pagine intense e vivaci, da quelli più popolari ai frequentatori dei salotti, dai fiorentini ai torinesi, ai tanti stranieri, che in quegli anni rappresentavano ben due terzi della buona società fiorentina.

Ed ecco il celebre oste Gigi Porco nel racconto di De Sanctis, ecco Marie Bonaparte nei salotti descritti da Caterina Perrone, ecco l’ispettore di Vincenzo Maria Sacco che indaga nientemeno che sul furto del David di Donatello, ecco l’incontro tra un conte e un lustrascarpe nella narrazione di Cristina Gatti, ecco la meraviglia delle prime linee ferroviarie nel “volo dell’ippogrifo” di Gabriele Antonacci, ecco il mendicante Pipetta di Barbara Carraresi che assiste all’inaugurazione della statua di Dante, ecco nel mio racconto il dialogo tra la città di Firenze e il grande collezionista Frederick Stibbert che ci regalerà uno dei più suggestivi musei d’armature, ecco  Dostoevskij descritto da Nicoletta Manetti, ecco il patriota Beppe Dolfi dipinto da Renato Campinoti, ecco la domestica di Maila Meini, ecco gli abitanti delle case di ferro e legno di Roberto Mosi, ecco una Firenze rimasta capitale ancora oggi nella geniale immaginazione di quel re dell’ucronia italiana che è Pierfrancesco Prosperi, ecco la partecipazione alla presa di Roma di un predecessore (il giornalista Sabatino) del celebre ispettore Arturi di Sergio Calamandrei. Inutile evidenziare la consueta poeticità del racconto-postfazione del giornalista Paolo Ciampi, che ripercorre in una sorta di sintesi tutti i racconti precedenti.

Non mancano nel volume le occasioni per raffigurare le difficoltà derivanti dal veloce trasferimento della burocrazia torinese nel capoluogo toscano, che alterò i prezzi e creò non pochi disagi alla popolazione, sia per gli imponenti lavori di trasformazione urbana, sia per l’alterazione demografica avvenuta in breve tempo su una città di medie dimensioni qual’era Firenze allora.

Volume, dunque, ricco ed elegante, piacevole da leggere, istruttivo e ottimo da conservare nella propria libreria per riletture future, che si aggiunge alle altre antologie pubblicate dall’associazione e cui presto farà seguito la silloge dedicata ai settecento anni dalla scomparsa dell’Alighieri “Gente di Dante”, che sto curando con Caterina Perrone per il GSF.

ROMANCE AVVENTUROSO TRA LE SABBIE

Caterina Perrone | La legenda di Carlo Menzinger

Caterina Perrone con Lo sguardo e il riso

Danza nel deserto” (Dicembre 2018) è il sequel del romanzo di Caterina PerroneLo sguardo e il riso” (2017), entrambi editi da Porto Seguro, la più vivace delle case editrici fiorentine e non solo.

Peraltro, “Danza nel deserto” si legge in maniera del tutto autonoma rispetto al primo volume, con cui condivide i protagonisti Viola e Matteo, ma se ne “Lo sguardo e il riso” avevamo una storia d’amore ambientata in un non-tempo passato e in un non-luogo che ricordava l’Italia medievale ma con il sapore dei borghi fantasy, come ne scrissi leggendolo, in “Danza nel deserto” siamo invece in un vicino oriente più moderno forse non fortemente connotato, ma che è comunque un luogo fisico e temporale assai più preciso. Rimane il tema forte dei profumi, ma qui non è più così centrale. Il primo volume era soprattutto storia d’amore, questo secondo è un romance d’amore, con passioni non corrisposte o difficili, ma anche di avventura, assai più denso di eventi, con viaggi, rapimenti, ricatti, inganni, travestimenti, assalti. Forse dipende dal mio occhio, ora più allenato alla scrittura dai tratti poetici della Perrone, ma questo seguito mi è parso più maturo e intenso.

Sempre belli e ricchi di particolari i disegni in bianco e nero che accompagnano numerosi entrambe le storie, opereDanza nel deserto - Porto Seguro Editore del marito della Perrone, Gianni Mannocci, spesso caratterizzati dal moltiplicarsi di piccole presenze di contorno. Abbiamo così, per esempio, l’immagine di cammelli che si abbeverano a una pozza e sullo sfondo una donna orientale che porta una brocca d’acqua e un suricato in primo piano, oppure un vecchio che legge seduto in terra contro un’elaborata parete in maiolica e davanti a lui una pila di libri, colombe in volo e un piccolo topo o ancora un veliero che naviga tra gabbiani e delfini.

Caterina Perrone è ora membro del GSF – Gruppo Scrittori Firenze.

L’AMORE E L’INDIPENDENZA

Risultati immagini per lo sguardo e il risoLo sguardo e il riso” di Caterina Perrone è una storia d’amore ambientata in un non-tempo passato e in un non-luogo che ricorda l’Italia medievale ma che ha il sapore dei borghi fantasy. Non è comunque né ucronia, né utopia e neppure vero fantasy, ma canto sui rapporti umani, sulle pulsioni e i sentimenti d’amore, sul cercarsi e allontanarsi tipico degli amanti, sugli ostacoli che le famiglie e l’ambiente spesso frappongono a tali amori.

I protagonisti, in primis, la bella Viola sono vivaci e con un certo spessore. Viola non pensa solo al suo amato Matteo. È delineata come una ragazza forte e decisa, con una grande passione per lo studio dell’erboristeria e dei profumi. Appare, pur in questo tempo indeterminato, come una sorta di eroina anticipatrice di autonomie e indipendenze femminili. Pur ambendo all’amore del bel rubacuori Matteo, non vuole sposare né lui, né chi vorrebbe imporle il padre, dimostrando la sua brama di indipendenza.

Siamo dunque sì di fronte a una storia d’amore, ma anche alla raffigurazione di un anelito di emancipazione femminile. Viola ambisce realizzarsi nel proprio lavoro di profumiera, piuttosto che diventare moglie devota.

I personaggi si fanno amare e la storia scorre agevolmente verso l’atteso finale, lasciando presagire possibili sviluppi futuri, così come possibili scritture venture di Caterina Perrone che con questo volume edito da Porto Seguro è alla sua prima prova letteraria.

Corredano il volume i bei disegni in bianco e nero di Gianni Mannocci, assai attenti a cogliere i dettagli e i particolari delle scene raffigurate.

La copertina invece è un bel dipinto di J. W. Waterhouse.

 

Caterina Perrone – Auditorium del Duomo – Firenze 2/12/2017

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