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IL MEGLIO SCELTO DAGLI AUTORI

Interessante la raccolta di racconti selezionati dall’Editore Tabula fati nel volume realizzato in collaborazione con la World SF Italia (l’associazione nazionale degli operatori del fantastico e della fantascienza) intitolata “Terzo millennio”, con sottotitolo “I migliori racconti di fantascienza del XXI secolo della World Science Fiction Italia”.

Individuati alcuni autori dell’associazione è stato chiesto a loro stessi di proporre la loro opera più significativa prodotta nel primo ventennio di questo secolo. Il volume è edito nel Febbraio 2022.

In effetti, chi meglio dell’autore stesso può indicare la propria opera più significativa? Difficile trovare curatori di antologie che possano averne letto e valutato tutti i racconti di un autore.

Altra gradevole trovata è quella di far precedere ogni storia da una mezza paginetta in cui l’autore stesso spiega la motivazione della selezione effettuata.

Si parte con il presidente stesso della World SF Italia, Donato Altomare e il suo “Il cacciatore di randagi”. Si tratta di un viaggio nel tempo, che l’autore dice essere il tema “senza dubbio il più difficile da interpretare. La ragione è semplice: bisogna rispettare delle regole… mai scritte, inventate e che nessuno può autenticare.” Non posso che concordare, anche se di recente ho sentito, durante una presentazione affermare il contrario e mi sono dovuto trattenere a forza dal controbattere. Sono stato dunque ben lieto di poterne leggere in tal senso dopo poco.

Bella e che fa riflettere anche l’affermazione di Altomare: “tanto il passato che il futuro sono immutabili perché non esistono”. L’idea del racconto è che per spostarsi più velocemente da un luogo a un altro le famiglie del futuro potranno usare delle “autostrade temporali”, delle sorte di scorciatoie attraverso il tempo.

Tullio Bologna, che segue in ordine alfabetico con il suo “Cala la tela” ci parla di una delle presunte date dell’apocalisse finale, la più recente credo, quella della presunta profezia Maya sulla fine del mondo che sarebbe dovuta avvenire il 12 Dicembre 2012. Dopo i viaggi nello spazio-tempo, un altro tema classico della fantascienza.

Il protagonista è convinto di ciò e ossessionato al punto da vivere i suoi ultimi tempi preparandosi al drammatico evento.

“I danzatori nel vento” di Adalberto Cersosimo viene dall’antologia “Costituzioni future” e si ricollega al suo ciclo dell’Impero, come scrive lui “in sostanza un fantasy ricco di connotazioni fantascientifiche”. Il testo proposto ci porta a incontrare una sorta di cantastorie che ha la sua da raccontare.

Per Luigi De Pascalis il fantastico deve essere “un grimaldello metaforico con cui scardinare e reinterpretare la realtà”. Altra bella definizione che ci regala questo volume.

Nel suo racconto “Il Treno” questo rappresenta metaforicamente l’Unione Europea e, come scrive, la narrazione fa riferimento a quella magnifica opera sull’attesa che è “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Questo treno infinito a me però ha fatto pensare soprattutto a Borges e alla sua biblioteca infinita: uno spazio illimitato e, paradossalmente, concluso al contempo. Con simili suggestioni il racconto non può che trasmettere, come fa, una sensazione di magico mistero.

“La torre dell’Eclissi”, ultimo racconto scritto da Gianfranco De Turris, prima di lasciare la produzione diretta di narrativa, è un racconto carico di amara ironia, su un’Italia “andata avanti” verso un degrado e una divisione sempre più profondi, descrivendo una situazione sociale quasi paradossale (basti pensare ai rom trasformati in poliziotti!) in un mondo dove anche l’ambiente è stato devastato, con le acque che salgono a invadere ogni cosa. Mi ricorda le mie ultime antologie!

“Nella casa del gigante del ghiaccio” di Diego Gnesi Bartolani è un fantasy di ambientazione norrena. Nell’introduzione l’autore considera eccezionale il fatto di averlo scritto “senza pretese, senza avere in mente un finale e – non inorridite! – persino senza una scaletta.” Beh, io non inorridisco davvero. A volte finale e scaletta nascono strada facendo persino se si scrive un romanzo. Per un racconto se ne può far ben a meno, io penso.

Il racconto narra di un cantastorie, “primo tra gli scaldi” che si ammala e non riesce più a comporre versi, cessando persino di nutrirsi e, soprattutto, di avere desideri.

Max Gobbo ama quella che chiama “fantascienza umanistica” “ovvero una fantascienza incentrata sulla psicologia del vissuto dei protagonisti”, in cui “spesso sarà proprio la vita quotidiana, con tutti i suoi problemi pratici, a rappresentare la vera scommessa da vincere”.

Nel suo “Decompressione” siamo su Encelado, una delle lune di Saturno. Il protagonista, che lavora in una miniera di ghiaccio secco, affronta una drammatica e fantascientifica lite tra la propria madre e la propria moglie.

“La lacrima di Innana” di Andrea Gualchierotti è storia tra il fantasy, lo sword & sorcery e il fantascientifico che ci parla di unioni e matrimoni tra umani e dei, con persino un viaggio nel regno dei morti.

Annarita Guarnieri scegli con “Finché il sole non ci separi” di parlare di vampiri, con ironia e con finale… felino.

Renato Pestriniero riscrive in chiave fantastica il ricordo infantile di una magica casa veneziana coperta di girandole in “La casa delle girandole”.

Pierfrancesco Prosperi con “Mario Rossi, l’uomo che vinse l’Italia” fa della fantastatistica, forse più che della fantapolitica, immaginando che nel gioco del lotto il 6 non esca per quasi vent’anni, facendo lievitare il montepremi a cifre disastrose per il bilancio nazionale.

Enrico Rulli ci presenta un racconto, “Pioggia”, ormai forse non troppo fantascientifico viste le drammatiche vicende della nostra nazione e del mondo, dato che immagina un drammatico e inarrestabile diluvio che travolge un paese, portando gli abitanti a sfidare persino la divinità.

Monica Serra mescola fantascienza e fantasy nel suo “Sangue alieno”, che presenta un difficile incontro tra due amici-nemici.

Nicola Verde, come già alcune pagine prima aveva fatto Tullio Bologna, ci parla della presunta apocalisse Maya del 12/12/2012. Qui compare un misterioso gioco di doppi.

Al termine della lettura del volume, quello che sorprende un po’ è il gran numero di racconti non prettamente fantascientifici che in un’antologia di Sci-fi non ci si aspetterebbe. Si trovano infatti racconti fantasy, sword&sorcery, di semplice magia o horror gotico.

Una bell’antologia, comunque, alla quale mi sarebbe certo piaciuto partecipare anche se mi sarei trovato in grande difficoltà nello scegliere il mio eventuale miglior racconto di fantascienza. Ultimamente ne pubblico almeno una ventina l’anno solo su riviste e antologie multiautore cartacee, per non parlare delle mie raccolte personali e del web, per cui materiale non mi sarebbe mancato, ma una cosa è quando mi chiedono un racconto su un dato tema, cosa che per me è sempre stimolante. Altra cosa è scegliere il “meglio”. Sono in difficoltà a valutare il meglio scritto da altri, figuriamoci quello scritto da me! Ogni racconto (o romanzo o altro) ha sempre qualche pregio e qualche difetto. Come in natura, non esistono mutazioni evolutive migliori di altre ma solo le più adatte, così in narrativa: posso solo scegliere il racconto “più adatto” per un dato volume, considerato l’argomento, il genere, il curatore, l’editore, ecc. Ma se il “più adatto” deve essere il migliore? È un problema. Dunque complimenti a questi autori che sono riusciti a scegliere e l’hanno fatto bene, visto il risultato.

BULLISMO E PUPISMO IERI E OGGI

Ricordo che quando ero bambino, non penso di aver avuto più di otto anni, il padre di un mio amico (una persona piuttosto diversa dai miei genitori a dir il vero) ci diceva qualcosa tipo: «Dovete imparare a diventare dei bulli. Dovete essere tosti, così le pupe vi correranno dietro».

Fu, credo una delle prime volte che sentii la parola “bullo” o quanto meno la prima in cui la vidi inserita in un contesto “morale”.

Durante la mia infanzia i bulli erano più che altro quelli del film “Bulli e pupe” con Marlon Brando e Frank Sinatra, “Bulli e pupe. Storia sentimentale degli anni cinquanta” di Steve Della Casa e Chiara Ronchini, “Giggi il bullo” con Alvaro Vitali ma ancor più “Poveri ma belli” di Dino Risi, anche se non ricordo se lì si usasse il termine.

Insomma, il bullo non era certo un modello di uomo o ragazzo da imitare, soprattutto per il mio tipo di formazione, ma era solo e soprattutto un ragazzo di borgata o periferia, sbruffone e cialtrone, non tanto un violento o un prevaricatore. Credo di averlo considerato spesso quasi un sinonimo di trasteverino, l’abitante di uno dei quartieri “antichi” di Roma.

Probabilmente la prima volta che ho usato il termine “bullismo” associandolo a un fenomeno di violenza e prevaricazione tra i giovani è stato quando ero ormai padre.

Questo non vuol dire che quando ero giovane questo fenomeno non esistesse. C’era eccome, ma i ragazzi imparavano a cavarsela da soli e, soprattutto, se non ci riuscivano, nessuno correva ad aiutarli.

Quando mi è stato chiesto di scrivere un racconto fantasy sul bullismo ho pensato di parlare del clima di violenza che si respirava ai tempi in cui ero al liceo, in particolare il 1977-78: gli anni di piombo. La rivoluzione culturale pacifista del 1968 si era ormai trasformata in un periodo di terrorismo e lotta armata, di estreme destre ed estreme sinistre che facevano a gara a chi creasse un maggior clima di terrore.

In tempi di prevalenza della Democrazia Cristiana, con all’opposizione un diffuso Partito Comunista, mi trovai in un anomalo liceo in cui il Movimento Sociale aveva quasi la metà dei consensi (e molti facevano parte di movimenti come Terza posizione). I fascisti spadroneggiavano ma il loro comportamento, a scuola, era proprio quello dei “bulli”: minacce, pizzi, bande semi-organizzate, picchettaggi. La politica spesso era solo un pretesto, anche se molti di loro gravitavano attorno a quello che sarebbe dovuto diventare il mio professore di filosofia se non fosse stato arrestato prima di diventarlo in quanto accusato di essere il mandante di alcuni omicidi, tra cui quelli dei magistrati Vittorio Occorsio e Mario Amato, nonché della strage di Bologna, per cui venne successivamente assolto. Venne poi condannato per associazione sovversiva e banda armata. Molti dei suoi alunni erano i nostri bulli alcuni dei quali arrestati per terrorismo. Insomma, non proprio gente facile da affrontare. E non venitemi a dire che oggi il bullismo è peggiorato…

Nel mio racconto “La banda degli sfigati” ho immaginato un liceo popolato da giganti, nani, elfi, orchi e altre creature magiche, che si scontrano con le stesse dinamiche. Gli anni di piombo, sono diventati qui gli anni di ferro.

Trovo interessante come il termine bullismo solo in pochi decenni abbia finito per rappresentare situazioni e persone ben diverse.

Il racconto fa parte di un’antologia “Non ti temo più”, edita a settembre 2022 da Tabula Fati e curata da Paola De Giorgi. Il sottotitolo è “Storie di bullismo e Cyberbullismo”. Già, perché quello che ai miei tempi mancava era il bullismo on-line e oggi si deve parlare anche di quello.

Il volume mi ha colpito per la prevalenza di voci femminili, su un fenomeno che, nella mia ignoranza, configuravo soprattutto maschile, perché derivato da quel mondo di cui scrivevo sopra, ma non c’è dubbio che anche delle ragazze possono essere malvagie e crudeli verso altre ragazze o che il fenomeno possa avvenire anche tra sessi diversi. Ai miei tempi i comparti erano maggiormente separati. Alle elementari ero in una classe di soli maschi, tanto per dire. Le autrici sono, dunque, undici, i racconti di autori maschi solo sei (due scrivono in coppia). Quattro delle cinque prefazioni sono scritte donne. Non ho verificato quanti personaggi maschili e quanti femminili ci siano, ma l’impressione è stata di una prevalenza di queste ultime figure, mentre mi sarei aspettato quanto meno rapporti invertiti.

Credo che questo sia un segnale di come il bullismo si stia trasformando. Non più semplice connotazione sociale tipicamente maschile, ma fenomeno di disagio diffuso in cui le donne sono diventate protagoniste. Si potrebbe forse parlare di “pupismo”, dato che la connotazione credo possa essere diversa a seconda del sesso degli attori. Le ragazze “pupizzano” in modo differente, più psicologico, credo, da come i maschi bullizzano, con maggiore fisicità. Se per i maschi le vittime del bullismo sono soprattutto ragazzi che non seguono le regole del gruppo dei bulli (che possono anche essere ben diverse dalle regole della società nel suo insieme), che hanno comportamenti difformi dalla “norma”, per le femmine credo che l’aspetto esteriore sia una causa scatenante più forte: magrezza, obesità, bruttezza in generale. Non per nulla nel volume, con il suo sguardo femminile, si parla di bodyshaming e persino di grassofobia.  

Nelle storie femminili mi pare prevalga l’intervento risolutore esterno, mentre questo è meno presente in quelle maschili.

Il volume si caratterizza per una certa diffusione di elementi fantastici o magici.

Nel racconto di Loredana Pietrafesa che apre il volume abbiamo una bambina perseguitata da due gemelle che troverà nella voce fantasma del nonno morto (che le manda messaggi in rima su aeroplanini di carta) la forza per superare la situazione, grazie anche all’intervento degli adulti e alla magia del nonno-fantasma che farà confessare le gemelle.

Surreale il racconto di Chiara Onniboni in cui un bambino mangia tutte le merendine dei compagni per non farli ricattare dai bulli. Di nuovo a essere risolutivo è l’intervento delle “autorità adulte”.

Nella storia di Marco De Franchi un padre bullo si ritrova con un figlio bullizzato. La soluzione arriva ancora dall’esterno.

Melania Fusconi ci regala una vittima magica, la cui capacità di mutare forma diventa la propria tortura personale e la causa del bullismo contro di lui. L’aiuto è ancora esterno e magico.

Nella storia di Carla Dolazza la protagonista, isolata dai coetanei, cerca l’amicizia nel portiere dello stabile (come non pensare a “L’eleganza del riccio” della Burberry o a “Il giorno prima della felicità” di Erri De Luca), che si rivela peggiore dei suoi compagni. Di nuovo abbiamo un intervento salvifico esterno.

Nel racconto di Alessandra Zenarola la causa del bullismo non è la bruttezza, ma il suo opposto, la bellezza. Qui sarà l’amicizia di un coetaneo a salvarla. Non occorre l’intervento di alcuna autorità. Sarà forse perché il bullismo contro una bella somiglia più all’invidia, mentre di solito è motivato dal disprezzo. Su questo però credo occorra fare una riflessione maggiore. Il bullo, credo, può essere spinto alla violenza proprio dal fatto di sentirsi “inferiore” nel contesto sociale in cui vive. Non credo sia tanto l’invidia verso la sua vittima a spingerlo ma piuttosto una sorta di invidia sociale verso il contesto in cui vive e in cui non riesce a eccellere a portarlo a dimostrare sui più deboli la propria fragile superiorità.

Analogamente la protagonista “Supplì” di Nicoletta Romanelli non doveva essere così “nerd” o brutta, se a salvare anche lei è l’amore di un ragazzo.

A salvare il protagonista di Andrea Gualchierotti è lui stesso, grazie a un sogno. Qui la causa del bullismo è solo una sua cicatrice. Come si diceva, però, per i maschi i problemi fisici sono facilmente superabili, soprattutto quando, come in questo caso non sono troppo marcati. Gli stessi difetti fisici posso essere causa di bullismo come non esserlo per nulla.

Il bullo di Errico Passaro insegue la propria vittima anche dopo essere morto, ma questa riesce a trovare in se stesso il modo per superare il problema.

Enrico & Vittorio Rulli decidono di usare il punto di vista del bullo, in una storia in cui la vittima di ragazzo è una ragazza, che lui prende in giro dicendole di amarla. Con pentimento postumo.

Un ragazzo magro ai limiti dell’anoressia nella narrazione di Donato Altomare riesce a ottenere il rispetto di chi lo bullizzava salvandoli in una situazione difficile. Risolve dunque da sé il problema in modo costruttivo e positivo, trasformando sapientemente il contesto e riuscendo a guadagnarsi la stima dei suoi avversari. Certo la sfortuna dell’incidente è stata per lui una discreta fortuna. Anche nel mio racconto uso il medesimo meccanismo, pur in un contesto diverso: la vittima vince aiutando i bulli e cambiandoli. Che è poi la mia esperienza personale in merito e quella che sento come più reale.

Nel racconto di Fiorella Borin l’essere bullizzati entrambi farà scoccare qualcosa tra un ragazzo e una ragazza.

Come nel racconto di Alessandra Zenarola, la vittima è una ragazza bella, che qui fa riemergere nell’insegnante i propri, simili, trascorsi giovanili.

Il racconto dai toni fantascientifici di Paola Giorgi ci mostra un futuro di una società divisa tra bulli (Alfa) e vittime (Omega). Purtroppo, non mancano al mondo ideologie che potrebbero portare in tale direzione.

La protagonista della vicenda narrata dalla curatrice Paola De Giorgi si presenta come una delle vittime più mature quando scopre che non c’è “nessuno a cui chiedere. Nessuno a cui rivolgersi in cerca d’aiuto” e quindi l’importante è che “Non devi arrenderti mai”.

Roberta Zimei immagina di intervistare un bullo pentito anni dopo che ha provocato involontariamente la morte della sua vittima.

Un argomento che il volume non tratta (del resto non è un saggio ma solo una raccolta di racconti) è il bullismo tra adulti. Devo dire che anche questo esiste e, anche se si dovrebbe presumere che un adulto siam meglio attrezzato per difendersi, ho visto persone prevaricarne altre sfruttando magari solo una posizione gerarchica superiore, non limitandosi a sfruttare la propria vittima, ma mettendola alla berlina davanti ai colleghi.

Insomma, un fenomeno a 360 gradi, che riguarda ogni fascia d’età e ogni sesso.

Il volume ha ricevuto il sostegno e la sponsorizzazione di molte associazioni. A fine volume si leggono i loghi della Commissione Pari Opportunità della Città di Porcia, dell’ADAO, Associazione Disturbi Alimentari e Obesità del Friuli, di Consult@noi, Associazione Nazionale Disturbi Alimentari e molti altri.

Una lettura importante per conoscerci meglio e riflettere sul nostro mondo, i rapporti interpersonali e il mondo giovanile.

TOLKIEN E LE PIETRE DI MARTE

Dimensione cosmica”, la rivista curata da Adriano Monti-Buzzeti e Gianfranco De Turris per l’editore Tabula Fati, non è una rivista monografica, ovvero non ha un tema portante per ciascun numero, ma si potrebbe quasi dire che il numero 12 del terzo anno della nuova serie (Autunno 2020) sia dedicato a J. R. R. Tolkien e, in particolare, alla nuova traduzione de “Il Signore degli Anelli” fatta per Bompiani da Ottavio Fatica. Si potrebbe, allora, pensare quasi a un’iniziativa promozionale per tale versione dell’amatissima trilogia, invece, leggendo gli articoli, si scopre che si tratta piuttosto di una critica, a seconda degli autori degli articoli, variamente dura.

Persino l’editoriale “Ai lettori” dei curatori Gianfranco De Turris e Adriano Monti-Buzzeti che si concentra sul argomento, già non ci va leggero nello smontare questo lavoro.

È soprattutto con il primo articolo “Quando l’ideologia supera la filologia” di Oronzo Cilli che si comprende il motivo di tanto disdoro verso una traduzione fatta da chi “ha dimostrato di non aver ben compreso l’autore che ha tradotto” e “ammette di non aver troppo apprezzato l’attenzione di Tolkien alle lingue inventate”! Come dire di uno che ha tradotto Dante dicendo che non ha apprezzato l’uso del volgare al posto del latino. Cilli non si limita a fare semplici affermazioni, ma documenta in modo assai convincente le numerose manchevolezze di questa versione italiana del grande classico fantasy, con un gran numero di esempi.

Paola Cartoceti rincara la dose con “Ma chi è Ottavio Fatica? Il traduttore che non aveva mai letto Il Signore degli Anelli”, fornendoci anche un’analisi della sua carriera e biografia. La principale traduzione di Fatica fu quella del “Moby Dick” di Melville.

Anche in quell’occasione, Fatica criticò chi aveva tradotto l’opera prima di lui (un certo Cesare Pavese) di cui Fatica scrive “Non è una bella traduzione, diciamo che non l’ha trattato molto bene, al di là degli errori che capitano a tutti. Manca il ritmo poetico dell’originale che, per certi versi, assomiglia a un poema in prosa” e “sapeva l’inglese in modo un po’ approssimativo”.

Analogamente, ci racconta Cartoceti, di Vittoria Alliata di Villafranca e della sua traduzione del capolavoro tolkeniano Fatica scrive:

Ha tutte le pecche di un’avventura improvvisata” e “mancano verbi, avverbi, intere frasi, a volte si traduce a orecchio. Alliata toglie spesso l’inciso, che significa pur qualcosa, dà sfumatura al personaggio” e soprattutto parla per la traduzione dell’Alliata di “cinquecento errori per millecinquecento pagine”. Insomma, una tendenza a disprezzare il lavoro di chi l’ha preceduto anche se, a quanto pare da questi articoli, lui non sarebbe stato da meno.

La Cartoceti nota che “è un poco incongruente che Fatica citi sempre nelle interviste il ‘ragazzo’ o ‘ragazzino’ come suo lettore ideale, se si vuole presentare il libro come un ‘classico’ e quindi pe sua natura universale” e certo “Il Signore degli Anelli” non può essere che considerato uno dei grandi classici della letteratura. C’è quindi il solito disdicevole equivoco di voler considerare il fantastico come un genere secondario, come se i grandi classici non fossero spesso proprio autori di fantastico. Scrive la Cartoceti: “Da Omero a Orwell, passando per Dante, i classici hanno spesso sfruttato temi appartenenti al fantastico”.

Si evidenzia qui come sia discutibile che un traduttore affronti un’opera di questa portata senza conoscere le altre dell’autore e

Dimensione cosmica. Rivista di letteratura dell'immaginario (2020). Vol. 12:  Autunno. - Gianfranco De Turris - Adriano Monti Buzzetti - Libro - Tabula  Fati - | IBS

l’immensa critica letteraria che si è sviluppata negli ultimi decenni.

Fatica è convinto che Tolkien sia incomprensibile agli anglofoni, e quindi debba essere tale anche per il lettore italiano” ecco quindi l’uso di termini desueti, gergali e colloquiali (senza distinguere tra la diversa natura dei personaggi, alcuni dei quali sono colti e di alto “rango” ma vengo fatti parlare tutti alla stessa maniera di quelli popolareschi). Anche la Cartoceti riporta alcuni clamorosi errori di traduzione e ne fa persino una tabella esemplificativa per categoria di errore (conoscenza della lingua inglese o italiana, registro, stilemi ossessivi, uso ripetitivo di termini, mancata conoscenza di altre opere dell’autore).

Insomma, un traduttore “scelto per la sua fama e non per la conoscenza di Tolkien”.

Alla fine di queste letture mi chiedo come potrebbe un lettore scegliere di leggere la traduzione di Alliata o quella di Fatica, entrambe descritte come così lacunose. Ci vorrebbe, insomma, una nuova, seria e studiata traduzione. Io lessi la trilogia in originale e temevo di essermi perso molto del senso a causa della mia non perfetta conoscenza dell’inglese, rimpiangendo di non averlo letto in traduzione, ma prima di affrontarlo in italiano, temo che dovrò aspettare una nuova traduzione!

Luigi Iannone, poi, in “Tolkien tra Medioevo e Fantastico” ci racconta come, questo “professore che amava draghi, elfi, hobbit e alberi parlanti, forgiò lingue e mitologie all’interno di un universo cosmogonico di cui fu geniale subcreatore” abbia “insegnato a diverse generazioni ad amare il Medioevo e il fantastico e a non considerarli entrambi come qualcosa di negativo, di cui vergognarsi, o addirittura di ‘pericoloso’”. L’occasione è la recensione di “Il medioevo e il fantastico” (Bompiani), una raccolta di sette saggi scritti da J.R.R. Tolkien tra il 1931 e il 1959, riuniti in volume dal figlio Christopher.

Non poteva, quindi, mancare un articolo che trattasse de “Il lessico di Tolkien”. A scriverlo è stato Marco Casolino, che analizza la lingua tolkeniana facendo un’analisi numerica della ricorrenza di alcuni termini nei suoi testi.

Conclusa questa prima parte tolkeniana, la rivista prosegue con un racconto di Donato Altomare, nome pregiato della fantascienza italiana, presidente della World SF Italia, dal titolo “La seconda morte”, che affronta il futuristico ma non troppo improbabile tema della possibilità di conservare la nostra memoria e la nostra personalità in sistemi informatici dopo la morte.

Con “Kane, lo spadaccino mistico” di Giuseppe Cozzolino si torna alla saggistica, per affrontare la saga principale di Karl Edward Wagner, questa “curiosa sintesi tra le atmosfere del Cantore dei Nibelunghi ed il Western sporco e iperviolento di Peckinpah e Sergio Leone”.

Nel racconto “La pericolosità del gatto” Giandomenico Antonioli immagina che in una società distopicamente orwelliana la sola difesa dal controllo mentale sia la benefica influenza dei felini, contro i quali si abbatte dunque la foga sterminatoria del regime.

Il curatore Gianfranco De Turris dedica alla ricorrenza dei trent’anni dalla morte di “uno dei pochissimi ‘precursori’ che noi abbiamo avuto in fatto di produzione letteraria continuativa a sfondo fantascientifico” l’articolo “Armando Silvestri, il Gernsback italiano”.

Ed ecco quindi al racconto “Le pietre di Marte”, un racconto del sottoscritto Carlo Menzinger di Preussenthal, che affronta il tema della possibilità che la vita assuma su altri mondi forme assai diverse da quelle note, al punto da portare gli astronauti e gli scienziati a non riconoscerne la presenza per anni, attorno a una colonia marziana.

Sorprende poi trovare un articolo dedicato alla regina del porno italiano Moana Pozzi (1961-1994) in una rivista sul fantastico. Scopro così, in “Moana, Machen, Eliade e il vinum sabbati” di Marco Maculotti, che lei e i suoi colleghi di genere Barbarella e Rocco Siffredi hanno recitato nel film “Ectasy” (1989) di Luca Ronchi che si ispira nientemeno che al racconto “The Novel of the White Powder” di Arthur Machen che parla di antichi sabba, demoni e polveri psicotropiche. Machen è qui definito “autore dottissimo ed espertissimo di tradizioni religiose ed etnologiche”. In “Ectasy” è anche “citato alla lettera” “un passaggio di ‘Le Mythe de l’Eternal Retour’ (1949) dello storico delle religioni romeno Mircea Eliade”.

Angosciante il racconto distopico di Sara Cabitta, di un mondo in cui il giorno dura una sola ora contro ventitre di una notte che cela pericoli di estrema letalità, costringendo la gente a fare ogni cosa all’aperto in quell’unica ora, contando gli attimi, perché, come dice il titolo “Si vive di secondi”.

Nell’intervista a Roberto Genovesi, Andrea Gualchierotti ci fa conoscere la saga della “Legione occulta” di questo autore. Che cos’è la Legione occulta? “Qualcosa di più di un manipolo di soldati: si tratta di una milizia scelta di veggenti e sapienti, uomini che in segreto, su mandato di Augusto, vegliano sulle sorti dell’Impero di Roma” “sgominando così le minacce sovrannaturali che incombono sul trono dei Cesari”.

Non so se è sia un caso, ma “Lifewear”, il racconto di Fabrizio Trainito, si riallaccia a quello di Donato Altomare affrontando la possibilità di separare corpo e spirito e conservare quest’ultimo in supporti tecnologici da impiantare di volta in volta in corpi diversi, nella vana illusione di superare la morte.

Il “Necronomicon” è forse il più celebre libro immaginario della letteratura fantastica, ideato dal genio di H.P. Lovecraft come pseudobiblion. Nel suo articolo, Alessandro Bottero, ce ne presenta una “versione per ragazzi” ideata da Fabio Larcher.

So che per molti appassionati di fantascienza criticare “Star Trek” è un’autentica eresia, ma per me questa infinita serie di telefilm, serie TV e film cinematografici, seppur godevole (tanto che ne ho visto una discreta parte) rappresenta esattamente ciò che la fantascienza non dovrebbe essere: astronavi che si muovono all’istante da un mondo all’altro e alieni antropomorfi. Tutto troppo simile al nostro mondo e dunque inverosimile. Credo che il fantastico dovrebbe essere più creativo.

L’articolo di Enrico Petrucci ci parla di due nuove serie TV “Star Trek Discovery” e “Picard”. Devo dire che ho visto le prime due stagioni di “Discovery”, tornando ad appassionarmi alla serie, come da ragazzino quando seguivo le avventure di Kirk e Spock. Le ho trovate davvero rinnovate e modernizzate, con belle trovate come il motore a spore, il micelio interstellare e i salti temporali (anche se questi non sono certo una novità neppure per questa saga). Peccato che, dopo essermi appassionato alle prime due, la terza stagione si sia rivelata, per me, di una noia mortale e l’ho così abbandonata a metà. Magari cercherò di vedere questa nuova sul capitano “Picard”.

Il volume si conclude con una veloce rassegna di brevi recensioni, tra cui segnalerei almeno quella del volume di interviste agli autori della World SF Italia fatta da Filippo Radogna in “Conversando tra le stelle”, di cui ho già scritto sul mio blog.

Un’ultima nota su questo volume: nella seconda di copertina sono stato lieto di vedere l’immagine dell’antologia “Sparta ovunque” che riunisce sette racconti di altrettanti autori (Acciai, Altomare, Calamandrei, Lercari, Menzinger, Ninzatti e Prosperi), ambientati nell’universo divergente della saga ucronica da me inventata “Via da Sparta”. Il volume è ora finalista al Premio Vegetti 2021.

CONOSCERE LA FANTASCIENZA ITALIANA

Filippo Radogna

Non capita spesso di leggere un libro di interviste con così tanti intervistati ed è ancora più difficile trovarne uno tra i cui tanti nomi ce ne siano così numerosi conosciuti e non parlo solo di nomi noti, ma di persone incontrate di persona o, quanto meno nel web, alcuni dei quali potrei persino definire amici.

Il volume in questione è “Conversando tra le stelle” curato da Filippo Radogna.

I quarantacinque autori intervistati sono Sandro Battisti,  Vanni Mongini,  Renato Pestriniero, Franco Piccinini, Paolo  Prevosto,  Monica Serra, Francesco Grasso, Carmine Villani, Claudia Mongini, Francesco La Manno, Marina Alberghini, Adriano Monti-Buzzetti, Gloria Barberi, Maurizio Manzieri, Valeria Barbera, Tullio Bologna, Maddalena Antonini, Francesco Brandoli, Anna Maria Bonavoglia, Paola Cartoceti, Luca  Ortino, Alexa Cesaroni, Pierfrancesco Prosperi, Nicoletta Vallorani, Annarita Guarnieri, Marco Di Giaimo, Stefania Mainelli, Adalberto Cersosimo, Marina Perrotta, Luigi De Pascalis, Loredana Pietrafesa, Vittorio Piccirillo, Ezio Amadini, Maurizio J. Bruno, Roberta Guardascione, Sergio Giuffrida, Luca Oleastri, Giorgio Sangiorgi, Luigi Cozzi, Davide Longoni, Annarita Stella Petrino, Lukha B. Kremo, Max Gobbo, Mauro Antonio Miglieruolo, Andrea Gualchierotti. La copertina è di Luca Oleastri (che, tra l’altro, anni fa realizzò per me quella de “Il Settimo plenilunio” e molte delle 117 illustrazioni interne. Altre immagini sono di Giorgio Sangiorgi.

Le prefazioni sono nientemeno che di Donato Altomare, presidente della World SF Italia, e del guru della fantascienza italiana Gianfranco De Turris.

Chi sono costoro e che cos’hanno in comune? Sono, come me, tutti soci della World SF Italia, la più rilevante associazione di “operatori professionali” della fantascienza del Paese e, leggendo queste interviste, ci si rende conto dell’importanza e del ruolo rivestito da tutti loro nel definire e concretizzare il fantastico italiano (alcuni si occupano non solo di Sci-fi, ma anche delle altre forme del fantastico o di altri generi letterari).

Scrive nella prefazione il nostro Presidente Donato AltomareUna volta ci si conosceva tutti. Una volta si passavano giornate (e nottate) insieme a chiacchierare. Rammento una notte ad ascoltare Ugo Malaguti, spesso ore e ore a parlare con chiunque ti capitasse a tiro di quel libro o quel film, a pendere dalla bocca dei vari de Turris e Curtoni e Vegetti, Valla, Lippi, a carpire qualche segnale positivo da Viviani… insomma la gente la conoscevi.

Oggi il lavoro dei pochi coraggiosi appassionati di un tempo lontano si è concretizzato e gli autori di fantascienza sono diventati tanti, visto che tanti sono diventati gli editori che accettano opere del fantastico. Senza dubbio un grande esaltante successo per il panorama fantascientifico italiano.

Eppure c’è il risvolto della medaglia. Molti soci World non li ho mai incontrati di persona. Non ho idea se siano giovani o anziani, se scrivono fantascienza o fantastico, se sono saggisti o illustratori. Così, tempo fa, lanciai l’idea di intervistarli. Filippo Radogna ne fu subito entusiasta e predispose una serie di interviste”.

Ottima idea, credo, perché davvero questo volume permette a tutti noi di comprendere meglio con chi ha a che fare e credo che tutti i membri dell’associazione dovrebbero avere e leggere questo volume, ma questo vale anche per chiunque legga fantascienza o si occupi in genere di letteratura italiana.

Credo anche che questo testo possa aiutare chi non frequenta il genere a meglio capirne le innumerevoli possibilità o almeno a rendersi conto come questa letteratura sia, contrariamente a quanto in troppi in Italia ancora ignorantemente si ostinano a credere, letteratura a tutto tondo e spesso persino superiore al mainstream, se non altro, io dico, per lo sforzo creativo che comporta.

Radogna inizia la sua introduzione con la definizione data dall’attore William Shatner (il leggendario interprete del Capitano Kirk): “grande esercizio di immaginazione teso a ideare il futuro”. All’interno del libro troviamo altre splendide definizioni della SF. La migliore la ricorda ancora lo stesso Radognala fantascienza è letteratura di idee come sosteneva Umberto Eco”. Sì, credo sia proprio così. Tutta la letteratura porta avanti delle idee, ma la SF si basa su di esse e di queste soprattutto parla: idee del futuro, del mondo, della vita, della società, della fisica, del tempo, dello spazio, della storia, dell’uomo, del pensiero e di una lista interminabile che tutto ricomprende.

Io dico se l’arte è creazione, quale forma di letteratura è più artistica di quella che crea? Quale genere crea più di tutti? Il fantastico crea mondi. Quando lo fa assurgere alle sue massime vette.

Come può essere letteratura di serie B? Il fantastico è la quintessenza della letteratura.

Ringrazio quindi la World SF Italia per sostenerlo, anche con iniziative come questa raccolta di interviste, voluta e sostenuta dall’associazione.

Il volume merita di essere letto anche da chi si affaccia per la prima volta come “operatore” in questo mondo e voglia comprendere i percorsi, per non dire le carriere, di chi lo ha preceduto, le riviste su cui ha scritto, le case editrici che più di altre hanno sostenuto e sostengono questo genere e trarne utili spunti.

Personalmente, da autore che scrive di tutto ma soprattutto ucronia, ho avuto il piacere di scoprire che anche altri autori dell’associazione, che non sapevo, si sono interessati alla storia alternativa o fantastica, oltre a me e, ovviamente, a Pierfrancesco Prosperi, che da decenni pratica con successo il genere: Roberto Grasso con “Jesse James delle Due Sicilie”, Tullio Bologna e la sua storia alternativa  del fascismo ma anche lo stesso Tullio Bologna con Michele Martino, che affrontano la storia in chiave fantastica con “La Dea del Lago”, la sword & sorcery di Francesco Lo Manno, l’attenzione per la storia di Carmine Villani o quella per storia e mito di Marina Alberghini, l’attività di giornalista storico di Adriano Monti-Buzzetti (che già conoscevo come curatore di Dimensione Cosmica), Valeria Barbera, che avevo incontrato quando mi ritrovai tra i finalisti del Premio al Lettore, che lei vinse con una recensione di un’ucronia scritta da Davide del Popolo Riolo.