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DICK ERA UN C… DI PRECOGNITIVO

Leggendo oggi l’antologia “Tutti i racconti – Vol. 3 (1955-1963)” di Philip K. Dick colpisce la sua grande capacità di anticipazione di molte tematiche tipiche del nostro tempo. Affronta infatti temi tipici della fantascienza di quegli anni come i viaggi spaziali e gli incontri con alieni, ma sono davvero rilevanti i racconti sociologici in cui immagina i mutamenti del nostro modo di vivere, riuscendo a cogliere nel segno le tendenze attuali, pur svuotate dei contenuti tecnologici dell’elettronica, dei videogiochi e del web, come a dimostrare che certe deformazioni comportamentali non sono implicite in tali strumenti ma in una tendenza evolutiva della società che Dick, molto meglio di altri, ha saputo cogliere con decenni di anticipo.

Nel racconto “Veterano di guerra” (1955) siamo in un futuro di quelli che la fantascienza immaginava nei suoi anni d’oro, con Venere e Marte abitate ma non da alieni bensì da mutanti umani giunti dalla Terra, rispettivamente i cosiddetti “piedi palmati” e i “corvi”. Due popoli in lotta con i terrestri. Un uomo ritorna dal futuro annunciando l’esito della guerra che deve cominciare e pregiudicandone quindi il suo stesso avvio. Trama già ricca ma che riserva altre sorprese.

Philip K. Dick, all’anagrafe Philip Kindred Dick (Chicago, 16 dicembre 1928 – Santa Ana, 2 marzo 1982)

In “Commercio temporale” (19559 una commerciante si sposta attraverso speciali portali offrendo le sue merci in epoche in cui sono carenti o assenti: gli effetti sull’economia dei viaggi tra universi.

Nanny” (1955), uno dei racconti avveniristici più inquietanti, specula sul tema della facile obsolescenza degli elettrodomestici immaginando delle tate-robot che vengono costruite sempre più grosse e armate in modo che quando si incontrano si combattono e distruggono a vicenda. I genitori ne vogliono di sempre più potenti e le fabbriche speculano sulla possibilità di venderne a ritmi sempre maggiori e prezzi sempre più alti.

In “Mutazione imperfetta” o “Il fabbricante di cappucci” (1955) i telepati sono usati per il controllo sociale ma delle speciali cuffie impediscono loro di carpire i pensieri in un mondo in cui l’innocenza deve essere dimostrata la colpevolezza è sempre presunta. I nuovi impianti di intelligenza artificiale che potrebbero connettersi direttamente alla mente degli utenti potrebbero essere le prime avvisaglie dell’avverarsi, ancora una volta di uno dei presagi ammonitori di Dick.

I personaggi di “Incursione in superficie” (1955) fanno pensare a “La macchina del tempo” di Wells. L’umanità, come nel romanzo ottocentesco, si è evoluta dividendosi in due specie diverse, una, i Tecno, che vive in superficie come gli Eloi e una, gli omo, che vive sottoterra come i Morlock. I Tecno salgono in superficie per catturare alcuni Omo ma il ragazzo protagonista, colpito dall’industriosità di quelle creature considerate primitive e incuriosito da una giovane artigiana, rinuncia alla copertura dell’invisibilità dei suoi compagni per farsi vedere da una ragazza di superficie, scatenando una grande agitazione.

Inquietante la vicenda di “Servizio Assistenza” (1955) in cui un tecnico riparatore di misteriosi sbibli, per errore giunge dal futuro. Nel suo tempo gli sbibli esistono sin dal lontano 1963, nati dopo la piccola guerra mondiale del 1961, assai minore di quella degli anni ’70, per controllare le devianze politiche. Il protagonista cerca di scoprire qualcosa del futuro e di queste macchine organiche che controlleranno l’umanità. Anche questo racconto ci mette in guardia dall’invadenza delle IA.

Oltre il recinto” o “Saltare il fosso” (1955) affronta il tema dell’invadenza della pubblicità, immaginando un futuro diviso tra il partito dei Puristi, ossessionati dalla pulizia (e dall’uso dei prodotti per l’igiene pubblicizzati) e i Naturalisti non assoggettati a tale visione. È un racconto che oggi appare addirittura iperrealista, con quei poliziotti che arrestano chi non è ben pulito o ha l’alitosi! La pubblicità al potere: fantascienza?

Qui come altrove Dick dimostra di saper cogliere gli aspetti più surreali del nostro mondo, anticipandone gli sviluppi o esasperandoli per mostrarne l’intrinseca follia.

Ancor più profetico e, quindi, inquietante, è il racconto “Yanci” (1955) che anticipa il mondo dei social (pur senza parlarne) e degli influencer, immaginando che sulla luna Callisto, popolata da 80 milioni di persone, un certo Yanci abbia un grande seguito, dicendo ovvietà o facendo affermazioni che la volta dopo contraddice, influenzando il comportamento della popolazione e portandolo verso l’omologazione e l’assenza di capacità critica. Spoilero dicendo che in realtà Yanci non esiste: è un personaggio “artificiale” creato apposta per suggestionare la gente. Ne deriva un totalitarismo non violento ma basato sulla persuasione ma che ha come obiettivo persuadere gli abitanti di Callisto a fare la guerra a Ganimede, perché “le guerre sono male ma una guerra è giusta quando difende il nostro modo di vivere”. Un’anticipazione dell’IA ma anche di certe forme di marketing e di politica.

Autofac” (1955) ci porta al nostro presente dominato da Amazon e dalle consegne a domicilio. Ben prima che la società e il sistema nascessero, Dick ne mostrava la degenerazione, con la grande fabbrica globale Autofac che continua a produrre merci, depauperando e inquinando il pianeta, anche se la gente non ne ha bisogno e non le vuole. I protagonisti cercano disperatamente di fermare le consegne continue di beni non richiesti, senza riuscirci e scontrandosi contro un sistema dominato dall’intelligenza artificiale, verso il quale l’uomo sembra non poter intervenire. Altro tema è la capacità di sistemi complessi automatizzati.

In “PSI” troviamo un personaggio in grado di teletrasportarsi indietro nel tempo per incontrare un generale spiegandogli che da lì a un anno lui e quasi tutto il mondo saranno morti nella guerra che sta per scatenare tra Russia e America. Entrambe le parti vorrebbero coinvolgere gli ESP per averli dalla loro parte ma telepati e precognitivi non vogliono schierarsi.

In “Umano è” (1955) abbiamo la tematica resa celebre da “L’invasione degli ultracorpi”, che trova le sue origini nella scrittura di Lovecraft, di un alieno che prende possesso del corpo di un bambino che comincia a comportarsi in modo diverso dal solito, in quanto i Rexoriani, fuggiti su Venere dal loro pianeta morto, hanno conoscenze della Terra di duecento anni prima e quindi anche il loro comportamento è antiquato. Non è detto ma il classico problema, centrale per esempio nel ciclo “Invasione”, che i tempi dei viaggi stellari sono tali da rendere vetuste le informazioni assunte in partenza, quando abbiamo civiltà in rapida evoluzione. Centrale peraltro è la speculazione su che cosa ci renda davvero umani.

In “Foster, sei morto” (1954) un bambino si trova bullizzato e isolato perché non ha diritto di accedere ai rifugi durante i bombardamenti sovietici. Quando suo padre finalmente decide di sacrificarsi comprando un bunker per la famiglia, i sovietici inventano nuovi missili perforanti che lo rendono desueto e inutile, salvo aggiornarlo ma le griglie da applicare sono troppo costose e la famiglia deve rinunciarci. Oltre al tema del bullismo legato alla ricchezza personale, c’è qui, come spesso in Dick, una forte critica del consumismo, con prodotti effimeri che devono sempre essere aggiornati, secondo un’esigenza che non più solo di adeguamento sociale ma estremizzata diventando del tipo “compra o muori”.

Moltissimi sono i racconti di Dick che hanno dato vita a film celebri, in primis “Gli androidi sognano

Minority report

pecore elettriche?” da cui deriva una pietra miliare della fantascienza come “Blade Runner”. “Minority report” è uno di questi, nato dal racconto “Rapporto di minorità” (1957) che vede un sistema di prevenzione del crimine effettuato mediante i pre-cog, i precognitivi, persone in grado di vedere i delitti prima che accadano. Questo ha portato a un mondo con un solo omicidio in 5 anni. Il meccanismo alla base è che se due precog hanno la stessa visione, quella del terzo precog (in minoranza) deve essere errata. Questo però può non essere sempre vero, perché chi ha accesso ai rapporti dei precognitivi può alterare il futuro e quindi anche i rapporti dei precognitivi che ancora non si sono espressi.

In “Al servizio del padrone” (1956) è in corso una guerra contro i robot perché c’è chi sostiene che il lavoro nobiliti l’uomo e quindi gli uomini debbano lavorare, ma ne deriva un mondo senza automi, in rovina, in cui gli uomini sono schiavizzati e costretti a lavorare sottoterra. Ma è davvero per questo che gli uomini avevano abolito gli androidi o piuttosto questi volevano dominare il mondo?

In “Diffidate delle imitazioni” (1956) troviamo un’umanità decaduta aiutata dagli alieni che riproducono gli oggetti per uso quotidiano anche se ormai non riescono a farlo più bene e questi oggetti non funzionano più. Gli stessi alieni nello sforzo di aiutare l’umanità sono diventati sterili e si stanno estinguendo. Così gli uomini sono costretti a imparare di nuovo a costruire oggetti per conto loro.

La macchina” (1956) è quasi un giallo con robot mutaforma che dopo aver ucciso un uomo si trasforma in televisore. Anticipazione della micro-robotica modulare, in cui numerosi moduli intelligenti possono aggregarsi per dar vita a macchine diverse. Forse un possibile futuro.

In “Allucinazioni” o “Le illusioni degli altri” (1957) ci sono alcuni individui paracinetici (con poteri PK), capaci di passare attraverso i muri, che il governo cerca di tenere sotto controllo. Un po’ come ne “La bambina dei sogni” o in “Psicosfera”, hanno la capacità di manipolare le proprie allucinazioni.

Modello 2” (1953) descrive una guerra tra Russi e Americani, in cui questi ultimi hanno costruito dei robot militari capaci di autorigenerarsi in forme sempre più evolute. Sono detti Artigli. L’arma si ritorce contro l’intera umanità, perché le nuove generazioni di Artigli assumono aspetto umano, spesso inerme o ferito, per avvicinarsi ai militari e ucciderli, senza badare più alla loro nazionalità, portando ciascuno a dubitare degli altri, temendo che ogni uomo possa essere un robot assassino. Se le macchine costruiranno altre macchine lo faranno sempre per il bene dell’umanità?

In “Zero-0” o “Non-0” (1958) troviamo un paranoide perfetto senza nessuna capacità empatica che considera tutto il mondo in guerra contro di lui. I mutanti paranoici Zero-0 sono in collegamento telepatico tra loro e mirano a distruggere il mondo. Vedono la suddivisione dell’universo in singoli oggetti come una convenzione e pensano che tutto vada ricondotto a unità mediante esplosioni di bombe sempre più potenti.

Tornando a casa” (1959) vede il rientro di sei astronauti da Marte, creduti morti e scambiati per alieni.

In “Meccanismo di richiamo” o “Meccanismo di ricordo” (1959) la paura dell’altezza si contrappone alla passione per questa.

Selvaggina pregiata” o “Una preda allettante” (1959) un fisico ha strane visioni di un grande occhio che lo osserva e trova persino un misterioso lingotto d’oro. Si è forse aperta una breccia tra il nostro e un altro mondo?

Ne “Il gioco della guerra” (1959) una fabbrica produce giocattoli “bellici” per educare i bambini ad affrontare le difficoltà della vita. Produce anche “Sindrome” una sorta di monopoli al contrario in cui vince chi perde tutto, mentre i soldatini robotizzati danno l’assalto alla cittadella e programmano la costruzione di bombe atomiche. Ulteriore riflessione sull’evoluzione dell’automazione e anticipazione dell’AI e della robotica.

In “Presidente di riserva” (1969) il sostituto del Presidente degli USA è un uomo qualunque che si trova a fronteggiare un’invasione aliena. Deve affrontare anche un uomo che controlla le TV durante le elezioni. Vi ricorda qualcuno?

In “Cosa ne facciamo di Ragland Park?” (1963) Culture è un programma ministeriale per la ricostruzione delle città abbandonate per lo spopolamento della Terra a seguito della colonizzazione di altri mondi. Un tizio che scrive ballate che si rivelano fare riferimento a persone reali forse grazie a suoi particolari poteri telepatici, è assunto da Culture per scrivere ballate politici che incastrino i loro nemici.

Come in “Yanci” anche con “Se non ci fosse Benny Cemoli” (1963) Dick affronta l’idea di personaggi immaginari che influenzano l’opinione della gente, anticipando i nostri tempi. Benny Cemoli è un presunto agitatore politico che nessuno ha mai visto. Esiste davvero? Di lui parla il Times, un giornale omeostatico che si scrive da solo.

Ancor più inquietante e attuale è “I giorni di Perky Pat” (1963). Dopo una Catastrofe che ha reso inabitabile la superficie della Terra, ricoperta di polvere e abitata da pseudogatti e pseudocani feroci, gli adulti passano in tempo ad arredare la casa della bambola Perky Pat, che ricorda il mondo ante-Catastrofe. Un’anticipazione della realtà virtuale, senza elettronica e web. I giocatori spendono tutto quello che hanno per migliorare la loro bambola. Quando scoprono che in un altro Pozzo c’è una bambola diversa, sono presi dal desiderio di conoscerla e possederla. I bambini invece sembrano immuni e passano il tempo cacciando animali mutanti in superficie.

Tante visioni diverse di un futuro che somiglia sempre più al nostro presente o che pare avvicinarsi pericolosamente. A che cosa servono, allora, gli avvertimenti degli autori di fantascienza? Siamo ancora in tempo per imparare dal genio anticipatore di Dick o le sue derive sociali sono ormai inevitabili per noi? Un autore che se tutti avessero studiato a scuola negli anni ’60, forse avrebbe potuto cambiare il mondo.

ALLA SCOPERTA DELLE CONOSCENZE PERDUTE

Spesso fantascienza e fantasy si mescolano, in varia misura. Anche la saga fantasy di Melania Fusconi, “Le anime di Leggendra” di cui avevo letto il primo volume “I Cimeli Ancestrali” e ho ora ultima il secondo “La Viaggiatrice”, pur essendo un tipico fantasy, con umani in mondi paralleli, magia, oggetti incantati, draghi e altri mostri, ha dei richiami a pianeti alieni ma la componente fantasy rimane preponderante.

Sullo sfondo abbiamo la lotta tra Alchemici e Gifter per il controllo della magia in un mondo in cui è stata bandita ma non è assente. Ci sono un popolo che vive in superficie e uno che ha dimora in mare. Centrale è la ricerca dei Cimeli Ancestrali perseguita dall’eroina Alhena, che va riscoprendo in sé speciali conoscenze e poteri che sembrano venirle da una vita precedente. È lo stesso drago a riconoscere in lei un sangue antico, divino, un’energia che viene dalle stelle.

La vicenda, ricca di avventure e colpi di scena, vede la ragazza affiancata da una bambina che non parla e da una serva e inserita in una sorta di harem del Generale Supremo dell’Impero, scelta per diventare, tra dieci ragazze, proprio la sposa del Padrone.

Riuscirà a trovare i Cimeli e ribaltare la sorte sua e di Leggendra? Dovremo attendere almeno il terzo volume, che sarà presentato a breve al Salone del Libro di Torino 2023 per saperne di più.

LA SPECULAZIONE FANTASCIENTIFICA DI UN GRANDE PENSATORE

La sentinella” (1983) è il titolo di un racconto e di un’antologia del maestro della fantascienza Arthur Clarke (Minehead, 16

Sir Arthur Charles Clarke 

dicembre 1917 – Colombo, 19 marzo 2008). La raccolta comprende le storie:

  • Second Dawn 
  • Breaking Strain
  • Superiority
  • Exile of the Eons 
  • Hide and Seek
  • Expedition to Earth
  • Loophole
  • Inheritance 
  • Dog Star
  • The Sentinel

Il

primo racconto lo definirei uno dei migliori esempi di speculative fiction prodotti. Vi si immagina una civiltà aliena telepatica sviluppatasi in un lungo arco di tempo ma del tutto incapace di manipolare la materia, essendo dotata di arti inadatti, con lunghi artigli, e del suo incontro con un’altra civiltà, molto più giovane ma dotata della capacità di manipolazione. La riflessione che induce su come l’umanità sia a metà strada tra i due esempi con la sua capacità di pensiero nel contempo pratico e teorico ci pone davanti alla straordinaria eccezionalità della nostra specie e al dubbio esistenziale se davvero possa esistere nella galassia un’altra specie con una simile duplice capacità, di cui forse a stento ci rendiamo conto.

Questo racconto da solo vale l’intero volume, che pur contiene pregevoli storie, come la successiva sul tentativo di salvare un’astronave alla deriva con l’ossigeno in esaurimento e due astronauti a bordo: solo con il sacrificio di uno dei due l’altro potrà salvarsi. Importanti le implicazioni che ne derivano. E che dire del racconto che ci fa riflettere sull’inutilità della corsa agli armamenti? O sul totalmente improbabile incontro tra due specie antropomorfe? O della storia che dà il titolo al volume in cui si scopre un antichissimo manufatto alieno sulla luna?

Non per nulla Clarke è l’autore che ha ispirato uno dei film più intensi della storia cinematografica, “2001 Odissea nello spazio”.

TUTTA LA GALASSIA È PAESE

Trovo sempre apprezzabili i romanzi di fantascienza che cercano di descrivere in modo dettagliato pianeti alieni e lo fanno in modo non scontato, immaginando quindi civiltà o forme di vita molto diverse dalla nostra. “Paradiso remoto” di Mike Resnick (Chicago, 5 marzo 1942 – 9 gennaio 2020) è sulla buona strada in tale direzione ma poi si lascia prendere da visioni troppo antropomorfe della realtà. Vi si parla della colonizzazione umana del paradisiaco pianeta Peponi, fertile e ricco di risorse naturali, ben presto sfruttato e depauperizzato dai coloni. Il tentativo di descrivere un mondo nuovo secondo me fallisce per la volontà di usarlo come una sorta di metafora della colonizzazione europea degli altri continenti, con gli alieni trattati alla stregua di “negri” e “pellerossa”, a loro volta vittime di faide tribali che ricordano quelle africane. Anche il presidente alieno oggetto dell’intervista non sembra molto dissimile da certi politici

terrestri.

Il volume fa parte di una trilogia, la “Commedia Galattica”:

  • Paradise: A Chronicle of a Distant World (1989), presentato in italiano come Paradiso remoto
  • Purgatory: A Chronicle of a Distant World (1993), presentato in italiano come Purgatorio: storia di un mondo lontano
  • Inferno: A Chronicle of a Distant World (1993), presentato in italiano come Inferno.
Mike Resnick

L’EVOLUZIONE DELLE MACCHINE PENSANTI

Stanislaw Lem

Il polacco Stanislaw Lem (Leopoli, 12 settembre 1921 – Cracovia, 27 marzo 2006) è il geniale autore di uno degli alieni più originali mai ideati, il pianeta pensante di “Solaris”.

Con il romanzo “L’invincibile” (1964), Lem immagina un altro tipo di intelligenza: un pianeta in cui alcuni robot e altrio automi, abbandonati a loro stessi dai loro creatori, hanno dato vita a un’evoluzione tecnologica, simile a quelle biologiche, portando a colonizzare il pianeta, privo di forme di vita organiche, con nuove macchine, non costruite da organismi intelligenti come gli uomini, ma evolute per conto loro per sopravvivere in un mondo ostile.

La sola idea qualifica questo romanzo come un’opera imperdibile per i lettori di fantascienza, anche se non ha la qualità e il

fascino di “Solaris”. Interessanti nel romanzo anche alcuni sviluppi evolutivi immaginati, in particolare l’idea dei nano-robot, capaci di interagire tra loro come cellule di un organismo più grande, unendosi a seconda delle esigenze. Una sorta di intelligenza modulare.

Condivido conLem l’idea che l’umanità sia solo una delle molteplici forme di intelligenza e di vita possibile e che molte altre, assai diverse possano esistere quali forme di intelligenze collettive, come quelle di formiche o api.

COMPUTER FELINI CHE GIOCANO CON L’UNIVERSO

Charles L. Harness

“Astronave senza tempo” (Firebird, 1981) di Charles L. Harness (Colorado City, 29 dicembre 1915 – North Newton, 20 settembre 2005)è un romanzo davvero originale.

Intanto, i protagonisti non sono umani ma una razza felina, come si intuisce sin dalle prime pagine ma se ne ha conferma solo alla fine, facendo venire in mente “Il pianeta delle scimmie”, ma, soprattutto, Harness immagina una civiltà in grado di preoccuparsi non solo delle sorti non di un pianeta o di una galassia ma addirittura dell’intero universo. Per certi aspetti si potrebbe definire un romanzo di fanta-teologia, per la presenza del Dio Bifronte, Control, formato da due supercomputer telepatici posti agli estremi dell’Universo, Largo e Czandra, capaci di condizionare non solo le decisioni degli esseri che popolano le galassie, ma il moto di queste e scegliere se lasciare che l’universo si espanda all’infinito o collida in un Big Crunch. Non è chiaro perché un computer debba ambire a vivere in eterno e controllare l’universo, ma questo è uno dei presupposti della storia. Per sopravvivere, Controllo gioca/ giocano con la fisica, la massa degli ammassi stellari, i buchi neri e lo spazio-tempo. In un universo in espansione potrà vivere in eterno mentre in uno che si contragga no.

Abbiamo persino un’inusuale scontro frontale tra due astronavi che viaggiano entrambe a velocità

prossime a quelle della luce, con fantasiose conseguenze fisiche, oltre a viaggi nel tempo grazie ad astronavi super-veloci e attraversamento di buchi neri.

La storia si rivela un loop temporale che cela in sé la soluzione di alcuni misteri. Se la coppia di supercomputer è una sorta di divinità, i suoi avversari non potevano che chiamarsi Diavoliti.

Forse alcuni presupposti fisici della storia possono apparire implausibili, ma hanno una loro razionalità e talora la fantascienza sconfina verso il fantasy e la favola come nel caso del misterioso filtro d’amore multifunzione.

O SIAMO SOLI NELL’UNIVERSO O NON LO SIAMO

Giove chiama Terra” (1981) dell’americano Ben Bova (Filadelfia, 8 novembre 1932 – Naples, 29 novembre 2020) è un romanzo di attesa. Non certo come “Il deserto dei tartari” o “Stalker”, ma nel senso che tutto gira attorno a un possibile incontro con una nave aliena giunta nei pressi del pianeta maggiore del nostro sistema, ma al vero e proprio rendez-vous sono dedicate solo le ultime pagine.

Piuttosto che occuparsi dei rapporti con i possibili extra-terrestri, l’autore tratta le relazioni interpersonali e politiche tra gli scienziati e le nazioni coinvolte, con le relative diffidenze da guerra fredda (il muro di Berlino doveva ancora cadere). Maggiori paiono le diffidenze tra i due blocchi che verso gli alieni, attesi con un discreto ottimismo utopistico. Oltre a Russi e Americani, Bova scomoda pure il Vaticano. La struttura di Giove non è centrale, ma quando vi accenna, per esempio citando un brano di Sagan del 1973, si comprende che le conoscenze del gigante gassoso all’epoca erano ancora piuttosto “fantascientifiche”.

Questo potrebbe far pensare che si tratti di un romanzo noioso, ma in realtà, grazie alla scrittura diretta e immediata di Ben Bova, assai essenziale ed efficace, senza inutili dissertazioni, il romanzo ha sempre mantenuto alta la mia attenzione. Numerose e interessanti le citazioni riportate.

Tra queste vorrei qui ricordare questa, che mi pare meglio esprima il senso della ricerca di vita aliena:

O siamo soli nell’universo, o non lo siamo. Entrambe le prospettive sono sconvolgenti. (Lee Dubridge)

Il romanzo è il primo della quadrilogia “Voyager”. Questo forse spiega La lunga parte preparatoria.

UN NUMERO DI IF DEDICATO A LEM CHE PARLA ANCHE DI PSICOSFERA

Il numero 28 della bella e sempre molto interessante rivista di fantascienza diretta da Carlo BordoniIF -Insolito & Fantastico” (ora Odoya Edizioni) è dedicato all’autore ebreo polacco “Stalislaw Lem”, a un secolo dalla sua nascita, e curato da Tomasz Skocki (italianista all’Università di Varsavia).

Introduce il volume l’editoriale del Direttore Scientifico Alessandro Scarsella su “Il linguaggio trasversale del fantastico”, evidenziando come, in un momento come questo, autori come Lem rappresentino un ponte tra l’Europa dell’Ovest e quella dell’Est, di nuovo in parte divise del conflitto.

È seguito dall’introduzione del curatore “Un secolo di Stanisław Lem” e da un articolo del medesimo Skocki “Riscoprendo Lem”.

Stocki giustamente evidenza l’importanza di questo autore che spezza il lungo dominio anglo-americano della fantascienza, ponendosi come uno dei massimi autori del genere. Vi trovo evidenziato “il suo pessimismo circa la natura umana. Sopravvissuto agli orrori della guerra, del genocidio e della deportazione, esiliato dalla città dove era nato (e in cui non volle mai più tornare) e giunto alla maturità negli anni della guerra fredda e del pericolo atomico, Lem non poteva che provare orrore per un’umanità che pareva sempre pronta a dare il peggio di sé”.

In Lemun altro motivo ricorrente è quello dell’incomunicabilità tra umano e non umano e dell’estraneità e incomprensibilità del cosmo: nelle sue opere Lem critica e spesso irride l’antropocentrismo e la convinzione dell’uomo di poter realmente capire e dominare l’universo. Inevitabile menzionare anche il suo ateismo, che rende ancora più interessante la riflessione sull’oceano-Dio al centro del più celebre tra i suoi romanzi.

Interessante anche la parte del saggio sul successo postumo della sua opera.

Carlo Pagetti in “Ironie cosmiche e paradossi metanarrativi” fa un suggestivo e un po’ spiazzante raffronto tra il “Solaris” di Lem e il “Moby Dick” di Melville: “La stazione spaziale ricorda una balena, ma è anche una Pequod melvilliana tecnologicamente avanzata, che dovrebbe dare la caccia al Leviatano-oceano sotto di sé. Imperscrutabili risultano sia la balena bianca che l’oceano-pianeta alieno.

Interessante anche il raffronto con “The Drowned World” di J.G. Ballard (1962) e ancor più con i viaggi di Gulliver di Swift o con “Il castello” di Kafka.

Patrycja Polanowska invece raffronta la versione letteraria con quella cinematografica di “Solaris”.

Riccardo Gramantieri, invece, si concentra su un’altra opera di questo autore, “L’invincibile”. Gramantieri ci spiega che “Il tema della mancanza di comprensione dell’Altro, che ne L’Invincibile si traduce nella necessità di dare senso al comportamento di creature non-biologiche, può essere interpretato attraverso le teorie di Wilfred Bion, fautore di un modello concettuale sulla formazione dei processi mentali fra i più interessanti della psicoanalisi post-freudiana.”

Il romanzo L’Invincibile esplora una grande varietà di temi. È prima di tutto una storia di esplorazione spaziale, inoltre è il romanzo più “tecnologico” di Lem, nel quale lo scrittore non esita a descrivere astronavi, energobot e inforobot.”

“L’Invincibile è stato fra i primi romanzi di fantascienza a descrivere delle nano-macchine

e questo fa sì che il libro possa essere inserito nell’ambito della letteratura proto-postumanistica”. Centrale anche in questo romanzo è l’incomprensione, qui tra umani e micro-macchine.

Stanislaw Lem è stato, un po’ come Borges, un grande scrittore di apocrifi. Approfondisce il tema Matteo Maculotti. Del resto, persino “Uno degli aspetti più affascinanti di Solaris

consiste nell’invenzione della Solaristica, una disciplina sviluppatasi nel tentativo di studiare l’indecifrabile pianeta.” A differenza di Borges il polacco spesso crea apocrifi futuri, vere opere fantascientifiche. Tra questi il suo “Summa technologiae” gli permetterà nei decenni successivi di veder realizzate molte delle sue predizioni.

Agnieszka Gajewska esamina invece il pensiero filosofico del geniale polacco. “La narrativa di fantascienza aveva permesso a Lem di presentare la propria visione del futuro del mondo. I temi che lo affascinavano erano la fragile esistenza dell’animale uomo, i limiti conoscitivi derivanti dall’antropocentrismo, le sfide etiche generate dalle nuove tecnologie. Fin dai tempi dell’università si interessava di cibernetica, una conseguenza della sua passione giovanile legata alle scienze naturali e alla conoscenza delle opere di Charles Darwin. Facendo suo il punto di vista di Darwin e dello studioso di cibernetica Norbert Wiener sullo status della scienza, nei suoi racconti e romanzi Lem presentava l’opinione secondo cui non è possibile identificare lo sviluppo con il progresso, mentre i confini tra

ciò che è vivo e ciò che è artificiale, tra l’umano e il non umano, sono difficili da tracciare e mantenere stabili”.

La difficoltà di comprendere mondi alieni è sempre frutto di un insensato antropocentrismo, che ci rende incapaci di immedesimarci nell’altro tanto più è diverso da noi.

Nela parte non monografica della rivista, Carlo Bordoni intervista Alain Robbe-Grillet (1922-2008) scrittore, affabulatore e cineasta,  creatore del “nouveau roman”, ma anche di un nuovo modo di fare cinema e, in un altro articolo, ci offre un veloce ritratto dell’autore di fantascienza e ucronia aretino Pierfrancesco Prosperi.  Testo, peraltro, che ho letto anche nel volume “Architettura dell’ucronia” (Solfanelli, 2022), curato da Massimo Acciai Baggiani (che contiene anche un mio contributo su questo autore).

Segue proprio un racconto del nostro Prosperi, “Epicedio”, del lontano 1965, che vede per protagonista un autore di fantascienza e ci mostra una guerra nucleare in un futuribile 1970.

È di Bruce Mcallister il racconto successivo, “Inchiostro”, su ragazzo con problemi di emofilia che colleziona francobolli e che trasmette la propria malattia a una scatola di lettere, liberandosene, come in una sorta di “Ritratto di Dorian Gray” (Oscar Wilde, 1890). “Ash(2)” è, invece di Anonymous, in cui si immagina, come nella mia saga “Via da Sparta”, che ci sia un’età stabilita per legge per morire.

Segue, infine, “Psicosfera per Solaris” (Carlo Menzinger), un racconto che mescola il romanzo scritto con Massimo Acciai Baggiani “Psicosfera” (che molto deve aSolaris”) con il capolavoro di Lem.

Nel suo consueto “Annuario” Riccardo Gramantieri esamina la produzione nazionale e internazionale di fantascienza del 2021.

Quasi in conclusione del volume si può leggere la bella recensione di Maurizio J. Bruno per il romanzo “Psicosfera” (Massimo Acciai Baggiani e Carlo Menzinger di Preussenthal, Edizioni Tabula Fati 2022) che rimarca i collegamenti letterari di quest’opera con alcuni capolavori che lo hanno preceduto, in primis “Solaris” di Lem ed evidenzia necessità di “porsi la più classica delle domande: cos’è reale e cosa finzione? Siamo davvero quelli che crediamo di essere? O siamo soltanto copie di noi stessi che si illudono di essere gli originali?

Segue e chiude il volume un articolo-recensione di vari libri a firma di Riccardo Gramantieri.

UCCIDERE DIO

Ted Reynolds

Ted Reynolds (nato in Wisconsin nel 1938) è soprattutto un autore di racconti. A parte un romanzo breve, il suo solo romanzo è “Scontro finale”.

Nel giorno di Natale 2022 ho terminato la lettura di questa storia che narra di un’astronave in missione per uccidere Dio.

Romanzo, dunque, di fantareligione, che approfitta della narrazione di una tipica avventura spaziale verso destinazioni ignote per una critica alla religione e alla fede e una riflessione su Dio e il sovrannaturale. Opera che lascia comunque, inevitabilmente un finale aperto, soprattutto sulla natura del divino, su cosa siano il Bene e il Male e sull’arroganza (hybris avrebbero detto i Greci) dell’uomo che pretende di confrontarsi da pari con Dio, sia pure esso solo una possibile entità aliena.

Il romanzo è innanzitutto un viaggio, non solo attraverso lo spazio ma anche nella mente umana. Qual è il potere di Dio? Dove si ferma la nostra autodeterminazione? Che limiti ha il libero arbitrio? Dio è un’entità in grado di manipolare i nostri cervelli al punto di farci credere alla sua stessa divinità e onnipotenza? E come si può combattere un essere in grado di apparire onnipotente?

Insomma, uno di quei romanzi ricchi di interrogativi che fanno della fantascienza un genere letterario di grande profondità e che meriterebbe forse più di altri la definizione di speculative fiction.

Peccato non sia il capolavoro che con simili premesse avrebbe potuto essere, ma è certo opera che merita una lettura.

CREARE MONDI NOIOSI

Ci sono libri con cui non riesco a entrare in sintonia. Uno di questi è “Pensa a Fleba” di Ian M. Banks (Dunfermline, 16 febbraio 1954 – Kirkcaldy, 9 giugno 2013). Amo la fantascienza e la considero un genere sottovalutato, ma non amo la space opera, che credo offra un’immagine del genere di cui è parte che molto contribuisce ad allontanare lettori “comuni” dalla Sci-fi. “Pensa a Fleba” ha molti elementi della space opera: grandi e piccole astronavi che si scontrano nello spazio, muovendosi tra miriadi di mondi abitati da alieni, in continue battaglie e lotte, qui minuziosamente descritte.

Apprezzo molto i creatori di mondi e, a onore di Ian M. Banks, va detto che la sua invenzione di questa civiltà interstellare detta Cultura si può far rientrare tra i grandi universi immaginari per la ricchezza di particolari con cui è descritta.

Eppure, mi sono annoiato molto a leggere questo libro, sperando sempre che prima o poi riuscisse a coinvolgermi. Di pagine ne ha davvero tante (583), ma mentre il suo seguito “L’impero di Azad” (che ho già letto) dopo un inizio assai faticoso, mi aveva conquistato, questa volta non c’è stato verso di farmelo piacere.

Troppo minuziose (e lente) mi sono parse le descrizioni di lotte e battaglie. Troppo pedanti le parti saggistiche in cui si spiega la Cultura.

Ecco uno dei migliori brani in cui viene descritta:

E noi? Nulla più di un altro rutto nelle tenebre. Suono, ma non parole. Rumore senza significato.

Noi non siamo niente per loro. Soltanto virulenze biologiche, e del tipo più aggressivo. La Cultura deve sembrare agli idirani il più brulicante amalgama di tutto ciò che trovano ripugnante.

Noi siamo una razza di mostriciattoli, e il nostro passato è una storia di intrighi, di tranelli oscuri, di ambizioni esplose per creare imperi fatti di crudeltà, e di guerre inutili quanto sanguinose. I nostri antenati erano i reietti della galassia, in continua lotta per crescere ed espandersi e uccidere, e le loro effimere società nascevano solo per crollare, putrefarsi e risorgere dal marciume, senza speranza… doveva esserci qualcosa di sbagliato in noi; non abbiamo mai voluto nulla di stabile, preferendo la frenesia e l’insoddisfazione nevrotica, e mettendo sempre il nostro bene davanti a quello di chiunque altro. Siamo così patetici, deboli cose di carne dalla vita corta, agitati e confusi. E stupidi, proprio stupidi, agli occhi di un idirano.

Ripugnanza fisica, dunque, ma con qualcosa di peggio in più. Noi alteriamo noi stessi, mettiamo le mani nei codici genetici stabiliti dalla Vita, pronunciamo il nostro Verbo, esigiamo che Dio sia fatto a nostra immagine e somiglianza, e vogliamo tenere fra le nostre dita la bacchetta magica. Interferiamo con la nostra eredità genetica, e interferiamo nello sviluppo delle altre razze (ah, qui condividiamo un interesse!)… e peggio ancora, costruiamo l’anatema ultimo e ci gettiamo nelle sue braccia: le Menti, le macchine senzienti. Dissacriamo così la stessa immagine della vita e creiamo la sua antitesi, l’idolo vivente.

No, non sorprende che ci disprezzino, dai poveri malati mutanti che siamo, egoisti e osceni, servi e adoratori delle macchine. Neanche sicuri della nostra identità: chi o cosa è la Cultura? Dove comincia e dove finisce, esattamente? Cosa cerca, dove va? Gli idirani sanno con certezza chi vogliono essere: una razza pura e incontaminata, o niente. E noi? Il Contatto è il Contatto, il nucleo, ma al di là di questo? Le varietà genetiche imperano, e malgrado l’idea sia una non tutti possono accoppiarsi con chiunque altro. Le Menti? Non hanno uno standard comportamentale, sono individualiste e imprevedibili, anch’esse indipendenti. Nessuno è veramente legato a un posto, troppi si proclamano del tutto liberi dagli altri. Non ci sono mai stati confini e patria per la Cultura, ma soltanto provvisorie zone di contatto, parti in movimento, contorni evanescenti. Dunque, chi siamo noi?”

Ecco, invece, un esempio di scontro, preso a caso tra i vari presenti:

“Xoxarle restò immobile come morto per otto, forse dieci secondi.

Poi fu come se un’enorme molla d’acciaio lo avesse fatto balzare via dal muro. Fece due passi avanti e uno di lato, e con un braccio proteso in avanti colpì Horza al petto scaraventandolo con violenza addosso a Yalson. Subito dopo, malgrado le gambe parzialmente legate, tolse di mezzo Aviger con uno spintone che lo fece rotolare fino alla parete opposta, sferrò a Unaha-Closp un manrovescio da cui il robot fu fatto roteare nell’aria, e corse verso Wubslin.

Xoxarle saltò i sacchi con un tuffo in avanti sollevando una mano chiusa a pugno, e prima che l’ingegnere potesse reagire la abbassò con tutta la sua forza sul sensore di massa, fracassandolo d’un colpo. L’altra sua mano saettò in direzione del fucile a raggi, mentre Wubslin si scostava d’istinto rotolando contro le gambe di Balveda.

Le dita di Xoxarle si chiusero sull’arma come le ganasce di una trappola a scatto sulla zampa di un animale. Roteò su se stesso, stritolando sotto la schiena ciò che restava dell’apparecchiatura, e la canna del lanciaraggi si girò verso il punto dove Horza e Yalson stavano ancora cercando di ritrovare l’equilibrio. Aviger gemeva, disteso al suolo; Unaha-Closp compì una curva a U e accelerò nell’aria in direzione di Xoxarle, che appena fu immobile alzò l’arma mirando al petto di Horza.

Il corpo cilindrico di Unaha-Closp colpì la mandibola dell’idirano come un proiettile lanciato da una catapulta, schiacciandogli il mento contro il petto e sollevandolo di peso dai rottami del sensore di massa. Xoxarle volò all’indietro per un paio di metri, impattò nella parete di roccia con un tonfo sordo e si afflosciò privo di sensi a pochi passi da Wubslin.

Horza s’immobilizzò a metà del balzo con cui stava cercando di evitare il raggio. Yalson puntò il fucile, col dito irrigidito sul grilletto, e se non sparò fu soltanto perché Wubslin si alzò in piedi proprio sulla sua linea di tiro. Balveda era indietreggiata di corsa, e adesso, con una mano sulla bocca, fissava il robot che s’era fermato pochi palmi al di sopra della testa di Xoxarle. Aviger si sfregò la nuca mugolando di dolore e gettò alla parete uno sguardo risentito.”

Non so se siete riusciti a leggere tutto. Ed è solo un estratto della scena. Una descrizione così dettagliata è certo molto utile per lo sceneggiatore di un film, ma per un lettore? La mia tentazione è di arrivare alla fine il più in fretta possibile.

Il titolo deriva dalla citazione iniziale “Gentile o ebreo, tu, che impugnando il timone volgi il guardo al vento, Considera Phlebas, che un tempo era alto e forte come te.” di T.S. Eliot (La terra desolata, IV).

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