SCOMPARIRE ALLA RICERCA DEL CLONE AMATO

Era un po’ che non leggevo nulla di Haruki Murakami (Kyoto, 12 gennaio 1949), autore sempre suggestivo anche se spesso con qualche debolezza narrativa. Ho da poco letto “A sud del confine, a ovest del sole” (1992), un’opera molto più mainstream di altre che avevo letto ed eccomi di nuovo a leggere qualcosa di suo con “La ragazza dello Sputnik” (1999).

Haruki Murakami

Nonostante il titolo, come per la precedente lettura, anche qui la fantascienza non c’entra per nulla. La protagonista, la giovane scrittrice Sumire, viene definita così dal coprotagonista voce narrante perché ha confuso il movimento letterario Beatnik con il celebre satellite artificiale russo. A dir il vero la confusione della ragazza non è del tutto immotivata. Leggo, infatti, che “La parola beatnik è stata inventata dal giornalista Herb Caen, del San Francisco Chronicle, in un suo articolo del 2 aprile 1958, come termine denigratorio per riferirsi ai beats, ovvero ai membri della Beat Generation, come unione di parole con il satellite sovietico Sputnik, per sottolineare sia la distanza dei beat dalla società statunitense corrente, sia il fatto che erano vicini alle idee comuniste” (da Wikipedia).

Il romanzo è uno dei più realistici di Murakami, anche se non manca un misterioso episodio in

cui Myu, la donna più matura di cui si innamora la giovane Sumire, rimasta bloccata su una ruota panoramica, sbirciando in casa propria con un binocolo vede se stessa fare l’amore con un uomo. Discesa dalla ruota si sdoppierà: una Myu rimarrà nel mondo reale ma con i capelli divenuti bianchi e una forte avversione per il sesso, mentre l’altra Myu, forse, continuerà una sua esistenza più libera in un altro spazio.

Quando Sumire misteriosamente scompare il narratore sospetta possa aver raggiunto, alla ricerca dell’amore, la Myu sdoppiata, perché rifiutata dalla Myu asessuata.

Lettura piacevole, scorrevole, con una trama più semplice e lineare di altre opere del giapponese come “Nel segno della pecora” (1982) con il ragazzino che fissa il pene di balena, l’autista con il numero di telefono di Dio e la pecora che entra nelle persone o  “La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie” con i suoi unicorni al pascolo o anche “1Q84” (2009) con  i Little People e le loro crisalidi d’aria. Siamo qui piuttosto dalle parti “Tokyo blues” (anche noto come “Norwegian wood”) come genere e come qualità non troppo lontani da “Kafka sulla spiaggia” che credo resti il suo romanzo che ho apprezzato di più.

Un autore, comunque, da continuare a leggere perché ogni sua opera apre un mondo nuovo.

One response to this post.

  1. […] sotto le feste natalizie ora domina la città mi ha fatto venire in mente la recente lettura di “La ragazza dello Sputnik” di Haruki […]

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